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“I VOLTI DELLA GIUSTIZIA”. Prima parte
Riferisco con un poco di commento la relazione di Massimo Cacciari
I link per vederla e sentirla sono questi
www.youtube.com/user/UniBologna
Garantisco che merita di essere
seguita con la massima attenzione.
Metto in comune con i miei lettori
le parti che mi sono rimaste in mente.
Ho imparato molto da uno studioso
serio, un educatore culturale, etico, estetico e politico. Una rarità oggi in
Italia
Il video si apre con Elisabetta
Pozzi, un’ottima attrice, che ho sentito più di una volta recitare le tragedie
greche.
Ha letto parole di Aulo Gellio ( II
sec. d. C.) e di Crisippo.
Preciso il luogo delle citazioni, le
riferisco in lingua, poi le traduco per chi ne avesse bisogno.
L’autore delle Noctes
Atticae cita Crisippo (II sec. a. C.) che nel libro Peri;
pronoiva", Sulla provvidenza, associa il male al bene come sua
controparte che lo identifica. Nella stessa maniera le offese subite dalla
giustizia le conferiscono significati: “quo enim pacto iustitiae sensus esse
posset nisi essent iniuriae? (VII, 1, 2 - 4).
Così la continenza riceve
significazione dall’intemperanza e via dicendo. Gellio procede citando un passo
del Fedone dove Socrate dice che piacere e dolore pur essendo
due sono attaccati a un solo capo - ejk mia`" korufh`"
hJmmevnw - (60b). Il
duale sottolinea l’associazione dei due.
Ancora più calzante è forse
l’esempio che traggo da un altro dialogo platonico: nel Sofista, lo
straniero di Elea chiede a Teeteto di non credere che sia diventato quasi un
parricida (241d) se dovrà sostenere, contro il padre Parmenide, che ciò che non
è, in un certo senso, è esso pure, e ciò che è, a sua volta in un certo senso
non è.
Il senso è che il genere dell’essere
si specifica con il genere del non essere.
L’attrice poi ha letto un’altra
citazione che Gellio ha tratto da Crisippo traducendola:
Chrysippus in librorum, qui
inscribuntur Peri; kalou` kai; hJdonh`" primo, os et oculos Iustitiae
vultumque eius severis atque venerandis ver -
borum coloribus depinxit. Facit quippe imaginem Iustitiae
fierique solitam esse dicit a pictoribus
rhetoribusque anti -
quioribus ad hunc ferme modum:
“forma atque filo virginali,
aspectu vehementi et formidabili,
luminibus oculorum acri -
bus, neque humilis neque atrocis sed
reverendae cuiusdam
tristitiae dignitate
Crisippo nel primo dei libri intitolati Sul
bello e il piacere, ha raffigurato la bocca, gli occhi e il viso della
Giustizia con austeri e solenni colori di parole. Egli dal momento che presenta
l’immagine della Giustizia dice pure che da pittori e retori antichi viene di
solito rappresentata press’a poco in questo modo: di forma bella e di figura
verginale, di sguardo severo che incute paura, con occhi dalla luce penetrante,
con la dignità che deriva da una certa severità veneranda, né insignificante né
spietata.
Ex imaginis autem istius
significatione
intellegi voluit iudicem, qui
Iustitiae antistes est, oportere
esse gravem, sanctum, severum, incorruptum, inadulabilem
contraque improbos nocentesque
inmisericordem atque in -
exorabilem erectumque et arduum ac
potentem, vi et maie -
state
aequitatis veritatisque terrificum, da quanto significa questa immagine egli ha
voluto fare capire che il giudice, il quale è sacerdote della Giustizia, deve
essere austero, santo, severo, incorrotto, non adulabile, non compassionevole,
e inesorabile, diritto, erto e potente contro farabutti e delinquenti,
terribile per la forza e la sovranità della giustizia e della verità.
Segue la
citazione del greco di Crisippo
Verba
ipsa Chrysippi de Iustitia scripta haec sunt: Parqšnoj d
enai lšgetai kat¦ sÚmbolon toà ¢di£fqoroj enai kaˆ mhdamîj ™ndidÒnai to‹j
kakoÚrgoij mhd pros…esqai m»te toÝj ™pieike‹j lÒgouj m»te para…thsin kaˆ
dšhsin m»te kolake…an m»te ¥llo mhdn tîn toioÚtwn· oŒj ¢koloÚqwj
kaˆ skuqrwp¾ gr£fetai kaˆ sunesthkÕj œcousa tÕ prÒswpon kaˆ œntonon kaˆ
dedorkÕj blšpousa, éste to‹j mn ¢d…koij fÒbon ™mpoie‹n, to‹j d
dika…oij q£rsoj, to‹j mn prosfiloàj Ôntoj toà
toioÚtou prosèpou, to‹j d ˜tšroij pros£ntouj (XIV,
4, 1 - 4)
Taduco in italiano il greco di Crisippo che trovo più sintetico ed efficace del latino di Gellio: si dice che è vergine come simbolo dell’essere incorrotta, e del non piegarsi in nessun modo ai malfattori e non ammettere né discorsi speciosi né richieste e istanze di favori, né adulazioni né altro del genere; in conseguenza di ciò viene raffigurata severa e con il volto cupo e teso e che guarda fissando acutamente in modo da incutere paura agli ingiusti, infondere coraggio ai giusti, dal momento che a questi il volto è benigno, a quegli altri ostile.
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