Gianni - guarda l’orologio con ostentazione: Tu non hai asoltato o non hai capito quanto ho detto: sono passate le otto, il cielo è quasi buio e già ora rischiamo di non trovare nemmeno uno sportello aperto. Per giunta abbiamo fame, bisogno di mangiare e siamo senza denaro greco per pagare la cena. Tu certo te la prenderai con me se resteremo a denti asciutti quando i cibi gustosi sono tutti evidenti ma noi non abbiamo il denaro necessario per pagarli. Qui senza dracme non si mangia. Dunque dobbiamo cambiare le lire e affrettarci perché di notte gli uffici chiudono e, se non lo hanno già fatto, lo faranno a momenti. Quindi devi sbrigarti. Ti fai bella dopo, no? Poi, se vai in cerca di complimenti, sei bella comunque. Anzi, sei bellissima, altrimenti figurati se ti sopporterei. E visto che abbiamo fame, ricorro a una metafora culinaria per elogiarti: tu saresti un boccone degno di un re, come Cleopatra amcora giovane per Giulio Cesare: a morsel for a monarch[1]. Io non sono Cesare, nemmeno Antonio sono che ereditò l’avanzo freddo di quel cibo sul tagliere di Cesare. Io non sono nessuno e non ti merito, ma ora un boccone magari caldo, vorrei poterlo addentare
Ifigenia – con una smorfia di disgusto: Tu sei solo un buffone e i tuoi complimenti, i tuoi omaggi da pagliaccio quale sei, vai a farli alla sguattera tipica delle osterie dove vai a rimpinzarti come un maiale.
Gianni solleva la maglietta e mostra la vita da torero con aria stupita e interrogativa.
Sicché Ifigenia rincara la dose: Maiale sì, suino mentale, porco nell’anima sei. Tu, vecchio lurido ingordo, ce l’hai con me per altri motivi; qualche cosa che ti ha dato fastidio ma non vuoi dire perché sei falso più di Giuda. Sono quasi sicura che l’orrenda cagnara ululata nella corriera ti ha fatto pensare che non dovrei girare in calzoncini. E pure che se fossimo venuti in bici come pretendevi da negriero quale sei quella scena spiacevole l’avremmo evitata. Avresti voluto arrivare fino a Olimpia per pregare i tuoi dèi che non ti ascoltano, come vedo. Se volevi girartela tutta da solo questa tua patria ideale che ti respinge, non dovevi invitarmici. Tu sei irrazionale, anzi sei pazzo!
Gianni: ah sì, l’irrazionale sarei io?
Ifigenia: Sì proprio tu, e molto più di me, anche se ti adoperi in continuazione per dissimularlo. Tu reciti la parte dell’uomo buono, colto, intelligente ma quando non fai il maiale sei una scimmia che ripete per lo più idiozie imparate da altri matti. Io vorrei fare l’attrice, ma sui palcoscenici; tu reciti in ogni momento della tua vita per nascondere le tue debolezze miserevolo e i tuoi fallimenti. Ora so che perfino i tuoi ardori erotici erano recite. Recitate bene, per carità, però non sentite, non vissute con il cuore pulito né con una testa equilibrata. Tu hai degli abissi di follia dentro di te e devi stare sempre in guardia, in allarme, armato da paracadutista, per non caderci dentro a capofitto. Nei tuoi baratri interni hai le donne di casa tua che ti hanno terrorizzato quando eri bambino e ti spaventano ancora: ti abbaiano contro, ti graffiano l’anima e devi sempre stare in guardia perché non te la squarcino. A volte perdi il controllo di quelle furie: allora si sentono ringhiare e latrare tutte insieme nella tua voce alterata: allora la tua faccia solitamente atteggiata a bella, buona, colta, rivela il ceffo maligno sotto la maschera della civiltà. La tua continua esaltazione del logos accordato con il pathos è un tentativo malriuscito di modificare il tuo carattere congenito, poi peggiorato dall’ambiente. Tu non hai dentro del pathos: sei del tutto incapace di amare donne che non siano tua madre e le tue zie, e non hai nemmeno il logos: non riesci a venire fuori con l’intelligenza dal labirinto di pazzia dal quale sei uscito soltanto con il corpo quando sei venuto a studiare a Bologna. Studiare senza capire. Con l’anima sei ancora chiuso, in castigo, al buioi nella casa di Pesaro, la moribunda sedes Pisauri cui appartieni.
Gianni: ha ascoltato le parole di Ifigenia con attenzione e le risponde con tristezza e calma: C’è qualche cosa di vero in quanto hai appena detto. La parte squilibrata del mio carattere però l’ho ereditata, non me la sono scelta, anzi non mi piace per niente e cerco di rifiutarla: ne ho il diritto e spero di averne anche la forza. Come ho avuto quella di migliorare il mio aspetto che di per sé era piuttosto modesto, ma poi con la volontà e l’ascesi indefessa l’ho reso piacente fino a piacere a una donna della tua levatura, Ifigenia, una femmina umana che un tempo non avrei nemmeno osato guardare in faccia. Così con una disciplina costante, con un esercizio continuo di logica e di morale, spero di migliorare il mio carattere, di renderlo accettabile e piacente prima di tutti a me stesso, poi a quelli cui voglio piacere. Il mio caos interno io non mi accontento di nasconderlo o reprimerlo: voglio superarlo esteticamente e moralmente. Intorno ai ventanni, appena uscito dalla casa di Pesaro, l’irrazionalità mi devastava il cuore, la mente e l’aspetto, ma poi ho reagito, ho reagito bene, e se non ho ancora conseguito una vittoria definitiva, è pure vero che con il tempo ho trovato il metodo di tenere sotto controllo la pars destruens che è dentro di me. Tu invece dalla tua ti lasci ancora travolgere fino a commettere errori madornali che possono compromettere la tua crescita e la tua felicità.
giovanni ghiselli
continua
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