domenica 4 aprile 2021

“I VOLTI DELLA GIUSTIZIA”. Sesta parte

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“I VOLTI DELLA GIUSTIZIA”. Sesta parte 

 

Segue la lettura fatta da Elisabetta Pozzi dei versi 1 - 4 e 6 - 12 della Pitica VIII di Pindaro, che celebra la vittoria di Aristomene di Egina nella gara di lotta sostenuta nella XXXV Pitiade nel 446, cioè nel tempo della vecchiaia di Pindaro nato intorno al 520.

 

Questo epinicio è famoso soprattutto per l’Epodo di chiusura, ii quinto che fa:

“effimeri: che cosa è qualcuno? Che cosa nessuno? Sogno di ombra - skia`" o[nar

l’uomo - a[nqrwpo". Ma quando un bagliore giunga donato da Dio

splendida luce rimane irradiata sugli uomini

e dolce è la vita per sempre.

 

Dò con traduzione mia anche i versi 1 - 12.

 

Srofe 1. Pace benevola, di Giustizia figlia,

tu che fai grandi le città,

e tieni le chiavi supreme

di consigli e di guerre

ricevi da Aristomene l’onore della vittoria pitica.

Tu sai nel preciso momento opportuno

compiere e insieme gradire atti delicati,

 

Antistrofe 1, Ma se qualcuno innesta nel cuore

amaro rancore 

aspra contrapponendoti al potere dei nemici, butti

la tracotanza nel fondo della sentina…

 

L’ultimo verso è una delle frequenti metafore nautiche presenti nei classici: la città in preda alla discordia viene spesso metaforizzata in una nave minacciata o sconvolta nella tempesta.

Allora povli" a[gan - saleuvei, la città troppo fluttua ossia è agitata, come dice il sacerdote tebano a Edipo nel prologo dell’ Edipo Re di Sofocle (vv. 22 - 23)

Dopo questo breve intermezzo torniamo alla lettura che Cacciari fa dell’Allegoria del Buon Governo di Lorenzetti 8minuto, 30, 58).

 

La giustizia cittadina dunque è del tutto laica, aristotelica, come laica è la processione dei cittadini. Abbiamo la prima grande rappresentazione totalmente laica della pittura europea. Eppure al di sopra della parte terrena e civile ci sono riferimenti religiosi: c’è la trascendenza tutta dipinta non solo nel cospetto eterno ma anche nell’alto dell’affresco.

E’ il drammatico problema dell’epoca. La Giustizia terrena guarda in alto. sopra di lei c’è la Giustizia divina. Il Vecchio con accanto le virtù cardinali non guarda in alto, tuttavia sopra la sua testa ci sono le virtù teologali. Sopra la città c’è un cielo, La giustizia terrena lo guarda, il vecchio no: il senex guarda diretto davanti a sé, severo perché deve garantirci la securitas. Questa nel cielo è rappresentata da un angelo che porta in mano una forca.

Il grande problema del Medioevo italiano cioè europeo è come conciliare una filosofia politica, pratica, un’etica di stampo aristotelico, con la tradizione religiosa. E’ la drammatica questione che ossessiona tutta la cultura del tempo. E’ il drammatico problema dantesco.

 

La conciliazione dei due soli che “l’una e l’altra strada - facean vedere - e del mondo e di Deo” (Purgatorio, XVI, 107 - 108).

 

Dante giunge a dire che la città dell’uomo così impostata con la giustizia sovrana che concorda tutti fino alla realizzazione del bene comune, sarebbe il paradiso in terra.

E che possiamo arrivare a questo paradiso per philosophica documenta ossia attraverso la ragione. Allora perché la giustizia divina e le virtù teologali? E’ il problema del rapporto tra Divina Commedia e Monarchia. La ragione è quella della Giustizia che non costringe ma convince tutti a comporre quella comunità. La loro ragione li convince della ragione giusta. Poi le virtù cardinali che sono virtù terrene e umane, collegate alla ragione. Virtù necessarie alla eujdaimoniva.

 Però a un medievale questo non basta: ci vuole anche una trascendenza perché la comunità possa fondarsi.

Del resto la questione se possa esserci Stato ateo prosegue dopo il Medioevo.

Lo stesso Machiavelli e Spinoza se lo chiedono.

Non è un caso che le grandi comunità si sono formate sulla base di una parola profetica, Cacciari menziona Mosè e Maometto. Si potrebbero aggiungere Solone e Licurgo.

Ma ora a questo proposito voglio citare Machiavelli

 

L'XI capitolo del I libro dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1517) verte sulla religione dei Romani: tra questi il re Numa "trovando un popolo ferocissimo, e volendolo ridurre nelle obedienze civili con le arti della pace, si volse alla religione come cosa del tutto necessaria a volere mantenere una civiltà e la constituì in modo che per più secoli non fu mai tanto timore di Dio quanto in quella republica il che facilitò qualunque impresa che il Senato o quelli grandi uomini romani disegnassero fare (..) .E vedesi, chi considera bene le istorie romane, quanto serviva la religione a comandare gli eserciti, ad animire la Plebe, a mantenere gli uomini buoni a fare vergognare i rei. Talché se si avesse a disputare a quale principe Roma fusse più obligata o a Romolo o a Numa credo più tosto Numa otterrebbe il primo grado: perché dove è religione facilmente si possono introdurre l'armi e dove sono l'armi e non religione con difficultà si può introdurre quella (...) E veramente mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non ricorresse a Dio, perché altrimenti non sarebbero accettate". Quindi Machiavelli tra i legislatori che "ricorrono a Dio" nomina Licurgo e Solone. Infine tira le somme:"Considerato adunque tutto, conchiudo che la religione introdotta da Numa fu intra le prime cagioni della felicità di quella città, perché quella causò buoni ordini, i buoni ordini fanno buona fortuna, e dalla buona fortuna nacquero i felici successi delle imprese. E come la osservanza del culto divino è cagione della grandezza delle repubbliche, così il dispregio di quello è cagione della rovina di esse. Perché dove manca il timore di Dio, conviene o che quel regno rovini o che sia sostenuto dal timore d'uno principe che sopperisca a' defetti della religione".

 

Concludo con Tito Livio Fu il re Numa[1]che decise di infondere il timore degli dèi (“deorum metum iniciendum ratus est ” (Livio, I, 19, 4), cosa efficacissima per la massa ignorante e rozza di quei tempi.

  

In effetti un errore grande del socialismo reale è stato il tentativo di reprimere il sentimento religioso, in particolare quello dei Russi, un popolo che, come disse bene il carissimo, sempre molto compianto amico Fulvio: “Sono pii, sono nostri fratelli”.

   

Sicché la dimensione religiosa che trascenda lo spazio del nomos e delle stesse virtù cardinali non sarà inevitabile? Domanda Cacciari minuto 37, 50 continua

 

giovanni ghiselli

 

 


[1] Numa Pompilio 754 a.C. – 673 a.C.) è stato il secondo re di Roma, il cui regno durò quarantatré anni

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