In viaggio verso la GreciaSzeged
La sera a Szeged. La metamorfosi canina. La strana coppia del motel in Serbia
Il giorno seguente partimmo, diretti in Grecia. Fulvio non potè proseguire con noi e mi dispiacque, mentre Ifigenia ne fu contenta. Ma trovò il modo di criticare un altro amico come vedrete in questo capitolo. Davvero il primo danno che cerca di fare a un amante la persona ingenerosa e malevola è quello di isolarlo distogliendolo da quanti gli vogliono bene.
Guardatevi da tali nemici che vi mettono contro gli amici!
Eravamo diretti in Grecia a pregare per l’amore e per l’arte, ma ci era rimasto poco denaro, sì e no sufficiente per l’andata e per il ritorno.
Giungemmo a Szeged di sera. Ci ospitò il mio amico Ezio fequentato a Debrecen ai bei tempi delle tre finlandesi, tempi e relazioni degni di rimpianto, visto il seguito della storia.
Ezio dunque ci offrì una camera da letto, un’ottima cena, la sua compagnia spiritosa e quella sorridente della sua compagna. Per giunta ci diede come viatico un salame ungherese che si rivelò provvidenziale quando ci erano rimasti soltanto i soldi per la benzina, e per nutrirci dovemmo mangiare quel salume con un poco di pane lesinandoli entrambi. Perdemmo tre chili in cinque giorni e pensammo persino di mendicare cantando canzoni italiane. Ifigenia sapeva farlo benino. Io avrei fatto il giro degli uditori con il cappello in mano
Ebbene: alla mia comes non piacquero Ezio, la sua casa, la sua compagna, il cibo offerto, né la casa, né il letto. Tutto era peggio e meno che ordinario secondo lei. Io poi ero stato sempre triviale nella scelta degli amici
Per lei che era stata amante di principi e attori prima di finire nello squallore con me, le persone che le presentavo come care al mio cuore erano pezzenti e spazzatura. Con tale angelo stavo viaggiando né potevo lasciarla lì. Non aveva denaro per tornare e non era arrivata al punto di prostituirsi.
Il suo comportamento arrivò comunque a una volgarità postribolare quando si mise a parlarmi in un orecchio durante la cena per criticare tutto quanto si vedeva: le persone e le cose. Ci mancò poco che le indicasse con il dito. Lo faceva con movimenti della testa. Mi vergognavo, facevo finta di niente dicendo solo qualche parola per depistare la loro attenzione da quell’abominio.
Tuttavia, andati in camera e spenta la luce, facemmo del sesso pur con un diavolo per capello, la cosa più lugubre della serata.
La mattina seguente ripartimmo ingrugnati.
Alla frontiera yugoslava però nel nostro squilibrio totale, cambiammo umore in seguito a questo episodio.
Eravamo fermi in fondo a una coda di automobili. Uscimmo dalla bianca Volkswagen. Mentre si aspettava seduti su un muretto di fianco alla strada assolata, udimmo un clacson, forse alle nostre spalle. Io girai il collo, voltai la testa e drizzai le orecchie, caninamente. Per un momento ebbi la sensazione di avere un ceffo invece del viso e mi sentii nella pelle di un cane, animale che non ho mai amato per giunta avendolo sempre assimilato agli uomini stupidi, servili, rumorosi, aggressivi e anche vili.
Appena tale impressione si fu dileguata, la riferii a Ifigenia che confermò: “ti eri trasformato in un cane, un vero cane”, disse ridendo.
Allora mi diedi a cantare: “Pannonia o cara, noi lasceremo, la Grecia uniti trascorreremo, dei corsi affanni compenso avremo, il nostro amore rifiorirà”. Ho sempre amato La traviata perché racconta un amore impossibile come tutti i miei: dal primo all’ultimo.
Passata la frontiera a mezzogiorno, viaggiammo fino a Predejane, in fondo alla Serbia. Vi giungemmo la sera e ci fermammo in un motel.
Fatti i conti di quanti soldi restavano, saltammo la cena. Furono baci e furono sorrisi e non mancarono morsi di salame.
La mattina potevamo permetterci la colazione che era compresa nel prezzo già pagato. Andammo a farla con dei contenitore per metterci pezzi di pane che ci tenessero in vita con il salame.
Durante quella seduta assistemmo a una scena buffa.
Ifigenia mi fece notare un uomo anziano piuttosto distinto seduto a un tavolo con un ragazzo di colore piuttosto bello.
Dai movimenti delle mani e degli occhi traluceva la coppia di amanti: il vecchio innamorato e l’amante parasitus. Lo scrivo senza antipatia, anzi, ma voglio chiamare le cose con il loro nome. Credo che chiamare i ciechi non vedenti o gli omosessuali diversamente orientati nel sesso, sia ipocrisia e mancanza di rispetto. La cecità e l’omosessualità non sono vizi morali di cui ci si debba vergognare solo a nominarle.
Veniamo al dunque.
Quando arrivò il cameriere a prendere l’ordinazione, l’attempato fece la sua senza scomporsi; il ragazzo nero invece cominciò ad agitare le mani, a spalancare le palpebre, a muovere le labbra in un baluginio dei denti e del bianco degli occhi , quindi, con voce acuta e irritata, gridò: “Omelette, no? Cosa crede che possa mangiare io qui? Omelette ho detto! Omelette o niente!”
Il cameriere assentì sbigottito: “ Senz’altro signore, sicuro, non dubiti: omelette”. Il compagno cercava di ammansire il giovanotto irritato, ma questo, fasciato da calzoni viola e una canottiera verde bucherellata, non voleva placarsi: “Se quel garzone crede che io in un posto del genere possa mangiare altro da una omelette, è un cretino. Ed stato uno screanzato a sospettare che potessi gradire chissà quale porcheria preparata malamente da loro”.
Solo quando arrivò la prediletta frittata il giovane si rasserenò e il vecchio gli lanciò un’occhita di riconoscenza. Un poco come facevo io stesso quando Ifigenia smetteva di disturbarmi.
Tali commedie difatti erano congeniali a noi due e Ifigenia, quando le rifaceva intepretandole a suo modo, diventava comunicativa, acuta, vivace. Allora, come il vecchio signore, amavo la mia capricciosa, dispotica, nera creatura.
Bologna 22 aprile 2021, ore 19, 11 giovanni ghiselli
p. s.
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