La mattina seguente contammo i denari e constatammo che se volevamo arrivare a Bologna senza rubare né cantare e danzare per poi girare con il cappello in mano non potevano permetterci più di dormire nemmeno in un povero ostello né di mangiare neppure in una bettola di grado infimo. Avevamo 62 mila lire e almeno mille chilometri da percorrere con un’automobile gran bevitrice, non ameno dell’amico Danilo.
A Nauplion la fame e il pensiero della carestia non ci tolsero la voglia di fare una nuotata nel mare sfavillante di luce che, diffusa copiosamente dalle mani generose del sole, attraversava l’acqua facendo brillare i sassi del fondo, le schiene iridate dei pesci e gli aculei bruni bruni dei ricci.
Il corpo di Ifigenia che guizzava esile e muscolosa come una Nereide, mi spinse a impetrare la mia metamorfosi in un mostro marino. Volevo mangiarla non tanto per assimilare la sua bellezza, quanto per il fatto che inattenuata restava la fame crudele e mi incalzava lo stimolo della gola implacata.
Quando uscì dall’acqua non potei trattenermi dal morderle entrambe le cosce carnose.
Poi andammo a Micene dove ci fermammo tre ore. Ifigenia camminava esaltata in mezzo alle rovine contaminate dal sangue scuro dei Pelopidi massacrati tra grida inumane di dolore e di odio. La giovane donna biancovestita recitava i versi di Eschilo con i quali la bipede leonessa Clitennestra proclama la giustizia, la bellezza e il piacere del proprio delitto.
“Lo colpisco due volte, e quello con due lamenti, lascia subito crollare le membra. Allora io sul caduto aggiungo un terzo colpo e un ringraziamento votivo a Zeus.
Quello lì disteso vomita lo spirito suo, e soffiando un acre fiotto di sangue mi colpisce con uno spruzzo di rugiada sanguigna. E io godo non meno di come gioisce della pioggia inviata da Zeus il grano quando nel calice ancora germoglia la spiga”[1]. Un orgasmo con il sangue.
La guardavo affascinato e pensoso.
Bologna 27 aprile 2021 ore 21, 16
giovanni ghiselli
p. s
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