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domenica 18 aprile 2021

La presenza degli autori classici nelle tragedie di Shakespeare. XXVI. Mimesi e catarsi nella Poetica di Aristotele e nelle tragedie di Shakespeare. Antonio e Cleopatra-Amleto

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Mimesi e catarsi nella Poetica di Aristotele e nelle tragedie di Shakespeare. Antonio e Cleopatra-Amleto


Mimesi e catarsi nella Poetica di Aristotele e nelle tragedie di Shakespeare. Antonio e Cleopatra - Amleto
Antonio si cura l’anima ferendosi il corpotw`/ pavqei mavqo"

 

Antonio ricorda a Eros che aveva giurato di aiutarlo a morire when the exigent - from the stem of pres. pt. of exigere L. ex - and agere - should come, quando la necessità fosse giunta - which now is come indeed e ora è giunta davvero: do ’t the time is come, fallo il momento è giunto (IV, 14, 62 - 64).

La necessità spinge Antonio fuori dalla vita e niente è più forte della necessità.

Il potere assoluto dell' jjjjAnavgkh viene apertamente affermato da Euripide nell'Alcesti. Nel terzo Stasimo della tragedia, il Coro eleva un inno alla Necessità vista come la divinità massima, quella che vincola e subordina tutti, compresi gli dèi:

"Io attraverso le Muse/mi lanciai nelle altezze, e/ho toccato moltissimi ragionamenti (pleivstwn aJyavmeno" lovgwn),/ma non ho trovato niente più forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson oujde;n jAnavgka" - hu|ron oujdev ti favrmakon)/nelle tavolette tracie che scrisse la voce di/Orfeo, né tra quanti rimedi/diede agli Asclepiadi Febo/dopo averli ricavati dalle erbe come antidoti/per i mortali afflitti dalle malattie" (vv. 962 - 972).

Da questi versi si vede che la Necessità è più forte del lovgo" , della poesia, dell'arte medica.

E ancora: la Necessità non è meno forte di Zeus: “kai; ga;r Zeu;~ o{ti neuvsh/ - su;n soi; tou'to teleuta'/” (Alcesti, 978 - 979), e infatti qualunque cosa Zeus approvi, con te lo porta a compimento, canta dice il coro dei vecchi di Fere.

Nella Prefazione al romanzo Notre - Dame de Paris, Victor Hugo scrive che “rovistando all’interno di Notre - Dame… trovò in un recesso oscuro di una delle torri, questa parola incisa a mano sul muro: ANAGKH

Ebbene, conclude la prefazione: “Proprio su quella parola si è fatto questo libro.

Marzo 1831”

Eros chiede di non farlo, ma Antonio insiste con un’espressione molto densa ed efficace: “come then, for with a wound I must be cured - Lat. cura - ” (78), vieni dunque perché io devo essere curato con una ferita.

La ferita come cura può essere accostata al tw`/ pavqei mavqo" di Eschilo (Agamennone, 177)

Nella Vita di Plutarco leggiamo che Antonio aveva un servo fedele - oijkevth" pistov" - chiamato Eros cui aveva chiesto da tempo di ucciderlo se glielo avesse chiesto. Arrivato a questo punto gli ricordò la pomessa che lo avrebbe fatto. Eros sguainò la spada, la sollevò come per colpirlo - ajnevsce wJ" paivswn ejkei`non - ma, appena Antonio volse la facci, ejauto;n ajpevkteine - uccise se stesso.

Antonio disse: “bravo Eros, non potendolo fare tu, insegni a me che cosa devo fare. E colpitosi al ventre, si lasciò cadere in un piccolo letto (Plutarco, Vita di Antonio, 56, 7 - 9).

 

Shakespeare fa parlare Eros il quale prova a rifiutarsi di ammazzare l’amico. Antonio gli ricorda la promessa che gli fece quando lo rese libero - when I did make thee free (IV, 14, 81).

Allora l’amico gli chiede. “distogliete da me quel nobile volto, dove è distesa la venerazione di tutto il mondo

Poi Eros dice –my sword is drawn - la mia spada è sguainata

Il dramma richiede appunto la dammatizzazione dell’episodio con il dialogo.

Aristotele nella Poetica scrive : "la tragedia è dunque imitazione di azione seria e compiuta (mivmhsi~ pravxew~ spoudaiva~ kai; teleiva~ che, con una certa estensione e con parola ornata hJdusmevnw/ lovgw/ … di attori che agiscono e non attraverso un racconto - drwvntwn kai; ouj dij ajpaggeliva", per mezzo di pietà e terrore, compie la purificazione da tali affezioni"(di j ejlevou kai; fovbou peraivnousa th;n tw'n toiouvtwn paqhmavtwn kavqarsin, 1449b, 24 - 28).

 

In questo episodio dell’Antonio e Cleopatra non manca nemmeno la catarsi con la morte volontaria dei due amanti che uccidendosi si sottraggono alla schiavitù.

 

Catarsi e mimesi si trovano teorizzati anche da Amleto

Non molto diversamente l’Amleto di Shakespeare che dice: “I have heard - that guilty creatures, sitting at a play, - have, by the very cunning of the scene, - been struck so to the soul that presently - they have proclaim’d their malefactions” (Hamlet, II, 2), io ho udito che delle persone colpevoli, davanti a un dramma, sono state colpite, dall’abilità della scena, fin dentro l’anima, in maniera tale che hanno confessato subito i loro misfatti.

 

Più avanti anche la teoria della mimesi è espressa dal principe di Danimarca che definisce “the purpose of playing”, lo scopo dell’arte drammatica, “ whose end, both at the first and now, was and is, to hold as ‘twere, the mirror up to nature” ( Hamlet, III, 2), il cui fine, all’inizio come ora, è sempre stato quello di reggere, per così dire, lo specchio alla natura.

Ma torniamo al primo detto

Eros dopo avere salutato per sempre l’amico, aggiunge queste ultime parole: “thus I do escape the sorrow - of Antony’s death” (IV, 14, 94) così sfuggo al dolore della morte di Antonio, quindi si uccide

Antonio lo ammira : “thrice - noble than myself! (95), tre volte più nobile di me! Quindi segue l’insegnamento coraggioso, esemplare - the brave instruction - appreso dalla regina e dal liberto. Vuole morire anche lui: correre verso la morte come verso il letto di un’amante. A Eros in particolare Antonio riconosce il ruolo di suo maestro: “Eros, - thy master dies thy scholar; to do thus I learn’ d of thee.

 Eros, il tuo padrone muore tuo discepolo, a fare così ho imparato da te. 

Si lascia cadere sulla spada (falling on his sword)

Ma non muore subito

how! , not dead? - the guard, ho! O! dispatch me! (IV, 14, 101 - 103),

Come, non sono morto! Oh guardie oh, finitemi!

 

giovanni ghiselli 

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