Ifigenia provò un’altra delle sue parti istrionesche: quella dell’onnipotente bambina capricciosa cui non si può rifiutare nulla.
“gianni, tesoro, ti prego, ti prego, ti prego: se mi vuoi un po’ di bene, cammina tutta la notte con me tra questi monti fatati. Una notte soltanto. Che cosa ti costa? All’alba faremo l’amore tra i cespugli gorgheggiando lieti come gli uccelli, come quando eravamo entrambi più giovani”.
Dovetti sgridarla aspramente per farle capire che questa parte del suo repertorio con me non funzionava.
“Ora basta. Tu mi fai perdere tempo e mi disturbi. Questa tua scena è contro natura alla tua età. Probabilmente l’hai vista in qualche film recitata da una bambina sì e no decenne. Tu ti avvicini ai trenta e dovresti collaborare invece di incepparmi il cammino”.
Colei odiava sentirsi ricordare la corsa veloce del tempo che ci divora e trasforma la bellezza in rovine. La faveva soffrire il pensiero che il volgersi delle stagioni che portano e poi portano via tutto infaticabilmente, le smungono il corpo dove ha riposto tutte le scivolose speranze di successo.
Disse: “ Se con le tue amanti attempate, Esculapia, Pinuccia e le altre mezze vecchie eri tanto felice, dovevi venire in Grecia con una di loro, o con tutte. Si sarebbero messe in fila per compiacerti quelle povere disgraziate e tu saresti stato il sultano che con me non puoi essere”.
Non le risposi. Le rivolsi la schiena e cominciai ad avviarmi verso l’alloggio.
Allora Ifigenia capì che quella maschera, probabilmente utile agli scopi in altre occasioni, con me non funzionava punto e ne indossò un'altra.
“Ho soltanto 27 anni, 9 meno di te: potrei esserti quasi figlia e sono felice quando posso giocare con te”. Non disse “babbo” o “papà” come usa dalle sue parti, ma ci mancò poco.
Sapeva che è un tasto cui sono sensibile perché conosceva la storia di Päivi e della nostra bambina non nata che mi ha lasciato rimpianti e rimorsi.
Provai a chiudere questa scena dolorosa replicando con l’ironia seguita dalla decisione definitiva e prentoria: “E’ vero. Tu sei la donna più giovane e bella dell’Universo e io non ti valgo né ti merito. La grazia del cielo mi ha dato troppo donandomi te. Però non sono disposto a lasciarmi tiranneggiare facendo quanto mi indebolisce e danneggia. Sicché vado a letto. Tu fa’ come vuoi. Io partirò domani mattina alle sette. Dieci minuti di tolleranza, poi chi non c’è resta qui a passeggiare tra i monti quanto vuole. Sei avvisata., il discorso è chiuso”.
“Tu non mi vuoi bene” fece colei. Non le risposi.
Mi venne dietro come un cagnolino. Dopo qualche passo soggiunse: “amore, tu non mi vuoi bene per niente. Nemmeno ti piaccio. Non ho più grazie presso di te”.
Mi fermai, la guardai e risposi: “Infatti. Quando fai questa scena e la prolunghi con troppe repliche , mi diventi antipatica. Oltretutto con tali recite penose sciupi gran parte della tua bllezza rara e preziosa”.
Avevo trovato il tasto giusto. Con le femmine umane funziona quasi sempre. Quando insegnavo alle medie, se una bambina iniziava a piangere dopo una mia sgridata, le dicevo: smettila “quando te la prendi così per una sciocchezza diventi meno bellina”. Allora la piccola si asciugava le lacrime e sorrideva. Ho imparato dai bambini più di quanto loro da me.
Funzionò anche questa volta con la giovane donna che si atteggiava a bambina. Disse: “Hai agione, gianni, andiamo a dormire. Tu domani devi guidare tutto il giorno. Prima di addormentarci però facciamo l’amore almeno un paio di volte. Non sono diventata troppo brutta, vero tesoro?”
Questo era il tasto che funzionava con me, il tocco che faceva vibrare i miei nervi ben protesi.
“No Ifigenia. Tu ora sei bellissima e buona. Hai tu grazie meravigliose appo me”. Non avevo dismesso del tutto la mia giocosa ironia ricca di echi.
Bologna 27 apile 2021 ore 11, 25
giovanni ghiselli
p. s.
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