sabato 3 aprile 2021

Viaggio in Grecia, 1981. Capitolo XXII. I due bruti

I due bruti


Giunti ad Atene dunque e usciti dalla corriera ci trovammo in una grande cofusione di persone e di veicoli. Frastornati e disorientati ci domandammo dove e quando avremmo potuto prendere la corsa che ci riportasse a Patrasso in tempo per salire sul traghetto la sera del 28 agosto. Da soli non riuscivamo a capirlo: non c’erano orari in vista. Perciò decidemmo di risalire nell’autobus della venuta per porre al bigliettaio la questione che ci preoccupava. Il caos di quella stazione ci aveva contaminati rendendoci confusi e nervosi.

Ignari di tutto, risalimmo sul pullman e domandai all’uomo rimasto là dentro a quale ora del pomeriggio del 28 e da dove partisse la corsa Atene - Patrasso. Costui, appena sentì dire “Patrasso”, ripetè a voce alta “Patrasso! Patrasso!” non certo con il tono della ninfa vocale che echeggia i suoni: resonabilis Echo[1].

Il grido del primo energumeno ne attirò un altro dal ceffo coperto con occhiali scuri; anche costui, appena entrato nel bus si mise a urlare: “Patrasso, Patrasso”, poi chiuse la porta, si accostò a Ifigenia che si era rivolta al primo ciclope con aria interrogativa e con una manata immonda osò profanarne le cosce abbronzate, nude sotto i calzoncini bianchi e talmente succinti da lasciare vedere l’orlo delle mutande celesti. Così acconciata era eccitante anche per me che avevo fatto l’amore centinaia di volte con lei, senza annoiarmi mai. Sia chiaro che non sto giustificando i bruti.

Anzi voglio ricordare che quando la ragazza pedalva sulle salite alzandosi sopra il sellino, i maschi che ci superavano in automobile la applaudivano acclamando, cosa che in quei momenti di fatica poteva averle fatto piacere né dispiaceva a me, però quel pomeriggio nella corriera chiusa la libidine scatenata dalle sue cosce in quei due forsennati diede molto fastidio e fece paura a noi due. Ifigenia così brutalmente toccata si girò con ira e cercò di scagliarsi verso l’uscita, ma il mostro quattrocchi aprì le baccia immonde per sbarrarle la strada, mentre l’altro, cieco solo di mente, afferrò una chiave inglese e avanzò minaccioso verso di me latrando “Patrasso, Patrasso!”. Seguì una bestemmia poi su`kon che non traduco per pudicizia

Mentre mi preparavo a difendermi dal bigliettaio, Ifigenia, con presenza di spirito, fece cadere un pezzo di carta davanti ai piedi del mostro malato di vista oculare e mentale, poi cominciò a chinarsi come se volesse raccogliere un documento importante, sicché quell’animale tratto in inganno, prima capestò la carta, poi si chinò a sua volta per prenderla: allora Ifigenia si raddrizzò, scattò e con un balzo scavalcò la belva, quindi corse verso la porta anteriore, l’aprì e saltò giù dalla corriera. Quindi cominciò a gridare: polizia!

Il mostro occhialuto, deluso per avere perduto la preda, si mise a sputare sul pavimento tirando fuori da lingua come un serpente; l’altro lasciò cadere la chiave inglese e bestemmiò in italiano; io avanzai verso la porta e quando arrivai vicino al cieco di mente, gli dissi: “scostati, voglio uscire di qua prima che arrivi la polizia”.

Quello latrò ancora “Patrasso, Patrasso, taliano, Patrasso!”, poi mi lasciò uscire.

Per fortuna non era corso del sangue né altro liquido organico a parte lo sputo di quel farabutto.

Ci allontanammo, mentre quei due ciclopi o Calibano e Trinculo che fossero, chiamavano i loro colleghi forse per dire che erano stati aggrediti e derubati da noi. Sul ritorno andammo a informarci in un ufficio. Quindi prendemmo un taxi per piazza Omonoia ossia Concordia, il centro della città. Il destino di  scontento che ci avrebbe separati per sempre stava crescendo dentro di noi.


Bologna 3 aprile 2021 ore 17, 9

giovanni ghiselli


p. s.

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[1] Ovidio, Metamorfosi, 3, 358

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