NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 30 giugno 2021

Shakespeare, "Riccardo III". Rilettura. XIX. Il colloquio di Riccardo con la madre

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Le sofferenze del parto. L’affitto del ventre materno
 
Aggiunta del 30 giugno 2021 What bloody man is that? (Macbeth, I, 2, 1), chi è quell’uomo insanguinato?
Quindi la duchessa di York a suo figlio Riccardo III: “Bloody thou art, bloody will be thy end” (Riccardo III, IV, 4, 195 ), sanguinario tu sei, sanguinaria sarà la tua fine.
E Clitennestra a Egisto: “hjmatwvmeqa”, siamo coperti di sangue  (Eschilo, Agamennone, 1658)
Infine Ecuba :"mhde; ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" " (Euripide, Ecuba, v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti. 
 
Dedicato alle ragazze barbaramente uccise da ragazzi del tutto carenti di umanità e di educazione anche scolastica sostituita dalla mala educazione pubblicitaria al consumo di tutto. Il consumo smisurato si associa alla distruzione, alla guerra, alla morte.
 
La duchessa di York pone a Riccardo una domanda che  per lo meno dal punto di vista biologico è retorica: “Art thou my son?” (IV, 4, 155), sei tu mio figlio?
Sembra preludere a una richiesta di rispetto. Vedremo da questo dialogo che la propria madre è la persona più rispettata da Riccardo. Questo fatto lo fa assomigliare un poco a Coriolano.
Riccardo in effetti risponde: “Ay, I  thank God, my father, and yourself” (156), sì grazie a Dio, a mio padre e a voi stessa.
Il ringraziamento a Dio e ai genitori per la propria vita viene fatto quando la vita pare arridere.
La madre chiede al figlio di ascoltare con pazienza la sua impazienza. Non prende la mano che il figlio le ha teso.
Riccardo cerca ancora una conciliazione con sua madre facendole notare che è simile a lei: “Madam, I have a touch of your condition,-that cannot brook the accent of reproof” (158-159),  Signora, ho un tratto del vostro carattere, che non può sopportare il tono del rimprovero.
Ma la madre è dura quanto  lui, ancora di più, e vuole, appunto, rimproverarlo
O let me speak”, oh, lasciami parlare.
Riccardo capisce che sta per dirgli non bona dicta e ribatte “parlate allora, ma non vi ascolterò” (160)
La duchessa promette: “I will be mild and gentle in my words” (161), sarò mite e gentile nelle mie parole. L’attrice dovrà fare questa battuta con il tono del sarcasmo, lasciando intendere “per quanto è possibile con il demonio”. Lo ricavo dalle parole successive della duchessa di York.
Ma prima Riccardo dice: And brief, good mother, for I am in haste (162) e breve, buona madre, perché ho fretta.
Con questa battuta dà un altro segno di essere simile a sua madre che poco prima aveva biasimato il fatto che la calamità fosse piena di parole-full of words (126 citato sopra).
La duchessa risponde polemicamente al figlio facendogli notare l’ingratitudine della sua fretta mentre lei lo ha aspettato, dio sa con quanto tormento e angoscia. Penso che si riferisca al parto e ai nove mesi che lo precedono. Le madri almeno in letteratura lo fanno spesso.
 
Olimpiade scriveva male di Antipatro cercando di screditarlo agli occhi di Alessandro il quale diceva che la madre esigeva un affitto pesante (baru; dh; to; ejnoivkion tw'n devka mhnw'n, Arriano, 7, 12, 6) per i nove mesi nei quali lo aveva tenuto in grembo.  
 
 Le sofferenze del parto
La Medea di Euripide afferma di preferire la guerra al parto  inaugurando un tovpo" che arriva alle soldatesse di oggi.
“Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli/ in casa, mentre loro combattono con la lancia,/ pensando male: poiché io tre volte accanto a uno scudo/ preferirei stare che partorire una volta sola. ( Medea, vv. 248- 251).
 
Ennio (239-169 a. C.) traduce i versi di Euripide quando fa dire alla sua Medea exul :"nam ter sub armis malim vitam cernere/quam semel parĕre”, infatti preferirei decidere la vita sotto le armi tre volte che partorire una volta sola.  
 
Le sofferenze del parto sono ricordate nell' Elettra di Sofocle da Clitennestra quando l’adultera assassina tenta di giustificarsi per il trattamento riservato al marito il quale non era incolpevole: egli sacrificò Ifigenia dopo averla seminata, senza avere passato il travaglio della madre quando la partorì:"oujk i[son kamw;n ejmoi;-luvph", o{t' e[speir' , w{sper hJ tivktous' ejgwv" ( vv. 531-532). Qui il seminare conta meno del partorire, diversamente dalle Eumenidi di Eschilo.
 
Più avanti Clitennestra viene a sapere che Oreste è morto in una gara di carri. La notizia è falsa ma la madre la crede vera. Quindi chiede a Zeus che cosa significhi questo-tiv tau'ta; 766 ,
 Se sia una fortuna o una cosa tremenda, ma utile (povteron  eujtuch' legw- h] deina; me;n, kevrdh dev; 766-7677). Comunque è penoso se mi salvo la vita a prezzo dei miei lutti commenta  (768).
Il pedagogo le domanda perché sia così turbata e Clitennestra risponde
deino;n to; tivktein ejstivn ( Sofocle, Elettra, 770), partorire è tremendo, e di fatto neppure a quella che subisce del male sopravviene odio per i figli che ha partorito  oujde;  ga;r kakw'"-pavsconti mi'so" wn tevkh/ prosgivgnetai (771)
 
Nelle Fenicie di Euripide la Corifea commenta la pena di Giocasta per Polinice dicendo:"deino;n gunaixi;n aiJ di' wjdivnwn gonaiv,-kai; filovteknovn pw" pa'n gunaikei'on gevno"" (vv. 355-356), sono terribili per le donne i parti attraverso le doglie, e tutta la razza femminile è in qualche modo amante dei figli.
Giocasta lo è stata anche troppo; Medea evidentemente fa eccezione.
 
Nell' Ifigenia in Aulide la Corifea comprende la pena di Clitennestra per la figliola,  ricordando quale prova terribile sia il parto:"deino;n to; tivktein kai; fevrei fivltron mevga-pa'sivn te koino;n w{sq' uJperkavmnein tevknwn" (vv. 917-918), tremendo è partorire e comporta una grande magia d’amore comune a tutte, tanto da soffrire per i figli.
Partorire dunque è una delle cose tremende (ta; deinav). 
 
Tanto più perché il parto può causare una perdita di bellezza: nell’Hercules Oetaeus di Seneca, Deianira, vedendo la fulgida bellezza della giovanissima Iole, lamenta l’oscurarsi della propria con queste parole: “Quidquid in nobis fuit olim petitum, cecidit et partu labat” (vv. 388-389), tutto quello che una volta in noi era desiderato, è caduto e con il parto vacilla.
 
Torniamo a Shakespeare.
Riccardo domanda, forse con ironia, ma non ne sono tanto sicuro: “and came I not at last to comfort you?” (165) e non sono venuto dopo tutto a consolarvi?
 
Sentiamo ora la tirata ella duchessa contro il figlio
Gli dice “sei venuto sulla terra per farne il mio inferno: to make the earth my hell (167). Quindi ne rievoca la vita tutta piena di affanni per lei e per chiunque stesse vicino  a Riccardo: la sua nascita fu a grievous burden (168) un penoso fardello per la madre, l’infanzia capricciosa e ribelle, gli anni di scuola paurosi,  sfrenati, selvaggi, furiosi, la prima giovinezza ardita, temeraria, avventurosa. Fin qui la madre è quasi elogiativa con il figliolo. Ricorda le prime parti dei sette atti della vita ( Cfr. As you like it  II, 7),  
Più negativa diventa la maturità: “Thy age confirmì’ d, proud, subtle, sly, and bloody (172), la tua età matura orgogliosa, subdola, scaltra e sanguinaria; più quieta, ma più nociva e gentile nell’odio.
Quale ora di consolazione dunque può esserci stata nella sua compagnia?
Riccardo risponde da loico: onestamente nessuna, ma se sono così privo di grazia agli occhi vostri, signora, lasciate che prosegua la mia marcia senza offendervi.
La madre chiede al figlio di ascoltarla ancora per poco.  Poi non si vedranno più
Duchess:  Hear me a word, for I shall never speak to thee again.
Richard: So (IV, 4, 181-182)
Riccardo le fa notare che parla too bitterly (180)  troppo amaramente
Sembra chiedere aiuto alla madre, una sua benedizione.
 
Invece la duchessa lo maledice: “take with thee my most grievious curse (188), prendi su di te la mia maledizione più pesante: che il giorno della battaglia ti stanchi più dell’armatura che porti.
Dice che le sue preghiere saranno alleate dei  nemici di Riccardo, come le piccole anime dei nipotini uccisi
Bloody thou art, bloody will be thy end
Shame serves thy life and doth thy death attend  (195-196),  sanguinario sei tu e insanguinata sarà la tua fine. La vergogna scorta la tua vita e accompagni la tua morte
 
 La mano sporca di sangue non si lava.
 
Versare il sangue a terra è un peccato irredimibile
Il coro dell'Agamennone nel terzo stasimo canta:"una volta caduto a terra-to; ga;r ejpi; ga'n peso;n a[pax) , nero/sangue mortale di quello che prima era un uomo chi/potrebbe farlo tornare indietro cantando?"(vv. 1019-1021).
Una domanda retorica che afferma la sacralità della vita umana e trova un correlativo cristiano in questa del Manzoni che mette in evidenza la mano:" il sangue d'un uomo solo, sparso per mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra"(Osservazioni sulla morale cattolica, VII)
 
Nella Parodo delle Coefore il Coro canta:" Tutti i canali convogliati in un'unica via, bagnando la strage che imbratta la mano, correrebbero inutilmente a purificarla"(vv.72-74). Nella lamentazione funebre che conclude il primo episodio, Oreste ribadisce :"infatti se uno versa tutti i libami in cambio di una sola goccia di sangue, vano è il travaglio: così è il detto" ( Coefore, vv. 520-521).
 
Nel Macbeth  il protagonista, dopo che ha assassinato il re, fa:" Will all great Neptune's Ocean wash this blood clean from my hand?, tutto l'Oceano del grande Nettuno potrà lavar via questo sangue dalla mia mano? No, piuttosto questa mia mano tingerà del colore della carne le innumeri acque del mare facendo del verde un unico rosso (II, 2).
 
Il modello di questo passo si trova nella Fedra di Seneca dove Ippolito, sentendosi contaminato dalla matrigna, dice:" quis eluet me Tanais aut quae barbaris/Maeotis undis pontico incumbens mari?/Non ipse toto magnus Oceano pater tantum expiarit sceleris, o silvae, o ferae! " (vv.715-718), quale Tanai mi laverà o quale Meotide che con le barbare onde preme sul mare pontico? Nemmeno il grande padre con tutto l'Oceano potrebbe purificare un delitto così enorme. O foreste, o fiere!
 
Lady Macbeth in un primo momento afferma che poca acqua basterà a pulire le mani lordate dal misfatto:"A little water clears us of this deed  " (Macbeth, II, 2) leggiamo nella tragedia di Shakespeare[1].
Più avanti la stessa donna che, aizzando il marito al tradimento e al delitto, era sembrata tanto salda, resa malata dal crimine sospira:"All the perfumes of Arabia will not sweeten this little hand  ", tutti  i balsami d'Arabia non basteranno a profumare questa piccola mano (V,1). Fa il gesto di lavarsi le mani  che non si nettano mai: “yet here’s a spot (…) Out damned spot!”, via macchia maledetta
E il dottore: “unnatural deeds do breed unnatural troubles  (V, 3) atti contro natura producono turbamenti innaturali
 
giovanni ghiselli
 
 


[1] Una battuta che nel libretto di Piave del melodramma musicato da Verdi diventa:" Ve' le mani ho lorde anch'io; poco spruzzo e monde son"  (Macbeth, I atto).  

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