venerdì 9 aprile 2021

Viaggio in Grecia, 1981. Capitolo XXV. Pensieri nella notte Attica

Spenta la luce e rimasto solo con il tempo di concedermi un poco di otium cum dignitate, cioè con pensieri forse non sciocchi del tutto, mi domandai come avessimo fatto a trasfigurare il nostro amore che era bello, gioioso e variopinto come una festa panatenaica, riducendolo a un susseguirsi  di lamenti e gemiti  intervallati da esplosioni di rabbia. C’erano state offese reciproche anche gravi, egoismi sesquipedali, indifferenze da cozza o da mitilo dell’uno alle umane sofferenze dall’altro. Avevamo perduto del tutto la fiducia reciproca. Ifigenia cercava altre guide, altri modelli nell’ambiente dello spettacolo. Io dubitavo della mia identità di educatore visto il risultato di questa relazione nata con l’intento della paideia reciproca. Mi tornò in mente con brivido di raccapriccio e spavento la crisi di identità sofferta fino a volerne morire quando ebbi terminato il liceo. Due anni durò. Non mi piacevano più studiare né vincere le gare sportive, le due colonne della mia vita dai 6 ai 19 anni.

All’università la buona riuscita negli esami dipendeva da uno studio mnemonico di manuali e appunti presi a lezione su un corso monografico molto particolareggiato e isolato da tutto il resto, compresa la vita. Io ho sempre avuto una memoria straordinaria, ma usare soltanto quella non mi bastava più: avrei voluto avere una visione d’insieme della letteratura, della storia, della filosofia e a quell’età avevo bisogno di una guida, per lo meno di un metodo per farne ricerca. Ma tutto si riduceva al conto delle sillabe o al massimo alla visione di alcune parole isolate dal contesto.

Il corso di letteratura latina, per dirne una, verteva su “La corrispondenza poetica di Dante e Giovanni del Virgilio”. Quando iniziai a insegnare latino non avevo mai sentito nominare Lucano per esempio. Sentivo che la preparazione richiesta per gli esami non era adeguata al lavoro che avrei voluto fare: non bastava  a informare, e, tanto meno a educare. Sicché studiavo malvolentieri solo per superare gli esami.

 Cercavo consolazione nel cibo, ingrassando e perdendo tanto la lena necessaria per gli agoni quanto la voglia. Insomma la mia per due anni interi fu una vita da suicida. Avevo perduto la mia fierezza di adolescente per quanto ero diverso dalle persone mediocri, uniformate all’insignificanza, e, anzi cercavo di uniformarmi a loro, assai goffamente oltretutto, senza riuscirvi, per cui venivo disprezzato da quelli che un tempo ero io a diistimare. Nel 198, passati i trentacinque non sarei certo ricaduto nell’errore dei venti che mi aveva azzerato, però temevo che sbagli del genere potesse farli Ifigenia. Io a ventun anni per fortuna, per il risveglio della mia coscienza e con l’aiuto di Fulvio, avevo capito che alla gente usuale non mi sarei mai potuto assimilare, né del resto sarei stato accolto bene da loro, sicché iniziai a recuperare la mia vera natura fisica, culturale e morale. Il movimento del ’ 68 mi diede altro aiuto, poi gli scolari della scuola media di Carmignano si Brenta e la collega umanissima Antonia, una mamma vicaria.

Divenni capace di solitudini anche lunghe e paurose eppure sempre meno difficili e dolorose  dei tentativi maldestri di riuscire gradito a gente cui non piacevo e che non  mi piaceva.

Temevo però che Ifigenia non fosse capace di tanto e che si imbrancasse con gente al male più che al bene usa.

Pensavo all’incirca queste parole: “Anche Ifigenia dovrà passare una crisi di progresso, o, dio non voglia, di regresso, sulla nuova strada che ha preso. Se mi chiederà aiuto, glielo darò.

Ha dieci anni meno di me e la sento anche come una figlia. Ci siamo pure amati e perfino educati, reciprocamente, in questi tre anni. C’è del vero in quanto mi ha rinfacciato oggi.  Non è falso che io mi guardo dall’irrazionale perché ce l’ho dentro e mi spaventa, che coltivo maniacalmente l’ordine e la disciplina perché temo di ricadere nel mio caos interno. E’ vero che noi detestiamo con forza gli orrori presenti e vivi, e attivi dentro di noi. Ciò che è estraneo alla nostra natura non ci fa tanto ribrezzo. Perciò i monchi minacciano i monchi, gli orbi detestano gli orbi e gli storpi sputano in faccia agli storpi.

Con queste immagini di stampelle di occhiali da cieco e di sputi che aleggiavano poi turbinavano  davanti a me, mi addormentai.


Bologna 9 aprile 2021ore 18, 38

giovanni ghiselli.


p. s

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