giovedì 8 aprile 2021

Viaggio in Grecia, 1981. Capitolo XXIV. Terza parte. La lite, poi la pace precaria

Odeo di Erode Attico
Il dialogo del risentimento nell’albergo di Atene. Terza parte. La lite, poi la pace precaria


Ifigenia: Quanto dici sul mio conto è arbitrario e del tutto falso. Qundo è che mi sarei comportata in maniera irrazionale e distruttiva secondo te?

Gianni: Ogni volta che hai rovinato la nostra intesa dei primi tempi con la tua incapacità di controllare i tuoi istinti peggiori.

Ifigenia: Tu dai i numeri. Numeri del tutto falsi.  Quali episodi immagini e rimugini con la tua mente malata?

Gianni: Penso all’estate del ’ 79 quando non hai capito niente di quanto avresti dovuto fare secondo logica, secondo morale, secondo il buon gusto e pure secondo il tuo interesse. Non hai capito quando non mi hai mandato l’espresso che mi avevi pomesso e preannunciato con un telegramma: non hai capito che in seguito a quella grave inadempienza avresti perduto ogni credito da parte mia; non sei stata in grado di capire dopo nove mesi passati con me che non sono il tipo d’uomo cui si può spergiurare senza perderne tutta la  stima; non hai capito che ti screditavi ai mie occhi quando sulla spiaggia di Pesaro mi tiravi la sabbia in faccia perché non assecondavo tutte le tue capricciose prestese. Tu sei troppo egocentrica per metterti nei panni altrui, di  sentire i sentimenti di quelli che ti vogliono bene almeno finché non arrivi a disgustarli.

Ifigenia (con sarcasmi irosi): Proprio tu vieni a parlarmi di comprensione dei sentimenti. Quale considerazione avevi  tu, gianni, dei miei, quando io ti amavo come in un bel sogno e tu mi parlavi delle tue ex amanti, o lasciavi che le tue zie mi giudicassero male perché venivo a Pesaro con te senza che fossi tua moglie e senza avere alle spalle una famiglia facoltosa con tanto di dote cospicua da attribuire alla figliola? Dopo l’estate, quando io non avevo ancora compiuto venticinque anni  e non volevo più insegnare né sapevo cosa fare della mia vita, e avevo ancora bisogno di te, e tu, spaventato da queste mie difficoltà, ti sei innamorato della supplente venuta al mio posto, e hai smesso di prenderti cura di me, dopo che ti eri cavata la voglia di me, ebbene dove avevi messo allora la tua onestà, la tua integrità di uomo probo, i tuoi doveri morali? Ma fammi il piacere! Oltretutto mentivi. Dicevi di amarmi mentre eri innamorato di quella zitellina perché era vergine e di famiglia borghese. E perché con l’aspetto ti ricordava tua sorella, tua madre, le tue zie e il tuo torbido attaccamento alle tue consanguinee. Dicevi addirittura che assomigliava a te. Certo, una similitudine essenziale per il tuo narcisismo. Venivi ancora a letto con me senza il desiderio di prima perché progettavi di sposare quella bigotta che nemmeno ti contraccambiava ma si lasciava corteggiare mirando solo al proprio tornaconto. Le ultime parole sono state dette con pathos dolente, quasi piangendo.

Gianni con aria afflitta: Non stai esagerando Ifigenia? Non ho mai fatto orge dionisiache con lei come con te quando anche i sacerdoti santi benedicevano la nostra lussuria che faceva onore grande agli dèi. Con quella zitellina di Fano non ho mai fatto festini mostruosi né pii.

Ifigenia: no, non sto esagerando. Durante tutto il secondo anno tu mi evitavi pensando che passare il tempo con me fosse sciuparlo perché voleva dire sottralro alla preparazione delle lezioni con cui volevi acquistare onoratissima rinomanza nel liceo classico della città e in tutta Bologna. Allora, mentre io soffrivo, tu non capivi che facevi una serie di errori: perdevi più di quanto volevi acquistare. Te ne sei accorto più tardi, troppo tardi: quando io, non potendone più di soffrire, ho smesso di amati: ho cominciato a provare interesse per altri uomini; allora hai coninciato a patire tu e a capire qualche cosa attraverso la sofferenza tua. Della mia non ti eri mai curato. Il dolore che ho dovuto infliggerti per difendere ne stessa, soltanto il dolore ti ha reso meno immorale e più razionale, non la tua intelligenza né la tua probità.

Gianni (sempre triste e calmo): Sì c’è molto di vero in quello che dici. Tu in effetti mi hai reso migliore prima con la bellezza e la gioia, poi con il dolore. Per questo ti amo. E’ anche vero però che quando ho cercato stimoli in altre colleghe o negli scolari, l’ho fatto perché tu non me ne davi più: mi annoiavi, mi disturbavi con parole insipide e atti insignificanti. Tra noi  non poteva continuare in quella maniera: tu anzi mostravi quel vuoto  perché io ti dessi una lezione. Non potevo approvarti: ti avrei nuociuto davvero. Comunque ora scusami Ifigenia, ma poprio non c’è più tempo di parlarne. Sono già le otto e venti ed è buio. Andiamo subito a cercare le dracme, poi a mangiare. Io muoio di fame, tu anche, suppongo, e credo che parte del nostro nervosismo derivi dalla denutrizione.

Ifigenia: Va bene. Tanto più che non abbiamo altro da aggiungere.


Dopo avere coperto le nostre nude scelleratezze con stracci consunti, uscimmo di corsa. Seguendo le indicazioni dateci dal portiere andammo a cambiare le lire in una strana banca ipogea aperta fino alle ventidue. Quindi facemmo una pace precaria. Ci diede argomenti comuni e una schiarita all’umore il cibo gustoso preparato e servito da un cuoco epicureo di ottimo umore. Poi andammo nel teatro di Erode Attico situato sotto l’acropoli e la luna che la rischiarava. L’orchestra suonava la musica rasserenante di Mendelsshon. Questa musica fu il secondo alimento che ristorò le nostre persone sfinite dalle schermaglie di amanti falliti. Sicché potemmo tornare nell’albergo e metterci a letto abbastanza concordi per augurarci la buona notte con carezze e sorrisi. Tuttavia evitammo di fare del sesso. Ci sapeva di ybris che prima verdeggia poi dà per frutto una spiga di acciecamento che, appena falciata, dà una messe di lacrime[1].     


Bologna 8 aprile 2021 ore 18, 39

giovanni ghiselliP. s.

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[1] Cfr. Eschilo, Persiani, 821-822.

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