lunedì 12 aprile 2021

Viaggio in Grecia, 1981. Capitolo XXVII. Un capitolo di totale semplicità. Sermo quotidianus

La chiacchierata a cena con urbani sales


Giunti ad Atene dopo il tramonto, ci concedemmo il nostro unico ben meritato desinare. La fame condiva il cibo, la stanchezza della lunga, impegnativa giornata, rendeva gradito il riposo guadagnato con il sudore di tutte le membra. Il piacere dello stare seduti osservandoci simpaticamente a vicenda ci ispirò un dialogo ameno, da commedia leggera.

Voglio ricordare le parole dette anche in questo frangente per controbilanciare il dialogo tragico dell’albergo di Patrasso.


Ifigenia: (parla con volto abbellito dall’ottima cosmesi dell’ allegria) Questa carne con le patate è buona assai. Si sta bene qui. Bisogna tornarci; anzi, perché non veniamo a cenare qui tutti i giorni, per tutta la vita?

Gianni: (cercando di apparire razionale, ridicolmente). Sì certo, volentieri. Ma come si fa? Noi viviamo a Bologna, tutt’al più a Pesaro. Fra treno, taghetto e  corriera ci vogliono decine di ore e centinaia di migliaia di lire ogni volta.

Ifigenia: Che problema c’è? Noi ci veniamo in aereo. In poco più di un’ora si arriva. Come si chiama questo posticino delizioso? Ah, sì: è scritto là: Nikopolis. Sarà il nome dell’oste. E’ carino anche lui e pure i clienti.

Gianni: (procedendo nella sua parte di razionale ottuso) Sì è vero. Il cibo qui è buono, il posto bellino, l’oste simpatico, i clienti anche. Perciò dobbiamo tornarci. Ma i soldi per pagare due viaggi al giorno come li rimediamo?

Ifigenia: (sorridendo amabilmente come l’aurea Afrodite). Ho qualche idea. Potremmo andare a chiedere l’elemosina insieme: tu canti e io danzo da zingarella, oppure tu vendi le case che hai, magari pure la terra, compri un aereo e con questo tutte le sere veniamo a cena qui da Nikopolis. Vale la pena. Guarda come andiamo d’accordo noi due qui dentro. Ci sembra di essere ancora felici. Altrove non abbiamo mai funzionato tanto bene. Sì, non c’è dubbio: bisogna tornarci.

Gianni: Intanto vendo un po’ di terra e ci compriamo uno Zeppelin. Poi, finito questo primo denaro, venderò il resto. Se fossi un re o un imperatore sai che cosa farei? Venderei anche città, province e regni per continuare a essere felice con te.  

Ifigenia: Lo Zeppelin però non dovrai venderlo per nessuna ragione: è un velivolo meraviglioso. Io ho dovuto fare lo Zeppelin, durante l’esame di recitazione in giugno.

Gianni (diventato serio): E’ vero, incarnato dalle tue membra era bellissimo. Veramente ho sentito per la prima volta questo nome quando ti ho vista all’esame. Percorreva i sentieri luminosi dell’etere con quattro ali lunghe, tornite, formate sui modelli dell’arte.

(Riprendendo lo scherzo)

Ma se la felicità che sentiamo suscitasse l’invidia degli dèi per essere la loro di troppo breve intervallo superiore alla nostra e i numi facessero precipitare lo Zeppelin? Oppure se i Bolognesi ci esiliassero dalla loro città dove non abbiamo mai avuto la residenza, ma siamo solo dei meteci?

Potrebbero dire “Toward Peloponnesus are they fled” essi sono fuggiti verso il Peloponneso come Antonio e Cleopatra[1]. Restino là.

Allora che cosa facciamo?

Ifigenia: Tutto facciamo. Veniamo a mangiare tutte le sere qui da Nikopolis, poi torniamo a Bologna. Se non potremo atterrare altrove, ci poseremo sulla terrazza del tuo condominio. Quindi facciamo l’amore, a volontà, poi dormiamo. Di giorno tu scrivi e io recito, senza toccare cibo. Ci teniamo la fame per Nikopolis dove torneremo tutte le sere perché qui si sta bene.

Gianni: Sì sì ! Ah certo! Come no?

Ifigenia: Qui  si mangia bene si sta allegri e si paga poco. Vedrai che ci arricchiremo. Risparmiando sul cibo non comprato dagli esosi taglieggiatori di Bologna: in dieci anni ci rifaremo delle spese dei viaggi e in altri dieci risparmieremo tanto da comprare altre due case che ci serviranno per le nostre trasferte: una a Roma una a Milano dove io reciterò più in grande i tuoi capolavori. Hai capito?

Gianni: Sì, mi pare di sì. Se mi scorderò, poi mi ripeterai tutto. Non devo dimenticare: è un tabù, un vetitum, quasi il maximum scelus.


Eravamo gioiosi come non succedeva da tanto tempo. Ifigenia aveva l’aria di una bambina felice. Provai del rimorso per averla dissuasa troppo spesso dal suo scherzare che non era sempre di cattivo gusto. Anche sapere giocare è causa di apprendimento: pueri dum ludunt, discunt. Anche gli adulti e i vecchi. La mutria costante del misantropo significa ottusità, bassezza d’animo.

Nell’ultimo anno ci eravamo arroccati in un atteggiamento maniacale di sdegno perpetuo verso gli esseri umani. Eravamo soprattutto scontenti di noi stessi e proiettavamo il nostro malumore sugli altri che ce lo riflettevano e ce lo rimandavano indietro.

Lì da Nikopolis invece sentivamo un flusso di simpatia intercorrente tra noi e i nostri vicini. Come succedeva nei primi mesi del nostro amore quando eravamo contenti dalla mattina alla sera. Quella notte di agosto facemmo l’amore come nel tempo più bello. Pregai Pallade Atena, la dea poliade, di farci passare altre notti così.  

 

Bologna 12 aprile 2021 ore 20, 18

giovanni ghiselli


p. s

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[1] Cfr, Shakespeare, Antonio e Cleopatra, III, 10, 31.

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