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La femminilità di razza
Cleopatra è imbruttita ma non ha perduto il suo fascino
L’ipocrisia e la perfidia del principe
Plutarco racconta che Antillo, figlio di Antonio e di Fulvia fu tradito dal
suo precettore, quindi venne ucciso (81, 1). Cesarione di cui si diceva fosse
figlio di Giulio Cesare venne ammazzato dopo la morte di Cleopatra. Altri figli
della regina vennero utilizzati da Ottaviano perché Cleopatra non si uccidesse.
La regina si era ferita battendosi il petto durante i funerali di
Antonio, poi la piaga si era infettata. Le venne la febbre. Smise di mangiare
per farla finita. Ma Ottaviano la fece desistere con il ricatto dei figli (Vita
di Antonio 82).
Quindi andò a trovarla per confortarla. La trovò stesa in un giaciglio
modesto - ejn stibavdi tapeinw`" (83, 1). Entrambi
devono recitare per raggiungere ciascuno il suo scopo. Cleopatra si alzò
vestita con una sola tunica e con la testa e il viso terribilmente devastati - deinw`"
me;n ejxhgriwmevnh kefalh;n kai; provswpon. Si vedeva che il corpo soffriva quanto
l’anima, hj mevntoi cavri" ejkeivnh kai; to;
th`" w{ra" ijtamo;n ouj katevsbeto pantavpasin (83, 3) tuttavia
quel suo famoso fascino e l’ardire della sua grazia non erano del tutto spenti,
ma pure in quello stato tralucevano in qualche modo da dentro - ajlla;
kaivper diakeimevnh" endoqe;n poqen ejxevlampe” e apparivano insieme
nelle espressioni del volto - kai; sunepefaivneto toi`" kinhvmasi
tou` proswvpou (83, 4). Evidentemente la vera bellezza, quella che resiste al tempo,
all’indebolimento somatico, alle malattie, perfino allo sfregio, ha una
sorgente nell’anima.
Ripeto delle parole attribuite da Shakespeare a Enobarbo sul fascino di
Cleopatra la cui bellezza pure non era incomparabile
Con la sua femminilità di razza Cleopatra
sapeva rendere affascinante tutto quanto faceva:
“una volta la vidi saltare quaranta passi
nella pubblica via,
and having lost her breath, she
spoke, and panted,
that she did make defect perfection,
and, breathless, power breathe forth ( Antonio e Cleopatra, II, 2,
233 - 237) e rimasta senza fiato parlava ansimando in
modo da trasformare un difetto in cosa perfetta, e senza fiato, esalava potere
seduttivo.
Su questo Plutarco aveva scrtto che la la sua bellezza in sé - auJto; to; kavllo" - non era proprio incomparabile - ouj pavnu dusparavblhton. - dus - parabavllw - getto di fianco, paragono - né tale da stordire quelli che la vedevano - oujd j oi|on ejkplh'xai tou;" ijdovnta" - ma la sua compagnia aveva una presa dalla quale non si poteva fuggire - ajfh;n (a[ptw) d j ei\cen hJ sundiaivthsi" a[fukton (Plutarco, Vita di Antonio, 27).
Toniamo al capitolo 83 della Vita
di Antonio con le ultime mosse di Cleopatra. Ella prima accennò a
giustificarsi, attribuendo le proprie azioni alla necessità e alla paura di
Antonio - eij" ajnavgkhn kai; fovbon jAntwnivou
ta; pepragmevna trepouvsh" - (83, 4), ma Ottaviano
ribatteva punto per punto, quindi lei cambiò metodo e tosto si rivolse alle preghiere
e alle suppliche – tacu; pro;" oi\kton meqhrmovsato
kai; devhsin.
Cleopatra recita prima la parte
dell’amante pentita poi quella della donna desolata. Il suo repertorio di donna
e di attrice è vasto. Ora vuole dare anche l’impressione di essere molto
attaccata alla vita. Pobabilmente perché questa parte le riesca bene deve
pensare ai propri figli.
Quindi prese la lista delle sue ricchezze
che consegnò al voncitore.
A questo punto però Seleuco, uno dei suoi
amministratori, la accusò di nasconderne una parte. Cleopatra balzò su dal
letto kai; tw`n tricwn` aujtou` labomevnh, e afferratolo par i capelli, gli diede molti
ceffoni.(83, 5).
Cesare sorrideva, manifestando
evidentemente superiorità e noncuranza sovrana. Anche lui aveva coscienza che
la nostra vita è una recita.
Poco prima di morire si avvide del
buco nel cielo di carta del teatrino e
domandò agli amici "ecquid iis
videretur mimum vitae commode transegisse" (99), se a loro sembrasse
che avesse recitato bene la farsa della vita, quindi chiese loro, in greco,
degli applausi con la solita clausula delle
commedie:" eij de; ti - e[coi kalw'" to;
paivgnion, krovton dovte", se è andato un po’ bene questo
scherzo, applaudite (Svetonio Augusti Vita, 99)
Cleopatra quindi parla a Ottaviano
chiedendogli se non trovi terribile deinovn che mentre lui, il padrone del mondo va, a trovarla
pur così malmessa, i suoi servi la accusano - oij
de; dou`loiv mou kathgorou`sin.
Se ho messo da parte qualche
ornamento femminile, nemmeno per me ma per fare un piccolo dono a Ottavia e (Vita
di Antonio, 83, 6).
La servitù attribuita al cortigiano è
un’attitudine e una categoria dello spirito. Può appartenere agli schiavi come
pure ai prìncipi.
Nel mondo carnevalesco e rovesciato degli schiavi plautini[1] al posto del valore forte della fides troviamo
quello della perfidia , la “santa” protettrice dei
servi:" Perfidiae laudes gratiasque habemus merito magnas"
(Asinaria, v. 545), abbiamo ragione di elogiare e ringraziare assai la
mala Fede, dice lo schiavo Libano allo schiavo Leonida.
Cleopatra aggiunge che spera in una intercessione di Ottavia e Livia per
trovare Ottaviano, fratello e marito, più benevolo e più clemente
Ottaviano si rallegrò credendo assolutamente che Cleopatra desiderasse
vivere - pantavpasin aujth;n filoyucei`n oijovmeno" (83, 7). Quindi
promise di trattarla bene e se ne andò credendo di averla ingannata mentre era
lui piuttosto a essere stato ingannato - ejxhpathkevnai me;n
oijovmeno", ejxhpathmevno" de; ma`llon.
L’inganno e la trasudano anche dai luoghi del potere.
Breve excursus: l’ipocrisia e la perfidia del pincipe
Riccardo III, è
“ il principe che ha letto Il Principe. La politica è per lui pura pratica,
un’arte il cui fine è governare. Un’arte amorale come quella di costruire i
ponti o come una lezione di scherma. Le passioni umane sono argilla, e anche
gli uomini sono un’argilla di cui si può fare quel che si vuole.”[2]
Riccardo viene aizzato dai suoi alleati a vendicarsi
dei suoi nemici: “ But then I sigh, and, with a piece of Scripture, - Tell
them that God bids us do good for evil: And thus I clothe my naked
villainy - With odd old ends stol’n forth of Holy Writ - And seem a saint, when
most I play the devil” (I, 3), ma allora io sospiro, e, con un brano della
Scrittura, dico loro che Dio ci ordina di rendere bene per male: e così rivesto
la mia nuda scelleratezza con occasionali vecchi scampoli della Sacra
Scrittura, e sembro un santo quando più faccio il diavolo.
Riferisco un motto di Lisandro il
comandante della flotta spartana che concluse la guerra del Peloponneso
sconfiggendo gli Ateniesi: egli se la rideva di quanti stimavano che i
discendenti di Eracle dovessero sdegnare di vincere con il tradimento e
raccomandava sempre: "o{pou ga;r hJ leonth'
mh; ejfiknei'tai prosraptevon ejkei' th;n ajlwpekhvn" dove di fatto non
giunge la pelle del leone, bisogna cucirle sopra quella della volpe" (Plutarco, Vita di Lisandro,
7, 6).
La perfidia plus quam punica[3] di Annibale e quella italica di
Machiavelli hanno avuto dei maestri greci.
Nel XVIII capitolo di Il Principe, Machiavelli ricorda "come Achille e molti altri di
quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la
sua disciplina li costudissi". E ne deduce:"Il che non vuol dire
altro, avere per precettore uno mezzo bestia et uno mezzo uomo, se non che
bisogna a uno principe sapere usare l'una e l'altra natura; e l'una sanza
l'altra non è durabile. Sendo dunque uno principe necessitato sapere usare la
bestia, debbe di quelle pigliare la golpe et il lione; perché il lione non si
difende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi. Bisogna adunque essere
golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi. Coloro che stanno
semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può, per tanto, uno
signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia li torni
contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere".
La constatazione del sangue umano che scorre nella
corte viene denunciata da Donalbain, un figlio del re vecchio assassinato dal nuovo
re, da Macbeth: "qui dove siamo ci sono pugnali nei sorrisi degli
uomini: il vicino per sangue è il più vicino all'essere sanguinario (Macbeth 2,
3).
Torniamo al dramma Antonio e Cleopatra di
Shakespeare
Cleopatra chiama Seleuco e lo presenta come my
treasurer (V, 2, 141) , il mio tesoriere. Poi gli chiede di dire a
Ottaviano che la regina non ha serbato nulla per sé: speak the truth,
Seleucus (V, 2, 144) di’ la verità, Seleuco. Il tesoriere non
obbedisce e nega che la regina dica il vero.
Ottaviano però giustifica Cleopatra la quale lamenta
il fatto che gli uomini seguono la fortuna. “mine will now be yours, i miei
ora saranno vostri (151)
Nell’Oreste di Euripide il messo che
riferisce a Elettra come si è svolta l’assemblea degli Argivi, fa una
considerazione del genere a proposito degli araldi.
“E dopo questo si alza:
Taltibio che con tuo padre razziava i Frigi.
E parlò, lui sempre sottoposto ai potenti,
in modo ambiguo, da una parte ammirando il padre tuo
però senza approvare tuo fratello, intrecciando
discorsi belli e malvagi: che aveva stabilito usanze
non belle verso i genitori; e occhiate sempre
sorridenti lanciava agli amici di Egisto.
Infatti tale genìa è siffatta: su chi ha successo
saltano sempre gli araldi. Questo è loro amico:
chi ha potere sulla città e si trova tra le autorità (vv. 887 - 897)
Cleopatra aggiunge che l’ingratitudine di
quel Seleuco la rende furiosa
Quindi lo riempie di insulti: slave,
soulless villain, dog! - O rarely base (V, 2, 157 - 158), schiavo,
infame senza anima, cane! Mostro di bassezza!
Poi si giustifica con Ottaviano dicendo “ ho
tenuto per sé soltanto alcuni gingilli donneschi, mentre ho messo da parte qualche
dono più nobile riservato a Livia e Ottavia per indurle a pensarmi some
nobler token I have kept apart - for Livia and Octavia, to induce - their
meditation (168 - 170) Quindi ingiunge a Seleuco di andarsene non
senza rinfacciargli la sua disumanità: wert thou a man - thou wouldst
have mercy of me - (174 - 175), se tu fossi un uomo avresti pietà di me.
Avere compassione dei caduti è la quintessenza dell’umanità. Infine Ottaviano
lo congeda.
Bologna 26 aprile 2021 ore 9, 31
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Plauto
visse tra il 255 ca e il 184 a. C.
[2] Jan
Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, p. 42.
[3] Tito
Livio, Storie, XXI, 4.
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