sabato 3 aprile 2021

“I VOLTI DELLA GIUSTIZIA”. Quarta parte

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“I VOLTI DELLA GIUSTIZIA”. Quarta parte

 

Elisabetta Pozzi legge Leibniz da Scritti politici e di diritto naturale.

Non ho letto nulla di questo filosofo per cui devo limitarmi a commentarne le parole con altri scrittori che conosco. Credo di poterlo fare perché tutta la cultura europea è imparentata con se stessa.

La conclusione delle non molte frasi lette per un paio di minuti è che “Giustizia è l’abito di amare altrui, di volere il bene altrui di per se stesso”.

I passaggi sono: la felicità consiste nel non oltrepassare il lecito con il proprio potere e saper volere ciò che è opportuno.

Felicità in greco è eujdaimoniva che equivale a un buon rapporto, una relazione di consenso con il proprio daivmwn, catattere e destino. Certamente volere ciò che non è opportuno ossia esporsi al vento che non spinge la navicella del nostro viaggio verso il porto desiderato, significa infelicità. “Molti provano una penosa tristezza perché tra la loro vita e i loro istinti c’è un tale dissidio che la loro vita non è affatto una danza, bensì una faticoso e affannato respirare sotto i pesi che in fondo essi stessi si sono accollati”[1].

Cacciari più avanti ci farà notare che nell’affresco di Ambrogio Lorenzetti al centro della vita cittadina si vedono donne che danzano.

Leibniz poi aggiunge che il piacevole è cercato di per sé e quanto è cercato di per sé è piacevole.

Non possiamo dimenticare però che il piacere talora si associa al dolore come nota Socrate nel Fedone (60b) citato nella prima parte di questo commento.

Il dolore magari si può escludere, seguendo Leibniz, se noi giungiamo al nostro bene adoperandoci per il bene altrui. Allora il duale usato da Socrate nel Fedone non dovrà associare piacere e dolore bensì piacere e piacere.

Provare piacere nel fare il bene del prossimo significa amarlo continua il filosofo tedesco. L’amore dunque coincide con il piacere e anche con il desiderio della bellezza siccome noi amiamo ogni cosa bella. Questo passaggio alla bellezza mi sembra meno chiaro.

Può forse chiarirlo quanto dice Diotima nel Simposio di Platone: amore è la tendenza a possedere il bene per sempre (206 a) e la sua opera è procreazione nel bello secondo il corpo e secondo l’anima:"tovko" ejn kalw'/ kai; kata; to; sw'ma kai; kata; th;n yuchvn" (206 b).

 

La conclusione del brano letto da Elisabetta Pozzi è questa: “La Giustizia richiede che il bene altrui sia voluto per se stesso e volere il bene altrui di per se stesso significa amare gli altri”.

 

La bellezza a me sembra inserita forzatamente in questo schema. Ho citato il Simposio perché capisco meglio attraverso l’aggiunta kai; kata; th;n yuchvn.

 

giovanni ghiselli

 



[1] Hermann Hesse, Klein e Wagner, capitolo 2.

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