sabato 17 aprile 2021

Debrecen 1980. Capitolo 1. Il viaggio fino a Trieste

 Il viaggio fino a Trieste

Logica degli affetti: Chi non vuole bene a chi vuole bene all’amante, non vuole bene nemmeno all’amante

 

Nell’agosto del 1980 io e Ifigenia andammo a Debrecen sperando di capire e rimediare gli errori del 1979 che ho raccontato. Avevamo passato insieme un anno poco lieto. Ci guardavamo intorno cercando altro, fiutando sì come cani. Con noi venne anche Fulvio alla guida della propria automobile per essere libero di tornare quando avesse preferito. Partimmo il primo del mese nel primo pomeriggio: in tempo per schivare l’orrenda strage, la più micidiale tra le tante che hanno insanguinato il nostro paese con lo scopo di cambiarne in peggio la politica e il costume. Nessuno li ha fermati purtroppo.

Speravo che Ifigenia si sarebbe trovata a suo agio nell’ambiente internazionale frequentato da tanti giovani di educazione accademica, contenti di trovarsi là per fare conoscenze non senza imbastire amicizie e amori. Forse anche noi potevamo qualcosa di meglio dell’uno per l’altro.

Fin dalla partenza la mia compagna di viaggio era scontenta. Non gradiva la presenza di Fulvio che pure non viaggiava con noi. Già a Trieste Ifigenia cercò di provocare un contrasto che sedai con fatica. Tra le mie donne e i miei amici non c’è mai stato buon sangue né tra le loro donne e me. Dipende dalla possessività di chi si accoppia senza amore.

Quando amiamo una persona  non possiamo volere male a chi vuole bene a quella che amiamo.

 Io non ho mai permesso a nessuna delle mie amanti di maltrattare gli amici e gli ospiti miei. Anzi, considero una prova di non amore per me i maltrattamenti inflitti ai miei amici.

Vediamo il caso in questione, quasi un casus belli.

Sulla strada panoramica che scende su Trieste, Fulvio ci superò per suggerirci una sosta. Quando fummo scesi commentò il panorama della città e della costa. Lo faceva soprattutto per Ifigenia che non l’aveva mai visto.

Eppure la sciagurata lo interruppe per dire che della toponomastica, non si curava, mentre il mare poteva vederlo anche dall’automobile visto che rimaneva sotto la sua visuale, alla sua destra dato che non guidava. Mi vergognai di tale brutalità e odiai la sua becera insolenza. Nulla la interessava se non le faceva comodo subito. Rimasti soli, le feci notare che il suo comportamento non era umano e neppure civile. Reagì trivialmente: disse che il mio migliore amico era stato un idiota a imporci una sosta solo per farci vedere un pezzo di mare qualsiasi. “Così faceva anche quell’imbecille di mio marito e io l’ho lasciato”. Risposi che il marito aveva potuto  trattarlo come meglio credeva, ma Fulvio doveva rispettalo e non solo perché era il mio amico migliore appunto, ma anche in quanto era una persona di raro valore. Per giunta l’avevo invitato io a venire in Ungheria con noi, dunque, che le piacesse o no, doveva per lo meno rispettarlo se voleva poseguire nel viaggio con me.

“Cercherò; comunque quella sosta era scema”.

Irritato da tanta protervia, dissi che probabilmente lei aveva bisogno di un uomo che la facesse filare senza nemmeno darle spiegazioni.

“provaci tu,-mi sfidò con volto torvo-provaci tu, se ci riesci.

Tale ostinazione  mi diede la nausea, per cui strinsi le labbra e non la degnai di altre parole. Non parlammo quasi più per il resto del viaggio che terminò la sera seguente. Appena fummo arrivati all’Università estiva, alcuni italiani ci dissero della strage alla stazione. Una specie di correlativo oggettivo del frantumarsi dei sentimenti, degli affetti, di quanto di buono può esserci nell’animo umano.

 

giovanni ghiselli

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