venerdì 23 aprile 2021

Debrecen e Grecia 1980. Capitolo 9. Delfi e Olimpia

Delfi, Arachova
Delfi e Olimpia

 

La sera del 17 agosto arrivammo a Delfi. Cercai una stanza nella ojdo;"  jApollwno" , la via di Apollo: invano; fummo costretti a ripiegare su una strada il cui eponimo era una divinità meno fatidica: forse Hermes, pur sempre un dio psicopompo. Ifigenia mi rimproverò poiché non avevo trovato un alloggio nella via nominata dal dio dell’oracolo santo che doveva svelarci il futuro.

Risposi che nella via di Apollo poteva andare  lei in cerca di un’altra camera per sé: io ero talmente stanco di guidare e di sopportare le sue querimonie che mi accontentavo di dormire in un posto qualunque, purché non sporco.

Provai a metterla di buon umore citando Manzoni: “perché son povero figluolo ma avvezzo alla pulizia”[1]. Ma quella reagì con pessima labbia. “Tu sei un vecchio cialtrone!”

Non gradiva né sopportava le mie citazioni da quando aveva smesso di studiare.

Il signore di Delfi durante la notte non mi inviò alcun segno della sua volontà. La mattina seguente percorremmo l’erta salita rocciosa, spinosa, infuocata del santuario: pregavo la lieta divinità di rendermi umano. Ma il Peana rimase dentro l’ombelico del mondo o dietro una delle due rupi del Parnaso. Giurai che sarei andato a cercarlo anche lassù in cima, in bicicletta, almeno per tre volte prima di morire. Negli anni seguenti avrei sciolto il voto due volte. Ora prometto la quarta e la quinta.

Ma quel giorno non ci fu epifania: anche il sole sembrava soltanto una massa infuocata come sostiene la gente blasfema ignara del fatto che il sole porta significazione di Dio.

 

Quindi andammo a cercare presagi nel Peloponneso. A Olimpia arrivammo di sera. Appena ebbi trovato due brandine nell’ostello della gioventù dove ero già stato con Fulvio e mi era assai caro, mentre era aborrito da Ifigenia, costei mi chiese di portarla in discoteca, luogo aborrito invece da me. Le risposi che non eravamo andati in Grecia per farci intronare in un luogo che era negazione e bestemmia del sacro. Là dentro avremmo profanato il pellegrinaggio, contaminato le menti e dato del veleno da bere alla nostra sete di Dio.

Ifigenia mugugnò qualche maledizione diretta a me con cupo rancore.

 

La mattina ci fu il solito capovolgimento di umore. Appenna desto, di umore riassestato dal riposo sulla terrazza sotto il cielo stellato, creazione di un demiurgo artista, baciai la bella sulla pancia abbronzata: lei, ancora nel dormiveglia, fece un guizzo, poi spalancò gli occhi e sorrise. Era scattata come un gatto accarezzato all’improvviso sulla schiena, vicino alla coda. Non potei trattenermi dall’esclamare: “Se avessi visto come hai mosso felinamente il bacino, non potresti negare di essere un gatto!”

Ribatté: “Ora capisco perché litighiamo tanto: l’altro giorno tu hai rivelato la tua  natura di cane verace!”

Aveva risposto con intelligenza. Ridemmo e dato che la terrazza era deserta, facemmo l’amore prima di andare a pregare i nostri dei della bellezza e della gioia di vivere.

Andammo nel luogo delle antiche e nobili gare cantate da Pindaro che con le sue odi accompagnate dalla dorica lira ha reso eterna la gloria dei vittoriosi agonisti. Anche noi aspiravamo alla gloria.  Indegnamente però.

 

 

Bologna 23 aprile 2021, ore 19, 31

giovanni ghiselli


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[1] I Promessi Sposi, XIV, 211.

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