martedì 6 aprile 2021

Viaggio in Grecia, 1981. Capitolo XXIII. Il dialogo del risentimento nell’albergo di Atene

Prima parte


Dopo una ricerca lunga e faticosa, sul far della notte trovammo una camera in un albergo del centro, modesto, adatto alle mie possibilità finanziarie ma pulito e non disameno del tutto. Ifigenia era taciturna e più passiva del solito. Le feci notare che avevamo finito le dracme, e siccome non accettavano il pagamento in lire italiane, dovevamo andare a cambiarle prima della chiusura di tutti gli uffici, altromenti fino al giorno seguente non si mangiava e già avevamo saltato il pranzo. Bisognava sbrigarsi perché erano quasi le otto.

Mentre dicevo queste parole, non senza del nervosismo, lo ammetto, la bella donna si pettinava davanti a uno specchio piena di ammirazione per la propria immagine con un’espressione languida e compiaciuta. Insomma non sembrava curarsi di quanto le stavo dicendo. Io la informavo siccome avrei voluto che partecipasse alla soluzione del poblema che la riguardava perché, ne ero certo, se non avessimo potuto mangiare dopo diverse ore di inedia, si sarebbe infuriata come un’Erinni, o al pari di Cerbero.

Tanto più che nell’aria già aleggiava il rancore.

Ero seccato perché avevo dovuto cercare l’alloggio senza alcuna collaborazione di Ifigenia che anzi aveva trovato da ridire sul fatto che la stanza non era arredata abbastanza signorilmente.

E’ una lamentela che nelle gite scolastiche fanno gli allievi di estrazione socialmente più bassa: vogliono farsi credere abituati al lusso. Una volgarità che mi ha sempre irritato.

Negli anni seguenti avrei girato la Grecia in bicicletta con due amici maschi e un’amica femmina di famiglia potente e ricca: mai che nessuno si sia lamentato degli ostelli o delle bettole.  

La mancanza di stile dell’infima borghesia mi ha sempre irritato.

Ora voglio ricostruire il dialogo drammatico che ci fu quella sera tra noi, riferendo, se la memoria mi aiuta, fin le parole violente nelle quali scaricammo tutta l’ira e il risentimento repressi nei gioni di questo tragicomico viaggio

Gianni (è seduto sul letto. Guarda Ifigenia con ostilità. Parla con nervosismo) Stammi bene a sentire Ifigenia. Sto ruminando delle preoccupazioni che devo farti sapere. Abbiamo finito le dracme. Dobbiamo cambiare le lire, se vogliamo mangiare: i soldi italiani non li prendono nei ristoranti. Io ho fame (guarda l’orologio). Sono quasi le otto. Usciamo per vedere se troviamo un ufficio di cambio ancora aperto in piazza Omonoia. Se no, ci tocca digiunare e non ne abbiamo bisogno. Scendiamo subito e chiediamo al portiere dove si possono cambiare i soldi.

Ifigenia (si pettina davanti allo specchio contemplandosi compiaciuta.  Non ha cambiato espressione mentre Gianni parlava né ha mostrato alcun interesse alle sue parole). Davvero? Come è Possibile?

Gianni (con nervosismo accentuato, senza riuscire a dissimulare l’ira accumulata)  Puoi darmi una mano o devo andare da solo a cercare le dracme mentre tu ti fai bella?

Ifigenia (sempre ammirando la propria immagine e senza degnare lui di uno sguardo). Non vedi che ho da fare?

Gianni (con sforzo evidente riesce acambiare tono: ne assume uno faticosamente calmo. Vuole apparire razionale). Se sei stanca di questo viaggio, possiamo tornare indietro anche subito: tra un’ora parte la corsa nottuna per Patrasso e magari i due bruti non sono di turno.

Ifigenia ( Si volge di scatto, lo guarda con occhio cattivo e gli parla con tono aggressivo) Anzi, prendiamo addirittua l’aereo e torniamo a casa: ognuno alla sua. Posso sapere che cosa altro tu avanzi ancora volere da me?

Gianni (con irruenza, sfogando un risentimento covato e dissimulato a lungo) Voglio che tu una buona volta la smetta con il tuo parassitismo narcisistico: non puoi venire in giro con me soltanto per guardarti e farti guardare: tu devi collaborare, devi aiutarmi. Lo vuoi capire o no che non hai più l’età della spensieratezza totale?

Ifigenia (guardandolo con odio e disprezzo). Tu non sei mica normale!

Gianni: Che cosa vuoi dire?

Ifigenia; E tu che cosa vuoi da me, che cosa vuoi fare di me? Mi sto sistemando dopo diversi giorni di bicicletta e tre ore di corriera. Puoi lasciarmi in pace per qualche minuto? La fretta ansiosa che ti perseguita , tiella per te: fatti divorare il cervello tu solo da lei!

giovanni ghiselli continua

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