NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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domenica 6 giugno 2021

Eros-Eris. Parte V

Una capatina in un paio di drammi di Shakespeare, per variare
 
Eros -Eris poi la pace nell’Antonio e Cleopatra di Shakespeare.
 
Nell’Antonio e Cleopatra di Shakespeare, Antonio frustrato e depresso dopo la sconfitta di Azio dovuta alla fuga delle navi di Cleopatra che pure aveva voluto la battaglia navale, le  dice: “you were half blasted ere I knew you” (III, 13, 105), eri gà mezzo appassita prima  che ti conoscessi.
Io dunque ho lasciato il mio guanciale intatto a Roma –Have I my pillow left unpress’d in Rome – e rinunciato ad avere una discendenza legittima -by a gem-L. gemma- of women- da una gemma tra le donne per essere ingannato da una che presta attenzione ai servi? .
Cleopatra aveva baciato la mano a Tireo, un messo mandato da Ottaviano per blandirla affinchè non si uccidesse e il vincitore potesse portala al proprio seguito durante la celebrazione del trionfo.
Poi continua: “sei sempre stata incostante, ma quando ci incalliamo nel nostro vizio , oh miseria- the gods seel L. cilium, eye-lid-our eyes- gli dei ci acciecano. L’acciecamento mentale è l’ a[th dei Greci, quell’offuscamento della ragione che impedisce di vedere gli errori che commettiamo in tempo per evitarli .
Dopo averci tolta la vista mentale gli dèi ci fanno adorare i nostri errori-make us-adore our errors-e ridono mentre noi avanziamo pomposamente verso il nostro rovinoso caos-laugh at while we strut –to our confusion (III, 13, 113- 115)
Poi Antonio aggiunge un’altra volgarità contro l’amante : “ I found you as a morsel-latino morsus- cold upon /dead Caesar’s trencher” , vi ho trovata come un boccone freddo sul tagliere di Cesare morto, nay, you were a fragment of Cneius Pompey’ s, (III, 13, 116-117)anzi eravate un avanzo di Pompeo. Senza contare le lussurie inaudite, ossia non registrate dalla fama volgare.
In conclusione: “though you can guess what temperance should be,-you knew not what it is” (III, 13,121-122), sebbene tu possa supporre che cosa sia la temperanza, non sai che cosa davvero è.
Quando un uomo se la prende così bassamente con la sua amante, questo significa che sente la caduta della propria identità e la affretta, la fa precipitare siccome è entrato in collisione con se stesso.
Infatti poi lo sconfitto di Azio ingiunge al messo venuto da Roma che ha fatto pure frustare per il civettare con Cleopatra,  di tornare da Cesare a raccontargli come è stato accolto. Aggiunge che Ottaviano lo fa arrabbiare- he makes me angry (III, 13, 143) in un momento in cui è facilissimo farlo: “ when my good stars that were former guides-have empty their orbs and shot their fires-inti the abyss of hell (144-147) quando le mie buone stelle che erano un tempo la mia guida hanno lasciato vuote le loro orbite e hanno lanciato I loro fuochi nell’abisso dell’inferno.
Per lo stesso motivo se la prende con Cleopatra che prima di Azio era la sua signora.
Nelle sconfitte gli amanti perdono l’equilibrio del loro rapporto.
Diventano del tutto incostanti.
Antonio cambia atteggiamento verso se stesso e verso l’amante:
now I will set my teeth-and send to darkness all that stop me. Come, let’s have one other gaudy -latino gaudium, gaudere; greco ghqevw- night:  call to me-all my sad captains, fill our bowlslatino bulla-once more:-let’s  mock the midnight bell” (III, 13, 181-185), ora voglio serrare I denti e mandare nelle tenebre tutti quelli che cercano di fermarmi. Su, prendiamoci un’altra notte gioiosa: chiamatemi tutti i miei tristi capitani, riempiamo le nostre coppe ancora una volta: e scherniamo la campana della mezzanotte. 
Cleopatra replica: It is my birh-day:-I had thought to have held it poor, but since my lord-is Antony again, I will be Cleopatra” (185-187), è il mio compleanno: avevo pensato di passarlo tristemente , ma dal momento che il mio signore è di nuovo Antonio, io voglio essere Cleopatra.
Antonio conferma la sua decisione disperata senza escludere del resto la speranza: “come on my queen-greco gunhv-:-there is sap in ’t yet. The next time I do fight-i’ll make death love me, for I will contend-even with his pestilent scythe (III, 13, 191-194), venite mia regina: c’è ancora della vita in questo. Nel prossimo combattimento mi farò amare dalla morte, perché io lotterò persino con la sua falce avvelenata.
Torna la difesa dell’identità che è difesa della vita già asserita in  I am Antony yet " ( III, 13, 92.)
T. S. Eliot trova in questo arroccarsi nell’identità un’influenza senecana negli elisabettiani
Antonio dice "Sono ancora Antonio " e la Duchessa "Sono ancora Duchessa di Amalfi ?[1]; avrebbe sia l'uno che l'altro detto questo se Medea non avesse detto Medea superest ?"[2].
Medea anche lei fallita nell’amore tuttavia vuole sopravvivere e ci riesce a differenza di Antonio e di Cleopatra.
Quando la nutrice le fa notare:"Abiere Colchi, coniugis nulla est fides;/nihlque superest opibus e tantis tibi"  ( Senevca, Medea, vv. 164-165), quelli della Colchide sono lontani, la lealtà del marito non esiste, di tanta potenza non ti rimane niente,  la donna abbandonata ribatte:"Medea superest; hic mare et terras vides,/ferrumque et ignes et deos et fulmina " (vv. 166-167), Medea rimane: qui vedi il mare e le terre, e il ferro e i fuochi e gli Dei e i fulmini.
La difesa dell'identità a tutti i costi anzi assimila questi personaggi agli eroi omerici, che non cedono, e a quelli sofoclei: preferiscono tutti morire o fare morire piuttosto che piegarsi alla pressione della norma.
L'autopossesso è l'unico punto fermo nei periodi e nei momenti critici:"Vaco, Lucili, vaco, et ubicumque sum, ibi meus sum" (Seneca, Ep. 62, 1), sono libero, Lucilio, sono libero, e dovunque mi trovi sono padrone di me stesso.
 
Un’altra Epistola si chiude con queste parole: "Qui se habet nihil perdidit: sed quoto cuique habere se contigit? Vale" ( 42, 10), chi possiede se stesso non ha perduto nulla ma a quanto pochi tocca questo possesso! Stammi bene.

 
 
Due corteggiamenti a dispetto della donna, eppure arrivati al successo
 
I corteggiamenti di Riccardo e di Cielo d’Alcamo.
 
Nel Riccardo III di Shakespeare (del 1592) Lady Anne si rivolge a Riccardo che l’ha avvicinata  durante il  funerale del suocero di lei, Enrico VI Lancaster. Anne attribuisce a Riccardo quella morte e quella del proprio  marito Edoardo principe di Galles: “Foul devil, for God’s sake hence, and trouble-tuvrbh-turba us not , diavolo immondo, vattene e non ci disturbare for thou hast made the happy earth- greco e[ra, terra- thy hell, (I, 2, 50-51) tu che hai fatto della terra felice il tuo inferno.
Cfr. :"Fecimus coelum nocens" ( Seneca, Oedipus, v. 36),  io ho reso colpevole il cielo[3]. Un'eco di questa autodenuncia si trova nell'Amleto quando il re Claudio assassino del fratello dice:"Oh, my offence is rank, it smells to heaven" (III, 3), oh il mio delitto è marcio, e manda fetore fino al cielo.
Poco dopo Amleto[4], parlando con la madre, paragona lo zio a una spiga ammuffita che infetta l'aria salubre (III, 4).
 
Riccardo ha fermato il funerale di Enrico VI per corteggiare lady Anne che segue il feretro.
Pima la chiama sweet saint, dolce santa poi le rinfaccia l’ignoranza delle regole della carità  che rende bene per il male e benedizioni per maledizioni-lady, you know no rules -latin. regula- of charity- latino caritas, carus-- which renders -Lat. reddere to give back- good for bad , blessings for curses (I, 2, 68-69).
 
Segue uno scambio di battute  contrastive tra i due. I dissoi. Cfr. i dissoi; lovgoi della sofistica presenti anche nelle Nuvole di Aristofane.
 Riccardo  trova meravigliosa pure la collera di quella donna-angelo   more  wonderful when angels are so angry” (I, 2, 74) e la definisce -divine perfection of woman (I, 2, 75) divina perfezione di donna,  e Anne che  lo maledice chiamandolo –diffus’d infection—L. infectus incompiuto inficio- of man-(78) uomo totalmente infetto.
 
Vengono in mente i contrasti presenti nella poesia provenzale e nella scuola siciliana con Rosa fresca aulentissima di Cielo d’Alcamo (databile tra il 1231 e il 1250)
Riccardo chiede a lady Anne di accordargli con pazienza qualche agio per scusarsi: “let me have-some patient leisure to excuse myself (81-82).
 La donna  risponde che l’unica giustificazione accettabile da parte sua, uomo turpe, è impiccarsi: “thou canst  make-no excuse current but to hang thyself (83-84).
 
Sentiamo la risposta meno dura ma altrettanto decisa della rosa aulentissima al suo corteggiatore nel “contrasto”  di Cielo    
 
“Se di meve trabàgliti , follia lo ti fa fare
lo mar potresti arompere (arare), e venti asemenare
l’abère d’esto secolo tutto quanto asembrare (radunare, provenzale asembrar)
Avere me non pòteri a esto monno;
avanti li capelli m’aritonno (mi taglio i capelli e mi faccio monica)
 
  
Eppure Riccardo riesce a sedurre la donna che ha reso vedova. Lady Anne gli dice “thou are unfit for any place but hell” (I, 2, 111), tu non sei adatto ad altro luogo che all’inferno, e lui le risponde di essere invece adatto for your bed-chamber (114) per la vostra camera da letto
Seguono diverse altre battute di un contrasto che via via si attenua
Vediamone alcune
Riccardo dice che è stata Anne a spingerlo a uccidere il marito, con la bellezza di lei : it is my day, my life (134) essa è la mia luce, la mia vita.
Il corteggiatore aggiunge che l’ha privata di un marito per dargliene uno migliore-to a better husband-143.
Anne sputa addosso a Riccardo e lui le domanda perché l’abbia fatto: “Why dost thou spit at me?” (148)
E lei: “would it were mortal poison for thy sake, vorrei che fosse veleno al tuo gusto (149)
Riccardo: “never came poison from so sweet a place” (150), mai è scaturito del veleno da una fonte tanto dolce.
Anne: “never hung poison on a fouler toad” 151, mai è colato veleno da un rospo più immondo.
Riccardo insiste con i complimenti e lady Anne continua a rilanciarglieli rovesciati in ingiurie. Il duca di Gloucester non si lascia smontare e torna a dire che ha ucciso istigato dalla bellezza di lei.
Poi la mossa estrema di consegnarle la sua spada dicendo alla bella  di ucciderlo e inginocchiandosi davanti a lei. Anne non lo ammazza, anzi lascia cadere la spada e lo fa rialzare, quindi gli chiede di mettere via l’arma e infine quando Riccardo le porge un anello non lo rifiuta, e per non cedere subito del tutto, gli fa: “to take is not to give” (I, 2, 205), prendere non è dare. Ma ormai è solo ritrosetta e per Riccardo è fatta.
Il linguaggio drammatico di Shakespeare suggerisce attraverso la parola scritta il gesto e il tono che devono accompagnarla mentre viene detta[5].
Come quando Riccardo dopo avere conquistato Anne, dice: “Shine out, fair sun, till I have bought a glass, /That I may see my shadow- greco skovtoς (oJ)- as I pass-latino passus” (I, 2, 267-268), brilla bel sole, finché mi sia comprsto uno specchio, perché io possa vedere la mia ombra mentre cammino.
  L’attore non può non levare il capo verso il sole  indicando la sua ombra.
 
 
Sentiamo il corteggiamento di Cielo che convince la rosa profumatissima
“Cercat’ajo Calabria, Toscana e Lombardia,
Puglia, Costantinopoli, Genoa, Pisa e Soria,
Lamagna e Babilonia e tutta Barberia:
donna non ci trovai tanto cortese
per che sovrana di meve te prese”
 
Anche la rosa viene a patti con l’indefesso corteggiatore
“ Poi tanto trabagliàsti, faccioti meo pregheri
Che tu vada adomànnimi a mia mare e a mon peri
Se dare mi ti degnano , menami a lo mosteri,
e sposami davanti de la jente
e poi farò le tuo comannamente”.
giovanni ghiselli
 
 


[1]Da La duchessa di Amalfi (del 1614) , di J. Webster  (1580-1625).
[2]Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, (del 1927) in T. S. Eliot Opere , p. 800.
[3] In La tragedia spagnola ( 1592) di Thomas Kyd  il nobile portoghese Alexandro, con pessimismo meno assoluto, dice:"Il cielo è la mia speranza: quanto alla terra, essa è troppo infetta per darmi speranza di cosa alcuna della sua matrice" (III, 1).
[4] 1601
[5] Cfr. C. Izzo, Storia della letteratura inglese, Nuova Accademia Editrice, Milano, 1961.

 

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