Verso la fine del penultimo giro, a 450 metri dall’arrivo, poco prima di passare davanti a Ifigenia Fulvio e Alfredo che mi incitavano a gran voce e mostravano di credere nella vittoria mia, nonostante mi sentissi prossimo allo stremo, volli fare la prova dello sprint finale che avrei dovuto ripetere dopo gli ultimi 400 metri se l’avversario non mi avesse staccato prima. Per non rimanere chiuso all’interno, mi spostai all’esterno, allungando anche, sia pur di poco, il percorso, quindi raccolsi gran parte delle forze residue e superai il rivale sul penultimo traguardo. Gli amici e tifosi applaudirono levando grida di incoraggiamento. Ancora mancava un giro però. Longe erat meta[1]. Nella penultima curva il ragazzo francese tornò a superarmi, non con uno scatto, ma alzando il ritmo delle sue agili, lunghe, potenti falcate.
Parevano sollevarsi e distendersi senza fatica, mentre le mie per reggere il ritmo accelerato arrancavano con rabbia greve e con stento.
Aridus e lasso veniebat anhelitus ore[3]
Per non rimanere staccato dovevo frugare a fondo nella mia persona fisica mentale e morale. Feci ricorso anche al ricordo di imprese atletiche recenti per rinvigorire le forze e darmi animo.
In luglio avevo scalato il passo Pordoi, prima da Canazei, poi, dopo essere disceso dall’altra parte, ero risalito da Arabba senza fermarmi mai e con una bici vecchia, pesante, arrugginita.
Dovevo raggiungere questo successo nell’università incantata di Debrecen, rievocando i precedenti.
Stavamo iniziando l’ultima curva prima del rettilineo finale.
Bologna 21 aprile 2021ore 17, 23
Giovanni ghiselli
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[1] Ovidio, Metamorfosi, X, 664. La meta era lontana
[2] Cfr. Dante, Inferno, XVI, 87.
[3] Ovidio, Metamorfosi, X, 663- secco usciva l’anelico
dalla bocca spossata.
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