Non rispose; continuava a fissarmi. Allora, con cautela, le presi la mano sinistra e sussurrai: "Vieni tesoro, andiamo". Poi cominciai a guidarla, a condurla pianino pianino, facendo piccoli passi. Cercavo di comportarmi con fermezza, ma anche con tutti i riguardi di cui hanno bisogno tali creature finite in balìa di un demone strano.
Ho imparato dalla coetanea Stefania. Una volta, nei primi anni settanta, quando non sapevo trattarla, diede in escandescenze in piazza Garibaldi, l'ombelico di Padova, soltanto perché le avevo detto che I diavoli, un film di Ken Russel, mi era piaciuto.
"Sei un comunista e un porco!" gridò nell'agorà affollata, alle sette di sera. Poi mi colpì con un ombrello, in mezzo alla testa, facendomi male. Quindi fuggì, lasciandomi semi intontito in mezzo alla gente esterrefatta. Un' ora più tardi venne a casa mia per chiarire che nell’agorà aveva notato una certa tristezza nel mio grugno solitamente sfacciato, forse soffrivo il freddo della sera gelata, quindi aveva cercato di darmi il colpo di grazia. Ma visto che non avevo reagito con insulti, significava che ero un gentiluomo e lei si scusava.
Un'altra volta, verso la fine del decennio tornai a Padova con Ifigenia per farle conoscere la vecchia amica dei miei primi anni di insegnamento.
Era comunque una persona da cui si poteva imparare.
Di fronte a Stefania che aveva assunto un atteggiamento della risolutezza, per farle capire che quella ragazza mi stava a cuore e non si poteva toccare. Poco benevolo nei confronti di Ifigenia, io presi la maschera.
L’amica stravagante si lasciò disarmare, e dalle critiche aspre passò alle lamentele
poi a una generosità assoluta, tanto da offrici il suo appartamento e da
andare a dormire dalla mamma sua, a Venezia, per lasciarci tutto lo spazio che volevamo.
Quando, uscita la padrona di casa, ci trovammo soli, Ifigenia scoppiò a ridere per la commedia cui aveva assistito.
"Hai fatto finta di niente mentre la pazza stava per infuriare, vero?" mi domandò. Le spiegai che con i matti bisogna mostrare una calma forte e sicura di sé.
Ebbene questa necessità si presentava di nuovo a Moena, la sera dell'otto marzo del 1981, quando in Ifigenia vedevo formarsi una furia disperata, e facevo di tutto per evitare uno scontro brutto e distruttivo. Pensavo che non fosse utile chiederle un chiarimento dei suoi stati d'animo, poiché probabilmente non ne aveva coscienza; del resto se pure l'avesse avuta non avrebbe saputo spiegarla, e anche se l' avesse saputo, non lo avrebbe fatto, siccome non si fidava punto di me. Nemmeno di se stessa si fidava Ifigenia.
Comunque facemmo l'amore tre volte, e abbastanza di gusto. Io l'avrei iterato ancora, poiché trovavo in qualche modo eccitante quell'intermittenza mentale, quel barbaglio lampeggiante della coscienza femminile; ma Ifigenia divenne pazza di nuovo, come Geronimo[1], e questa volta troppo per proseguire.
p. s. Una domanda ai miei lettori: quale genere tra i miei lavori da voi letti preferite?
Questa narrativa
Il corso per la Pimo Levi
Eros-Eris?
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[1] Hieronymo's mad again ( T. S. Eliot, The waste land, v. 437). Cfr. Kyd, Spanish Tragedy, 1586
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