Ifigenia aveva un'angoscia cieca e regressiva.Caspar David Friedrich
Donna sul ciglio di un precipizio
L'avevo scatenata con un' osservazione tutt'altro che atroce, eppure
insopportabile per la sua cattiva coscienza. Fino a sera non fu possibile dirle
una sola parola senza insospettirla e farla piagnucolare, o addirittura ferirla
e vederla infuriata.
Come Dio volle, arrivò l'ora di cena. Per fortuna la cameriera della
colazione non c'era. Oltretutto in effetti non era un granché. Io non avevo più
alcuna voglia di vedere la mia compagna in quello stato pieno di furia o di
lagna: mi faceva pena e mi dava fastidio. Il problema dilemmatico era se,
dopo mangiato, era meglio chiederle di fare l'amore con estrema cautela, o non
proporglielo affatto.
Mentre la guardavo con sguardo che voleva essere mite, mi sembrò che se
avessi fatto una proposta erotica, probabilmente avrei provocato un'altra
reazione di dolore o di intolleranza.
"Come osi, dopo quanto hai detto? Senza contare quello che avresti
fatto se non fossi fuggita da quel precipizio! Appena in tempo!"
"No, no – pensai – è meglio stare zitti!".
Parlava lei traendo profondi sospiri dal'imo petto. Diceva che tra noi due
infelicissimi, si erano alzate barriere di incomprensione alte e fredde più
degli algidi monti che incoronano la valle di Fassa. Ma le nostre erano corone
di spine.
“Ecce mulier!” pensai, ma non lo dissi. Era molto più commediante e
barocca del solito. Sfoderava pose e accenti melodrammatici inconsueti pure per
lei, avida di esibire se stessa. Sentivo che qualche cosa non funzionava nel
suo cervello, e le rispondevo in maniera generica, come faccio con Stefania,
un’amica demente, quando ha le crisi nervose: "Eh sì, purtroppo sì. Sembra
anche a me".
Dicevo che se tra noi non andava bene come una volta, la colpa non era sua
né mia: era tutta del fato. "La divinità infatti è invidiosa e
turbolenta - citavo - l'uomo soltanto vicissitudine , e ciò che proviene dal
cielo non è consentito stornarlo (1)".
Non volevo più litigare né discutere con lei. Per quel giorno,
secondo le mie previsioni, non avrebbe riacquistato il controllo del cavallo
cretino, violento, che la trascinava indietro verso un passato doloroso e
spaventoso.
Finita la cena, ci alzammo per avviarci verso le camere. Salimmo in
silenzio le rampe comuni, finché arrivammo dove le strade nostre si
dividevano:"Hic locus est, partis ubi se via findit in ambas" (2),
pensai. Lì ci fermammo in silenzio. Aspettavo che dicesse qualche parola
convenzionale come "buona notte". Ed ecco che invece mi chiese:
"Vuoi che facciamo l'amore?" "Io sì – feci, piacevolmente stupito
– e tu?"
La ragazza impazzita, invece di rispondere si mise a fissarmi in silenzio.
"Le orecchie, quantunque non sia una gatta, sono un po’ aguzze",
pensai, evitando di muovermi, come si deve fare con gli animali imprevedibili.
Non volevo decidere io; ero quasi sicuro che se mi fossi incamminato da una
parte o dall'altra, ella si sarebbe sdegnata; forse mi avrebbe dato un morso o
un graffio.
Nessuno dei due si spostava. Dopo un tempo non breve, Ifigenia disse:
"Vieni vicino: ho tanto bisogno di te, Gianni.". Mi avvicinai senza
arrivare a toccarla. Mi abbracciò lei, poi mi baciò. Non trovò opposizione né
una partecipazione troppo calda.
Quindi affermò: "Il mondo è cattivo, ma io ti amo tanto".
Poi scostò il suo volto dal mio e riprese a fissarmi. "Facciamo finta
di niente" pensai. A questo punto però sembrava auspicare e aspettare una
proposta.
Azzardai: "Vieni cara, andiamo in camera mia".
Note
1Cfr. Erodoto, Storie, I, 32 ". pa'n
ejsti a[nqrwpo" sumforhv
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