Tra la fine di giugno e la metà luglio terrò un nuovo corso nell’Università Primo Levi di Bologna:
La presenza degli autori
classici nelle tragedie di Shakespeare
Persone che sono nodi di dolore
Le madri dolorose
La duchessa di York, madre di Riccardo, del re Edoardo
IV e di Clarence, quando viene a sapere della morte di Edoardo e di Clarence,
replica al lamento dei figli di Clarence e della vedova del re dicendo:
“Alas, I am the mother of
these griefes:
Their woes are parcell’d, mine is general” (Riccardo III, II, 2, 80 - 81), ahimé, io sono la madre di questi
lutti: i loro dolori sono suddivisi, il mio li comprende tutti.
Simile nodo di dolore è Ecuba che nelle Troiane di
Seneca risponde con queste patole al nuntius, il quale è
incerto se debba dare le orrende notizie delle uccisioni di Polissena e
Astianatte prima alla vecchia regina o alla vedova di Ettore:
“quoscumque luctus
fleveris, flebis meos:
sua quemque tantum, me omnium clades premit;
mihi cuncta pereunt: quisquis est Hecubae est miser " (vv. 1061 - 1062), qualunque lutto piangerai, piangerai il
mio: la propria rovina schiaccia ciascuno soltanto, me quella di tutti; tutti
gli affetti miei sono morti; chiunque è un pegno di Ecuba è infelice!
Edipo re di Sofocle.
Gli eroi della passività.
"Parla a tutti - ej" pavnta" au[da. Di questi infatti io porto
il dolore
più che per la mia vita" (vv. 93 - 94) .
Edipo nella prima parte del dramma presenta aspetti
paternalistici: non devono esserci segreti nè muri tra la piazza e il palazzo.
Tale facies però poi lo porta a combattere contro sacerdoti e
oracoli, cioè su posizioni che Sofocle condanna.
Edipo è un crocicchio di pene, un nodo di dolore
che gli darà una straordinaria facoltà di comprendere. Egli ribadisce
continuamente tale sua eccezionale capacità di soffrire e di capire attraverso
la sofferenza. Questa, una volta compresa, lo porterà alla dimensione eroica e
benefica di Colono.
Nietzsche considera Edipo eroe della passività
“la figura più dolorosa della scena greca, lo sventurato
Edipo, è sta concepita da Sofocle come l’uomo nobile che è destinato all’errore
e alla miseria nonostante la sua saggezza, ma che alla fine, in virtù del suo
immenso soffrire esercita intorno a sé un’azione magica e benefica che è ancora
efficace durante la sua dipartita”.
Nell’Edipo a Colono si vede “come l’eroe
possa raggiungere, con il suo comportamento puramente passivo la sua più alta
attività , che si estende molto oltre la sua vita, mentre tutti i suoi sforzi
consapevoli nella vita precedente l’avevano condotto solo alla passività” (La
nascita della tragedia capitolo IX).
La propria passività viene proclamata da Edipo ai
vecchi di Colono:" ejpei; tav e[rga mou - peponqovt j i[sqi
ejsti; ma'llon h] dedrakovta" (Edipo a Colono,
vv. 266 - 267), poiché le mie azioni sono state subite piuttosto che fatte.
Lo stesso afferma "the lunatic King "[1] di Shakespeare: "I am a man/more sinned against than sinning"
(King Lear, III, 2), sono uno contro cui si è peccato più di quanto io
abbia peccato.
Edipo dunque trova la sua dimensione positiva nella
passività di Colono, dopo avere fatto soffrire e avere sofferto assai nella
fase dell'attività sconsiderata
Similmente Giovanni Drogo in Il deserto
dei Tartari di Buzzati scopre"l'ultima sua porzione di
stelle"(p.250) e sorride nella stanza di una locanda ignota, completamente
solo, mangiato dal male, accettando la più eroica delle morti, dopo avere
sperato invano, per decenni, di battersi"sulla sommità delle mura, fra
rombi e grida esaltanti, sotto un azzurro cielo di primavera". Invece il
suo destino si compie al lume di una candela, dove"non si combatte per
tornare coronati di fiori, in un mattino di sole, fra i sorrisi di giovani
donne. Non c'è nessuno che guardi, nessuno che gli dirà bravo".
Del resto gli eroi della passività nella letteratura
moderna sono tanti, da Oblomov di Gončarov, a Zeno di
Svevo per dire solo i più noti.
[1] Il re matto
(Re Lear, III, 7)
La
difesa dell’identità
gevnoio oi|o~ ejssiv (Pindaro, Pitica II v. 72),
diventa quello che sei.
Come la Medea di Euripide anche quella
di Seneca afferma la propria identità contro tutti.
Nella tragedia latina la nipote del Sole si attribuisce una dimensione
grandiosa, addirittura cosmica.
La nutrice le fa notare: "Abiere Colchi, coniugis nulla est
fides;/nihlque superest opibus e tantis tibi" (Medea, vv. 164 - 165), quelli della Colchide sono lontani, la
lealtà del marito non esiste, di tanta potenza non ti rimane niente.
A queste parole la donna abbandonata ribatte: "Medea superest; hic mare
et terras vides,/ferrumque et ignes et deos et fulmina " (vv. 166
- 167), Medea rimane: qui vedi il mare e le terre, e il ferro e i fuochi e gli
Dei e i fulmini.
Altrettanto il Giulio Cesare di Shakespeare che non teme Cassio anche
se Cassio è da temere: I rather tell thee what is feared - than I fear;
for always I am Caesar (Giulio Cesare, I, 2, 210 - 211), io
dico quello che è temuto piuttosto che quello che dico io , dato che sono
sempre Cesare
Anche Antonio cerca di conservare la propria identità: “Questo individualismo,
questo vizio d'orgoglio, fu, necessariamente, sfruttato molto a causa delle sue
possibilità drammatiche...Antonio dice "Sono ancora Antonio "
e
I am Antony yet " (Shakespeare, Antonio e Cleopatra
III, 13, 92.)
Lo dice a Tyreus mandato da Ottaviano per chiedere a Cleopatra di abbandonare
Antonio alla sua sorte disgraziata.
La difesa dell'identità a tutti i costi assimila Medea agli eroi omerici, che
non cedono, e a quelli sofoclei: preferiscono tutti morire piuttosto che
piegarsi alla pressione della norma.
L'autopossesso è l'unico punto fermo nei periodi e nei momenti critici:"Vaco,
Lucili, vaco, et ubicumque sum, ibi meus sum" (Seneca, Ep.
62, 1), sono libero, Lucilio, sono libero, e dovunque mi trovi sono padrone di
me stesso.
Un’altra Epistola si chiude con queste parole: "Qui se
habet nihil perdidit: sed quoto cuique habere se contigit? Vale" ( 42,
10), chi possiede se stesso non ha perduto nulla ma a quanto pochi tocca questo
possesso! Stammi bene.
Nella Praefatio al III libro delle Naturales quaestiones Seneca
afferma che la vittoria più grande di tutte e quella sui vizi, quindi
aggiunge:"innumerabiles sunt qui populos, qui urbes habuerunt in
potestate, paucissimi qui se" (10), sono innumerevoli quelli che
tennero in loro potere popoli e città, pochissimi quelli che se stessi.
La libertà assoluta è questa:"non homines timere, non deos; nec turpia
velle nec nimia; in se ipsum habere maximam potestatem: inestimabile bonum est
suum fieri" (Ep. 75, 18), non temere gli uomini né gli dèi; non
volere cose turpi né eccessive; avere il pieno dominio su di sé: è un bene
inestimabile appartenere a se stessi.
Si può applicare a tali personaggi questa affermazione della
Zambrano:"Vivere nell'identità significa essere al riparo dall'inferno del
vedersi nell'altro e di essere l'altro che imita l'uno (…) Dalla mancata
identità della vita umana sorge la visione frammentaria, incompleta,
distorta"[4].
Non trovare la propria identità significa assumerne una gregaria basata su un
sentimento di appartenenza alla massa. Medea è di altra stoffa, e, ben lontana
dal vergognarsi, è fiera della sua diversità. Per lei è inconcepibile che ci
sia gente pronta "a rinunciare alla libertà, a far sacrificio del proprio
pensiero, per essere uno del gregge, per conformarsi e ottenere così un
sentimento di identità, benché illusorio"[5].
E' con la difesa dell'identità, anche se criminale, che Medea evita
l'orrore di essere canzonata e di sentirsi al di sotto di se stessa. Così fa
Achille che sceglie la vita breve e gloriosa dicendo: "ouj
lhvxw "( Iliade , XIX, 423), non
cederò, in risposta alla predizione di morte del cavallo fatato Xanto.
Così fanno anche Antigone e l'Elettra di
Sofocle: "ejgw; me;n ou\n oujk a[n pot' … touvtoi" uJpekavqoimi[6]" ( Elettra, v. 359 e v. 361), io certo non potrei piegarmi
a questi. La sorella Crisotemi viceversa vorrebbe indurla a cedere ai forti (toi'"
kratou'si d'' eijkaqei'n, v. 396).
Compiendo il delitto più atroce questa donna pensa di diventare quello che è:
"Medea", la chiama la nutrice; ed ella risponde "fiam"
(Seneca, Medea, v. 171), lo diventerò.
"E' forse questo che si cerca attraverso la vita, null'altro che quello,
la più grande sofferenza possibile per diventare se stessi prima di
morire"[7].
Questo vuole l'imperatore Adriano della Yourcenar: "Volevo il potere.
Lo volevo per imporre i miei piani, per tentare i miei rimedi, per instaurare
la pace. Lo volevo soprattutto per essere interamente me stesso, prima di
morire … Ho compreso che ben pochi realizzano se stessi prima di morire: e ho
giudicato con maggior pietà le loro opere interrotte. Quell'ossessione di una
vita mancata concentrava i miei pensieri su di un punto, li fissava come un
ascesso. La mia sete di potere agiva come quella dell'amore, che impedisce
all'innamorato di mangiare, di dormire, di pensare, di amare perfino, sino a
che non siano stati compiuti certi riti"[8].
Il motivo del Medea superest (v. 166) rinnovato da questo fiam (171)
è quasi un Leitmotiv nella Médée di Anouilh
(del 1953): "Je me retrouve … C'est moi, c'est Médée … je suis
redevenue Médée … je suis Médée[9] "(ben 5 volte…); e ancora, alle articolate
perplessità della nutrice, Medea risponde sempre epigraficamente."Mais
qu' est - ce que tu veux dans cette i^le ennemie? Colchos me^me tu est chassée. Et Jason nous laisse
aussi maintenant. Que te reste - t'il donc? Moi [10] Si vedano anche:"c'est maintenant Médée qu'il faut e^tre toime^me";
e" est … je suis Médée, enfin, pour toujours[11]"[12].
Medea è pure una donna insanguinata, e anche lei potrebbe dire le parole
di Macbeth: "io sono andato tanto oltre nel sangue che, se non
volessi andare avanti nel guado, tornare indietro per me sarebbe rischioso
quanto procedere" (III, 5).
Forse l’aspetto più tragico della condizione umana è che l’uomo può cercare di
soppiantare se stesso, cioè di falsificare la sua vita”[13].
Quando è che l’uomo smette di essere una cosa gradevole? Quando non assomiglia
a se stesso. Sconcio, sconveniente in greco si dice ajeikhv~, ossia non eijkov~, oggetto neutro
non somigliante, non somigliante a se stesso.
"Quando è privo di ogni charis , l'essere umano non
assomiglia più a nulla: è aeikelios . Quando ne risplende, è
simile agli dei, theoisi eoikei . La somiglianza con se
stessi, che costituisce l'identità di ciascuno e si manifesta nell'apparenza
che ognuno ha agli occhi di tutti, non è dunque presso i mortali una costante,
fissata una volta per tutte….Oltraggiare - cioè imbruttire e disonorare a un
tempo - si dice aeikizein , rendere aeikes o aeikelios ,
non simile"[14].
Torna ancora a proposito un'affermazione di Iacopo Ortis nutrito da Plutarco,
il biografo degli eroi: "io mi reputo meno brutto degli altri e sdegno
perciò di contraffarmi; anzi buono o reo ch'io mi sia, ho la generosità, o dì
pure la sfrontatezza, di presentarmi nudo, e quasi quasi come sono uscito dalle
mani della Natura[15]".
In conclusione La Medea di Euripide alla fine trionfa
poiché accetta del tutto quella sua diversità della quale in un primo tempo
aveva solo preso coscienza: "h\ polla; polloi'" eijmi
diavforo" brotw'n" (v. 579), davvero in molte cose io sono diversa
da molti. Sembra che la donna barbara abbia infine attuato il precetto che
costituisce "La somma di tutto il pensiero educativo di Pindaro"[16]: "gevnoio oi|o" ejssiv" (Pitica II v. 72), diventa quello che sei.
[1] Da La duchessa di Amalfi (del 1614) , di J. Webster (1580
- 1625).
[2] Seneca, Medea, v. 166.
[3]Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S. Eliot Opere , p. 800..
[4] L'uomo e il divino , pp. 268 - 269.
[5]E. Fromm, Psicanalisi della società
contemporanea , p. 68.
[6] Ottativo aoristo secondo di uJpeivkw, "cedo".
[7] L. F. Céline, Viaggio al termine della
notte, p. 249.
[8] M. Yourcenar, Memorie di Adriano,
pp. 84 - 85.
[9] Io mi ritrovo…sono io, sono Medea…sono
ridiventata Medea
[10] "Ma che puoi tu in quest'isola nemica?
Colco è lontana e anche da Colco tu sei cacciata. E Giasone pure ci lascia,
ora. Che ti resta dunque?:: Me stessa!"
[11] Ecco, è adesso che devi essere te stessa…Io sono
Medea, infine, per sempre.
[12]F Citti, C. Neri, Seneca nel Novecento ,
p. 104.
[13] J. Ortega y Gasset, Meditazioni sulla
felicità, p. 198 e p 199.
[14]J. P. Vernant, Tra mito e politica ,
pp. 210 - 211.
[15] U. Foscolo, Ultime lettere di Iacopo Ortis ,11 dicembre,
1797.
[16]Jaeger, Paideia , I vol., p.391.
La vita come recita teatrale
Le quattro parti di Orazio (Ars poetica) e i
sette atti di Shakespeare (As you like it). La morte teatrale di
Augusto nella Vita di Svetonio.
Epitteto e Seneca
Orazio nell' Ars poetica[1] distingue le quattro diverse parti che ciascuno di noi recita nella
vita. Dobbiamo ricordarcene noi insegnanti per avvicinarci alla comprensione
dei nostri ragazzi.
Dunque: "aetatis cuiusque notandi sunt tibi
mores" (156), si deve badare bene ai costumi specifici di ciascuna
età.
Segue una descrizione dei mores delle
varie epoche della vita umana: il puer il quale gestit
paribus colludere (159), smania di giocare con i suoi pari, e cambia
umore spesso: et mutatur in horas (160).
Poi l' imberbus iuvenis il giovinetto
imberbe il quale gaudet equis canibusque, è cereus
in vitium flecti, facile come la cera a prendere l'impronta del
vizio, prodigus aeris, prodigo di denaro.
Quindi, conversis studiis aetas animusque
virilis/, quaerit opes et amicitias, inservit honori (vv.
166 - 167), cambiate le inclinazioni, l'età e la mente adulta cerca ricchezze e
aderenze, si dedica alla conquista del potere.
Poi c'è il vecchio: "difficilis, querulus,
laudator temporis acti/se puero, castigator censorque minorum" (vv.
173 - 174), difficile, lamentoso, elogiatore del tempo trascorso da ragazzo,
critico e censore dei giovani.
Sono dunque quattro atti che recitiamo in quattro
parti diverse, con quattro aspetti diversi.
Sentiamo
quindi Shakespeare:
"All the world's a
stage -
And all the men and women merely players" (As you like it [2], II, 7), tutto il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e le donne
non sono che attori.
They have their exits and
their entrances
And one man in his time plays
many parts,
His acts being seven ages
Gli uomini, continua il malinconico Jaques, hanno le
loro uscite e le loro entrate. Una stessa persona, nella sua vita, rappresenta
sette parti, poiché sette età costituiscono gli atti".
Segue la descrizione dei sette atti.
At first the infant
Mewling and puking in the
nurse’s arms;
Prima l’infante che miagola e rigurgita tra le braccia
della balia;
poi lo "scolaro piagnucoloso che, con la
sua cartella e col suo mattutino viso infreddolito, striscia come una lumaca
malvolentieri alla scuola - creeping like snail unwillingly to school";
il terzo atto è quello dell' innamorato
"che soffia come una fornace, con una triste ballata composta per le
sopracciglia dell'amata".
Quindi il soldato pieno di tremende imprecazioni ,
barbuto come un leopardo, geloso del suo onore, rapido e pronto alla rissa,
mentre cerca una chimerica bolla di reputazione perfino nella bocca del
cannone;
poi il giudice consistente nel giusto ventre rotondo
foderato con del buon cappone, con occhi severi, e la barba tagliata come
richiesto, pieno di sagge massime e di risaputi esempi; così recita la sua
parte.
La sesta età si sposta nel pantalone secco sulle
ciabatte, con occhiali sul naso e borsa al fianco e le calze giovanili ben
conservate diventate enormi per le sue gambe rinsecchite, e la sua grossa voce
virile che mutata in una voce bianca da bambino, zufola e fischia.
Infine "l'ultima scena, che chiude questa storia
strana e piena di eventi, è seconda fanciullezza e mero oblio, senza denti,
senza vista, senza gusto, senza niente - sans teeth, sans eyes, sans taste,
sans everything" (II; 7, 139 - 167)
Nella Vita di Svetonio troviamo
l'ultima scena di Augusto il quale supremo die , fattisi
mettere in ordine i capelli e le guance cascanti, domandò agli amici "ecquid
iis videretur mimum vitae commode transegisse" (99), se a loro
sembrasse che avesse recitato bene la farsa della vita, quindi chiese loro, in
greco, degli applausi con la solita clausula delle
commedie:" eij de; ti - e[coi kalw'" to; paivgnion, krovton
dovte", se è andato un po’ bene questo scherzo,
applaudite.
La “corta buffa”[3] era giunta al termine.
Noi siamo attori che recitiamo una o più parti ma il
regista è un altro. Ce lo ricorda Epitteto
“ mevmnhso o[ti uJpokrith;~ ei\
dravmato~ , oi{ou a]n qevlh/ didavskalo~, ricorda che sei attore di un dramma, di quello che il regista vuole, se breve di uno breve, se lungo di uno lungo, se vuole che tu reciti la
parte di un mendicante, cerca di recitarla bene, e così quella di uno zoppo, di
un magistrato etc so;n ga;r tou`t j e[sti, to; doqe;n uJpokrivnasqai
provswpon kalw`~ : ejklevxasqai d j aujto; a[llou (Manuale, 17), il tuo compito infatti è recitare bene la parte
assegnata, sceglierla è potere di un altro
Chiudo con la dovuta citazione di Seneca
Quomodo fabula sic vita: non quam diu , sed quam bene
acta sit refert (Ep. 77, 20).
La vita umana come una processione di attori,
Aggiungo questo splendido pezzo di Luciano
all’argomento
La vita umana come recita.
Venne dato da tradurre diversi anni fa quale seconda
prova all’esame di maturità. Una volta agli dstudenti si chiedeva questo. Ero
tra gli esaminatori non interni nel liceo Mamiani di Pesaro. Gli studenti
furono in grado di tradurre. Doveva essere verso la fine degli anni Ottanta o
tra i pimi anni Novanta, non ricordo l’anno preciso.
Toig£rtoi ™ke‹na Ðrînt… moi ™dÒkei Ð tîn
¢nqrèpwn b…oj pompÍ tini makr´ proseoikšnai,
Dunque a me che guardavo sembrò che la vita umana
fosse simile a una lunga processione,
corhge‹n d kaˆ diat£ttein ›kasta ¹ TÚch, di£-
fora kaˆ poik…la to‹j pompeuta‹j t¦ sc»mata
pros£ptousa· tÕn mn
g¦r laboàsa, e„ tÚcoi,
basilikîj dieskeÚasen, ti£ran te
™piqe‹sa kaˆ
dorufÒrouj paradoàsa kaˆ t¾n kefal¾n stšyasa
tù diad»mati, tù d
o„kštou scÁma perišqhken·
e che
tÕn dš tina kalÕn enai ™kÒsmhsen, tÕn d
¥morfon
kaˆ
gelo‹on pareskeÚasen· pantodap¾n g£r,
omai, de‹ genšsqai t¾n qšan.
uno poi lo adorna in modo che sia bello, un altro
invece lo rende deforme e ridicolo: multiforme infatti, credo, debba essere lo
spettacolo.
poll£kij
d kaˆ
di¦ mšshj tÁj pompÁj metšbale t¦ ™n…wn sc»mata
oÙk ™îsa e„j tšloj diapompeàsai æj ™t£cqhsan,
¢ll¦ metamfišsasa tÕn mn Kro‹son ºn£gkase
t¾n toà o„kštou kaˆ a„cmalètou skeu¾n ¢nala-
be‹n, tÕn
d Mai£ndrion tšwj ™n to‹j o„kštaij
pompeÚonta t¾n toà Polukr£touj turann…da
metenšduse kaˆ mšcri
mšn tinoj e‡ase crÁsqai
tù sc»mati·
Spesso poi a metà della processione cambia le parvenze
di alcuni: non permettendo che marcino in processione fino al termine come erano stati ordinti, ma cambiando
quell’ordine costringe Creso a prendere il costume di uno schiavo, e di un
prigioniero di guerra, mentre Meandrio che fino allora sfilava tra i servi lo
riveste con la tirannide di Policrate e per un certo tempo gli lascia indossare
quell’abito
™peid¦n d Ð tÁj pompÁj kairÕj
paršlqV, thnikaàta
›kastoj ¢podoÝj t¾n skeu¾n
kaˆ ¢podus£menoj tÕ scÁma met¦ toà sèmatoj
™gšneto oŒÒsper Ãn prÕ toà genšsqai, mhdn toà
plhs…on diafšrwn.
Quando poi il tempo della processione è passato,
allora ciascuno restituendo l’abito e spogliandosi dell’aspetto con il corpo,
diventa quale era prima di essere nato, per niente diverso dal vicino.
œnioi d Øp' ¢gnwmosÚnhj,
™peid¦n
¢paitÍ tÕn kÒsmon ™pist©sa ¹ TÚch,
¥cqonta… te kaˆ ¢ganaktoàsin ésper o„ke…wn
tinîn steriskÒmenoi kaˆ oÙc § prÕj Ñl…gon ™cr»-
santo ¢podidÒntej.
Ma alcuni per stoltezza, quando
Omai dš se kaˆ tîn ™pˆ tÁj
skhnÁj poll£kij
˜wrakšnai toÝj tragikoÝj Øpokrit¦j toÚtouj prÕj
t¦j cre…aj tîn dram£twn ¥rti mn Kršontaj,
™n…ote d Pri£mouj gignomšnouj À 'Agamšmnonaj,
kaˆ Ð aÙtÒj, e„ tÚcoi, mikrÕn
œmprosqen m£la
semnîj tÕ toà Kškropoj À 'Erecqšwj scÁma
mimhs£menoj met' Ñl…gon
o„kšthj proÁlqen ØpÕ
toà poihtoà kekeleusmšnoj.
Io credo che tu abbia visto spesso sulla scena gli
attori tragici: questi secondo la necessità dei drammi ora diventano Creonti,
talora Priami o Agamennoni, e, se è il caso, il medesimo attore che poco prima
recitava con gravità la parte di Cecrope o di Eretteo, poco dopo entra in scena
da servo secondo l’ordine del poeta.
½dh d pšraj œcontoj
toà dr£matoj ¢podus£menoj ›kastoj aÙtîn t¾n
crusÒpaston ™ke…nhn ™sqÁta kaˆ tÕ proswpe‹on
¢poqšmenoj kaˆ katab¦j ¢pÕ tîn ™mbatîn pšnhj
kaˆ tapeinÕj per…eisin, oÙkšt' 'Agamšmnwn
Ð
'Atršwj oÙd Kršwn Ð Menoikšwj, ¢ll¦
Pîloj
Cariklšouj SounieÝj ÑnomazÒmenoj À S£turoj
Qeoge…tonoj Maraqènioj. toiaàta
kaˆ t¦ tîn
¢nqrèpwn pr£gmat£ ™stin, æj tÒte
moi Ðrînti
œdoxen.
Quando il dramma è già terminato ciacuno di loro, deposta
la veste ricamata d’oro e messa via la
maschera e sceso giù dai coturni, se ne va povero e dimesso, non più Agamennone
figlio di Atreo, né Creonte figlio di Meneceo, ma Polo figli di Caricle da
Sunio o Satiro figlio di Teogitone sa
Maratona. Così sono sembrate le faccende umane a me come una volta osservavo
quello spettacolo.
Luciano (120-185
circa) Menippo o
[1] Composta tra il 18 e il
[2] 1599 - 1600.
[3] Dante, Inferno, VII, 61.
Sotto un re buono il popolo prospera, sotto uno
cattivo crepa
Tovpo" della
connessione organica tra il re e la sua terra, anzi con tutto il suo mondo,
cielo compreso
Segue un elenco di citazioni, troppo lungo forse, nonostante abbia tralasciato
diverse testimonianze. Ma ne ho lasciate molte nella speranza di interessare a
questi testi, da Omero a Ibsen, chi mi legge. Nel presentare questi appunti
parlandone durante li corso, li commenterò.
Sappiamo da Omero, da Esiodo, da Solone da Isocrate, e pure dalle tragedie
greche e da quelle di Seneca, che i costumi, le virtù, i vizi, e perfino le
malattie del capo si riverberano sulla sua terra per una sorta di
responsabilità collettiva.
Un re buono, dice Ulisse nel XIX canto parlando con Penelope, porta il popolo
alla prosperità: "Raggiunge l'ampio cielo la tua fama,/ come quella di un
re irreprensibile che pio,/ regnando su molti uomini forti,/tenga alta la
giustizia; allora la nera terra produce/ grano e orzo, gli alberi si
appesantiscono di frutti,/figliano continuamente le greggi e il mare offre i
pesci,/per il suo buon governo, insomma prosperano le genti sotto di lui"(Odissea,
XIX, vv. 108 - 114).
L'altro lato della stessa concezione secondo la quale il bene e il male di un
solo uomo ridondano in favore e in danno di una città intero lo troviamo nel
secondo archetipo della poesia greca, cioé in Esiodo (Opere,
vv.240 - 244: "Pollavki kai; xuvmpasa povli" kakou'
ajndro;" ajphuvra - oJv" ti" ajlitraivnh/ kai; ajtavsqala
mhcanavatai. - Toi'sin d j oujranovqen meg&
ejpevgage ph'ma Kronivwn - limo;n oJmou' kai; loimovn: ajpofqinuvqousi de;
laoiv. - Oujde; gunai'ke" tivktousin, minuvqousi de; oi|koi", spesso anche un'intera città soffre per un uomo malvagio,/uno che
si rende colpevole e architetta scelleratezze./Su di loro dal cielo il Cronide
fa piombare grandi malanni,/fame e peste insieme,e le genti vanno in rovina,/le
donne non fanno figli e le case diminuiscono".
L’ Eunomia (fr. 4 West) di Solone esprime in distici
elegiaci la medesima concezione:"e ingiusta è la mente dei capi del popolo
cui è destinato/ soffrire molti dolori in seguito alla gran prepotenza (u{brio"
ejk megavlh")... Ma si arricchiscono fidando in opere ingiuste,
non risparmiando le ricchezze sacre né alcuna di quelle/pubbliche, rubano per
arraffare chi da una parte chi dall'altra/né osservano i venerandi fondamenti
di Giustizia,/che, pur mentre tace, conosce il passato e il presente,/e con il
tempo in ogni caso arriva a far pagare....questi precetti l'animo mi spinge ad
insegnare agli Ateniesi/ che il Malgoverno (Dusnomivh) procura moltissimi mali alla città/mentre il Buongoverno mostra ogni cosa
ordinata e armonizzata (Eujnomivh d j eu[kosma kai; a[rtia pavnt j ajpofaivnei, v.32) /e spesso mette i ceppi addosso agli ingiusti:/leviga le asperità,
fa cessare l'arroganza, oscura la prepotenza,/dissecca i fiori nascenti
dell'accecamento,/raddrizza i giudizi tortuosi, mitiga le azioni/ superbe, fa
cessare le opere della discordia,/e fa cessare la rabbia della contesa
terribile, e sono sotto di lui/tutte le cose umane armonizzate e
assennate"(vv. 7 - 8, 11 - 16, 30 - 39).
Nell' Encomio di Elena Isocrate chiama i despoti che
cercano di dominare con la forza sui concittadini, non capi ma pesti delle
città (oujk a[rconta" ajlla; noshvmata tw'n povlewn, 34).
Il re negativo, cattivo e malato dunque contamina la sua terra, rendendola
sterile e sconciandola quale mivasma.
Nell’Antigone di Sofocle, Tiresia dice al re di Tebe Creonte:
“ E la città è ammalata (nosei` povli") per la tua
disposizione mentale (th`" sh`" ejk frenov", v. 1015) ) .
Nell'Edipo re il protagonista eponimo scopre di essere il miasma che ha
contaminato la città appestandola e deve allontanarsi da Tebe.
Da re si è capovolto in farmakov", una specie di medicina umana.
Del resto questa idea che il benessere di un popolo dipenda dalla giustizia e
pietà religiosa del re non è limitata ai soli autori greci:"Nella nozione
omerica della regalità sopravvivono rappresentazioni che si ritrovano più o
meno in altre società indoeuropee. Si tratta soprattutto dell'idea che il re è
l'autore e il garante della prosperità del suo popolo, se segue le regole della
giustizia e i comandi divini. Si legge nell'Odissea (XIX 110 sgg.)
questo elogio del buon re (...) Questo passo ha avuto nella letteratura
classica una lunga discendenza; gli autori si sono compiaciuti ad opporre la
felicità dei popoli governati secondo la giustizia alle calamità che nascono
dalla menzogna e dal crimine. Ma non si tratta in questo caso di un luogo
comune morale. In realtà il poeta esalta la virtù mistica e produttiva del re
la cui funzione è quella di incrementare la fecondità intorno a sé, negli
esseri e nella natura. Questa concezione si ritrova, molto più tardi, è vero,
nella società germanica, attestata quasi negli stessi termini. Presso gli
Scandinavi, il re assicura la prosperità per terra e per mare; il suo regno è
caratterizzato dall'abbondanza dei prodotti naturali, dalla fecondità delle
donne. Gli si chiede, secondo una formula consacrata, ar ok fridr '
l'abbondanza della pace', come ad Atena, durante le Bufonie, si sacrificava
'per la pace e la ricchezza'. Non si tratta di formule vane. Ammiano Marcellino
ci dice che i Burgundi, dopo una disfatta o una calamità, mettevano a morte
ritualmente il loro re, perché non aveva saputo far prosperare né dare successo
al suo popolo"[1].
Anche i ragazzi sanno che il rex deve agire recte:
infatti, quando giocano, dicono: sarai re se farai bene: "at pueri
ludentes 'Rex eris ' aiunt/ 'si recte facies" [2].
Insomma il rex deve dirigere sulla retta via. Il re
allora non può essere contorto.
Nemmeno la virtù può esserlo: “et haec recta est, flexuram non recipit”
(Seneca, Ep. 71, 20), anche questa è diritta, non ammette
piegatura.
Il re malato rende malato il suo popolo, la sua terra e perfino il cielo.
Diversamente dall'Edipo di Sofocle che nel prologo della tragedia si
addossa soltanto il dolore del suo popolo, l’Oedipus di Seneca, fin dai
primi versi, si sobbarca tutte le colpe:"Fecimus coelum nocens"
(v. 36), io ho reso colpevole il cielo[3].
Un'eco di questa autodenuncia si trova nell'Amleto di Shakespeare, quando
Claudio, il re assassino del fratello dice:"Oh, my offence is rank, it
smells to heaven" (III, 3), oh il mio delitto è marcio, e manda fetore
fino al cielo. Poco dopo Amleto, parlando con la madre, Gertrude, paragona lo zio a una spiga ammuffita che
infetta l'aria (III, 4).
Più avanti del resto Oedipus tirerà indietro la mano che ha
indicato il colpevole in se stesso, e, come l’edipo di Sofocle, accuserà
Creonte di avere congiurato con Tiresia per togliergli il potere (vv. 666 e
sgg.).
Il cielo avvelenato dai delitti umani può fornire a sua volta veleni per nuovi
delitti: Medea non si accontenta dei malefici terreni:"Parva sunt -
inquit - mala,/et vile telum est, ima quod tellus creat:/coelo petam venena.
Iamiam tempus est/aliquid movere fraude vulgari altius " (
Seneca, Medea, vv. 691 - 694), sono piccoli malefici - dice - e
vale poco l'arma che la bassa terra produce: al cielo chiederò i veleni. Oramai
è già tempo di scuotere qualche cosa di più alto che un artificio volgare.
L'ambiente, cielo compreso, è stato contaminato dall'uomo empio, i valori forti
(fas, fides, ius) cadono, e non rimangono nemmeno nel cielo:
nel Tieste di Seneca, Megera aizza l'ombra di Tantalo
dicendo:" et fas et fides/iusque omne pereat. Non sit a vestris
malis/immune coelum " (vv. 47 - 49), le norme divine e la lealtà
e ogni diritto vadano in malora. Il cielo non sia immune dalle vostre malattie.
Nella Medea di Euripide, viceversa, il Coro delle
donne corinzie lamenta la fuga del pudore dalla terra al cielo: “Se n'è andato
il rispetto dei giuramenti - né più il pudore (aijdwv") nell'Ellade grande rimane, ma in aria è volato” (vv. 439 - 440).
Nella Medea di Euripide il coro lamenta la fuga dell’aijdwv" dalla terra al cielo (vv. 339 - 340).
La nutrice di Fedra afferma che il pudor è incompatibile con
il servizio al potere: “malus est minister regii imperii pudor”
(Seneca, Fedra, v. 430), il pudore è un cattivo ministro del potere
regio.
Nel Macbeth[4], un nobile scozzese, Lennox preannuncia l’assassino del re quanto si
dice:"some say the earth was feverous,latino febris- and did shake" (II, 3), la terra era
febbricitante e ha tremato.
Poco dopo un altro nobleman of Scotland, Ross, fuori dal castello
del delitto fa notare a un vecchio che il cielo (the heavens), quasi
sconvolto dal misfatto umano (as troubled with man's act), minaccia la
sua scena sanguinosa (threaten his bloody stage), e il giorno è buio[5] come la notte, mentre la luce della vita dovrebbe baciarlo- “when living light should kiss it”.
Infatti, risponde l'old man:" 'Tis unnatural, Even like the
deed that ' s done" (II, 4), è innaturale, come l'azione che è stata
perpetrata.
La terra contaminata e desolata,
Anche in La duchessa di Amalfi (del 1613) di John
Webster il quale “was much possessed by death”[6] viene affermato il principio della connessione organica tra il capo e
la sua terra da Antonio, il maggiordomo e l'amore della duchessa, contrastato
dai fratelli di lei:"Nel tentativo di ridurre all'ordine entrambi, lo
Stato e il popolo suo, quel re assennato inizia l'opera fin dalla sua stessa
casa e libera per prima cosa il suo palazzo reale dai sicofanti adulatori, da
tutte le persone perverse e dissolute (…) da che ritiene giustamente che una
corte principesca sia simile a una pubblica fonte dalla quale dovrebbero
sgorgare pure, stille d’argento, ma se avviene che un malaugurato caso ne
intorbidi la sorgente, morte e malsania si diffondono per tutto il paese"
(I, 1).
"Il gusto del sensazionale e dell'orrido è, nel Webster,
preponderante"[7].
L'immagine della sorgente inquinata è ripresa da Ibsen in Un
nemico del popolo[8], il dottor Stockmann che dice:"tutta la nostra vita spirituale è
inquinata e marcia alla base. Non soltanto le Terme, no, è tutta la nostra
bella società borghese che è costruita su una cloaca, su un pantano, sulla
menzogna!" (IV). In questo caso è il potere della maggioranza che porta
"lo scorbuto spirituale" poiché "la maggioranza ha la forza, sì,
per nostra sciagura, ma non ha la ragione (…) è la minoranza, sono i pochi che
hanno ragione!"
E' tradizionale e molto antica dunque l'idea della connessione organica tra il
capo e la comunità.
Erasmo da Rotterdam ripete questo locus nell'Elogio
della follia[9]:" aliorum vitia neque perinde sentiri neque tam late manare; principem
eo loco esse, ut si quid vel leviter ab honesto deflexerit, gravis protinus ad
quam plurimos homines vitae pestis serpat" (55), i vizi degli altri né
si sentono allo stesso modo né si diffondono così ampiamente; il principe si
trova in tale posizione che se in qualche maniera perfino di poco egli si
scosta dalla rettitudine, subito una grave peste della vita si espande su un
numero enorme di persone. La vita del principe insomma è emblematica.
La povli" di Edipo è la città malata per antonomasia:
Dante chiama Pisa "vituperio delle genti"[10] e "novella Tebe"[11] per la crudeltà della pena inflitta ai figli innocenti del conte
Ugolino.
“C’è da domandarsi se tutto il resto del mondo possegga una sola città che
abbia una preistoria così ricca e fatale come quella di Tebe”[12].
Dante ripropone questa idea che il
benessere di un popolo dipenda dalla giustizia e pietà religiosa delle guide e
fa derivare la malvagità del mondo dal malgoverno di quelli che furono i
"due soli": "Ben puoi veder che la mala condotta/è la cagion che
il mondo ha fatto reo/e non natura che in voi sia corrotta./Soleva Roma, che 'l
buon mondo feo,/due soli aver, che l'una e l'altra strada/facean vedere , e del
mondo e di Deo./L'un l'altro ha spento; ed è giunta la spada/col pasturale, e
l'un con l'altro inseme/per viva forza mal convien che vada"[13]. Spada e pastorale congiunti sono un aspetto di quella confusione che
troveremo anche nell'incesto, nella peste e nella guerra civile.
Nelle Historiae di Tacito c’è un popolo
intero, quello iudaicus che infetta la terra egiziana con una
pestilenza e per questo viene cacciato dal faraone: “Plurimi auctores
consentiunt orta per Aegyptum tabe quae corpora foedaret, regem Bocchorim,
adito Hammonis oraculo, remedium petentem, purgare regnum et id genus hominum,
ut invisum deis, alias in terras avehere iussum” (5, 3, 1), moltissimi
storici sostengono concordemente che, scoppiata attraverso l’Egitto una
pestilenza che sconciava la popolazione, il re Boccori, recatosi all’oracolo di
Ammone per chiedere un rimedio, ricevette l’ordine di purgare il regno e di
deportare quella razza di uomini, in quanto odiosa agli dèi, in altre terre.
Quindi l’autore spiega che Mosè introdusse tra loro riti mai visti e contrari a
quelli degli altri uomini: “Profana illic omnia quae apud nos sacra, rursum
concessa apud illos quae nobis incesta” (4, 1), empio è là tutto quello che
da noi è sacro, e viceversa è lecito da loro quello che da noi è sacrilegio.
Freud invece presenta Mosè come un egiziano che ha potato agli e
Ebrei il monoteismo del faraone eretico Amenophi IV (L’uomo Mosè e la religione monoteistica)
[1]Emile Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee ,
pp. 304 - 305.
[2] Orazio, Epistulae I, 1, 59 - 60.
[3] In La tragedia spagnola ( 1592) di Thomas
Kyd il nobile portoghese Alexandro, con pessimismo meno assoluto, dice:"Il
cielo è la mia speranza: quanto alla terra, essa è troppo infetta per darmi
speranza di cosa alcuna della sua matrice" (III, 1).
[4] 1605 - 1606.
[5] Cfr. Oedipus: Titan
dubius (v. 1).
[6] T. S. Eliot, Whispers of immortality, v. 1, fu molto
ossessionato dalla morte
[7] C. Izzo, Storia della letteratura inglese, p. 439.
[8] Del 1882.
[9] Del 1510.
[10] Inferno, XXXIII, 79.
113 Inferno XXXIII, 89.
[12] Jacob Burckhardt, Storia della civiltà greca (1902),
vol II, p. 214.
[13]Purgatorio XVI, 103 - 111.
Le streghe
Seneca. Shakespeare. Lucano. Dante. Apuleio
Medea è una maga nipote del Sole, una creatura in parte soprannaturale, ma,
come Euripide, anche Seneca trae dal suo comportamento una legge valida
pure per le femmine umane: "Nulla vis flammae tumidique venti/tanta,
nec teli metuenda torti,/quanta, cum coniux viduata taedis/ardet et odit"
(Medea , vv. 579 - 582), non c'è forza di fiamma e di vento
impetuoso tanto violenta, e non è così tremenda quella di un dardo scagliato,
quanto allorché brucia e odia una moglie privata dell'amore.
Sono le parole d’inizio del III Coro.
Seneca, con il suo gusto del macabro, mette in rilievo lo speciale talento
della donna nel preparare intrugli malefici mescolando elementi diversi in un
guazzabuglio infernale.
La nutrice di Medea racconta come la nipote del Sole sia solita preparare i
veleni: "Mortifera carpit gramina ac serpentium/saniem exprĭmit
miscetque et obscenas aves/maestique cor bubonis et raucae strigis/exsecta
vivae viscera (…) Addit venenis verba non illis
minus/metuenda. Sonuit ecce vesano gradu/canitque. Mundus vocibus primis tremit"
(Medea, vv. 731 - 734 e 737 - 740), sminuzza le erbe micidiali e spreme
la bava dei serpenti e mescola anche uccelli di cattivo augurio e il cuore di
un lugubre gufo e le viscere strappate da stridula strige ancora viva (…) Ai
veleni aggiunge parole non meno tremende di quelli. Eccola che ha fatto
risuonare il suo passo furioso e canta.
Il mondo trema già alle prime note.
"In verità è difficile leggere il resoconto dei preparativi di Medea (670
- 739) senza riandare con la mente agli incantesimi del Macbeth" [1]
Si tratta della prima scena del quarto atto della tragedia di Shakespeare. Le
streghe mettono vari ingredienti in una caldaia bollente. Vediamone alcuni:
filetto di una biscia di pantano (Fillet of a fenny snake),
pelo di pipistrello e lingua di cane (wool of bat, and tongue of dog),
zampa di lucertola e ala d’allocco (lizard’s leg, and howlet’s wing),
fegato di giudeo bestemmiatore (liver of blaspheming jew), dita di un
bambino strangolato al suo nascere, appena messo al mondo in una fossa da una
sgualdrina (finger of birth - strangled babe - ditch - delivered by a drab), viscere
di una tigre (a tiger’s chaudron), tutto da raffreddare con il sangue di
un babbuino (with a baboon’s blood).
Il tragico e il macabro qui, a dire il vero, confinano con il comico.
Anche le streghe del Macbeth , come Medea, sono seguaci di
Ecate.
Questa si rivolge alle fatali
donne, fatali sorelle (the weird
women, the weird sisters,) rimproverandole di non averla consultata,
dato il suo ruolo: "And I, the mistress of your charms,/the close
contriver of all harms,/was never called to bear my part,/or show the glory of
our art?" (III, 5), e io, la signora dei vostri incantesimi, la
segreta progettatrice di tutti i mali, non sono mai stata chiamata a fare la
mia parte, o a mostrare la gloria dell'arte nostra?
Nella letteratura latina la terra più famigerata come madre di streghe è
Dice dunque Virgilio rispondendo a una domanda di Dante:
“Vero è che altra fiata qua giù fui
Congiurato da quella Eritòn cruda
Che richiamava l’ombre a’ corpi sui” (Inferno, IX, 22 - 24)
Risaliamo dunque al VI libro della Pharsalia di di Lucano
Turbae sed mixtus inerti - Sextus erat, Magno proles indigna parente (419
- 420). Sesto Pompeo, il figlio di Pompeo Magno vuole conoscere il futuro ma
non può farlo non in modo lecito andando a Delfi, o a Delo o Dodona né consulta
aruspici sulle fibre degli animali, né fa trarre trae auspìci da volo degli
uccelli, né interroga piromanti sui fulmini, né gli astrologi. Sa che ci sono
arcani di maghi terribili, e altari orrendi per i sacrifici umani fatti per gli
dèi infernali. Bisognava interrogare i morti: miseroque liquebat -
scire parum superos (433 - 434) al disgraziato era chiaro che gli dèi
del cielo sapevano poco.
La Tessaglia pullula di streghe - quarum quidquid non creditur ars est
- la loro arte è l’incredibile (437)
Vediamo dunque le streghe della Tessaglia con la pessima Erichto
La gente di Tessaglia è maledetta - gens dira - e usa impia
carmina empie formule magiche per attrarre le orecchie degli dei sorde
a tante altre genti caelicolum aures tot surdas gentibus (443).
Ma quelle delle streghe e dei maghi tessali sono verba cogentia.
Quando quell’infandum murmur ha raggiunto le stelle tetigit
cum sidera (448) allora la strega tessala abdūcet superos
alienis aris (451) sottrarrà gli dèi agli altari divenuti estranei.
A causa delle formule magiche delle donne tessale è stillato in cuori restìi un
amore non portato dal destino: non fatis adductus amor, flammisque
severi - illicitis arsere senes (453 - 454), vecchi severi bruciarono
per passioni illecite.
Ora c’è la stregoneria del viagra per gli impotenti giovani e vecchi, severi e
libertini.
Non solo noxia pocula, beveraggi nocivi, o l’ippomane sottratto
alla fronte del puledro, talora basta che la mente riceva l’incantesimo per
andare in malora mens - excantata perit - (457 - 458).
Sposi quos non concordia mixti - allĭgat ulla mixti tori (458 -
459) che la concordia di un letto comune non unisce né la potentia
blandae formae (458 - 459) li hanno avvinti con l’avvolgimento magico
di un fuso ritorto traxerunt torti magica vertigine fili (460).
Il cielo non obbediva alle solite leggi - legi non paruit aether (462).
Le donne di Tessaglia mutano il corso della natura.
Lucano si chiede se queste streghe abbiano potere anche su gli dei.
La luna impallidisce prigioniera dei maledetti veleni portati da quelle
formule.
Ma questi riti scellerati sembravano troppo pii alla effĕra Erichto (508)
- inque novos ritus pollutam duxerat artem - (509) .
Desertaque busta - incolit (511 - 512) abita tombe deserte, occupa
i sepolcri dopo avere scacciato le ombre dei morti.
Una magrezza sconciata dalla muffa occupa la faccia della sacrilega, il suo
aspetto sconosciuto al cielo sereno è appesantito da chiome scarmigliate.
Esce dalle tombe di notte durante i temporali e afferra i fulmini. Rende
sterili anche i semi del grano calpestandoli e appesta l’aria. Fa morire anzi
tempo alcuni e fa uscire dalle tombe altri già morti. Su alcuni cadaveri
infierisce immergitque manus oculis (541) poi rosicchia le
pallide escrescenze della mano essiccata - et siccae pallida rodit -
excrementa manus - (542 - 543)
Con i denti ha rotto i nodi e i lacci degli impiccati, ha fatto a brani i
cadaveri penzolanti - pendentia corpora carpsit (344) e ha
raschiato le croci - abrasitque croces (545), ha tirato fuori le
viscere battute dalla pioggia e midolla cotte dal sole. Quindi si è portato via
l’acciaio conficcato nelle mani - insertum manibus chalybem - 547 - e
nero marciume di pus che goccia per le membra, veleno condensato - nigramque
per artus - stillantis tabi saniem virusque coactum sustulit (548 -
549), ma se il nervo del crocifisso stringe i suoi morsi, anche lei rimane
appesa et nervo morsus retinente pependit (549). Siede accanto
al cadavere in concorrenza con fiere e avvoltoi : morsusque luporum -
expectat siccis raptura e faucibus artus”(552 - 3) attende i
morsi dei lupi per strappare gli arti alle fauci asciutte e affamate.
Quando servono dei cadaveri per i suoi empi riti, i morti li procura lei ipsa
facit manes 561. Questa strega utilizza ogni morte - hominum mors
omnis in usu est (561).
Quando le muore un parente, mentre imprime baci oscula figens ne
mutila la testa addentando la lingua e sussurrando nefandezze da trasmettere ai
morti.
Questa dunque è Erichto.
Sesto Pompeo va a cercarla. Eritto si trovava vicina a Farsalo. Componeva una
cantilena per nuovi usi carmenque novos fingebat in usus (578). Timens
ne tellus tam multa caede careret temendo che alla terra venisse meno
l’immensa carneficina (580). Eritto spera di avere molti morti a disposizione.
La Pompei ignava propago 589 l’inetto figlio di Pompeo le
parla lusingandola e chiedendole quale sarà il risultato della guerra.
Non è una fatica di levatura modesta Non humilis labor est (602):
è degno di te curarti di sapere quo tanti praeponderet alea fati (603)
da che parte si inclini il dado di un così grande destino
Risponde a Sesto Pompeo: fata minora si possono smuovere
giovanotto, o iuvenis, ma da quando c’è la causarum series (612)
la serie delle cause omnia fata laborant- si quidquam mutare velis (612
- 613) il destino intero soffre se si vuole mutare qualcosa e su tutto il
genere umano incombe un’unica minaccia. Quindi, noi turba tessala, lo
confessiamo Plus Fortuna potest (615), la fortuna ha maggior
potenza.
Il futuro comunque è dato conoscerlo. Si può anche fare parlare uno morto da
poco ut modo defuncti tepidique cadaveris ora - plena voce sonent nec
membris sole perustis - auribus incertum strideat feralis umbra (622 -
623), purché la bocca del cadavere del defunto tiepido parli a piena voce e,
quando, le membra sono essiccate dal sole, l’ombra del morto non strida
incomprensibilmente alle orecchie.
Dopo avere detto questo, Eritto raddoppia con la magia le tenebre della notte e
con la testa lugubre coperta da una nuvola sudicia va errando in mezzo ai
cadaveri degli insepolti. Fuggono i lupi e gli uccelli da preda mentre la donna
cerca il morto che farà da profeta. Finalmente sceglie un cadavere, gli annoda
un laccio intorno alla gola, vi inserisce un uncino e lo trascina sotto la
roccia di una caverna. Dentro la grotta si trovano tenebre torpide marcentes
intus tenebrae (646). E’ l’anticamera del mondo dei morti. La chioma
irta di Eritto che fa violenza alla morte, è stretta sul collo da una ghirlanda
di vipere “et coma vipereis substringitur horrida sertis” (656).
Sesto Pompeo e i compagni hanno paura e la strega li rimprovera: “quis
timor ignavi, metuentis cernere manes?” 666. Sono i morti che hanno paura
di me. Eritto apre nuove ferite nel cadavere, lava le viscere togliendo la
putredine e versa umore cattivo di luna - abluit et virus large lunare ministrat (669).
Quindi mescola tutto quanto la natura ha generato con un parto sinistro: bava
di cani idrofobi, spuma canum, viscere di linci, vertebra di iena
spietata, midolla di cervo nutrite da un serpente, il pesce remora che
trattiene la nave anche se spinta dal vento, occhi di drago, sassi che
crepitano intiepiditi da uccello che cova, il serpente alato degli Arabi, la
vipera marina che nasce nel mar Rosso, custode della preziosa conchiglia, la
pelle di una cerasta - vipera cornuta cfr. kevra", corno - di Libia.
In Dante le “feroci Erine - “serpentelli e ceraste avean per crine” - Inferno 9,
41
Poi la cenere di una Fenice posatasi su un altare d’ Oriente.
A questi flagelli la strega aggiunge fronde impregnate di formule nefande et
quibis os dirum nascentibus inspuit herbas - addidit (683 - 684) e
aggiunse erbe su cui la bocca tremenda aveva sputato quando nascevano.
Poi il suo ceffo fa uscire borbottii dissonanti.
“Latratus habet illa canum gemitusque luporum” (688) la sua lingua
contiene latrati di cani e ululati di lupi, il verso del gufo inquieto e di
strige notturna, lo stridere e l’ululare delle fiere, il sibilare dei serpenti.
Esprime pure i lamenti dell’onda colpita dagli scogli - exprimit et planctus
illisae cautibus undae - (691), e i tuoni della nuvola che si spacca fractaeque
tonitrua nubis (692).
La sua voce penetra nel Tartaro con suoni rivolti alle Eumenidi, all’empietà
dello Stige, alla Pena dei colpevoli, poi si rivolge al Caos avido di
confusione “et Chaos innumeros avidum confundere mundos -
Quindi si rivolge a Ecate che è il tratto d’unione tra Eritto e i morti, poi al
custode Eaco che getta al cane Cerbero le viscere offerte “tuque o
flagrantis portitor undae”, a Caronte (704) traghettatore dell’onda
infuocata, vecchio affaticato dalle ombre che tornano da me iam lassate
senex ad me redeuntibus umbrae (705)
Dunque exaudite preces (706). Io infatti vos satis ore
nefando - pollutoque voco (706 - 707) vi invoco con bocca abbastanza
nefanda e lorda e canto formule magiche numquam fibris humanis ieiuna (708),
mai digiuna di viscere umane, se piena del dio nel petto ho lavato interiora
tagliate quando il cervello era ancora caldo, se ogni bambino quisquis infans che ha messo sulle vostre scodelle - vestris
lancibus - lanx (femminile: satura lanx) testa e viscere
sarebbe sopravvissuto in mia assenza - parete precanti 711, date
retta a me che vi prego.
Voglio sentire uno morto da poco: primo pallentis hiatu - haeret adhuc
Orci , è ancora fermo sulla prima apertura del pallido Orco. Licet
has exaudiat herbas 715 anche se il morto ascolta il richiamo di
queste erbe l’anima sua ad manes ventura semel, verrà ai morti una
volta sola per tutte. Il defunto profetizzi al figlio di Pompeo tutto quanto
riguarda Magno: si bene de vobis civilia bella merentur 718”
“haec ubi fata. caput spumantiaque
ora levavit” (719), detto questo alzò la testa e la bocca bavosa.
Allora le apparve l’ombra in piedi del cadavere disteso - aspicit astantem
proiecti corporis umbram (720). Lo spettro ha paura dei propri arti
senza vita e delle chiusure odiose del carcere antico. Esita a entrare nel
petto squarciato e nelle viscere rotte dalla ferita mortale.
Lucano commisera l’infelice A miser, extremum cui mortis
munus inique eripitur, non posse mori! (724) a infelice cui viene
ingiustamente strappato il dono estremo della morte: non poter nemmeno morire.
Lo spettro morto indugia ed Erichto irata morti - verberat
immotum vivo serpente cadaver (727), irata con la morte, frusta il
cadavere immobile con un serpente vivo, e attraverso le spaccatire della terra create con la sua
cantilena, manibus inlatrat regnique silentia rumpit (729)
latra contro i morti e rompe i silenzi del regno. Minaccia le Furie, Tisifone e
Megera, chiamandole cagne dello Stige: le evocherà fino alla luce poi le
abbandonerà. Minaccia anche Ecate e Proserpina dicendo che potrebbe rivelare i
loro segreti: Ecate che cambia volto nel cielo (Diana, la luna) rispetto a
quello che ha nell’Erebo; e della figlia di Cerere, la donna di Enna racconterà
quae te contagia passam - noluerit revocare Ceres per quali contagi da
te subìti Cerere non ti ha voluto richiamare (il chicco di melograno).
Contro Plutone immittam Titana.il Sole - ruptis cavernis (743),
immetterò i raggi del sole dopo avere rotto le caverne et subito feriēre
die (744) sarai ferito dalla luce improvvisa. Poi minaccia di invocare
un dio misterioso che non teme nulla e osa spergiurare sulle acque di Stige. Un
dio summum cui nomen scire non licet. Un dio innominabile.
Le minacce hanno successo: Protinus astrictus caluit cruor (750),
subito il sangue solidificato si riscaldò atraque fovit - vulnera (750
- 751) e riscaldò le nere ferite e corse per le vene fino alle membra estreme -
et in venas extremaque membra cucurrit (751). Et nova vita
miscetur morti (753 - 754) una nuova vita si mescola alla morte. Tum
omnis palpitat artus - tenduntur nervi (754 - 755), palpita ogni
articolazione, i nervi si tendono.
Il cadavere non si alza dal terreno un poco alla volta ma terra
repulsum est- erectumque semel, fu respinto dalla terra e si rizza in
un colpo solo (756-757). Lumina nudantur distento rictu, gli
occhi si scoprono allargatasi l’apertura delle palpebre
L’uomo assume l’aspetto di uno che sta morendo remanet pallorque
rigorque (759) rimane il pallore e la rigidità et stupet e
appare stupito.
La bocca ancora non parla.
Eritto gli promette che se parlerà con chiarezza nessuno potrà evocarlo di
nuovo. Ne parce, precor: da nomina rebus, - da loca; da
vocem qua mecum fata loquantur (773 - 774, dai un nome ai fatti, da’ i
luoghi, dai una voce con cui il destino parli con me.
Il morto non ha fatto in tempo a vedere tristia Parcarum stamina (777)
i tristi fili delle Parche, però ha visto che una effera Romanos agitat
discordia Manes (780) una selvaggia discordia tiene in agitazione i
morti romani.
Vengono elencati diversi alti magistrati di Roma già morti: vidi Decios
natumque patremque, - lustrales bellis animas (785 - 786), vite espiatorie
delle guerre, flentemque Camillum (786) et Curios, Sullam
de te, Fortuna querentem, poi Scipio deplōrat libycis perituram
–infaustam subŏlem (Metello Scipione); Cato maior Carthaginis
hostis (789) nemico dei Cartaginesi più di Scipione piange il destino del
nipote non disposto a sevire. maeret fata nepotis non servituri.
Solum te, consul depulsis prime tyrannis - Brute, pias inter gaudentem
vidimus umbras (790 - 791), solo te Bruto primo console dopo la
cacciata dei tiranni, abbiamo visto lieto tra quelle ombre pie. –Perché
bruto minore uccoderà Cesare
I sovversivi
Abruptis, Catilina minax fractisque catenis - exultat (793 - 794),
spezzate e frantumate le catene, Catilina minaccioso esulta, Mariique
truces, padre e figlio, nudique Cethēgi (Cetègo
complice di Catilina)
Vidi ego laetantis, popularia nomina Drusos (cari al popolo,
tribuni della plebe graccani promotori della guerra sociali) legibus
immodicos, smodati nelle leggi, ausosque ingentia Gracchos e i
Gracchi che osarono smisurati progetti - e le mani legate da eterni nodi di
acciaio dentro il carcere di Dite, hanno levato applausi - aeternis chalybis
nodis et carcere Ditis - constrictae plausere manus (797 - 798) Camposque
piorum –poscit turba nocens 798 - 799
Plutone prepara pene dure per il vincitore. I campi Elisi invece sono aperti
alla famiglia di Pompeo. Sia Pompeo sia Cesare morranno presto: veniet
quae misceat omnis –hora duces (806 - 807), verrà un’ora a uguagliare
tutti i duci.
Properate mori affrettatevi a morire e disprezzate gli
imperatori divinizzati
L’imperatore
Marco aurelio diceva anche a se stesso: bada di non cesarizzarti, resta l’uomo
semplice e buono che la filosofia ha plasmato-
{ora mh; ajpokaisarwqh'"- (VI, 30). Vivi
semplicemente e piamente. poponiti di essere i[lew", benevolo.
Quem tumulum Nili, quem Thybridis alluat unda
Quaeritur, et ducibus tantum de funere pugna est (810 - 811)
La guerra viene fatta per una tomba.
Voi di Pompeo disgraziati abbiate paura dell’Europa, dell’Africa, dell’Asia: la
fortuna ha assegnato tumuli ai vostri trionfi.
Europam, miseri, Libyamque Asiamque timete:
distribuit tumulos vestris Fortuna triumphis (817 - 818)
Il soldato morto e resuscitato sale sul rogo dove viene bruciato
Eritto allungò la notte mentre il cielo portava il colore della luce.
Così poterono tornare non visti alle tende
Fine VI libro della Pharsalia di Lucano
Anche nel romanzo di Apuleio troviamo terribili maghe
tessale come quella ostessa anziana ma alquanto graziosa che mutò un suo amante
fedifrago in un castoro "quod ea bestia captivitati metuens ab
insequentibus se praecisione genitalium liberat" , poiché questo
animale, temendo di essere preso, si libera dagli inseguitori con il recidersi
i testicoli praecisione genitalium (1, 9), poi aveva fatto altre stregonerie
comportandosi quale emula di Medea (1, 10), l’allieva di Ecate.
Senza contare Panfile la padrona di casa che diventa un uccello e Lucio che,
cosparso con un unguento sbagliato sottratto a Panfile dall’ancella Fotide ,
diventa asino. La prima parte dell’Asino d’oro è ambientata in
Tessaglia.
[1] Bradley, La tragedia di Shakespeare, p. 418.
La tematica dell’orrore. Seneca, Albertino Mussato e
Shakespeare
“Shakespeare, ‘simile al mondo ed alla vita’, secondo
Kott, riprende la tematica senecana dell'orrore, e l' atrocità
shakespeariana non stupisce, non ci è mai lontana. Titus
Andronicus, Riccardo III , si ritrovano in Medea e Thyestes.
Da Titus Andronicus fino ad Amleto, fino alla
crudeltà senza nome della morte di Cordelia. In Shakespeare, il teatro di
sangue che porta l'insegna senecana, raggiunge il suo punto culminante"[1].
Fu Albertino Mussato (1261 - 1329), allievo di Lovato Lovati (1241 - 1309), il
promotore del cosiddetto preumanesimo padovano, "il primo scrittore
moderno che volle imitare le tragedie di Seneca. Mussato, scopritore di un
"Seneca tragicus" (Ecerinis [2]) sotto la descrizione dei crimini di Ezzelino[3], rappresenta i crimini del suo contemporaneo Cangrande della Scala[4], il tiranno di Verona e cerca il suo modello nei temi di orrore e di
sangue delle tragedie di Seneca (…) Si inizia la traiettoria moderna di un
Seneca tragicus (…) che culmina nella esposizione che ci offre Shakespeare
in Titus Andronicus, opera degna del Tieste o
della Medea.
L’ esposizione tematica del teatro della crudeltà viene così formulata:"I
must talk of murders, rapes and massacres/Acts of black night, abominable
deeds,/ Complots of mischief, treason, villainies/ Ruthful to hear, yet
piteously performed " (V, 1, 63 - 66)"[5], io devo parlare di assassinii, stupri e massacri, atti della nera notte,
azioni abominevoli, complotti del demonio, tradimenti, malvagità, penosi a
udirsi, eppure eseguiti in modo da fare pietà.
Sono parole di Aaron il moro amato da Tamora.
Vediamo ora l’orrore nella Medea di Seneca
Medea rivolge una preghiera nera anche alla luna perché si faccia vedere facie lurida (790),
con aspettto squallido: "Sic face tristem pallida lucem/ funde per
auras,/horrore novo terre populos/inque auxilium, Dictynna[6], tuum/pretiosa sonent aera Corinthi" (Medea,
vv. 792 - 796), Così con la fiaccola pallida devi versare una luce funesta per
l'aria, così con un raccapriccio inaudito terrorizzare le genti, Dictinna, e in
tuo aiuto risuonino i preziosi bronzi di Corinto.
Il rumore dei bronzi doveva fare riapparire la luna eclissata.
La fiaccola funerea torna nei versi successivi: "Tibi sanguineo
caespite sacrum/solemne damus, /tibi de medio rapta sepulcro/ fax nocturnos
sustulit ignes,/ tibi mota caputflexa voces/ cervice dedi,/tibi funereo de more
iacens/passos cingit vitta capillos,/tibi iactatur tristis Stygia/ramus ab
unda, tibi nudato/pectore maenas/ sacro feriam bracchia cultro" (vv.
797 - 807), a te offriamo un sacrificio solenne su zolla insanguinata, per te
la fiaccola sottratta al sepolcro ha alzato fuochi notturni, per te scossa nel
capo, piegato il collo ho pronunciato le formule, per te, disposta secondo il
rito funereo, una benda mi cinge gli sparsi capelli, per te viene agitato il
lugubre ramo portato dall'onda Stigia, per te a petto nudo, come una Menade, mi
ferirò le braccia col sacro pugnale.
L'anafora del tibi ossessivamente ripetuto significa la
devozione totale di Medea a questa dea .
Lo scuotimento della testa e la torsione del collo significa lo stato selvaggio
della donna e ricorda un gesto della menade di Euripide: "truferovn
te plovkamon eij" aijqevra rJivptwn" (Baccanti ,
v. 150) che scaglia la molle chioma su nell’aria. Un ricordo che ho ravvisato
anche in un quadro di Picasso del 1922 Deux femmes courant sur la plage .
Il ferimento del proprio corpo apre la via a quello dei figli: Medea prende
dalla vista del suo sangue versato da lei stessa la spinta a spargere quello
dei bambini:"Manet noster sanguis ad aras:/ assuesce, manus, stringere
ferrum/ carosque pati posse cruores - /sacrum laticem percussa dedi"
(vv. 807 - 811), il nostro sangue cola sull'altare: abìtuati, mano, a snudare
la spada e a poter sopportare il sangue dei cari. Colpita ho versato il liquido
sacro.
Medea si rende conto di contare troppo su Ecate e se ne scusa: il motivo
dell'ossessione è sempre l’uomo che l’ha abbandonata: "Quodsi nimium
saepe vocari/quereris votis, ignosce, precor:/causa vocandi, Persei,
tuos/saepius arcus/ una atque eadem est/semper, Iason" (vv. 812 -
816), e se ti lamenti di essere invocata spesso, perdonami, ti supplico: la
causa dell'invocare troppo spesso il tuo arco, figlia di Perse, è sempre una e
la stessa, è sempre Giasone.
“Per moltissimi aspetti, il teatro di Seneca si prestava a incontrare una sua
grande fortuna in epoca barocca. Dacché è un teatro di grandiose passionalità,
di smisurate aspirazioni, di crolli risonanti, di cruente sensazionalità e di
ipertrofie retoriche"[7].
Do un altro esempio di cruenta sensazionalità senecana: nel Thyestes il
nunzio racconta lo scempio compiuto da Atreo sui nipoti cotti quali vivande per
il loro padre:"Stridit in verubus iecur;/nec facile dicam, corpora an
flammae gemant" (vv. 770 - 771), stride sugli spiedi il fegato, e non
potrei dire facilmente se gemano i corpi o le fiamme.
Quindi:"lancĭnat gnatos pater,/artusque mandit ore funesto suos"
(vv, 778 - 779), il padre dilania i figlioli e con bocca sepolcrale mastica gli
arti che sono suoi.
Meno particolareggiata e compiaciuta dell'orrifico è la tecnofagia vista dalla
pur furibonda Cassandra nell' Agamennone di Eschilo. La donna
invasata vede i bambini di Tieste che piangono la propria uccisione e le loro
carni cotte (ojptav" te savrka" ) divorate dal padre (v. 1097).
[1] George Uscatescu, Seneca e la tradizione del teatro di sangue,
"Dioniso" 1981, p. 387.
[2] Del 1314 .
[3] 1194 - 1259 Crudelis ut Nero (ndr)
[4] 1291 - 1329.
[5] George Uscatescu, op. cit,. p. 374
[6] Come la casta diva Artemide significa anche la luna.
[7] Marcello Pagnini, Seneca e il teatro elisabettiano, in
"Dioniso" LII, 1981, p. 409.
La paura della donna (metus mulieris, genitivo
soggettivo e oggettivo)
Tito Livio, Shakespeare, Seneca, Euripide, Giovenale
Catone il Vecchio si opponeva al lusso e alla libertas femminile da
lui intesa già come licentia [1]. E' la paura della donna a suggerire al Catone di Tito
Livio alcune parole sulla necessaria sottomissione della femina
al fine di tenere sotto controllo una natura altrimenti riottosa .
Così si esprime il Censore quando parla, nel
Sentiamo anche il lunatico Re Lear (dramma del 1605)
di Shakespeare: "Guardate quella signora che sorride in modo
affettato, la cui faccia fa presagire neve dove il corpo si biforca whose
face between her forks -latino furca - presages latino presagium
- snow, che pronuncia con affettazione virtù that minces virtue
(lat. minutia e virtus)
e scuote il capo and does shake the head a sentir
nominare il piacere to hear - ajkouvw - of pleasure’s - placēre - name - nomen, o[noma - ; la puzzola e il cavallo nutrito d'erba fresca non vanno là (alla
lussuria) con un appetito più sfrenato with a more
riotous appetite - appetitus - appĕtere.
Sotto la vita esse sono centauri, sebbene donne nella parte superiore (down from
the waist they are centaurs, though women all above); solo fino alla
cintola esse sono eredi degli dèi but to the girdle do the
gods inherit (lat. heres); sotto è tutta del
demonio beneath is all the fiend’s : lì c'è l'inferno, lì ci
sono le tenebre there’s hell, - allied to cell small
room, latino cella, stanzuccia - there’s dark, lì c'è il
pozzo solforoso the sulphourous pit - puteus che brucia,
che scotta, c'è il fetore (stench), c'è la consunzione" (King
Lear, IV, 6).
Questa svalutazione e svilimento del corpo femminile, necessario a chi voglia
liberarsi dall'irrazionale soggezione alla libidine erotica, si trova nel Secretum
del Petrarca quando S. Agostino che vuole liberare l'animo
di Francesco dai due errori più pericolosi, l'amore per la gloria e l'amore per
Laura, mette in guardia il poeta dai pericoli connessi alla bellezza delle
donne, effimera e ingannevole se non addirittura inesistente:"Pauci
enim sunt qui, ex quo semel virus illud illecebrose voluptatis imbiberint, feminei
corporis feditatem de qua loquor, sat viriliter, ne dicam satis
constanter, examinent " (III, 68), sono pochi quelli che, da
quando una volta sola abbiano assorbito quel noto veleno del piacere seducente,
possono considerare abbastanza energicamente, per non dire con sufficiente
costanza, la laidezza del corpo femminile.
Si può ricordare anche la terribilità di Medea nella tragedia di Euipide, deinhv tremenda e furente; il furor stesso incarnato, in
quella di Seneca che abbiamo già ricordato.
Quindi Fedra, un’altra nipote del Sole in quanto sua
madre Pasife è figlia del sole come Eeta, il padre di Medea. Le due perciò sono
cugine
Aggiungo un paio di citazioni:
Sentiamo anche
Anche
Un'eco di questa situazione si trova nelle Metamorfosi di
Ovidio dove Medea cerca di contrastare, senza successo. la passione per
Giasone " et luctata diu, postquam ratione furorem/ vincere non
poterat, "Frustra, Medea, repugnas." (VII, vv. 10 - 11), e dopo
avere combattuto a lungo, dacché non poteva vincere la follia amorosa con la
ragione, disse "ti opponi invano".
Pochi versi più avanti questa Medea di Ovidio aggiunge:"sed trahit
invitam nova vis, aliudque cupido,/mens aliud suadet: video meliora proboque/,
deteriora sequor! quid in hospite, regia virgo,/ureris et thalamos alieni
concipis orbis?" (VII, vv. 19 - 22), ma contro voglia mi trascina una
forza mai sentita, altro consiglia il desiderio, altro la mente: vedo il meglio
e l'approvo, seguo il peggio! Perché ragazza figliola di re ti infiammi per uno
straniero, e desideri il talamo di un mondo estraneo?
Voglio introdurre un nuovo autore del quale non abbiamo ancora parlato: un
tradizionalista latino attivo nei primi decenni del II secolo: Giovenale (55 -
140 d. C.).
Ci sono arrivate 16 satire piene di sdegno per i mutati costumi rispetto al
tempo antico: “si natura negat, facit indignatio versum” (I, 79)
La sua indignatio flagella, tra gli altri, gli omosessuali i
quali De virtute locuti clunem agitant (II, 20 - 21), poi
l’ingiustizia: Dat veniam corvis, vexat censura columbas (II, 63),
quindi i graeculi tuttologi e
affamati "omnia novit/ Graeculus esuriens; in caelum, iusseris, ibit"
(III, vv.77 - 78), e commedianti “natio comoeda est” (III, 100).
Non manca la satira contro le abbuffate mostruose:
Comedunt patrimonia una mensa (I, 138 ) su una sola mensa divorano
interi patrimoni. Poi vanno in bagno con il pavone non digerito nel ventre e
muoiono
quanta est gula quae sibi totos
ponit apros, animal propter convivia natum
poena tamen praesens cum tu deponis amictus
turgidus et crudum pavonem in balnea portas
hinc subitae mortes atque intestata senectus (140 - 143)
Davanti a tanto decadimento difficile est saturam non scribere (
I, 30).
L’imperatore Adriano nel romanzo della Yourcenar lo mandò in esilio dopo
questo giudizio:"ne avevo abbastanza di quel poeta ampolloso e
corrucciato, non mi piaceva il suo grossolano disprezzo per l'Oriente e
La satira VI di 660 versi è diretta contro le donne.
Faccio solo qualche citazione caustica
L’autore afferma che la donna romana del suo tempo si sarebbe accontentata più
facilmente di un occhio che di un maschio solo:"unus Hiberinae vir
sufficit? ocius illud/extorquebis, ut haec oculo contenta sit uno "
(vv. 53 - 54 ) a Iberina basta un maschio solo? Più in fretta otterrai con la
forza che si accontenti di un occhio solo.
Dalla requisitoria di Giovenale contro le donne si evince che il male deriva
dal vertice del potere: Messalina viene presentata attraverso un ritratto
espressionistico, deformante verso lo squallore: ogni volta che si accorgeva
che Claudio dormiva, la meretrix Augusta (VI, 119) lo
lasciava, indossato un cappuccio notturno, e accompagnata da una sola ancella.
Poi, nascondendo il nigrum crinem (v. 120) sotto una parrucca
bionda, entrava nel lupanare, riparato dal freddo con una vecchia tenda fatta
di stracci cuciti insieme ("veteri centone [6] ", v. 121). Lì aveva una cella riservata: "tunc nuda
papillis/prostitit auratis titulum mentita Lyciscae/ostenditque tuum, generose
Britannice, ventrem!" (vv. 122 - 124), allora si metteva in vendita
nuda con i capezzoli dorati facendo passare per suo il cartello di Licisca[7], e mostrava il ventre da cui eri nato tu, nobile Britannico![8].
Questa satira si chiude con l'affermazione che fra le tragiche mogli incontrate
nel dramma greco, quelle ottime come Alcesti, a Roma non esistono: "Spectant
subeuntem fata mariti/Alcestim, et similis si permutatio detur,/morte viri
cupiant animam servare catellae!" (vv. 653 - 655), a teatro osservano
Alcesti che si sobbarca il destino di morte del marito, ma se si desse la
possibilità di un simile scambio, desidererebbero con la morte del marito
salvare la vita della cagnetta. Di Clitennestre invece ce n'è dappertutto e
queste di Roma sono armate più e meglio della Tindaride.
La moglie della satira sesta quando si trova sulla nave dove l’ha fatta salire
il marito, gli vomita addosso, se invece segue l’amante, sta bene di stomaco,
pranza in mezzo ai marinai, passeggia per la poppa e gode nel maneggiare le
dure funi: “quae moechum sequitur, stomacho valet; illa maritum/convomit;
haec inter nautas et prandet et errat/per puppem et duros gaudet tractare
rudentis” (vv. 100 - 102)
Sempre nella satira sesta, viene presentata come un incubo la
verbosità femminile:"cedunt grammatici, vincuntur rhetores, omnis/turba
tacet, nec causidicus nec praeco loquetur,/altera nec mulier; verborum tanta
cadit vis,/tot pariter pelves ac tintinnabula dicas/pulsari; iam nemo tubas,
nemo aera [9] fatiget:/una laboranti poterit succurrere Lunae", (vv. 438 - 443) si arrendono i grammatici, sono sconfitti i
retori, tutta/ la folla tace, né l'avvocato né il banditore parlerà,/ né
un'altra donna; cade una colossale quantità di parole,/che si direbbe che
altrettanti catini e sonagli/ vengano percossi; nessuno oramai affatichi le
trombe e gli ottoni:/una donna sola potrà soccorrere la luna in travaglio.
Giovenale trova scusabili Fedra e Medea se confrontate con tante donne romane
La pazzia con ira e rabies secondo Giovenale
rendono meno esecrabili , i crimini di Medea e Procne assassine dei propri
figli rispetto ai delitti delle matrone romane perpetrati per denaro o per il
potere:"et illae/grandia monstra suis audebant temporibus, sed/non
propter nummos. minor admiratio summis/ debetur monstris, quotiens facit ira
nocentem /hunc sexum et rabie iecur incedente feruntur/praecipites…
(VI, 644 - 649), anche quelle ai loro tempi osavano grandi mostruosità, ma non
per denaro. Meno stupore si deve alle mostruosità somme, tutte le volte che è
l'ira a rendere assassino questo sesso ed esse sono trascinate a precipizio
dalla rabbia furiosa che brucia il fegato.
[1] Livio, XXXIV, 2, 11 - 14.
[2] Vietava tra l'altro di indossare vesti multicolori o di girare per
Roma su un cocchio a doppio traino di cavalli.
[3] Evidentemente la parità fa paura ai maschi. Lo aveva già
detto Marziale (40 ca - 104 d.C.) nella clausula di
un suo epigramma:" Inferior matrona suo sit, Prisce, marito:/non
aliter fiunt femina virque pares " (VIII, 12, 3 - 4), la moglie,
Prisco, stia sotto il marito: non altrimenti l'uomo e la donna diventano pari.
[4]Tito Livio, Storie , XXXIV, 3, 2.
[5] Memorie di Adriano, p. 217.
[6] Il cento e il titulus del v. 123 li
abbiamo già trovati nel bordello del Satyricon
[7] . Licisca, ragazza lupa, era un nome comune per le prostitute che
mettevano un cartello con il nome e il prezzo.
[8] Britannico era il figlio di Claudio e Messalina fatto uccidere da
Nerone.
[9]Il rumore di catini e campanelli doveva cacciare gli spiriti cattivi che
provocano l'eclissi.
Plutarco (50 - 125 circa) nelle tragedie di
Shakespeare (1564 - 1616)
Alcune tragedie di Shakespeare (il Giulio Cesare, l'Antonio e
Cleopatra, il Coriolano ) dipendono da Plutarco che il drammaturgo
inglese leggeva nella traduzione (del 1579) di Thomas North fatta su quella
francese (del 1559) del vescovo Amyot che tradusse pure i Moralia (1572)[1].
Nonostante la doppia traduzione ci sono, soprattutto nel Coriolano ,
situazioni e frasi che riproducono gli originali di Plutarco, tanto che Elias
Canetti in un passo[2] de La provincia dell'uomo , afferma che "
Plutarco non è affatto schizzinoso. Nelle sue pagine accadono cose terribili,
come nelle pagine del suo seguace Shakespeare".
Shakespeare, Giulio Cesare (1599 - 1600)
Il potere non vuole che gli uomini siano snelli e pensino.
Cesare dice ad Antonio: “Let me have men about me that are fat/sleek -
headed men, and such as sleep a - nights. - Yond Cassius - has a lean and
hungry look;/he thinks too much; such men are dangerous”, intorno a me ci
siano uomini grassi con la testa curata e che dormano la notte ( Giulio
Cesare, I, 2, 191 - 194), quel Cassio ha l’aria dello snello affamato;
pensa troppo; uomini del genere sono pericolosi.
Quindi Cesare aggiunge: Would he were fatter” (I, 2), vorrei che
fosse più grasso. Legge molto, è un grande osservatore, sa scrutare. Non lo
temo ma se il mio animo fosse soggetto al timore, non conosco uomo che eviterei
più prontamente di quell’asciutto Cassio as that spǎre Cassius. Tra l’altro he loves
no plays, as tou dost, Antony; he hears no music (I, 2, 197 sgg.)
Forse anche Cassio considera la musica “politicamente
sospetta”, come il Settembrini della Montagna incantata di T.
Mann
Disse che non gli piaceva ascoltare la musica a comando e quando puzzava
di farmacia e veniva inflitta per ragioni sanitarie. - La musica è qualcosa di
non completamente articolato, di ambiguo, di irresponsabile, di indifferente.
Nutro nei confronti della musica un’avversione politica: l’ho in sospetto di
quietismo. Settembrini è un cultore della parola doppiamente articolata in
significanti e significati.
La musica deve essere preceduta dalla letteratura. Da sola è pericolosa e
non fa progredire il mondo. E’ ambigua e politicamente sospetta
Può fare l’effetto degli oppiacei che provocano servile ristagno[3].
Settembrini dunque nutre il sospetto che la musica sia reazionaria
Del resto Platone nella Repubblica sostiene che
l’educazione deve constare di ginnastica e musica perché il ragazzo non rimanga
più molle né più rozzo del necessario. (tou' devonto"). Certamente la musica deve essere educativa, armoniosa, ordinata, deve
contenere il lovgo", non indurre
a disordinate trasgressioni.
Lo scopo della ginnastica è la formazione del coraggio. Anche la ginnastica
forma l’anima. Quelli che usano solo ginnastica però sono ajgriwvteroi
tou' devontoς, quelli che praticano solo la musica sono malakovteroi (410 d)
Cesare non teme Cassio anche se Cassio è da temere: I rather tell thee
what is feared - rather than I fear; for always I am Caesar (I, 2,
197). Cfr. Medea superest ( Seneca, Medea, v.
166) , e I am Antony yet ( Antonio e Cleopatra
III, 13).
Ora sentiamo Plutarco
Cesare sospettava di lui. Una volta disse agli amici: “ tiv
faivnetai boulovmenoς uJmi'n Kassioς ; ejmoi; me;n ga;r ouj livan
ajrevskei, livan wjcro;ς w[n” (Vita di Cesare, 62, 10), che cosa vi sembra che
voglia Cassio? A me infatti non piace troppo, è troppo pallido.
Un’altra volta che sentì accusare di sedizione Antonio e Dolabella, Cesare
disse: “ouj pavnu touvtouς devdoika tou;ς pacei'ς kai; komhvtaς , ma'llon de; tou;ς wjcrou;ς kai; leptou;ς ejkeivnouς”, Kavssion levgwn kai; Brou'ton (62, 10),
non ho paura di questi che sono grassi e con i capelli curati,
ma piuttosto di quelli pallidi e magri, intendendo Bruto e Cassio.
Lo stesso concetto, con parole non tanto diverse scrive Plutarco
nella Vita di Bruto (8, 2): kai;
prw'ton me;n j Antwnivou kai; Dolobevlla legomevnwn newterivzein, oujk
e[fh pacei'" kai; komhvta" ejnoclei'n aujto;n ajlla; tou;"
wjcrou;" kai; ijscnouv" , di Antonio
e Dolabella si diceva che complottavano, e Cesare disse subito che non lo
turbavano gli uomini grassi e capelluti ma quelli pallidi e snelli
Il potere non si associa alla pietà e al rimorso
All’inizio del II atto, Bruto dice: th’abuse of greatness is when it
disjoins - latino disiungo - remorse from power, l’abuso della
grandezza avviene quando essa disgiunge il romorso dal potere (Giulio Cesare,
II, 1, 18 - 19).
Cfr. l’ Aiace di Sofocle quando Odisseo dice che non odia più
il nemico morto, lo faceva quando odiarlo era cosa nobile in quanto Aiace era
nemico “ [egwg j ejmivsoun d’ hJnivk j h\n misei'n kalovn (1347).
Agamennone risponde: to;n toi tuvrannon eujsebei'n ouj rJa/dion” 1350), non è facile che un uomo di potere abbia pietà.
Le tante parole neolatine in Shakespeare
Quanto alla citazione manzoniana tratta dal “barbaro che non era privo
d’ingegno” (“tra il primo pensiero d’una impresa terribile, e l’esecuzione di
essa l’intervallo è un sogno pieno di fantasmi e di paure, I promessi
sposi, VII cap,), l’inglese di Shakespeare in certi momenti è più vicino al
latino di quanto lo sia l’italiano di Manzoni il codificatore della lingua
media scritta: “between the acting (ago, actus tra
l’attuazione) of a dreadful thing and the first motion (cfr. motio e motus di
una cosa spaventosa e il primo impulso), all the interim (è
l’avverbio latino interim=nell’intervallo) is like
a phantasma (greco favntasma, lat phantasma) or a hideous (lat. hispidus) dream,
orrendo sogno (Giulio Cesare, II, 1, 63 - 65)
E’ Bruto che ha parlato a se stesso.
[1]Traduzioni approvate, da Montaigne che, qualche anno più tardi, scrive
nei Saggi:" Io do giustamente, mi sembra, la palma a Jacques
Amyot su tutti i nostri scrittori francesi, non solo per la semplicità e la
purezza del linguaggio, nella quale supera tutti gli altri, né per la costanza
di un così lungo lavoro, né per la profondità del suo sapere, poiché ha potuto
volgarizzare così felicemente un autore tanto spinoso...ma soprattutto gli sono
grato di aver saputo discernere e scegliere un libro tanto degno e tanto
appropriato per farne dono al suo paese. Noialtri ignoranti saremmo stati
perduti se questo libro non ci avesse sollevato dal pantano; grazie a lui,
osiamo ora e parlare e scrivere; le signore ne dànno lezione ai maestri di
scuola; è il nostro breviario"(II, 4, pp. 467 - 468).
[2]In Opere 1932 - 1973 , trad. it. Bompiani, Milano, 1990,
p. 1812.
[3] T. Mann,
La congiura contro Cesare. Il coraggio di Porzia,
moglie di Bruto e il darsi animo di Cesare. L’uccisione di Cesare
I congiurati decidono di tenere fuori Cicerone
Bruto dice l’ Arpinate che non seguirà mai una cosa iniziata da altri, e Casca:
“indeed he is not fit” - latino factus (
Shakespeare, Giulio Cesare, II, 1, 153) non è adatto.
Plutarco nella (Vita di Bruto, 12, 2) racconta che a Cicerone
il progetto non fu reso noto poiché era ejndeh;ς tovlmhς fuvsei difettoso di audacia per natura e con l’età aveva assunto per giunta
la tipica cautela dei vecchi gerontikh;n eujlavbeian.
Poi escono i congiurati ed entra Porzia cugina e moglie di Bruto, e pure
figlia di Catone, zio di Bruto.
Chiede a Bruto di essere messa al corrente di quanto hanno tramato quei sei o
sette uomini who hide - greco keuvqein
- their faces - even from darkness (II, 1, 277 - 278) che nascondevano i volti perfino all’oscurità.
Domanda al marito: “dwell I
but in the suburbs - of your good pleasure”? (285 - 286), abito io solo alla periferia del tuo piacere?.
Quindi dice a Bruto: “ sono una donna, ma una donna ben reputata (well reputed
- latino repǔto 295). Sono figlia di Catone.
Non credi che sia più forte del mio sesso con un tale padre e un tale marito?
Ho dato una forte prova della mia costanza (I have made strong proof – latino proba,
probo - of my constancy - procurandomi una ferita volontaria sulla
coscia giving myself a voluntary - latino voluntarius
- wound –here. in the thigh. Posso sopportare questa con coraggio e
non i segreti di mio marito?”.
Bruto allora disse: o dei rendetemi degno di questa nobile moglie! (Giulio
Cesare, II, 1, 299 - 301).
Cfr. Plutarco (13). Porzia si era ferita a una coscia con uno di quei
coltelli che usano i barbieri per tagliare le unghie. Disse: sono figlia di
Catone e moglie di Bruto e dicendo così deivknusin aujtw'/ to;
trau'ma kai; dihgei'tai thn pei'ran, gli mostra la
ferita e gli racconta la prova (Vita di Bruto, 13, 11).
Per quanto riguarda il darsi animo dei personaggi tragici, Giulio Cesare
dice alla moglie Calpurnia spaventata dai presagi: “The things
that threatened (latino trudo, trusi, trusum,
spingo) me - ne’er looked but on my back; when they shall see -
the face (lat. facies), of Caesar, they
are vanished” (lat. vanesco) (II, 2, 10 - 12), le
cose che mi hanno minacciato, hanno visto soltanto la mia schiena, quando
vedranno la faccia di Cesare saranno svanite
E poco dopo Cesare conclude che non resterà a casa: “Danger knows full well
–that Caesar is more dangerous than he” (II, 2, 44 - 45), il pericolo sa
bene che Cesare è più pericoloso di lui.
Cesare dice all’indovino: The ides of March are come - e quello
risponde: “Ay Caesar, but not gone”, sì ma non sono passati. (III, 1, 1
- 2)
E in Plutarco: Cesare entrando in senato salutò l’indovino e gli
disse aiJ me;n dh; Mavrtiai Eijdoi; pavreisin, le Idi di Marzo sono qui; e quello con calma (hJsuch'/) naiv, pavreisin, ajll j ouj parelhluvqasi (63) sì, ma non sono trascorse.
Nel Giulio Cesare III, 1, 78 il dittatore domanda in
latino” Et tu Brute? Then fall Caesar!
In Svetonio Cesare fa: Kai; su; tevknon ; (Caesaris Vita, 82). Forse allude al fatto che Servilia, la
madre di Bruto, sorella di Catone Uticense era stata amante di Cesare il quale
si era persuaso che Bruto fosse suo figlio ( Plutarco, Vita di Bruto, 5,
2.).
Le metafore nautiche sono frequenti nella letteratura
antica
Sentiamone una nel Giulio Cesare (IV, 3, 217 - 220): “There
is a tide in the affaire of men, c’è una marea nelle cose degli uomini
(qui tide del resto svolge pure la funzione di kairovς, l’occasione, il momento opportuno) which taken at the flood,
leads on to fortune, che presa nel flusso, conduce al successo, omĭtted (lat. omitto lascio
perdere) all the voyage of their life is bound in shallows and
in miseries, tutto il viaggio della loro vita è arenato in secche e
disgrazie (lat. miseriae).
E’ Bruto che parla con Cassio il quale vorrebbe procrastinare la battaglia
decisiva.
Per quanto riguarda il nesso con l’occasione, questa volta ricordo Isocrate il
quale prescrive: tw'n kairw'n mh; diamartei'n (Contro i sofisti , 16), di non fallire l'occasione.
L’argomento dell’occasione torna nell’ Antonio e Cleopatra (1607)
dove Menas disprezza Sesto Pompeo che non vuole sfruttare l’occasione di
ammazzare i tre compropietari del mondo three world - sharers ospiti
nella sua nave e dice a se stesso: “I’ll never follow thy pall’d fortune
more - who seeks and will not take, when once ‘tis offer’d - shall never find
it more” (II 7, 81 - 83), non seguirò più la tua svigorita fortuna:
chi cerca e non prende una cosa quano gli viene offerta, non la troverà più.
I due Cesaricidi hanno fatto una discussione nella quale il mio maestro di
letteratura inglese Carlo Izzo ha rilevato una “drammaticità tonale” quando
Bruto accusa Cassio di avere affermato di essere miglior soldato di lui e
Cassio risponde
“You wrong me every way; you wrong me, Brutus/I said
an elder soldier, - old da una radice indoeuropea *al - che
si vede in lat. alo, nutro - not a better:/did I say
better?” (Giulio Cesare, IV, 3, 55 - 56), tu mi fai torto un
ogni modo, tu mi fai torto, Bruto: ho detto un soldato più anziano, non migliore;
ho detto forse migliore?
L’uomo teme di essersi lasciato trasportare dall’ira e la battuta contiene il
tono con cui va pronunciata,
Una notte in cui Bruto non riusciva a dormire, vide una mostruosa apparizione (monstruos
apparition, Giulio Cesare, IV, 3, 276). Le chiede se
fosse some angel or some devil, che rende freddo il
sangue e fa rizzare i capelli.
Lo spirito risponde Thy evil (probably allied to over,
über, uJpevr, super, quindi
eccessivo) spirit - spiritus soffio, Brutus, il
tuo cattivo genio (281)
Bruto gli chiede Why com’st thou?
E The Ghost: To tell
thee thou shalt see me at Philippi.
E Bruto“Why, I will see thee at Philippi then”
(Giulio Cesare, IV, 3, 282 - 283 )
In Plutarco, Bruto ebbe la visione spaventosa di un uomo orribile
per grandezza e dall’aria feroce o[yin ei\de
fobera;n ajndro;ς ejkfuvlou to; mevgeqoς kai; calepou' to; ei\doς ( Vita
di Cesare, 69, 10).
Gli chiese chi fosse, e il fantasma rispose:
“oJ so;ς w\ Brou'te daivmwn kakovς: o[yei dev me peri; Filivppouς” ( Vita
di Cesare 69, 11).
Allora Bruto coraggiosamente rispose ti vedrò. Tovte
me;n ou\n Brou'toς eujqarsw'ς –“o[yomai” ei\pe.
Parole molto simili si trovano nella Vita di Bruto ( kai; oJ
Brou'to" ouj diataracqei;" “oyomai” ei\pen 36, 7)
In Giulio Cesare V, 1, 10 Antonio usa un efficace
ossimoro: fearful bravery, pauroso ardire. a proposito dei nemici,
i Cesaricidi che vogliono mostrare, simulando, di avere coraggio
Poco dopo ( 34 - 35) Cassio dice ad Antonio venuto a parlamentare your
words - verba - they rob the Hybla bees and leave them honeyless, le tue
parole derubano le api di Ibla e le lasciano senza miele.
La fioritura di Ibla è ricordata nel Pervigilium
Veneris (vv. 49 - 52), un carme anonimo di 93 settenari trocaici,
forse del IV secolo Hybla totos funde flores, quidquid annus adtulit/ Hybla
florum sume vestem, quantus Aetnae campus est (51 - 52), Ibla diffondi
tutti i fiori che il nuovo anno portò, Ibla prendi una veste di fiori per
quanto si distendono i campi dell’Etna. Venere assistita dalle Grazie vuole che
il suo tribunale sia colmo di fiori iblei. Il monte Ibla è in Sicilia ma le api
sono tutte iblèe.
Il monte Ibla era famoso per il miele delle sue api. Nella I ecloga di Virgilio
il fortunatus senex Titiro che ha conservato il sio podere
grazie a una raccomandazione potrà rimanere inter flumina nota et
fontes sacros e vicino alla saepes Hyblaeis apibus
depasta florem salicti v. 54 divorate dalle api iblèe del
fiore del salice. Queste gli concilieranno il sonno con lieve sussurro (vv. 51
- 55)
Antonio ribatte dicendo di avere lasciato il pungiglione alle api.
Ma Bruto replica che ha preso anche quello e pure il loro ronzio (buzzing)
e prima di pungere astutamente minaccia (and very wisely threat before you
sting, 38)
Bruto salutando Cassio suicida dice: “The last of all the Romans, fare the
well! (Giulio Cesare, V, 3,
99).
Cassio è stato definito l’ultimo dei Romani da Cremuzio Cordo.
Tacito negli Annales ricorda i misfatti della tirannide di
Tiberio quando i libri degli oppositori venivano condannati: “Cornelio Cosso
Asinio Agrippa consulibus, Cremutius Cordus postulatur novo ac tunc primum
audito crimine, quod editis annalibus, laudatoque M. Bruto, C. Cassium
Romanorum ultimum dixisset” ( IV, 34), sotto il consolato di Cornelio Cosso
e Asinio Agrippa[1] viene citato in giudizio Cremuzio Cordo per un delitto nuovo e
sentito allora per la prima volta: pubblicati degli Annali con
la celebrazione di M. Bruto, egli aveva chiamato Cassio l'ultimo dei Romani.
Si ricordino anche i casi di alti storoiografi martiri: Tito Labieno sotto
Augusto e Trasea Peto con Nerone .
Bruto dice a Clito che gli ha riferito della cattura o dell’uccisione di
Statilio avvicinatosi al campo nemico per contare i morti: “slaying is the
word; - it is deed in fashion - latino factio diritto
di fare e partito - ” (V, 5, 6 - 7), uccidere è la parola; è un’azione che va
di moda.
Quindi Bruto si uccide aiutato da Stratone, e Antonio ne fa l’elogio funebre:
era il più nobile di tutti quelli, tutti cospiratori tranne lui: “This was
the noblest Roman of them all - all the conspirators - lat conspīro
- save - lat salvus - only he” (Giulio Cesare, V, 5, 68
- 69)
Nella Vita di Bruto, Plutarco scrive che molti sentirono
dire da Antonio che Bruto tra i cesaricidi era l’unico spinto da nobili ideali;
gli altri avevano ordito il complotto misou'ntaς kai; fqonou'ntaς (Vita di Bruto, 29, 7) per odio e per
invidia.
Leopardi nel Bruto minore del 1821 fa dire a Bruto in procinto
di uccidersi “stolta virtù” (16)
Guerra mortale, eterna, o fato indegno, - teco il prode guerreggia, - di cedere
inesperto[2] (8 - 40)
“ In peggio - precipitano i tempi; e mal s’affida - a putridi nepoti -
l’onor d’egregie menti” (112 - 115).
Il pathos è un elemento della ragione.
Cesare quale scrittore “tucididèo”, ossia razionale, alieno dal mu'qo".
Cfr. il passaggio del Rubicone di Cesare in Svetonio, molto diversi dal quello
raccontato nel De bello civili dove Cesare
Un uomo che suonava il flauto, afferrò una tromba, diede il segnale di
battaglia e si diresse all’altra riva.
Allora Cesare : “eatur, inquit, quo deorum ostenta et inimicorum iniquitas
vocat. Iacta alea esto” (Svetonio, Caesaris vita, 32).
Nella sua opera sulla Guerra civile, questo condottiero non fa
cenno a quell’ispirazione divina a cui i suoi contemporanei ricondussero la sua
grande decisione della notte fra il 10 e l’11 gennaio: il passaggio del
Rubicone. Il Cesare di tutti noi, è, ancor oggi, l’uomo che disse allora: “il
dado è tratto”; questo non è il Cesare del Bellum civile, ma il
Cesare delle Historiae scritte dal suo ufficiale più
“indipendente” e acuto: Asinio Pollione.
Nel suo racconto Cesare aveva voluto esporre le ragioni storico - giuridiche
della decisione presa, “condensate” in un’arringa ai soldati (B. C. I,
7)”[3].
Ne De bello civili, Caesar apud milites contionatur ,
e denuncia il fatto che nella repubblica si sia introdotto novum
exemplum…ut tribunicia intercessio armis notaretur atque opprimeretur” (I,
7), il veto dei tribuni veniva censurato e soffocato con le armi. Perfino Silla
che aveva spogliato la tribunicia potestas, tamen intercessionem
liberam reliquisse. Bisognava dunque andare a Roma per ripristinare la
legalità.
“Asinio, che ancora portava nell’animo il ricordo fascinoso del capo, e
tuttavia voleva a suo modo esercitare una critica “indipendente”, dipinse
invece un “passaggio del Rubicone” in cui il lettore ritrovava ancora l’ansia e
la gravità di quella decisione suprema”. Il racconto di Asinio lo ricostruiamo
attraverso storici più tardi[4]. “Tra il racconto di Cesare, scritto forse verso il
Cesare “Non permetteva, anche se ciò possa deluderla, che il suo cuore
disponesse della sua testa”[6].
Cfr.
viceversa Medea: :" Kai; manqavnw me;n oi|a dra'n mevllw kakav, - qumo;" de; kreivsswn tw'n
ejmw'n bouleumavtwn, - o{sper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'""
(Euripide, Medea, vv. 1078 - 1080),
E capisco quale abominio sto per osare,
ma più forte dei miei proponimenti è la passione
che è causa dei mali più grandi per i mortali (1078- 1080)
Il fatto è che queste due componenti della persona sono intrecciate: il Giulio
Cesare di Plutarco (50 - 120 d. C.) nel momento di gettare il dado,
ossia di infrangere le leggi lanciandosi oltre il Rubicone (gennaio del
Il pathos è un elemento della ragione nelle persone intelligenti.
[1] Nel 25 d. C.
[2] Cfr. Orazio Carm. I, 6, cedere nescii (detto
di Achille)
[3] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 199 -
200.
[4] P. e. Svetonio, Caesaris vita, 32.
[5] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 201.
[6] B. Brecht, Gli affari del signor Giulio Cesare, p. 22.
Shakespeare Riccardo III e Riccardo
II. Plutarco, Seneca, Euripide
un poco di inglese comparato al latino
L’ipocrisia e la perfidia del principe
Riccardo III, è “il principe che ha letto Il Principe. La politica è per
lui pura pratica, un’arte il cui fine è governare. Un’arte amorale come quella
di costruire i ponti o come una lezione di scherma. Le passioni umane sono
argilla, e anche gli uomini sono un’argilla di cui si può fare quel che si
vuole.”[1]
Riccardo viene aizzato dai suoi alleati a vendicarsi dei suoi nemici: “But
then I sigh, and, with a piece of Scripture, - Tell them that God bids us do
good for evil: And thus I clothe my naked villainy - With odd old ends
stol’n forth of Holy Writ - And seem a saint, when most I play the devil”
(I, 3), ma allora io sospiro, e, con un brano della Scrittura, dico loro che
Dio ci ordina di rendere bene per male: e così rivesto la mia nuda
scelleratezza con occasionali vecchi scampoli carpiti della Sacra Scrittura, e
sembro un santo quando più faccio il diavolo.
Riferisco un motto di Lisandro il comandante della flotta spartana
che concluse la guerra del Peloponneso sconfiggendo gli Ateniesi: egli se la
rideva di quanti stimavano che i discendenti di Eracle dovessero sdegnare di
vincere con il tradimento e raccomandava sempre: "o{pou
ga;r hJ leonth' mh; ejfiknei'tai prosraptevon ejkei' th;n ajlwpekhvn" dove di fatto non giunge la pelle del leone, bisogna cucirle sopra
quella della volpe" (Plutarco, Vita di Lisandro, 7, 6).
La perfidia plus quam punica[2] di Annibale e quella italica di Machiavelli hanno avuto dei maestri
greci.
Nel XVIII capitolo di Il Principe, Machiavelli ricorda
"come Achille e molti altri di quelli principi antichi furono dati a
nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li costudissi". E
ne deduce:"Il che non vuol dire altro, avere per precettore uno mezzo
bestia et uno mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l'una
e l'altra natura; e l'una sanza l'altra non è durabile. Sendo dunque uno
principe necessitato sapere usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe
et il lione; perché il lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende
da' lupi. Bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire
e' lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non
può, per tanto, uno signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale
osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono
promettere".
La facciata del potere è attraente, ma dentro il
palazzo c’è il dolore.
La constatazione del sangue umano che scorre nella corte viene denunciata da
Donalbain, un figlio del re vecchio assassinato dal nuovo re,
da Macbeth :"qui dove siamo ci sono pugnali nei sorrisi degli
uomini: il vicino per sangue è il più vicino all'essere sanguinario (Macbeth 2,
3).
Ione sostiene la superiorità della vita ritirata
su quella impegnata o tesa al potere che viene smontato del tutto :"del
potere lodato a torto/l'aspetto è dolce, ma dentro il palazzo/c'è il
dolore (tajn dovmoisi de;- luphrav): chi infatti è
felice, chi fortunato/se, temendo e guardando di traverso (dedoikw;" kai; parablevpwn), trascina/il
corso della vita? Preferirei vivere/da popolano felice piuttosto che essendo
tiranno ("dhmovth"
a]n eujtuch;"-zh'n a]n qevloimi ma'llon h] tuvranno" w[n"),/il quale
si compiace di avere amici malvagi,/mentre odia i generosi per paura di
attentati " (Ione, vv. 621-628).
E'
questa un'affermazione ricorrente nell'opera euripidea: torna nell' Ifigenia
in Aulide dove lo stesso Agamennone,
richiesto di sacrificare la vita della primogenita , dice a un vecchio
servo:" ti invidio, vecchio,/invidio tra gli uomini quello che passa una
vita/senza pericoli, ignorato, oscuro (ajgnw;" ajklehv" );/ quelli che stanno tra gli
onori li invidio di meno"(17-20).
La paura del despota metus tyranni: genitivo soggettivo e oggettivo
Nell' Edipo re di Sofocle, Creonte mette in rilievo la paura
che circonda il potere assoluto il quale pertanto non dovrebbe essere
desiderabile da parte di una persona ragionevole: "Considera questo
anzitutto, se ti sembra che uno potrebbe/scegliere di comandare con paura (a[rcein … xu;n fovboisi) piuttosto che/riposando tranquillo, se avrà proprio
lo stesso potere. /Ed io dunque né per mia natura desidero/ essere
personalmente tiranno piuttosto che fare le cose del tiranno/né chiunque altro
sia in grado di ragionare" (vv. 584 - 589).
Un doppio ruolo sintetizzato bene da Creonte nell'Oedipus
di Seneca: "Qui sceptra duro saevus imperio regit,/timet timentes;
metus in auctorem redit ". (vv. 703 - 704), chi tiene crudelmente
lo scettro con dura tirannide, teme quelli che lo temono; la paura ricade su
chi la incute
Nella Fedra senecana la nutrice commenta la dira
libido della regina associandola alla sorte socialmente elevata (magnae
comes fortunae, Fedra, v. 206), Viceversa una sancta
Venus, parvis habitat in tectis (v. 211) ed è il medium vulgus ad
avere sanos affectus (v. 212). I ricchi e i potenti regnanti
sono insaziabili: plura quam fas est petunt (v. 214). La
sentenza finale è: “Quod non potest vult posse qui nimium potest” (v.
215), chi è troppo potente vuole potere l’impossibile.
Il quarto coro commenta la morte di Ippolito con queste parole:" Quanti
casus humana rotant! Minor in parvis Fortuna furit,/leviusque ferit
leviora Deus;/servat placidos obscura quies,/praebetque senes casa securos"
(Fedra, vv. 1123 - 1127), quante cadute fanno girare le umane vicende!
sugli umili
In forma meno sintetica Cicerone fa la stessa denuncia nel De
officiis[3]: “Qui se metui volent, a quibus metuentur, eosdem metuant ipsi necesse
est” ( II, 24), quelli che vorranno essere temuti, è inevitabile che essi
stessi temano quelli dai quali saranno temuti.
Il disincanto del potere
Il potere è un bene apparente
Nel Riccardo II di Shakespeare si legge che
Riccardo II[4] deposto da Bolingbroke che sarà Enrico IV espone “le tristi storie
delle morti dei re”
For God
’sake let us sit upon the ground per amor di Dio, sediamoci sulla
terra
And tell sad –latino satur- stories of the death of kings: e
raccontiamo le tristi storie della mote dei re
How some have been deposed, some slain in war, come alcuni vennero
deposti, altri uccisi in guerra
Some haunted by the ghosts they have deposed, altri ossessionati
dai fantasmi di quelli che avevano deposto
Some poisoned by their wives, some sleeping kill’d, alcuni
avvelenati dalle mogli, altri assassinati nel sonno
All murdered (latino mors) tutti morti ammazzati
For within the hollow crown - latino corona - greco korwvnh: corvo e coronamento
perchè dentro la vuota corona
That rounds - latino rotundus - the mortal temples (lat.
tempora) of a king
Che cinge le tempie mortali di un re
Keeps death his court; and there the antic sits, latino sedēre,greco
e[zomai -
tiene corte la morte e là si insedia beffarda,
Scoffing his state and grinning[5] at his pomp - latino pompa greco pomphv processione, corteo,
schernendo il suo stato e ghignando alla sua pompa
Allowing - him a breath, a little scene - latino scena - greco skhnhv - ,
concedendogli un breve respiro, una particina
To monarchize, be fear’d - and kill with looks,
fare il re, incutere timore fulminare con lo sguardo -
Infusing him with self and vain
latino vanum conceit-cfr. to
conceive e latino concipere
riempiendolo di sé e di vuote illusioni,
As if this flesh which walls - latino vallum palizzata
- about our life
Come se questa carne che cinge di mura lo spirito
Were brass impregnable; and humour’d thus,
fosse bronzo indistruttibile; e dopo averlo compiaciuto così
Comes at the last, and with a little pin latino - pinna penna,
ala, freccia
Viene alla fine e con un piccolo spillo
Bores - latino. forare - through his castle latino castrum diminutivo
castellum wall, and farewell king!
Perfora le mura del palazzo e addio re!
Cover your heads, and mock not - latino muccare, soffiarsi
il naso - flesh and blood
Copritevi le teste e non canzonate un impasto di carne e di sangue
With solemn reverence, throw away respect latino respicio
respectus con solenni riverenze, gettate via rispetto
Tradition, form, and ceremonious - latino caerimonia - duty; tradizione
formalità e il dovere dell’etichetta
For you have but mistook me all this while, poiché mi avere frainteso
per tutto questo tempo.
I live with bread, like you; feel want, vivo di pane come
voi, sento desideri
Taste - ( latino tardo taxitare forma iterativa di taxare intensivo di tangere)
- grief - latino gravis - , need friends, assaporo il
dolore ho bisogno di amici.
Subjected - latino subiectus -
thus , Così asservito
How can you say to me I am a king? (Riccardo II,
III, 2, 155 - 177)
come posso dire di essere un re?
Nelle Troiane di Euripide, Ecuba constata che il polu;~ o[gko~ , il grande vanto
degli antenati era oujdevn, niente, era
un gonfiore che si è dissolto.
O grande vanto umiliato
Degli avi, come davvero eri un nulla! (vv. 108 - 109)
[1] Jan Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, p. 42.
[2] Tito Livio, Storie, XXI, 4.
[3] Del
[4] Riccardo II Plantageneto (Bordeaux, 6 gennaio 1367 – Pontefract, 14 febbraio 1400) è stato re d'Inghilterra dal 1377 al
1399. La tragedia di Shakespeare è del 1595.
[5] Cfr. il gatto del Cheshire, lo stregatto che Alice vede appollaiato
in cima a un albero scomparire a poco a poco cominciando dalla punta della
coda, finché rimane solo un grin, una sorta di ghigno in forma di
riso (Alice nel paese delle meraviglie, di Lewis Carrol, 1865). “all right”, said the Cat,
and this time it vanished quite slowly, beginning with the end of the tail, and
ending with the grin, which remained some time after the rest of it had gone. “Well
I’ve often seen a cat without a grin” thought Alice; “but a grin without a cat!
It’s the most curious thing I evere saw in all my life!” (capitolo VI Pig and pepper, porco e pepe). Il nonsense e la
morte
Donne che vogliono defemminizzarsi
Medea pensa di incenerire l'istmo di Corinto e di assumere la ferocia massima
negando la propria femminilità: "Per viscera ipsa quaere supplicio
viam,/si vivis, anime, si quid antiqui tibi/remanet vigoris; pelle femineos
metus/et inhospitalem Caucasum mente indue./Quodcumque vidit Pontus aut Phasis
nefas,/videbit Isthmos. Effera ignota horrida,/tremenda caelo pariter ac terris
mala/mens intus agitat: vulnera et caedem et vagum/funus per artus "
(vv. 40 - 48), attraverso le viscere stesse cerca la via per il castigo, se sei
vivo, animo, se ti rimane qualche cosa dell'antico vigore; scaccia le paure
femminili e indossa mentalmente il Caucaso inospitale. Tutta l'empietà che il
Ponto o il Fasi hanno visto, le vedrà anche l'Istmo. La mia mente medita dentro
di sé malvagità feroci, inaudite, terrificanti, terribili per il cielo
parimenti e per le terre: ferite e strage e un cadavere disperso tra le membra.
Il Caucaso situato tra il Mar Caspio e il Mar Nero significa un luogo selvaggio[1] che, indossato psicologicamente, rende la persona selvaggia :"
un ambiente fisico reale - sorgente, primavera, albero, crocicchio - è animato
(…) Le nostre anime sulla terra accolgono la terra nelle nostre anime (…) La
vita ecologica è anche vita psicologica. E se l'ecologia è anche psicologia,
allora il "Conosci te stesso" diviene impossibile senza il
"Conosci il tuo mondo "[2].
Pure Lady Macbeth vuole defemminilizzarsi quando invoca gli spiriti che
apportano pensieri di morte: "unsex me here", snaturatemi il
sesso ora, e riempitemi dalla testa ai piedi della crudeltà più orrenda (of
direst latino dirus cruelty).
Il sangue di cui gronda la tragedia, nel suo corpo deve addensarsi e chiudere
ogni via di accesso al rimorso ( Macbeth, I, 5). Quindi la donna
chiama una densa notte che giunga avvolta nel più tetro fumo d'inferno perché
il suo pugnale non veda la ferita che produce.
Poco più avanti questa creatura atroce immagina l'uccisione di un suo bambino
piccolo: "Io ho dato latte: e so quanta tenerezza si prova nell'amare il
bambino che lo succhia; ebbene io avrei strappato il capezzolo dalle sue
gengive senza denti mentre egli mi avesse guardata in faccia sorridendo e gli
avrei fatto schizzare via il cervello- and
dashed the brains out-, se lo avessi giurato come tu hai giurato
questo" (I, 7).
"La sua voce dovrebbe indubbiamente sollevarsi fino a raggiungere in
"schizzar via il cervello", un urlo quasi isterico"[3].
L’identità criminale realizzata
Compiendo il delitto più atroce questa donna pensa di diventare quello che
è:"Medea " la chiama la nutrice; ed ella risponde "fiam "
(Seneca, Medea, v. 171), lo diventerò. "E' forse questo che si
cerca attraverso la vita, null'altro che quello, la più grande sofferenza
possibile per diventare se stessi prima di morire"[4].
La propria natura malvagia e infernale Medea può portarla a compimento solo
dopo le nozze maledette,la maternità e l’abbandono da parte di Giasone.
Da ragazza,
ella ricorda, tradì il padre, uccise e fece a pezzi il fratello Apsirto, per
amore di Giasone, ma ora che è sposa e madre andrà oltre:"levia
memoravi nimis:/ haec virgo feci; gravior exurgat dolor:/ maiora iam me scelera
post partus decent " (vv. 48 - 50), ho ricordato misfatti troppo
leggeri: questi li ho compiuti da ragazza; sorga un dolore più opprimente:
maggiori delitti mi si addicono dopo il parto.
I delitti passati continuano a tornarle in mente per incoraggiarla a quello
estremo di uccidere i figli. La Medea furiosa di
Delacroix (1838) rovescia l'immagine della maternità, data dai seni nudi e dai
bambini avvinghiati a lei, con il pugnale che stringe nella mano
sinistra.
Anche Lady Macbeth è una donna che, per altre ragioni, non può permettersi la
pietà: quando il marito, dopo l'assassinio del re, dà segni di pentimento
dicendo :" This is a sorry sight ", questa è una
vista pietosa, ella lo zittisce esclamando:"A foolish thought to say a
sorry sight " (II, 2), è uno stolto pensiero dire vista pietosa!
E' reperibile pure in questo dramma il tema dell'identità. La dark lady
scozzese la trova nel soddisfacimento di un'ambizione assoluta la quale
annienta ogni altro valore.
Medea come Aiace e altri eroi non sopporta di venire
derisa lasciando invendicato l’oltraggio subito. Ma invece di ammazzarsi, come
Aiace, uccide i fogli suoi e di Giasone
[1] Si pensi alla sciagurata strage di bambini del 3 settembre del 2004.
[2] J. Hillman, Variazioni su Edipo , p. 96.
[3]A. C. Bradley, La tragedia di Shakespeare, p. 403. Qualche
pagina prima (370) Bradley scrive: "I versi più terribili della
tragedia sono quelli del suo grido raccapricciante "Ma chi avrebbe mai
pensato che quel vecchio avesse dentro tanto sangue?" (V, 1). Yet who would have thought the old man would have had so much blood in
him?
[4] L. F. Céline, Viaggio al termine della notte, p. 249.
La presenza di Plutarco in Shakespeare
Vita di Coriolano (
parallela alla Vita di Alcibiade) di Plutarco
Shakespeare, Coriolano
Il Fato nel Coriolano (1608) di
Shakespeare è la lotta di classe.
Shakespeare trae la trama da Plutarco.
Siamo nell’epoca successiva alla cacciata dei re da
Roma (del
Coriolano si candida al consolato ma il popolo
respinge la sua candidatura poiché questo aristocratico nemico del popolo
voleva eliminare il tribunato. I tribuni lo accusano di avere violato le leggi
e lo fanno esiliare. Coriolano passa dalla parte dei Volsci e propone una
spedizione contro Roma.
Giunto alle porte di Roma, potrebbe conquistarla, ma
la madre e la moglie lo fanno tornare indietro
Livio lo fa morire serenamente tra i Volsci.
Plutarco invece scrive che i Volsci lo uccisero e
Shakespeare segue questa versione
Una morale è che la città senza un capo diventa
inerme.
Plutarco afferma che una natura forte se non riceve
un’educazione buona produce molti vizi, come un terreno fertile se non trova
chi lo coltivi.
Il vizio di Coriolano è l’alterigia.
La storia feudale raccontata da Shakespeare trova
facilmente i suoi modelli nella storia romana.
L’apologo di Menenio Agrippa alla plebe secessionista
sul Monte Sacro
Agrippa racconta l’apologo delle membra che si ribellarono
contro lo stomaco e lo accusarono così - all the body’s members rebelled latino rebellis accusativo rebellem
against the belly thus accused it: di essere come un
golfo like a gulf Late greek kovlfo" - greek. kovlpo" - [1]
nel mezzo del corpo (I, 1, 93 - 95), torpido e
nullafacente, sempre dedito a stiparsi di cibo, senza lavorare come il resto
del corpo: “where the other instruments - did see and hear, devise,
instruct, walk, feel, - and mutually participate, did minister - unto appetite
and affection common of the whole body” (I, 1, 99 - 104), dove invece gli
altri apparati vedevano, udivano, pensavano, mandavano ordini, camminavano,
sentivano, e si aiutavano a vicenda e provvedevano agli appetiti e ai bisogni
comuni di tutto il corpo
Un apologo che si trova sia in Livio sia
in Plutarco il quale scrive che i plebei occuparono o[ro"
o} nu'n iJero;n kalei'tai para; to;n jAnivwna potamovn un colle che ora si chiama sacro presso il fiume Aniene.
Insomma l’attuale quartire monte Sacro in fono a via
Nomentana.
La data tradizionale è quella del 494. Il senato
allora mandò uno dei suoi membri più moderati e ben disposti verso il popolo.
Agrippa andò dalla plebe secessionista e narrò
il ben noto apologo: e[fh ga;r ajnqrwvpou ta; mevlh pavnta
pro;" th;n gastevra stasiavsai kai; kathgorei'n aujth'" wJ"
movnh" ajrgou' kai; ajsumbovlou kaqezomevnh" ejn tw'/ swvmati (6, 4) raccontava infatti che tutte le membra del corpo si ribellarono
contro lo stomsco e lo accusarono di starsene, unica parte del corpo, inerte e
senza contribuire mentre le altre parti per servire i suoi appetiti - eij" ta;" ejkeivnh" ojrevxei" - si sobbarcavano grandi fatiche e servizi povnou"
te megavlou" kai; leitourgiva" uJpomenovntwn .
Lo stomaco rise
della loro stupidità - th;n de; gastevra th" eujhqeiva" aujtw'n
katagela'n - poiché ignoravano che lui trofh;n
uJpolambavnei me;n eij" aujth;n a{pasan raccoglie sì, dentro di sé tutto il nutrimento, ma poi lo rimanda e lo
distribuisce alle altre parti del corpo ajnapevmpei d j
au\qi" ejx auJth'" kai; dianevmei toi" a[lloi" (6, 4).
Nel Coriolano di Shakespeare Agrippa
racconta che il ventre rispose (I, 1, 105) with a kind of smile –
greco meidiavw - con una specie di sorriso, di essere il
deposito the storehouse (I, 1, 131) e l’officina di tutto il
corpo: io attraverso il tuo sangue rimando la sostanza del cibo fino al palazzo
del cuore e al trono del cervello I send it trough the rivers of your
blood even to the court , the heart, to the seat of the brain (I, 1,
133 - 134).
Agrippa contrappone alla opposizione di classe e alla
rozza dicotomia plebea una concezione organica della società che è appunto un
grande organismo.
[1] Walter Skeat Conciso
dizionario etimologico della lingua ìnglese, Oxford 1984 I edizione1882.
Agrippa
e i tribuni della plebe. Tito Livio e Cicerone. Coriolano adulto e bambino
Vediamo
alcune parole di Tito Livio su questo episodio della storia romana:
Menenio Agrippa era vir omni vita pariter patribus ac plebi carus, post
secessionem carior plebi factus un uomo per tutta la sua vita caro sia
alla plebe che ai patrizi e dopo la secessione divenuto più caro alla plebe. ( Storie,
II, 33, 10).
Era per giunta facundus vir et inde oriundus un uomo
eloquente e di origine plebea (II, 32, 8)
In seguito all’apologo da lui raccontato de concordia coeptum (II,
33,1)
cominciarono le trattative per la concordia, e furono concessi alla plebe
dei magistrati ut plebi sui magistratus essent sacrosancti quibus
auxilii latio adversus consules esset, magistrati inviolabili ai quali era
riconosciuto il diritto di intercedere a favore della plebe contro i conso, e
fu stabilito che nessun patrizio potesse accedere a questa magistratura.
Vennero nominati due tribuni: Gaio Licinio e Lucio Albino.
Secondo Momsen i tribuni della plebe erano i primi magistrati di Roma ed erano
posti a vigilare sull’antitrono con un vessante sindacato sui consoli. Avevano
potere di intercessio (veto) e coercitio (punizione): qui
haberent summam coercendi potestatem (Gellio, Notti Attiche,
XIII, 12, 9).
Erano eletti itercessionibus faciendis perché ponessero dei
veti.
Cicerone nel De legibus (III, 7, 15) scrive che tutti i magistrati
dovevano obbedire al console excepto tribuno. Questa magistratura
minuit consulare ius, sminuì il potere consolare.
L’Arpinate paragona il potere dei tribuni opposti ai due consoli a quello degli
Efori di Sparta opposti ai due re (De legibus, III. 7, 15).
Gli
efori però erano cinque.
I consoli non dovevano obbedire a nessuno in guerra: militiae summum
ius habento, nemini parento (Cicerone, De legibus,
III, 8).
Anche la provocatio, il diritto di appello, cessava dopo un miglio
di lontananza da Roma (Tito Livio, III, 20, 7).
Quando Menenio Agrippa morì, a lui, reductori plebis romanae in urbem
sumptus funeri defuit non restarono i soldi per la spesa del funerale e la
plebe coprì la spesa con una colletta (II, 33, 10)
Agrippa in Plutarco è un personaggio positivo, un membro moderato del
senato, tra i più vicini al popolo (mavlista dhmotikouv", 6, 3).
Secondo Jan Kott Agrippa Nel Coriolano di Shakespeare sarebbe
l’ideologo dei patrizi e il tattico dell’opportunismo e farebbe la parte di
Polonio nel’Amleto[1]
Torniamo
alla tragedia di Shakespeare
Entra in scena Coriolano che dice alla
plebe: “che c’è di nuovo, sediziose carogne che grattando la triste rogna delle
vostre opinioni vi coprite di pustole?” (Coriolano, I, 1).
Coriolano respinge ogni genere di tattica
Marzio aggiunge alla divisione in classi quella tra i nobili e i vili, un’altra:
quella tra gli intelligenti e gli scemi.
Chiama la plebe cani senza razza, chi merita onore ha il vostro odio, e le
vostre passioni sono desideri di malato che vuole soprattutto ciò che gli fa
male “and your affections are - a sick man’a appetite who desires most that –
which would increase his evil. Cambiate
opinione ad ogni momento - with every minute you do change a mind - (I,
1, 174 - 180), gridate contro il Senato, ma se questo non vi tenesse a freno,
vi divorereste l’un l’altro.
Per Coriolano i plebei sono delle bestie che troppo nutrite si avventano contro
gli uomini.
La canaglia con il tempo spezzerà le serrature del Senato e farà entrare i
corvi a beccare le aquile and bring in the crows to peck the eagles (III,
1, 138)
C’è la guerra: i Volsci insorgono contro Roma e Caio Marzio dice: The
Volsces have much corn; take these rats thither to gnaw their garners
-latino granarium - (I, 1, 248) portiamo là questi topi a rodere i loro
granai.
I tribuni della plebe Sicinio e Bruto commentano l’insolenza di Coriolano.
Bruto dice che quando si arrabbia non esita a insultare gli dèi e
Sicinio: bemock the modest moon (I, 1, 254) sfotte la casta
luna.
Quindi: se il successo lo aizza, sdegna l’ombra che calpesta a mezzogiorno - .disdains
the shadow which he treads on at noon (I, 1, 259)
Coriolano non vuole chiedere i voti del popolo per diventare console, né vuole
ricompense in denaro, Un cittadino dice che quanto ha fatto di meglio he
did it to please his mother and to be partly proud per piacere
a sua madre e anche per la superbia, che ha grande come il coraggio
(Shakespeare, Coriolano I, 1, 37 - 38).
Coriolano dunque è un edipico.
Plutarco scrive
che Coriolano si proponeva come fine della gloria la felicità di sua madre tevlo" ejkeivnw/ de;
th'" dovxh" hj th" mhtro;" eujfrosuvnh (Vita di Coriolano, 4, 5)
Marzio si sposò quando la madre Veturia (Volumnia in Shakespeare) glielo chiese
ed ebbe anche dei figli dalla moglie Virgilia, ma continuò a vivere nella
stessa casa con la madre.
Volumnia
del resto lo ha allevato come facevano le spartane: ero contenta di lasciarlo
cercare il pericolo dove poteva trovare la fama (I, 3) To a cruel war I
sent him, dalla quale tornò con le tempie cinte di quercia. Non provai
tanta gioia quando seppi che mi era nato un uomo, quanta ne sentii in
first seeing he had proved himself a man (I, 3, 10 ss.) vedendo per la
prima volta che si era dimostrato un uomo
E ancora: “i seni di Ecuba quando allattava Ettore non erano belli come la
fronte del figlio quando pieno di sprezzo (contemning - lat. contemno)
schizzava sangue contro le spade greche” (I, 3, 41 - 44).
Valeria l’amica di Volumnia le dice che Coriolano era un bambino davvero carino
a very pretty boy, dal piglio deciso. Lo vide correre dietro una
farfalla dorata “I saw him run after a gilded butterfly” e quando la
prese, and when he caught it, la lasciò andare, poi la inseguì
cadde, poi e la prese di nuovo , catched it again, e forse la
caduta l’aveva reso rabbioso, fatto sta che che serrò i denti e la fece a pezzi
- he did so set his teeth and tear it (I, 3, 58 - 66).
Cfr. Gorgò la moglie di Leonida, a una straniera che le aveva detto: solo
voi donne spartane comandate sugli uomini, Gorgò rispose: “movnai ga;r tivktomen a[ndraς (Plutarco, Vita
di Licurgo, 14), infatti solo noi partoriamo degli uomini.
Gorgò da bambina diede ordini perfino al padre, al re Cleomene. Lo dissuase
dall’ accettare il denaro (50 talenti) che Aristagora di Mileto gli offriva in
cambio di un aiuto militare (Erodoto, V, 52, 2).
Virgilia, la moglie do Coriolano vuole fare la parte di Penelope. Glielo
rinfaccia Valeria aggiungendo che tutta la lana filata in assenza di
Ulisse non fece che riempire Itaca di tarme (I, 3, 82 ss)
[1] Shakespeare
nostro contemporaneo, trad. it. Feltrinelli, 1964
La lotta di classe e l'esilio di Coriolano. Vi è un
mondo altrove
Dopo la battaglia nella quale Marzio si è coperto di
gloria, il collega generale Cominio vuole assegnargli the tenth, la
decima parte della preda (I, 9, 39 - 40), ma Coriolano rifiuta un premio tanto
grande e dice che la sua parte deve essere uguale a quella di chi lo ha visto
combattere.
Plutarco mette in luce che in quel tempo il
denaro non era un idolo. Marzio si presentò quale candidato al consolato (uJpateiva,
u{patoς console) con il
solo mantello (iJmavtion), senza la tunica
a[neu citw'noς, sia per mostrarsi più umile nell’aspetto, come è
appropriato a chi fa delle richieste, sia per mostrare le cicatrici (wjteilaiv), come segni visibili del valore.
La stessa cosa farà Mario il quale nel Bellum
Iugurthinum dice che non può ostentare i ritratti, i trionfi, i
consolati degli antenati - imagines neque triumphos aut consulatus maiorum,
ma i mezzi e le ricompense del proprio valore personale “praeterea
cicatrices advorso corpore” (85), inoltre le cicatrici sul petto.
Le ferite spesso parlano: non sempre sono " dumb
mouths "[1] , bocche mute, come quelle di Cesare assassinato. "Una ferita è
anche una bocca. Una qualche parte di noi sta cercando di dire qualcosa. Se
potessimo ascoltarla! Supponiamo che queste "intensità sconvolgenti siano
una sorta di messaggio: sono "cicatrici", ferite, che segnano la
nostra vita"[2].
Elogio del parlare dicendo quod in buccam venerit. Mario e Socrate.
Mario
nel Bellum Iugurthinum dice che non può ostentare i ritratti,
i trionfi, i consolati degli antenati - imagines neque triumphos aut
consulatus maiorum, ma i mezzi e le ricompense del proprio valore personale
“praeterea cicatrices advorso corpore” (85), inoltre le cicatrici sul
petto.
Haec sunt meae imagines - continua Mario - , haec nobilitas, non hereditate relictae, ut illa
illis, sed quae egomet meis plurimis laboribus et periculis quaesivi”,
queste sono le mie immagini, questa la nobiltà, non lasciate in eredità, come
quelle cose a loro, ma che io ho conquistato personalmente con fatiche e
pericoli in grandissimo numero.
Mario arriva a rivendicare la propria rozzezza: “Non
sunt composita mea verba, parvi id facio. Ipsa se virtus satis
ostendit. Illis artificio opus est, ut turpia facta oratione
tegant. Neque litteras Graecas didici: parum placebat eas discere, quippe
quae ad virtutem doctoribus nihil profuerant” , non sono ricercate le mie
parole e non me ne curo. La virtù si fa vedere abbastanza da se stessa. Sono
loro che hanno bisogno di retorica, per coprire i loro misfatti vergognosi con
parole adorne. Né ho imparato il greco, non ne ero invogliato dato che non
avevano giovato a quegli studiosi per arrivare alla virtù.
Socrate nell’Apologia scritta da Platone confuta
quanti affermano che lui è deino;" levgein, pericolosamente abile a parlare. L’accusato si difende dicendo che dià pa`san
ajlhvqeian, tutta la verità, in maniera semplice e diretta;
quindi da lui non ascolteranno discosi abbelliti-kekalliephmevnou"
lovgou"- né ornati kekosmemevnou", cosmetizzati- bensì espressioni ejikh`/ legovmena toi`"
ejpitucou`sin ojnovmasin- (Apologia di
Socrate, 17 a-c) dette senza studio, con i termini che capitano, quelli che
vengono in bocca
giovanni ghiselli
Ma torniamo a
Plutarco. “ più tardi infatti, e dopo molto tempo, si introdusse la compra
vendita dei suffragi e si mescolò il denaro con i voti dell’assemblea (ojye;
ga;r meta; polu;n crovnon wjnh; kai; pra'siς ejpeish'lqe
kai; sunemivgh tai'ς ejkklhsiastikai'ς yhvfoiς ajrguvrion, Vita di Croiolano, 14, 3).
Quindi la corruzione (hJ dwrodokiva) toccando anche i tribunali e gli accampamenti (kai;
dikastw'n qigou'sa kai; stratopevdwn), portò la città
al potere imperiale, asservendo le armi al denaro ejxandrapodisamevnh
ta; o{pla toi'ς crhvmasin.
Primo a minare la forza del popolo fu colui che iniziò
a offrirgli banchetti e doni
Il popolo del resto riteneva già allora di subire
vessazioni uJpo; tw'n daneistw'n (Vita
di Coriolano, 5, 2) da parte degli usurai.
L’asservimento fino alla schiavitù degli
indebitati insolventi si chiamava nexum . Questa conseguenza
provocò rivolte e fu abolita nella seconda metà del IV secolo.
Nel Coriolano di Shakespeare un
cittadino dice a Menenio Agrippa che i patrizi make edicts for usury,
latino usura - to support usurers I, 1, 79-80) fanno editti contro
sull’usura a vantaggio degli usurai. Se le guerre non ci mangiano vivi, lo
faranno loro, e questo è tutto il bene che ci vogliono.
Anno 492. Coriolano non venne eletto per il 491, bensì
Minucio e Sempronio
Gelone (tiranno di Siracusa dal 485 al 478; nel 491 -
490 era ancora tiranno di Gela) inviò del grano in dono: la plebe sperava che
venisse venduto a prezzo politico o persino regalato. Coriolano si oppose. Era
assolutamente contrario al tribunato della plebe come Stato nello Stato.
Il Coriolano di Tito Livio dice: “Si annonam
veterem volunt, ius pristĭnum reddant patribus (II, 34, 9), se
vogliono il grano al vecchio prezzo, restituiscano ai patrizi l’antico diritto,
quindi aggiunge che non ha sopportato la dittatura di Tarquinio, e non vuole
tollerare i tribuni. Et senatui nimis atrox visa sententia est (II,
35, 2), al senato stesso la proposta parve troppo dura
La plebe vedeva in Coriolano un mostruoso
carnefice.
Alla resa dei conti, damnatus absens in Volscos
exulatum abiit, condannato in contumacia andò in esilio tra i Volsci (II,
35, 6 ). Lo ospitò Attio Tullio (In Shakespeare si chiama Tullo Aufidio)
acerrimo nemico dei Romani.
Trattare bene il popolo come facevano le democrazie
radicali della Grecia, disse Coriolano, significava rifornire la loro
indisciplina th;n ajpeivqeian aujtw'n ejfodiavzein (Plutarco, 16).
Cfr. la Repubblica di Platone: la
democrazia è una costituzione anarchica e variopinta.
Coriolano propone di togliere alla plebe th;n
dhmarcivan (Plutarco, Vita di Coriolano, il
tribunato, 16, 7) che annulla il potere consolare e divide la città. Roma
infatti è stata tagliata in due.
Il Coriolano di Shakespeare aveva detto ai senatori
che, nell’ assecondare la folla, noi nobili nutriamo contro il nostro senato la
cattiva erba della ribellione, dell’insolenza della sedizione we nourish – latino nutrio
- nutrire - ‘gainst our Senate the cockle of rebellion, insolence,
sedition (III, 1, 69 - 70)
Plutarco: i tribuni - dhvmarcoi - aizzarono la folla contro Coriolano.
In Shakespeare i tribuni Sicinio e Giunio
Bruto manovrano per danneggiarlo.
Eppure Coriolano combattendo aveva riempito Roma di
benefici.
Plutarco ricorda che Marzio quando era ancora un
ragazzo partecipò alla battaglia finale contro Tarquinio che gettava l’ultimo
dado (e[scaton kuvbon, 3, 1) avendo molti
latini alleati (forse fa confusione con la nattaglia del lago Regillo contro i
Latini del 499 o 496).
Allora il dittatore lo incoronò con una corona
di quercia - ejstefavnwse druo;ς stefavnw/ (3)
Shakespeare scrive che Marzio piegò Tarquinio e
per ricompensa was brow - bound with the oak, fu incoronato con la
quercia sulla fronte (II, 2, 96).
- brow, sopracciglio
e fronte - cfr. ojfruvς, sopracciglio e orgoglio
Il popolo quasi si scagliò contro i senatori.
I tribuni presentarono un’accusa (aijtivan) contro Coriolano e lo invitavano a discolparsi ejkavloun
aujto;n ajpologhsovmenon (Plutarco, Vita, 17, 4), Coriolano
cacciò i funzionari che gli portavano la citazione. Allora i tribuni, meta;
tw'n ajgoranovmwn (17, 5) con gli edili della plebe, cercarono di
catturarlo. I patrizi lo difesero e scoppiò un tumulto (tarachv,
17, 7v)
Il giorno dopo i consoli tentarono di placare il
popolo
I tribuni chiesero che Marzio andasse a scusarsi
sperando che si umiliasse o si arrabbiasse. Marzio si presentò ma con aria sprezzante
e di sfida, e il popolo si inasprì. Il più ardito dei tribuni (tw'n
dhmavrcwn oJ qrasuvtatoς), Sicinio, disse che loro, i difensori del popolo,
avevano condannato a morte Marzio (18, 3 - 4)
La madre Volumnia gli consiglia di dire anche parole
bastarde come si può fare con dei nemici esterni.
Questo è il dramma dell’odio di classe
Ma Coriolano non adula “ la moltitudine mutevole e
puzzolente” ( the mutable-latino
mutabilis, rank - scented meiny III, 1, 66). Il popolo è
tetro e miserabile ma non silenzioso . Abbaia come una muta di cani. E’ mutable, grida
“evviva”, poi “a morte” ed è pronto a tutto pur di salvare la pelle e i suoi
cenci fetidi.
Per Shakespeare, il popolo è solo materia della
storia, non il suo attore: può suscitare pietà o ribrezzo o paura, ma è
impotente, è un giocattolo nelle mani dei pochi che hanno il potere.
Cfr. Tacito delle Historiae.
Nel Giulio Cesare il popolo prima
acclama Bruto, poi, dopo l’orazione di Marco Antonio, vuole farlo a pezzi.
Shakespeare aveva visto gli artigiani londinesi
salutare il conte di Essex con le torce, poi pascersi alla vista della sua
esecuzione (1601)
I tribuni in Plutarco difendono il
popolo; nel Coriolano di Shakespeare sono degli
imbecilli: sono definiti da Marzio “la lingua della bocca comune” ( the
multitudinous tongue, III, 1, 156) e puzzano quanto la plebaglia.
Bruto e Sicinio sono malmessi e ridicoli.
La plebe scaccia Coriolano, gli imbelli patrizi lo
abbandonano, Roma si è dimostrata vile e Coriolano dice: “Io disprezzo per
causa vostra la città e le volgo le spalle: there is a world elsewhere,
vi è un mondo altrove (III, 3, 135).
[1] Shakespeare, Giulio Cesare , III, 2.
[2] J. Hillman, Il piacere di pensare , p. 66.
Le preghiere rivolte a Coriolano dalla madre e dalla
moglie. Plutarco e Shakespeare
Alla fine dunque Marzio si sottopose al giudizio e fu
condannato all’esilio perpetuo - ajivvdio" fughv (Plutarco, Vita, 20, 7)
Il popolo ne fu felice. Marzio non ne fu umiliato ma
adirato. Quindi abbracciò le sue donne poi uscì da Roma seguito da tre o
quattro clienti. trei'ς h]
tevttaraς pelavtaς e[cwn
peri; aujtovn (21). Cfr. pelavzw, sto vicino-pevla"-
I clienti in Italia non mancano mai. Coriolano prima
dimorò nei suoi poderi poi decise di suscitare ajnasth'sai una grave guerra - povlemon baruvvn kai; o{moron (21, 5) contro Roma da parte dei popoli confinanti (oJmov" e o{ro" - ou - confine).
Coriolano si rivolse a Tullo Attio che viveva nella
città di Anzio. Questo accolse la sua proposta e lo invitò a prendere il
comando delle truppe. Marzio conquistò diverse città del Lazio fino a Bola che
dista solo cento stadi da Roma (
Andarono a pregarlo dei suoi parenti e amici ma lui li
ricevette seduto con una pompa e un sussiego insipportabili met j
o[gkou kai; baruvthto" oujk ajnekth'" (30, 6). Coriolano rispose agli ambasciatotori con sdegno e ira pikrw'"
kai; pro;" ojrghvn per i torti subiti, Poi chiese
che si estendessero ai Volsci ijsopoliteivan h{nper
Lativnoi" (30, 8) gli stessi diritti civili dei Latini in
pratica il foedus Cassianum concesso dal console Cassio nel
493 dopo la battaglia del lago Regillo.
Era un patto difensivo nei confronti dei Volsci e
degli Equi.
In Shakespeare Coriolano caccia Menenio Agrippa che è
andato a implorarlo di perdonare chi gli ha fatto torto chiamandolo O
my son my son (V, 2. 68 ).
Ma Coriolano risponde che non vuole sentire una parola
in più e rivolto al volsco Aufidio dice “quest’uomo mi fu caro a Roma, eppure
vedi” (V, 2, 89)
Tuttavia poi si ritirò dal territorio di Roma e questo
suscitò tra i Volsci le prime accuse. Tra i detrattori ostili c’era il capo
volsco –Tullo nel testo di Plutarco come Tullio in Tito Livio - invidioso di
Coriolano - ejn
d janqrwpivnw/ pavqei gegonwv", vittima di
una debolezza umana (31, 2)
Marzio poi avanza di nuovo contro Roma. Allora Valeria
va a trovare Volumnia e Virgilia e propone di recarsi dal loro figlio e marito
con i figli di Coriolano. Gli stessi Volsci ne ebbero compassione
Rimane fondamentale il rapporto con la madre Volumnia.
Coriolano come vide avanzare le matrone si stupì
(ejqauvmasen, Vita, 34, 3), ma osservando venne
sopraffatto dall’emozione (genovmenoς de;
tou' pavqouς ejlavttwn) e fu sconvolto a quella vista kai; suntaracqei;ς pro;ς th;n o[yin, e non sopportò di rimanere seduto mentre lei si avvicinava: scese dalla
tribuna, prwvthn me;n hjspavsato th;n mhtevra anche con
l’abbraccio più lungo kai; plei'ston crovnon, poi abbracciò la moglie Virgilia e i figli, senza trattenersi dalle lacrime
In Shakespeare, Coriolano vede arrivare “lo stampo
venerato da cui prese forma questo torso” (the honoured mould -
latino modulus - misura - wherein this trunk - latino truncus
- was framed - V, 3, 22 - 23).
La nonna, Volumnia, porta per mano il nipote del suo
sangue - and in her hand - the grandchild to her blood (V, 3, 23 -
24).
Coriolano è commosso ma cerca di resistere: let
it be virtuous to be obstinate, - latino obstinatus - sia
virtuosa la risolutezza (V, 3, 26)
Dice: mia madre si inginocchia bows come
un Olimpo che si curvi a implorare la tana di una talpa, and my young
boy hath an aspect of intercession which great Natur cries -
latino quirīto - imporo l’aiuto dei quirìti - deny - latino nego
- not’ ha un’aria di supplice che la grande natura mi grida: non
respingere!” (V, 3, 29 - 33)
Coriolano cerca di non impietosirsi: “I’ll never be
such a gosling to obey - latino - oboedio - instinct, non
sarò come un papero che obbedisce all’istinto, but stand as if man were
author of himself and knew no other kin - ma resisterò come se fossi un
uomo che ha fatto se stesso e non conosce altra nascita (V, 3, 34 - 37)
Plutarco: come riconobbe la madre che camminava
davanti alle altre, Coriolano dapprima cercò di non impietosirsi ma poi genovmeno"
de; tou' pavqou" ejlavttwn, sopraffatto
dall’emozione e sconvolto a quella vista kai; suntaracqei;"
pro;" th; oyin, non sopportò di rimanere seduto e andò loro incontro
senza rrisparmio di lacrime e gesti di tenerezza (34, 3).
In Shakespeare Coriolano davanti alla moglie che gli
rinfaccia il loro dolore dice a se stesso - aside (a parte) - like
a dull actor now I have forgot my part” (V, 3, 40 - 41 ). Cfr. la vita come
recita: il già citato "All the world's a stage - And all the men and
women merely players" (As you like it, II, 7), tutto il
mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e le donne non sono che attori.
Poi si inginocchia davanti alla madre. Volumnia lo fa
alzare. Quindi si inginocchia lei stessa
Volumnia gli presenta il figlio come a poor epitome – latino epitome,
greco ejpitomhv - of yours (V,
3, 68) un povero compendio di te.
La madre aggiunge che anche se loro non
parlassero, should we be silent and not speak, our raiment and state of
bodies would bewray what life we have led since thy exile le vesti e
lo stato dei corpi direbbero quale vita abbiamo fatto dal tuo esilio (V, 3, 95
- 97)
In Plutarco oJra'ς w| pai', ka]n aujta; mh; levgwmen, ejsqh'ti kai; morfh'/ tw'n
ajqlivwn swmavtwn tekmairovmenoς oi{an
oijkourivan hJ sh; fugh; periepoivhse (35, 2), tu
vedi pure se noi non parliamo deducendolo anche dall’aspetto dei nostri miseri
corpi a quale vita ritirata in casa c abbia costretto il tuo esilio
Siamo ajtucevstatai pasw'n gunaikw'n le più sventurate di tutte le donne poiché siamo quelle cui la sorte
ha reso temibile la vista più cara –ai|ς to; h{diston qevama foberwvtaton hJ tuvch pepoivhken (35, 2)
Shakespeare
Think with
thyself- How more unfortunate than all living women
are we, pensa con la tua coscienza come noi siamo le più sfortunate di
tutte le donne viventi siccome vederti che dovrebbe riempirci gli occhi di
gioia e far danzare i cuori di felicità, li forza a piangere e a tremare di
paura e di dolore (V, 3, 98 - 100.)
Ora noi dobbiamo perdere la patria, nostra cara
nutrice o la tua persona, nostro conforto nella patria Alack, or we
must lose - the country our dear - nurse - latino nutrix - , or else
thy person, our comfort in the country (V, 3, 109 - 111)
E Plutarco: non è possible chiedere agli dèi la
vittoria per la patria e la salvezza per te aijtei'sqai para; qew'n
kai; th'/ patrivdi nivkhn a{ma kai; soi; swthrivan (35, 3)
Shakespeare: se attaccherai la patria thy
country, gli dice Volumnia, non potrai che calpestare than to
tread il ventre di tua madre –on thy mother’s womb - che ti
mise al mondo (V, 3, 123 - 125 )
E Virgilia aggiunge: e il mio ventre Ay, and
mine che ti partorì questo ragazzo e farà vivere nel tempo il nome di
Coriolano (V, 3, 126 - 127).
Non ti chiedo di distruggere i Volsci, no: la nostra
preghiera è di riconciliarli our suit is to reconcile them. (Coriolano,
V, 3, 135 - 136)
“The end of war is uncertain; but this is certain” (V, 3, 141): se conquisti Roma, ti rimarrà la rinomanza di uomo che
fu nobile ma con l’ultima impresa spazzò via la nobiltà: egli ha distrutto la
sua terra madre destroyed his country (V, 3, 147)
In Plutarco la madreVolumnia dice: “se
non riuscirai a farti benefattore di questi due popoli, tu non potrai attaccare
la patria pri;n h[ nekra;n uJperbh'nai thn tekou'san (35, 6), prima di essere passato sulla morta che ti ha partorito”
“a[dhloς d
j w]n oJ povlemoς tou't j e[cei provdhlon” (Vita, 35,
9) essendo la guerra incerta, ha questo di certo; se
vincerai, sarai il distruttore della patria, se verrai sconfitto tutti
penseranno che per spirito di vendetta hai causato sventure ai tuoi benefattori
e amici.
Volumnia poi dice che a Coriolano vincitore rimarrà la
cattiva fama di ajlavstwr th'ς patrivdoς, demone vendicatore, flagello della patria (35, 9).
Coriolano Plutarco e Shakespeare. Conclusione
Coriolano non risponde subito alla madre. Allora
Volumnia fa: “tiv siga'/ς w\ pai';” (Plutarco, Vita, 36,
2).
In Shakespeare. Why
dost not speak? (V, 3, 153)
Poi continua: “Think’st
thou it honourable for a nobleman still to remember wrongs? pensi che
sia onorevole per un nobile ricordare le offese per sempre? (154 - 155).
Di nuovo Plutarco: “è forse bello abbandonarsi del
tutto all’ira e al risentimento, mentre non è bello compiacere la madre che ti
rivolge così gravi preghiere? (povteron ojrgh'/ kai; mnhsikakiva/ pavnta
sugcwrei'n kalovn, ouj kalo;n de; mhtri; carivsasqai deomevnh/ peri;
thlikouvtwn; 36, 2).
Conviene (proshvkei) secondo te a un grand’uomo ricordare il male subìto mentre sarebbe
indegno di un uomo grande e nobile rendere onore e omaggio ai benefici che da
bambino ha ricevuto dai genitori? (36 , 2)
Shakespeare: “There’s no
man in world more bound to’s mother, non c’è uomo al
mondo più obbligato a sua madre (Coriolano, V, 3, 158 - 159)
“Thou hast never in thy life - showed thy dear mother
any courtesy” (V, 3, 160 - 163), nella tua vita non hai mai
dimostrato gentilezza a tua madre, a lei che, povera chioccia - poor hen
- , non volle una seconda covata, e che starnazzava se andavi in guerra , e te
ne tornavi salvo, pieno di onori.
Plutarco Eppure a nessuno si converrebbe osservare la
riconoscenza kai; mh;n oujdeni; ma'llon e[prepe threi'n cavrin wJς soiv (36, 2) più che a te che così duramente ti
vendichi della ingratitudine.
Ti sei vendicato ampiamente della patria ma th'/
mhtri; oujdemivan cavrin ajpodevdwkaς (36,
3), alla madre non hai reso nessuna gratitudine.
Shakespeare Quindi
Volumnia dice: down ladies! Let us shame him with our knees – Teut. Type *knewom cf. Lat. genu– Gk. govnu -
a terra donne!, svergogniamolo con le ginocchia! (Coriolano, V, 3,
169)
E in Plutarco : kai; tau't j eijpou'sa
prospivptei toi'ς govnasin aujtou' meta; th'ς gunaiko;ς a{ma tw'n paidivwn (Vita di Coriolano, 36, 4 - 5), si getta
alle ginocchia di lui con la moglie e i figli.
Allora Coriolano fa alzare la madre e le dice: “nenivkhkaς - ei\pen - eujtuch' me;n th'/ patrivdi nivkhn, ejmoi; d j ojlevqrion” (36, 5),
hai vinto una vittoria fausta per la patria ma rovinosa per me.
E Shakespeare: “ O my
mother, mother! O! you have won a happy victory to Rome. But for
your son - believe it, o believe it - most dangerously you have
him prevailed – latino praevaleo - if not most mortal to
him”. (V, 3, 186 - 190), ma per tuo figlio –credilo, credilo
hai prevalso su di lui con un rischio gravissimo, se non mortale.
A Roma vengono festeggiate le donne. Il Senato decretò
che venisse loro concesso qualsiasi cosa chiedessero, ed esse chiesero solo che
venisse edificato un tempio alla Fortuna muliebre oujde;n
hxivwsan a[llo h] Tuvchς gunaikeivaς iJero;n iJdruvsasqai (37, 4)
A Roma suonano trombe oboi, tamburi and the
shouting Romans make the sun dance (Coriolano, V, 4, 48 -
49), mentre i Romani urlanti fanno ballare il sole
Quanto a Volumnia, Virgilia e Valeria, un senatore
grida che bisogna spargere fiori sul loro cammino ( V, 5, 3)
Plutarco racconta che il Senato fece erigere il
tempio con la statua della Fortuna muliebre (Tuvch"
gunaikeiva" iJerovn (37, 4), mentre le donne a loro spese fecero
costruire una seconda statua che avrebbe anche parlato dicendo alle
donne che il dono fatto era gradito agli dei (37, 5).
L’autore non se la sente di negarlo in quanto il
divino non assomiglia all’umano e, se fa cose per noi impossibili, non è in
contrasto con la ragione ou[te paravlogovn ejstin (38, 6).
La maggior parte delle cose divine tw'n
qeivwn ta; pollav, come dice Eraclito, ci sfugge ajpistivh/, a causa della nostra incredulità (38, 7).
Cfr. mutatis mutandis, l’accoglimento
del mito in Livio, Curzio Rufo, Tacito, Arriano. Nessuno se la sente di negarlo
del tutto (a pp. 185-187).
In Tito Livio le donne si recano da Veturia,
la madre di Coriolano, e da Volumnia, la moglie. Queste vanno nel campo nemico
con i due figli di Coriolano il quale rimase multo obstinatior
adversus lacrimas muliebres (II, 40) di cui aveva avuto
l’annuncio. Ma quando le vide, si lanciò verso la madre per abbracciarla.
Veturia, prima di lasciarsi abbracciare gli chiese se fosse un figlio o un
nemico e se lei fosse prigioniera o madre. Coriolano si commosse, ritirò
l’esercito. Alcuni invidia rei oppressum tradunt, ma apud
Fabium longe antiquissimum auctorem si legge che visse fino alla vecchiaia.
Coriolano ripeteva che l’esilio è molto più doloroso nella vecchiaia.
Fabio Pittore
L’auctor longe antiquissimus è Fabio
Pittore contemporaneo del Cunctator e appartenente alla stessa gens
Fabia. Questo “antichissimo tra gli annalisti…accentuava il diritto (e i
successi) dei Romani…non aveva più quella superiore serenità in cui è il
fascino della storiografia greca classica, insomma di un Erodoto o di un
Tucidide” (Mazzarino, Il pensiero storico classico, II, 104). Si
tratta dell’obiettività epica di questi autori.
Fabio pittore scrisse in greco la sua opera
storica, che andava dalle origini dei Romani, considerati come discendenti
di Enea, sino, pare, alla fine della seconda guerra punica (il frammento più
recente si riferisce alla battaglia del Trasimeno).
Della sua storia si ebbe anche una traduzione latina.
Ispirandosi alle mire della politica filellenica di T. Quinzio Flaminino, Fabio
volle ribadire il concetto dell'affinità di stirpe tra Greci e Romani,
dimostrare la giustizia della condotta tenuta da questi e suscitare imponente
impressione della loro potenza. Per i tempi più antichi l’annalista attinse non
soltanto a narrazioni storiche greche, ma anche a monumenti pubblici, a
documenti famigliari e a carmi latini epici ed epico - lirici. L'esposizione
relativa ai primi secoli della repubblica era più sommaria e lacunosa; quella
della prima guerra punica diventava più diffusa, mettendo a profitto gli atti
degli archivî e i ricordi dei vecchi, e quella della seconda era fatta come da
contemporaneo.
Gli uomini romani non portarono invidia alle donne per
il loro vanto –adeo sine obtrectatione gloriae alienae vivebatur -
(Livio, II, 40) si viveva senza cercare di abbassare la gloria altrui, anzi
consacrarono e dedicarono un tempio alla Fortuna muliebre.
Torniamo a Shakespeare
Tra i Volsci, Tullo Aufidio, il loro capo, fa
uccidere Coriolano. Dice: “at a few drops of women’s rheum - greco rJeu'ma, flusso - , which are - as cheap as lies, he
sold the blood and labour –of our great action. Therefore shall he die, - and I’ll renew - new - nevo" me in his fall” (V, 6, 46 - 49), per poche
gocce di lacrime di donna che sono a buon mercato come le bugie, egli ha
venduto il sangue e la fatica della nostra grande impresa. Perciò morirà e io
rinascerò nella sua caduta.
Aufidio conclude dicendo che sebbene il Romano abbia
riempito di lutti le donne dei Volsci, avrà un nobile monumento ( yet
he shall have a noble memory, V, 6 , 154 - 155).
Termino la storia di Coriolano con la conclusione di
Plutarco: Marzio tornò ad Anzio dai Volsci, Tullo che da tempo lo odiava e non
lo sopportava per invidia misw'n pavlai kai; barunovmeno" dia;
fqovnon (39, 1) tramò per farlo uccidere, sicché i suoi
seguaci lo ammazzarono. Il popolo non era d’accordo e la tomba di Coriolano
venne adornata con armi e spoglie come si fa con un prode. Presto dovettero
rimpiangerlo. In seguito i Volsci combatterono contro gli Equi poi vennero
sconfitti e sottomessi dai Romani in una battaglia nella quale morì Tullo. (Vita
di Coriolano, 39, 13).
Murry: “Il Coriolano è per me un dramma assai più alto
del Lear , ed è - come preludio dell’Antonio e Cleopatra
- sommamente significativo per intendere l’evoluzione di Shakespeare. Segna il
ritorno dallo sforzo alla spontaneità, dall’artificio alla creazione, dal
disumano all’umano” (p. 344).
Passeremo quindi all’Antonio e Cleopatra.
Il fascino di Cleopatra. Antonio sottomesso. Medea
incute paura
Nella
prima scena del primo atto dell’Antonio e
Cleopatra entrano Demetrio e Filone,
amici di Antonio.
Filone
dice: la passione del nostro generale passa la misura “o’erflows the measure (1-2): i suoi occhi che in battaglia
scintillavano come quelli di Marte coperto dall’armatura, ora abbassano lo
sguardo, devotamente su una fronte abbronzata e il suo cuore di condottiero è
diventato il mantice e il ventaglio to
cool a gipsy’s lust (10) per raffreddare la lussuria di una zingara,
Poi
entrano i due amanti devoti pesti futurae
con le dame e gli eunuchi che fanno
vento a Cleopatra. Quindi Filone aggiunge: facci caso e lo vedrai il terzo
pilastro del mondo: “ trasform’d into a
strumpet’s – Old France strupe Late L.
strupum from L. stuprum-fool”
(12-13), trasformato nello zimbello di una sgualdrina
Per
il tardo latino strupum cfr.
Dante:”non è sanza cagion l’andare al cupo- vuolsi nell’alto, là dove
Michele-fe’ la vendetta swl superbo strupo” sono parole di Virgilio a Pluto (Inferno, VII, 10-12).
quando Antonio esclama. “would I had never seen her!,
vorrei non averla mai veduta, Enobarbo risponde magnificando Cleopatra : “O,
sir, you had then left unseen a wonderful piece of work, which not to have been
blest withal would have discredited your travel ( Antonio e
Cleopatra, I, 2, 150 - 152), allora avreste perduto lo spettacolo di
un’opera meravigliosa e non esserne stato beatificato avrebbe screditato il
vostro viaggio.
A proposito della tattica usata da Cleopatra per affascinare, all’inizio della
terza scena del I atto, la regina dice a Carmiana: vedi dov’è e cosa fa: I
did not send you: if you find him sad, say I am dancing, if in mirth (merry),
report that I am sudden sick: quick and return” (I, 3, 1 - 5), io però non
ti ho mandata. Se lo trovi triste, digli che sto danzando; se lieto,
riferiscigli che mi sono improvvisamente ammalata. Presto e ritorna.
Antonio è soggiogato. Cleopatra comunque lo contraccambia.
A proposito di Eracle e Onfale, Antonio nell’andare a Roma dopo l’annuncio
della morte di Fulvia dice a Cleopatra che si lamenta per quella partenza. “I
go from hence - thy soldier, servant, making peace or war - as thou affect’ st
(I, 3, 69 - 71) me ne vado di qui, come vostro soldato, servo, per fare pace o
guerra, secondo la tua disposizione.
Allora la regina d’Egitto dice a Carmiana: “ cut my lace, Charmian,
taglia i miei nodi, come se stesse male; poi però la ferma (But let it be)
dicendo : I am quickly ill and well; So Antony loves ( I, 3,
71 - 73) io passo in fretta dallo stare male allo stare bene, così Antonio ama
E’ il topos della fede degli amanti non più reale dell’araba fenice
Vediamo un breve excursus sulla fede degli e delle amanti
I giuramenti d'amore non sono credibili.
L'inaffidabilità riguarda tanto gli uomini quanto le donne.
Lo afferma pure Sofocle in un frammento (811 Pearson):" o{rkon d
j ejgw; gunaiko;" eij" u{dwr gravfw",
giuramento di donna io lo scrivo sull'acqua.
E se tali solenni promesse penetrano da qualche parte, certo non dentro gli
orecchi degli immortali, sostiene Callimaco in un
epigramma:" ajlla; levgousin ajlhqeva, tou;" ejn e[rwti -
o{rkou" mh; duvnein ou[at j ej"
ajqanavtwn" (A. P. V 6), ma dicono il vero che i
giuramenti in amore non entrano negli orecchi degli immortali.
Ovidio echeggia questo motivo, sia per quanto riguarda Arianna
tradita e la scarsa tenuta della parola dei maschi, sia per la non credibilità
della femmina umana che è una creatura varia e sempre mutevole,"varium
et mutabile semper/femina ", come aveva già detto Virgilio [1].
L'Arianna dei Fasti[2] toglie fiducia a tutti gli uomini: dicebam, memini, "periure
et perfide Theseu":/ille abiit; eadem crimina Bacchus habet : /nunc quoque
"nullo viro" clamabo " femina credat (Fasti ,
III, 475 - 477, dicevo, ricordo, "Teseo spergiuro e traditore": /
quello è andato via; Bacco commette lo stesso delitto:/ anche ora
esclamerò:"nessuna donna si fidi più di un uomo".
Per quanto riguarda l'instabilità e l'inaffidabilità delle giovani donne, il
poeta di Sulmona negli Amores è più comprensivo: il tradimento
infatti non sciupa la bellezza e perfino gli dèi lo concedono:" Esse
deos credamne? Fidem iurata fefellit,/et facies illi quae fuit ante manet (...) Longa
decensque fuit: longa decensque manet./Argutos habuit: radiant ut sidus
ocelli,/per quos mentita est perfida saepe mihi./Scilicet aeterni falsum iurare
puellis/di quoque concedunt, formaque numen habet " (Amores ,
III, 3, 1 - 2 e 8 - 12), devo credere che ci sono gli dèi? Ha tradito la parola
data,/eppure le rimane l'aspetto che aveva prima...Era alta e ben fatta; alta e
ben fatta rimane./Aveva gli occhi espressivi: brillano come stelle gli
occhi,/con i quali spesso la perfida mi ha ingannato./Certo anche gli dèi
eterni permettono alle ragazze/di giurare il falso, e la bellezza ha una
potenza divina.
Ovidio conclude dicendo che dio è un nome senza sostanza, oppure, se
esiste, ama le belle fanciulle e certamente ordina che solo loro abbiano tutto
il potere:"si quis deus est, teneras amat ille puellas:/nimirum solas omnia
posse iubet " (Amores , III, 3, 25 - 26).
Tutto il potere alle donne dunque.
La donna imperiosa (Fulvia) o tremenda (Medea) e l’uomo
sottomesso (Antonio) o spaventato (Creonte re di Corinto)
Plutarco scrive che Antonio in seguito alla limitazione che Cesare
imponeva ai suoi modi rozzi e alla sua dissolutezza, si indirizzò al matrimonio
e sposò Fulvia: un tipo di donna che non pensava a filare la lana né a curare
la casa ma a governare i governanti e comandare i comandanti – “ajll j
a[rconto" a[rcein kai; strategou`nto" strathgei`n” (Plutarco, Vita, 10, 5).
l’Antonio di Shakespeare riferendosi a Fulvia dice a Ottaviano the
third of the world is yours, il terzo del mondo è vostro e potreste
guidarlo facilmente with a snaffle con un morso come un cavallo, but
not such a wife (II, 2, 67 - 68), ma non una tale moglie. Quindi per
scusarsi della guerra di Perugia (II, 2, 98 - 99) aggiunge: “Truth is that
Fulvia - to have me out of Egypt, made wars here”, è vero che Fulvia per
farmi tornare dall’Egitto suscitò una guerra qui.
Plutarco Fulvia lo dominò al punto che Cleopatra le fu debitrice delle lezioni
di sottomissione di Antonio al potere femminile (th`" jAntwnivou
gunaikokrasiva" - . Infatti quando finì in pugno a Cleopatra
quell'uomo era già stato domato del tutto e ammaestrato a obbedire alle donne.
(Plutarco, Vita di Antonio, 10, 6 - 7).
Fulvia sposò Clodio ucciso da Milone nel 52, poi Curione morto in Africa nel
49, poi Antonio. Contribuì a scatenare la guerra di Perugia 42 - 40. Morì nel
40.
Nelle prime battute dell’Antonio e Cleopatra la regina rinfaccia al
triumviro di essere vassallo homager del collega Ottaviano e
sottomesso ai rimproveri della linguacciuta (shrill – tongued-O. Lat. dingua-L. lingua))
petulante Fulvia che si permette di sgridarlo (scold) facendolo
arrossire (I, 1, 31 - 32).
Fulvia e Medea sono deinaiv.
Fulvia insomma è il tipo della donna deinhv, tremenda come la nutrice di Medea qualifica la donna abbandonata da
Giasone e così la descrive:
“Temo di lei che progetti qualcosa di inaudito;
infatti violento è il suo animo, e non tollererà di subire
l'oltraggio: io la conosco, e ho paura di lei
che affilata spinga la spada nel fegato,
salita in silenzio alla casa dove è steso il letto,
o pure che ammazzi il tiranno e quello che ha preso moglie
e quindi si tiri addosso una sventura più grande.
Siccome è tremenda (deinh; gavr) : nessuno certo
che abbia stretto
odio con lei, intonerà facilmente il canto della vittoria”
(Euripide, Medea, 39 - 45)
Sentiamo ora, nella stessa tragedia, Creonte
il re prossimo suocero di Giasone che ha paura di Medea, vuole cacciarla e le
dice:
“A te che sei torva e infuriata con lo sposo,
Medea, ho detto che devi andare fuori da questa terra
esule, dopo avere preso con te i due figli,
e di non indugiare neanche un poco kai; mhv ti mevllein: poiché io sono l'arbitro di questa
sentenza, e non tornerò indietro nella reggia
prima di averti cacciata fuori dai confini della regione. (271 - 277)
Medea prova a impietosirlo mentre ha gà approntato un piano per ucciderlo con
la figlia
“Ahimé disgraziata, completamente distrutta vado in rovina;
i nemici infatti allentano ogni gomena,
e non c'è un approdo accessibile fuori dalla sciagura.
Pur oppressa dalla sventura - kai; kakw`" pavscous j - , in ogni modo ti farò una domanda:
perché mi mandi via da questa terra, Creonte? (278 - 281)
Creonte risponde:
“Ho paura di te - devdoikav s j - , non c'è
nessun bisogno di parlare copertamente,
che tu faccia a mia figlia un immedicabile male.
Molte indicazioni contribuiscono a questo timore:
tu sei per natura sapiente ed esperta di molti malefici,
- sofh; pevfuka" kai; kakw`n
pollw`n i[dri" -
e per giunta sei in pena perché privata del letto dell'uomo
luph`/ de; levktrwn ajndro;" ejsterhmevnh .
Poi sento dire che tu minacci, a quanto mi riferiscono,
di fare qualcosa di male a chi ha dato , a chi ha preso la sposa
e alla sposata. Pertanto io prima di subire questi danni mi metterò in guardia.
E' meglio per me ora divenire odioso a te, donna,
che piangere dopo avere agito fiaccamente (282 - 291).
Anche il Creonte della Medea di Seneca vorrebbe liberare
se stesso e la sua terra dal terrore di Medea: “cui parcet illa quemve
securum sinet?” (v. 182), chi risparmierà colei e chi lascerà senza
timore?
Quindi: “ Concessa vita est, liberet fines metu” (185) le ho
concesso la vita ma liberi questa terra dalla paura.
Medea si avvicina e l’uomo spaventato odina:
“arcete, famuli, tactu et arcessu procul,
iubete sileat” (187 - 188), tenetela a distanza servi impeditele di
toccarmi e di avvicinarsi, ingiungetele di tacere
Ma la donna tremenda si avvicina e Creonte le fa: “vade veloci via -
mostrumque saevum horribilem iamdudum avehe” ( 190 - 191), vattene via
di corsa e porta via senza indugio il mostro feroce e orrendo che sei!
[1]Eneide , IV, 569 - 570.
[2] Un calendario in distici composto fra il tre e l'otto d. C. quando fu
interrotto, dall'esilio, al sesto libro di dodici che dovevano
essere. Dovevano illustrare gli antichi miti e costumi latini.
Antonio
e Cleopatra. Plutarco e Shakespeare
Vezzi e vizi dei due amanti
Medea quando era ancora molto giovane, formae
confisa suae confidando nella propria bellezza va da Giulio
Cesare adit tristis sine ullis lacrimis , triste ma senza
lacrime, acconciata di un finto dolore simulatum compta
dolorem (Lucano,Pharsalia, X, 83) quā decuit (84
) fin dove le stava bene veluti laceros dispersa capillos, sparsi
i capelli, come strappati.
Nell’Antonio e Cleopatra di Shakespeare,
la regina d’Egitto prima dice a Carmiana cut my lace, Charmian, com
se stesse male, poi però la ferma (But let it be) dicendo : I am
quickly ill and well; So Antony loves ( I, 3, 71 - 73) io passo in
fretta dallo stare male allo stare bene; così Antonio ama.
Ho già citato queste battute per indicare l’incostanza
di Cleopatra.
Ora lo faccio per significare la dissoluteza di
Antonio e la similitudine tra i caratteri dei due amanto
La dissolutezza di Antonio viene messa in rilievo da
Ottaviano mentre parla a Lepido. “ from Alexandria - this is the
news: he fishes, drinks and wastes - the lamps of night in revel: is not more
manlike - than Cleopatra, nor the queen of Ptolomy - more womanly than he I,
4, 3 - 7 queste sono le notizie da Alessandria: egli va a pescare, beve e
consuma le lampade notturne in orge: non è più virile di Cleopatra e la regina
di Tolomeo non è più femminile di lui, you shall find there a man who
is the abstract L.abstractus
pp.of abs-trahere, to draw away-. of all faults –that all men follow,
troverete in lui un uomo che è il compendio di tutte le colpe che tutti gli
uomini seguono (Antonio e Cleopatra, I, 4, 7 - 10))
Sentiamo anche Cicerone sulla dissolutezza di
Antonio:" Sumpsisti virilem, quam statim muliebrem togam
reddidisti, hai messo la toga virile che hai subito reso veste da femmina.
Primo vulgare scortum, certa flagitii merces, nec ea
parva, in un primo tempo prostituta volgare, a tariffa
fissa del disonore, e nemmeno bassa, sed cito Curio
intervenit qui te a meretricio quaestu abduxit et, tamquam stolam dedisset, in
matrimonio stabile et certo conlocavit" (Filippica , II,
44), ma presto intervenne Curione che ti ha tolto dal traffico della
prostituzione e, come se ti avesse dato la stola, ti ha sistemato in un
matrimonio stabile e certo. La stola era la veste lunga delle matrone
Sregolatezza di Antonio.
Ottaviano aggiunge che Antonio ha regalato un regno
per uno scherzo, che siede a bere con una schiava, poi va to reel
the streets - latino strata - sterno - at noon a
barcollare sulle strade a mezzogiorno -cfr. latino nona hora, circa le
tre del pomeriggio-Orig. The ninth hour or 3 P. M. , but afterwords the time of church-service
called nones was shifted to mid-day- e fa a pugni con dei
farabutti che puzzano di sudore (I, 4, 18 - 21).
Cleopatra innamorata
“o Charmian, - where
think’st thou he is now? Stands latino sto greco e[sthn - - he, or sits - latino sedeo greco e[zomai - he? Or does he walk? Or is he on his horse? O happy horse to bear -latino ferre- the weight of
Antony! (I, 5, 18 - 21), O Carmiana, dove pensi che sia
adesso? È in piedi o seduto? ? Oppure cammina o è sul suo
cavallo? O beato cavallo che porti il peso di Antonio!
Gli è grata anche perché è da lui amata pur non
essendo giovanissima: si sente wrinkled deep in time, solcata dalle
rughe profonde del tempo. Insomma non è più la ragazza amante di Giulio Cesare
quando I was a morsel latino morsus, mordēre -
for a monarch, un boccone degno di un monarca (I, 5, 29 - 31).
Di nuovo Antonio
Anche Sesto Pompeo parlando all’amico Menecrate nota
la dissolutezza di Antonio e si augura che duri:
prega che stregoneria e bellezza si uniscano (II, 1, 22)
(join, cfr. latino iungo e greco zeuvgnumi) ed entrambe si associno alla lussuria.
Tie up the libertine latino liber
- in a field of feasts,
keep his brain - greco brecmov", sommità dal
capo - fuming latino fumus greco qumov"
- epicurean cooks latino coquus - sharpen with cloyless - sauce latino salsa
- his –appetite latino appetitus appĕtere - (II, 1, II, 1,
23 - 25) ), avvinci il libertino in un campo di banchetti festosi, mantienigli
il cervello nel fumo: cuochi epicurei aguzzino il suo appetito con salse
stimolanti.
That sleep and feeding may prorogue latino prorŏgo - rimando, faccio durare - his honour –even till a lethe’d dulness (II,
1, 26 - 27) tanto che il sonno e il cibo possano rimandare il suo onore in un
oblio leteo.
Sesto Pompeo aggiunge che non si aspettava l’ingresso
in una piccola guerra di quell’amorous –surfeiter latino super
facere - ghiottone innamorato (II, 1, 33) e riconosce che la sua abilità
militare vale due volte quella degli altri due - his soldiership is twice
the other twain, tuttavia se riusciamo a staccare Antonio mai sazio di
piacere - ne’er - lust -greco lilaivomai, bramo, latino lascivus - wearied
Antony (35 - 37) dal grembo della vedova d’Egitto possiamo alzare la nostra
stima di noi.
Nella seconda scena del secondo atto dell’Antonio e
Cleopatra di Shakespeare i triumviri si incontrano accompagnati dai
loro amici.
Mecenate fa il paraninfo e propone che Antonio
rimasto vedovo sposi Ottavia (II, 2). L’amico di Ottaviano ne elogia la sorella
come la migliore delle donne e chiarisce che il suo è un pensiero studiato e
meditato a dovere, non improvvisato ‘tis a studied, not a present
thought, by duty ruminated - latino rumino (II, 2,
142 - 143).
Antonio e Ottaviano si stringono la mano accordandosi
su quel matrimonio. Poi i triumviri escono.
Lo spreco del bene più prezioso: il tempo. Le
abbuffate orrende.
Quindi Enobarbo, l’amico di Antonio che in seguito lo
tradirà, racconta a Mecenate che loro in Egitto dormivano di giorno, e della
notte facevano giorno bevendo and made the night light drinking (II,
2, 183)
Mecenate domanda se è vero che per colazione arrostivano
otto cinghiali interi eight wild –boars roasted whole at a breakfast per
12 commensali.
Enobarbo risponde che questa era solo a fly by
an eagle: we had much more monstrous matter of feast which worthly deserved
noting –L. deservire- de-fully servire to serve- noting (II, 2, 184 - 187)
una mosca di fronte a un’aquila: noi avemmo festini molto più mostruosi che
meritavano davvero di essere notati.
Lo spreco del tempo è il più dispendioso e
rovinoso di tutti.
Plutarco racconta che durante la guerra di Perugia (42
- 40) combattuta contro Ottaviano dal fratello di Antonio e da sua moglie
Fulvia, Cleopatra catturò Marco Antonio tanto che il triumviro si lasciò
portare ad Alessandria dove si diede a divertimenti puerili e a scialacquare e
dissipare nello spreco che Antifonte definì il più dispendioso: quello del
tempo: “polutelevstaton wJ" jAntifw`n ei\pen ajnavlwnma, to;n crovnon” (Plutarco, Vita di Antonio,
28, 1).
Cfr. Seneca: Omnia, Lucili, aliena sunt,
tempus tantum nostrum est (Ep. 1, 4), tutto il resto è
roba degli altri, il tempo soltanto è un bene nostro.
Nel De brevitate
vitae Seneca nota quanto poco conto si faccia del tempo da parte dei più,
gli infelici molti che chiedono a molti infelici questo bene preziosissimo e
tanto gli uni quanto gli altri lo sciupano, lo sprecano, lo buttano via: “quasi nihil petitur, quasi nihil datur. Re
omnium pretiosissima luditur, fallit autem illos, quia res incorporalis est,
quia sub oculos non venit ideoque vilissima aestimatur , immo paene nullum eius
pretium est (…) nemo aestimat tempus (8, 1), (il tempo) viene chiesto come
se fosse un nulla, e come se fosse un nulla viene dato. Non si prende sul serio
la cosa più preziosa di tutte, ma li inganna perché è cosa incorporea, poiché
non giunge sotto gli occhi e perciò viene reputata di nessun pregio, anzi il
suo apprezzamento è pressocché nullo.
Ora fanno perdere tempo a chi davvero vuole lavorare
quelli che insistono per le riaperture
generalizzate. Riaprendo si dà spazio e tempo al virus di infettare, finché si
dovrà chiudere un’altra volta.
Questo mostro letale è invisibile al pari di quel bene
preziosissimo che è il tempo, e il materialista ottuso, come chiarisce il
dialogo Sofista di Platone riconosce
una realtà effettiva soltanto a ciò che è corporeo.
“I
figli della terra che riconoscono come esistente solo ciò che possono toccare
con mano” (Sofista, 247c). C’è una gigantomachia sull’essere tra questi
tellurici e gli amici delle forme.
Ora
i tellurici sono oggettivamente amici
del virus.
Avevano costituito un’associazione detta degli
inimitabili, quelli dalla vita inimitabile - suvnodo" jAmimhtobivwn legomevnh (Plutarco, Antonio, 28, 2) e ogni giorno si invitavano a
pranzo a vicenda facendo spese incredibili e smisurate.
Il medico Filota di Anfissa raccontò a Lampria, il
nonno di Plutarco, che aveva visto arrostire dai cuochi della reggia su`"
ajgrivou" ojptwmevnou" ojktwv, otto
cinghiali, e preparare numerose altre vivande. Allora aveva esclamato che si
meravigliava del gran numero degli invitati. Ma il cuoco si mise a ridere e
disse che i commensali oiJ depnou`nte" non erano molti ajlla; peri; dwvdeka circa dodici (28, 4 - 6)
Poi, nella tragedia di shakespeare, Enobarbo racconta
a Mecenate la scena di Cleopatra sul fiume Cnido
La fonte è Plutarco
Ella risaliva il fiume su un battello dalla poppa
d’oro - ejn porqmeivw/ crusopruvmnw, con le vele di
porpora spiegate, tw`n me;n ijstivwn aJlourgw`n ejkpepetasmevnwn mentre i
rematori remavano con remi d’argento ajrgurai`"
kwvpai" - al suono del flauto - pro;" aujlovn - accompagnato da zampogne e cetre. La regina stava sdraiata sotto un
padiglione ricamato d’oro, ornata come Afrodite, con ragazzi simili ad amorini
che le facevano vento e le ancelle più avvenenti, abbigliate da Nereidi e
Grazie, stavano al timone e alle funi. Meravigliosi profumi provenienti da
aromi bruciati invadevano le sponde (Plutarco, Vita di Antonio, 26,
1 - 3).
Sentiamo le
parole di Shakespeare che leggeva Plutarco nella traduzione (del 1579) di Thomas
North fatta su quella francese (del 1559) del vescovo Amyot il quale tradusse
pure i Moralia (1572)[1]
“The barge she sat in, like a burnish’ d throne/Burn’d on the
water: the poop was beaten gold;/Purple the sails, and so perfumed
that/ The winds were love - sick with them; the oars were silver,/Which to
the tune of the flutes kept stroke…” (Antonio e Cleopatra, II, 2, 196 - 200 ), la barca dove sedeva, come
un trono brunito, splendeva sull’acqua: la poppa era di oro battuto; di porpora
le vele, e così profumate che i venti languivano d’amore per esse; i remi erano
d’argento, e tenevano il tempo al suono dei flauti.
Her gentlewomen, like the Nereides , so, many
mermaids, tended her in the eyes (…) at the helm a seeming mermaid steers,
le sue gentildonne come Nereidi o tante Sirene, alzavano a lei lo sguardo (…)
al timone a manovrare una in forma di sirena (…) a strange invisible
perfume hits the sense of the adjacent whars, uno strano invisibile profumo
colpiva i sensi dei vicini scali. The city cast her people out upon her,
la città lanciò il popolo fuori dalle case verso di lei, and Antony
enthroned in the market place did sit alone whistling to the air, e Antonio
stava seduto da solo sul trono del mercato fischiettando all’aria, e questa, se
il vuoto fosse stato possibile - but for vacancy - sarebbe andata a
fissare Cleopatra and made a gap in nature e avrebbe lasciato
una lacuna nella natura (II, 2, 211 ss)
Troppe parole
Metto insieme quelle di Plutarco che è meno
ridondante.
Cleopatra risaliva il fiume: “ejn
porqmeivw/ crusopruvmnw, tw'n me;n iJstivwn aJlourgw'n ejjkpepetasmevnwn, th'ς d’ eijresivaς ajrgurai'ς kwvpaiς ajnaferomevnhς pro;ς aujlo;n a{ma suvrigxi kai; kuqavraiς sunhrmosmevnon, in un battello dalla poppa
dorata, con le vele purpuree spiegate, con il remeggio di remi d’argento condotto a suono del flauto insieme con zampogne e cetre Plutarco Vita
di Antonio (26, 1)
Cfr. Nietzsche: ““Nessuno ha ancora spiegato perché
gli scrittori greci abbiano fatto dei mezzi di espressione, di cui disponevano
in quantità e forza sbalorditive, un uso così straordinariamente parco, che al
paragone ogni libro posteriore ai Greci appare sgargiante, variopinto e
sforzato (…) Lo stile sovraccarico in arte è la conseguenza di un impoverimento
della forza di sintesi (…) Così è per Shakespeare, che, paragonato con
Sofocle, è come una miniera piena di un'immensità di oro, piombo e ciottoli,
mentre quello non è soltanto oro, ma oro lavorato nel modo più nobile, tale da
far dimenticare il suo valore come metallo”[1].
Sentiamo ora di nuovo Plutarco
Kai; qerapainivde" aiJ kallisteuvousai Nhrhivdwn e[cousai kai;
Carivtwn stolav", aiJ me;n pro;" oi[[axin, aij de; pro;" kavloi"
h\san, le più belle delle
sue ancelle con le vesti delle Nereidi e delle Grazie, stavano chi al timone
chi alle funi (26, 3)
ojdmai; de; qaumastai; ta;" o[cqa" ajpo; qumiamavtwn pollw`n
katei`con, meravigliosi profumi provenienti da molti incensi
occupavano le sponde.
tw`n d’ ajnqrwvpwn oiJ me;n eujqu;" ajpo; tou` potamou` parwmavrtoun
ejkatevrwqen , oiJ d’ ajpo; th`" povleo" katevbainon ejpi; th;n
qevan, tra la folla alcuni seguivano fin dalla partenza lungo
le due rive, altri invece scendevano dalla città per la vista dello spettacolo.
ejjkceomevnou de; tou` kata;
th;n ajgora;n o[clou, tevlo" aujtov" oJ
jAntwvnio" ejpi; bhvmato" kaqezovmeno" ajpeleivfqh
movno" (26, 4) e riversandosi la folla giù dalla piazza, alla fine proprio
Antonio fu lasciato seduto sulla tribuna
da solo.
Comunque si diffuse una voce che Afrodite si recasse
da Dioniso in processione festosa ejp j ajgaqw`/ th`" j
Asiva" (26, 5) per il bene dell’Asia.
Antonio mandò a invitarla a pranzo ejpevmmye
me;n ou\n kalw`n ejpi; to; dei`pnon , hj de; ma`llon ejkei`non hjxivou
pro;" ejauth;n h{kein (Plutarco, Vita di
Antonio, 26, 6) ma lei preferiva che fosse lui a recarsi da lei.
Shakespere Antonio e Cleopatra:
Enobarbo, ancora amico di Antonio, racconta
questo episodio ad Agrippa e Mecenate, partigiani e amici di Ottaviano.
“Invited her to supper :
she replied
it should be better he became her guest -L. hostis, a stranger also an enemy- (II, 2, 225 - 226) Antonio la invitò a pranzo, lei rispose che
sarebbe stato meglio che fosse lui ospite di lei.’
Our courteous Antony,
whom ne’er the word of “No”
woman heard speak,
being barber’d ten times o’er, goes to the feast”, il nostro cortese Antonio cui mai nessuna donna aveva sentito dire la
parola No, dopo essersi fatto radere la barba dieci volte, va alla festa.
Plutarco: “Eujqu;" ou\n tina
boulovmeno" eujkolivan ejpideivknusqai kai; filofrosuvnhn, uJphvkouse kai;
h\lqen, subito dunque, volendole dimostrare affabilità e
cortesia , obbedì e vi andò (Vita di Antonio, 26, 6) .
Nel dramma di Shakespeare, Agrippa commenta il
racconto di Enobarbo dicendo che la fanciulla regale diversi anni prima aveva
già indotto il grande Cesare a mettere la spada nel letto: allora egli la arò e
lei produsse il raccolto Royal
wench!
She made great Caesar lay his
sword to bed:
he plough’d her, and she
cropped (II, 2, 231 - 233.)
E’ il topos molto diffuso dell’uomo che ara e semina
la donna che si comporta come il campo arato raccogliendo il seme e producendo
il frutto.
Con la sua femminilità di razza Cleopatra sapeva
rendere affascinante tutto quanto faceva, replica Enobarbo: “una volta la vidi
saltare quaranta passi nella pubblica via,
and having lost her breath, she spoke, and panted,
that she did make defect
perfection,
and, breathless, power
breathe forth (II,
2, 233 - 237)
e rimasta senza fiato parlava ansimando in modo da
trasformare un difetto in cosa perfetta, e senza fiato, esalava potere
seduttivo.
Mecenate risponde che Antonio, dopo il patto
matrimoniale concordato con Ottaviano, dovrà lasciare Cleopatra per sempre
Enobarbo lo esclude: “Never
: he will not.
Age cannot wither her, nor
custom stale
her infinite variety:
other women cloy
the appetite they feed, but
she makes hungry
where most she satisfies: for
vilest things
become themselves in her,
that the holy
priests
bless her when she is riggish ( II, 2, 237 - 245) ,
non lo farà mai: l'età non può appassirla, nè
l'abitudine rendere stantia la sua varietà infinita: le altre donne saziano gli
appetiti cui danno alimento, ma ella rende affamati dove più soddisfa, poiché
le cose più vili assumono un’identità in lei tanto che i santi sacerdoti la
benedicono nella sua lussuria.
Con le ultime tre battute Mecenate Agrippa ed Enobarbo
si salutano cordialmente ricordandoci la conciliazione tra i due partiti.
Durerà poco del resto poiché la casta Ottavia non potrà prevalere né
preponderare su “Cleopatràs lussuriosa”.
[1] F. Nietzsche, Umano, troppo umano, II, Opinioni e
sentenze diverse, 162 Effetto della quantità.
Cleopatra
e Ottavia
L’aspetto con la capacità attrattiva della
conversazione di Cleopatra hJ morfh; meta; th`" ejn
tw`/ dialevgesqai piqanovthto" e il suo stile nel
trattare con gli altri lasciavano un segno pungolante ajnevferev
ti kevntron. Era un piacere ascoltare il suono della sua voce
siccome ella volgeva facilmente la lingua come uno strumento musicale a
parecchie corde kai; th;n glw`ttan w{sper o[rganovn ti poluvcordon
eujpetw`" trevpousa (Plutarco, Vita di
Antonio, 27, 4).
Inoltre conosceva molte lingue e raramente doveva
servirsi di un interprete: sapeva rispondere da sola agli Etiopi , ai
Trogloditi che vivevano nelle caverne (trwvglh= buco e duvw entro), agli ebrei, agli
Arabi, ai Sii, ai Medi, ai Parti. E conosceva anche altre lingue, mentre i suoi
predecessori non si erano impegnati neppure a imparare la lingua egiziana e
alcuni avevano dimenticato anche quella macedone (27, 5)
Era dunque molto difficile resistere al fascino di
Cleopatra.
Eppure Mecenate spera che la vitù di Ottavia possa
prevalere e preponderare sulla leggerezza della regina d’Egitto: “If beauty,
wisdom, modesty, can settle - latino sella per *sed
- la - the heart of Antony, Octavia is blessed lottery for him” (Antonio
e Cleopatra, II, 2, 246 - 247), se bellezza, saggezza e modestia possono
stabilizzare il cuore di Antonio, Ottavia è un benedetto terno al lotto per
lui.
Plutarco scrive che Ottavia era crh`ma
qaumasto;n wJ" levgetai gunaikov", una
meraviglia di donna, come si dice (Vita di Antonio, 31, 2).
Tutti erano fautori di quelle nozze, sperando che la
sorella di Ottaviano la quale aveva oltre tanta la bellezza - ejpi;
kavllei tosouvtw/ - anche nobiltà di stile e intelligenza - semnovthta
kai; nou`n - una volta al fianco di Antonio e da lui amata, come
si conveniva a tale donna, sarebbe stata motivo di salvezza per loro e di
equilibrio concorde in ogni questione (31 - 4 - 5).
Antonio e
Ottaviano caratteri-destini diversi
Antonio e
Ottaviano dunque si accordano su questo matrimonio da fare per la pace.
Antonio
avverte Ottavia che il suo alto ufficio lo dividerà spesso dal petto di lei
Ottavia
risponde da par sua, dicendo cioè che pregherà sempre gli dei inginocchiandosi
davanti a loro perché proteggano suo marito.
Antonio
allora le promette che se in passato non si è sempre tenuto nei limiti, dal
momento della loro unione shall all be done by the rule - latino regula - tutto sarà fatto secondo le
regole (II, 3, 6 - 7)
Il fatto è
che le regole di Antonio erano molto differenti da quelle di Ottavia, ed erano
molto più simili a quelle di Cleopatra.
Entra un
indovino egiziano cui Antonio domanda whose fortune shall rise higher
Caesar’s or mine? (II, 3, 16), quale fortuna si leverà più in alto, quella
di Cesare o la mia?
L’indovino
risponde Caesar’s
E spiega:
Therefore, O Antony, stay not by his side:
thy demon, that thy spirit which keeps thee is
noble, courageous, high, unmatchable,
where Caesar’s is not; but near him thy angel
becomes fear, as being o’erpower’d: therefore
make space enough between you (II, 3, 18 -
23), perciò, Antonio, non rimanete al suo fianco. Il vostro demone che è lo
spirito che vi custodisce è nobile, coraggioso incomparabile, quando non c’è
quello di Cesare, ma vicino a lui il vostro angelo diventa pauroso come se
fosse soverchiato: perciò
mettete spazio sufficiente tra voi.
Ora
sentiamo la fonte greca. Plutarco racconta che i due triumviri dopo il
matrimonio di Antonio con Ottavia agivano d’accordo e anche amichevolmente
nelle questioni politiche e di massima importanza - ejn
toi`" politikoi`" kai; megivstoi" (Vita
di Antonio, 33, 1). Le gare fatte per gioco invece iquietavano Antonio che
le perdeva sempre. Allora il triumviro interrogò un idovino egiziano che
prediceva in base all’oroscopo e parlava con molta libertà ad Antonio ejparrhsiavzeto (33, 2) sia che volesse far piacere a Cleopatra, sia che fosse
sincero. E gli consigliava di stare il più lontano possibile da quel giovane: “oJ ga;r
sov" - e[fh - daivmwn to;n touvtou fobei`tai : kai; gau`ro" w]n kai;
u{yhlov" o{tan h\/ kaq j eJautovn, ujp j ejkeivnou givnetai
tapeinovtero" eggivsanto" kai; ajgennevstero" (33, 3 - 4), il tuo demone - diceva - teme quello di lui, e mentre è fiero e altero
quando si trova da sé solo, avvicinato da quello diventa più meschino e vile.
Ogni volta
che tiravano qualcosa a sorte per scherzo o giocavano a dadi, Antonio si
alontanava perdente (e[latton e[cwn, 33, 4).
Spesso
organizzavano incontri di galli o quaglie da combattimento, e vincevano quelli
di Cesare “ajlektruovna" de; macivmou" o[rtuga",
ejnivkwn oi{ Kaivsaro"”. Forse i dadi di ottaviano
erano truccati, come quelli di zeus, e gli uccelli drogati.
Torniamo all’indovino che parla ad Antonio nel
dramma di Shakespeare: “If tou dost play with him at any game,
thou at sure to lose; and, of that natural luck,
he beets thee ‘gainst the odds: thy lustre
thickens
when he shines by” (25 - 28), se
giocate con lui in una partita qualunque, voi siete sicuro di perdere; e per
questa buona sorte naturale, egli vi batte nonostante i vosri vantaggi: il
vostro splendore si offusca quando egli vi brilla accanto
L’indovino
esce e Antonio riconosce :
he
hath spoken true: the very dice obey him,
and in our sports my better cunning faints
under his chance: if we draw lots, he speeds,
his cocks do win the battle still of mine
when it is all to nought, and his quails ever
beat mine, inhoop’d at odds. I will to Egypt:
and thought I make this marriage for my peace
I’ the east my pleasure lies – Lat. base leg –( in lectus, bed); Gk. base lec- (in levco" , bed) (II, 3, 33 - 40),
ha detto il
vero: I dadi stessi gli obbediscono, e nei nostri giochi la mia destrezza
migliore cede alla sua fortuna: se tiriamo a sorte, egli vince, i suoi galli
vincono la lotta con i miei anche quandi non ne hanno la possibilità, e le sue
quaglie battono sempre le mie malgrado lo svantaggio. Andrò in Egitto e sebbene
il faccia questo matrimonio per la mia pace, il mio piacere giace in oriente.
L’inglese
infatti è “lingua d’origine germanica
profondamente latinizzata”[1]
Plutarco
procede scrivendo che Antonio contrariato da questi motivi e incline a dare
fede all’Egiziano se ne andò dall’Italia mettendo i suoi affari domestici nelle
mani di Cesare, quindi portò Ottavia fino alla Grecia dopo che era nata loro
una bambina qugatrivou gegonovto" aujtoi`" (Vita di Antonio, 5 - 6). Si tratta di Antonia maior nipote di
Augusto e nonna di Nerone.
Bologna 6
aprile 2021
Giovanni
ghiselli
La
presenza degli autori classici nelle tragedie di Shakespeare. XXIII
La
musica dà segni, significa.
Antonio
si identifica con Dioniso e con Eracle.
Gli
scherzi di Antonio e Cleopatra
All’inizio
della quinta scena del II atto Cleopatra dice ai suoi assistenti Carmiana Iras
e Alexas: “Give me some music; music,
moody food of us that trade in love” (II, 5, 1-2), datemi della musica,
musica, umorale nutrimento di noi che traffichiamo nell’amore.
La
musica significa pur senza parole. Può dare dei segni anche a chi traffica nel
potere.
In
questa stessa tragedia si sente una musica come di oboe in aria, o piuttosto da
sotto terra, davanti al palazzo di Cleopatra e un soldato chiede: “It signs well, does it not?” E un altro milite “No”.
Dunque “What
should this mean?” E il lucido
pessimista risponde: “’Tis the god
Hercules, whom
T. S. Eliot ha
utilizzato queste parole: “the God
Hercules/Had left him, that had loved him well” (Burbank with a Baedeker, Bleistein with a cigar (1920).
Antonio Eracle
Plutarco
scrive che l’aspetto stesso di Antonio ricordava quello di Eracle quale appare
nei dipinti e nelle statue. Aveva una bella barba, un’ampia fronte e un naso
aquilino. Secondo una tradizione antica gli Antoni erano Eraclidi discendenti
da Antone, figlio di Eracle, e il triumviro si adoperava per confermare questa
leggenda con l’atteggiamento e l’abbigliamento: portava al fianco una grande
spada mavcaira
megavlh
e indossava un mantello ruvido savgo" perievkeito tw'n sterew'n (4, 1-4).
I
Romani non approvavano il suo amore per Cleopatra e il fatto che riconobbe i
gemelli avuti da lei. Ma Antonio era abile nel gloriarsi delle brutture ajll j ajgaqo;" w]n
ejgkallwpivsasqai toi'" aijscroi'" (Vita, 36, 6) diceva che la nobiltà di stirpe si propaga
con molti figli. Così Eracle e il poprio progenitore Antone, figlio di Eracle,
avevano dato libero corso alla natura mettendo al mondo tanti figli.
Antonio
Dioniso
Plutarco
racconta che Antonio entrò in Efeso preceduto da donne vestite come le Baccanti
e da uomini e fanciulli abbigliati da Satiri e da Pan; la città era piena di
edera, tirsi, zampogne e flauti e la gente acclamava Antonio come Dioniso che
dà gioia e amabile. Per alcuni sarà stato tale, ma per i più era j Wmhsth;~ kai; jAgriwvnio~ (Vita di Antonio, 24, 4-5), Dioniso Crudivoro e Selvaggio. Ricordo
che Dioniso è un dio ambiguo con aspetti molto diversi nell’Iliade
di Omero (V canto) nelle Baccanti di
Euripide e nelle Rane di Aristofane.
Antonio
tragicomico
Plutarco
racconta alcune buffonate che i due amanti compivano divertendo gli
Alessandrini i quali ridevano delle sue buffonate e dicevano che Antonio con i Romani usava la
maschera tragica e con loro quella comica ( levgonte~ wJ~ tw`/ tragikw`/ pro;~ tou;~ JRomaivou~ crh`tai proswvpw/, tw`/ de; kwmikw/`
pro;~ aujtouv~, 29, 4).
Antonio
comico
Vediamo
allora un esempio di questa tendenza alla buffonata (bwmolociva)
Il biografo fa un esempio degli scherzi dei
due amanti: una volta Antonio pescando senza prendere nulla ajlieuvwn potev kai; dusagrw`n era irritato: gli pesava l’insuccesso
davanti a Cleopatra h[cqeto
parouvsh" th`" Kleopavtra" (Vita
di Antonio, 29, 5).
Allora
ordinò a dei pescatori ejkevleuse
tou;" aJliei`"
di nuotare sott’acqua di nascosto e di attaccare all’amo dei pesci già pescati.
Antonio tirò su due o tre volte quei pesci morti ma Cleopatra si accorse
dell’inganno oujk
e[laqe th;n Aijguptivan
(6)
Fingendo però di essere ammirata prospoioumevnh de; qaumavzein, invitò gli amici
ad assistere alla pesca il giorno seguente. All’indomani salirono su delle
barche e Antonio si mise a pescare. Cleopatra allora ordinò a uno dei suoi di
nuotare sott’acqua prima degli altri e di attaccare all’amo un pesce salato del
Ponto Pontiko;n tavrico" (7)
Quando
Antonio lo tirò su, scoppiarono le risa come era naturale e Cleopatra disse: “o
grande comandante, lascia la canna da pesca a noi che regniamo su Faro e
Canopo: la tua preda sono città, regni e continenti” ( Vita di Antonio, 7).
Mentre
lo canzonava, trovò modo di lusingarlo.
Nell’Antonio e Cleopatra di Shakespeare è
Carmiana che ricorda a Cleopatra questo scherzo: fu divertente quando faceste
una scommessa sulla pesca; “ ’Twas merry
When you wager’d on your angling: when your diver
did hang a salt-fish on his hook, which he
with
fervency drew up”
II, 5, 15-18) fu divertente quando faceste una scommessa sulla vostra
pesca; quando il vostro palombaro
attaccò un pesce salato al suo amo ed egli lo tirò su con ardore.
La
regina ricorda: “quella volta-o che tempi! I laughed him out of patience, and that night
I
laughed him into patience”, io risi fino
a fargli perdere la pazienza e la notte risi tanto da ridargliela, e la mattina
dopo, prima della nona ora lo rimandai ubriaco al suo letto.
Anche
il biografo nota brutti segni poco prima della guerra con Ottaviano “Pesaro
città colonizzata da Antonio, situata sull’Adriatico Peivsaura
jAntwnivou povli" klhrouciva wj/kismevnh para; to;n jAdrivan,
fu ingoiata da una voragine che si spalancò nella terra (Vita di Antonio, 60, 2).
Poi
una statua di Antonio presso Alba stillò sudore per molti giorni, e, mentre lui stesso soggiornava a Patrasso,
il tempio di Eracle fu colpito dai fulmini, quindi ad Atene il Dioniso della
Gigantomachia situato sul muro meridionale dell’acropoli cadde nel teatro strappato
dal vento (60, 3-4)
Antonio
diceva di essere parente di Eracle per la stirpe, e di Dioniso poiché ne
imitava lo stile di vita, Si faceva chiamare Diovnuso" nevo" (Vita di Antonio, 60, 5).
Seguirono
altri presagi con tristo annunzio di futuro danno.
Plutarco
fa notare un’altra analogia tra Eracle e Antonio, quindi lo assimila a Paride:
come Eracle fu schiavizzato da Onfale, la regina di Lidia che gli tolse la
clava e la pelle leonina- to; rJovpalon kai; th;n leonth'n (Vita,
90, 3), così Cleopatra ammaliò, disarmò Antonio e lo persuase a rimanere ozioso
divertendosi con lei sulle spiagge di Canòpo.
Alla
fine come Paride (Iliade, III 380 sgg
) fuggito dalla battaglia ejk th`" mavch" ajpodrav" (ajpodidravskw) affondava nei
seni di lei eij" tou" ejkeivnh"
kateduveto kovlpou" (90, 5)
Il
topos dell’ occasione che va acciuffata siccome è calva di dietro
Nell’Antonio e
Cleopatra Menas dice –a parte-: “I’ll never follow thy
pall’d -latino pallidus-
fortune more - who seeks and will not take, when once ‘tis offer’d -latino offerre--
shall never find it more” (II 7, 81 - 83), non seguirò più la tua
smunta fortuna: chi cerca e non prenderà una cosa quano gli viene offerta, non
la troverà mai più.
Sesto
Pompeo ha appena replicato all’amico pirata che gli ha proposto di uccidere i
triumviri: “avresti dovuto farlo senza senza parlarmene. Accettare ora che me
l’hai detto sarebbe scelleratezza, in te sarebbe stato rendermi un buon
servizio.
‘Tis not my profit -latino profectus p.p. of proficere to make progress-
that does lead mine honour; mine honour it (II, 7, 75-76), non è il mio
profitto che guida il mio onore; il mio
onore viene proma.
Sesto
Pompeo mette l’onore davanti al profitto dunque.
Simile è la risposta di Neottolemo a Odisseo che gli ha proposto di
mentire a Filottete per impossessarsi delle sue armi. Il figlio schietto dello
schietto Achille, svaluta il sumfevron
(utile) e apprezza il kalovn (bello, e
bello morale) contrapponendosi al fallace figlio di Laerte o di Sisifo che
fosse :" bouvlomai d'
, a[nax,
kalw'"-drw'n ejxamartei'n ma'llon h]
nika'n kakw'" "
(Sofocle, Filottete, vv. 94-95),
preferisco, sire, fallire agendo con nobiltà che avere successo nella
volgarità.
Una
risposta ancora più nobile di quella non ignobile di Sesto Pompeo. Lucano
giudica malevolmente Sesto Pompeo
Pompei ignava propago (Pharsalia,
VI, 589)
L’occasione
fa offerte generose ma non sopporta indugi. E’ come una bella donna che ti si
offre con magnifica provocazione: se esiti, va molto presto da un altro.
Pindaro
associa l’occasione all’intelligenza: “a ogni cosa si accorda misura: e capire
è l’occasione ottima”- noh`sai de; kairo;"
a[risto"-
(Pindaro, Olimpica XIII, vv. 47-48).
Oreste nell'Elettra di Sofocle, dove si
tratta di vita o di morte, conclude il suo primo discorso affermando che
l'occasione è sovrana :"kairo;" gavr, o{sper ajndravsin-mevgisto" e[rgou
pantov" ejst j ejpistavth"" (vv. 75-76), l'occasione infatti è appunto per gli uomini
la più grande presidente di ogni agire.
Isocrate[2] nel manifesto della
sua scuola, Contro i sofisti [3] afferma che difficile non è tanto acquisire la conoscenza
dei procedimenti retorici, quanto non sbagliarsi sul momento opportuno per
usarli:"tw'n
kairw'n mh; diamartei'n"(
16).
Cicerone
suggerisce di usare il vocabolo occasio per tradurre il greco eujkairiva che designa il tempus…actionis
opportunum, il tempo opportuno di un'azione[4].
Né bisogna dimenticare che l'occasione "è calva
di dietro"[5].
Marlowe risale forse a Fedro (V, 8) che ricorda come
gli antichi foggiarono l’immagine del Tempo un uomo calvus, comosa fronte, nudo occipitio. Tale immagine (effigies) occasionem
rerum significat brevem.
Nietzsche: “Forse il genio non è affatto così
raro: sono rare le cinquecento mani che
gli sono necessarie per dominare il kairov~, “il momento opportuno”, per afferrare per i capelli
il caso!”[6].
Concludo
con
I
triumviri volevano appacificarsi con Sesto Pompeo il quale occupava
Si
riunirono dunque a capo Miseno. Siamo nel
Si
accordarono e si scambiarono inviti a cena.
I triumvii salirono sulla nave ammiraglia di Sesto Pompeo e vennero
accolti cordialmente. Durante il banchetto il pirata Menas si avvicinò a Pompeo
e gli sussurrò la proposta di renderlo unico padrone di tutto l’impero romano.
Pompeo
rispose: avresti dovuto farlo senza dirmelo pima: “ejpiorkei`n ga;r oujk ejmovn (32, 8), infatti
non è da me spergiurare.
Cleopatra
e Antonio peparano la loro rovina
Domizio Enobarbo, già pompeiano,
perdonato da Cesare, poi si unì a Sesto Pompeo contro i triumviri. Ma nel 40
passò ad Antonio dal quale defezionò
durante la battaglia di Azio, come la vide perduta.
Enobarbo dunque nella tragedia di
Shakespeare consiglia ad Antonio di non affrontare la battaglia decisiva per
mare come è nei piani dell’amante di Cleopatra, soggetto a lei
“Your ships are
not well mann’d
your mariners are muleters, reapers, people
ingross’d by swift impress; in Caesar’s fleet
are those that often have ‘gainst Pompey fought:
their ships are yare, your heavy: no disgrace
Shall fall you for refusing him at sea
Being
prepared for land”, le vostre
navi non sono ben fornite di uomini,
i vostri matìrinai sono mulattieri,
mietitori, gente raccolta in fretta con leva forzata, , nella flotta di Cesare
ci sono quelli che hanno combattuto spesso contro Pompeo: le loro navi sono
leggere, le vostre pesanti: nessuna vergogna vi cadrà addosso per il rifiuto
del mare essendo preparato per la terra
( Antonio e Cleopatra, III, 7- 34- 40).
Ma Antonio insiste: By sea, by sea.
Anche Enobarbo insiste: con la
battaglia navale Antonio rinuncerebbe alla sua specialità di comandante di
fanti agguerriti e annullerebbe il vantaggio che ha sull’esercito di Ottaviano:
“
Most worthy sir, you therein leave
unexecuted
Your own renowned knowledge, quite forgo
The way which promises assurance , and
Give up yourself
merely to chance and hazard
From
firm security ( III, 7, 44-48),
mio degno signore, con ciò voi
lasciate inerte la vostra rinomata perizia, rinunziate alla strada che promette
certezza e vi date in balia del caso e
del rischio alllontanandovi da una salda sicurezza.
E Antonio: I’ll
fight at sea
The way which promises assurance è la strada del proprio carattere dei
propri talenti sulla quale ognuno di noi deve procedere metodicamente ( cfr. ojdov", strada
appunto) dopo averli trovati e messi alla prova. Se funzionano bene, cambiare
strada è la rovina.
La persona, uomo o donna che sia,
la quale ti fa perdere la strada che è la tua, è il tuo demone cattivo.
Quando Giuliano si prepara ad
attaccare Costanzo parla ai soldati che l’hanno proclamato Augusto nel 361 d.
C.: quid agi oporteat bonis successibus instruendi (Ammiano Marcellino, XXI, 5, 6).
Sentiamo Pavese:"Quale
mezzo migliore per una donna che vuole fottere un uomo, se non portarlo in un
ambiente non suo, vestirlo in un modo ridicolo, esporlo a cose di cui è
inesperto, e-quanto a lei-avere nel frattempo altro da fare, magari quelle cose
stesse che l'uomo non sa fare? Non solo lo si fotte davanti al mondo,
ma-importante per una donna che è l'animale più ragionevole che esista-ci si convince
che va fottuto, si conserva la buona coscienza"[7].
Cleopatra e Antonio appunto
Ora sentiamo Plutarco
Enobarbo in un primo momento aveva covinto Antonio a indurre Cleopatra a
navigare da Efeso, dove si stava radunando l’armata, all’Egitto: là avrebbe dovuto attendere con
la sua ansia la fine della guerra ( kajkei` diakaradokei`n povlemon- (Vita di Antonio, 56, 3).
Se poprio si doveva combattere pe
mare che almeno non ci fosse Cleopatra.
Ma ella aiutata da Canidio, un
generale di Antonio, fece prevalere argomenti che raccomandavano la propria
presenza, ossia la rovina di Antonio: e[dei ga;r eij" Kaivsara pavnta perielqei`n
(56, 6) era fatale infatti che tutto il potere
passasse a Cesare (cioè a Ottaviano).
Quindi i due amanti andarono a Samo dove passavano il tempo ejn eujpaqeviai" , nei
godimenti. E mentre intorno a lro quasi tutta la terra abitata, risuonava di
lamenti e di gemiti, questa sola isola per molti giorni echeggiava il suono dei
flauti e delle cetre-kathulei`to kai; kateyavlleto (56, 8), i teatri erano pieni e si
svolgenano i concorsi dei cori.
Quindi i due amanti andarono ad
Atene dove si dedicarono di nuovo a divertimenti e spettacoli. Antonio era del
tutto in balìa di Cleopatra e mandò un suo inviato a Roma perché scacciasse
Ottavia da casa sua
La sorella di Ottaviano piangeva e
i Romani ne avevano compassione, soprattutto quelli che avevano visto Cleopatra
e l’avevano trovata meno giovane e meno bella di Ottavia (Vita di Antonio, 57)
Antonio dunque procratinava
l’inizio della guerra lasciando a Ottaviano il tempo di prepsararsi e Cleopatra
intanto agiva contro gli amici di Antonio facendo il vuoto intorno a lui.
Ottaviano faceva propaganda dicendo
che Antonio sotto l’effetto di droghe non era più padrone di se stesso wJ" j Antwvnio" me;n ujpo; farmavkwn oujdJ auJtou` kratoivh
(60, 1), sicché e i Romani avrebbero combattuto contro gli
eunuchi di Cleopatra, la sua parrucchiera Iras e la sua amica Carmione. Siamo
oramai vicini alla guerra e sul conto Antonio ci furono anche i brutti segni di
cui abbiamo già detto.
Ne aggiungo uno : la nave
ammiraglia di Cleopatra si chiamava Antoniade
e su questa apparve un segno terribile shmei`on de; peri; aujth;n deino;n ejfavnh (Vita,
60, 7) : delle rondini avevano fatto il nido sotto la poppa- celidovne" ga;r
ujpo; th;n pruvnan ejneovtteusan, ma delle altre sopraggiunte scacciarono
queste e ne uccisero i piccoli ( e[terai d j ejpelqou`sai kai; tauvta" ejxhvlasan
kai; ta; neovttia dievfqeiran-60, 7) . Antonio dunque era già spacciato
da Cleopatra, dal destino ma soprattutto da se stesso
Appendice
I due lati della rondine
La rondine evoca il ritorno della
primavera ma anche il mito con la storia tragica di Procne, Filomela e Tereo
Maurizio
Bettini dedica un capitolo (il IV "Turno e la rondine nera") del suo Le
orecchie di Hermes alla rondine come uccello dal doppio significato. A una nigra
hirundo viene paragonata Giuturna
mentre si sposta tra i nemici alla guida del carro e trascina il
fratello Turno verso la morte cui è già consacrato:"Nigra velut magnas
domini cum divitis aedes-pervolat et pennis alta atria lustrat hirundo-pabula
parva legens nidisque loquacibus escam,-et nunc porticibus vacuis, nunc umida
circum-stagna sonat: similis medios Iuturna per hostis-fertur" (Eneide,
12, 473 sgg.), come quando nera una rondine vola attraverso la grande casa di
un uomo ricco e con le ali percorre gli alti atri raccogliendo piccoli alimenti
e il cibo per il garrulo nido, e garrisce ora per i portici vuoti, ora intorno
agli umidi stagni: similmente Giuturna si muove in mezzo ai nemici. Questa
similitudine risulta "molto virgiliana…per una certa atmosfera sottilmente
inquieta, ambigua, che la pervade tutta. La rondine è creatura lieta, si dice,
porta la primavera e ama le case degli uomini[8]. Eppure, questo
suo correre di rondine nigra attraverso l'edificio (aedes) e gli alta
atria, il grido che risuona dalle vacuae porticus, suscitano in chi
legge un imprecisabile senso di angoscia…quel nigra, trascurando il dato ornitologico, ha soprattutto la funzione
di preannunziare il cupo destino che incombe su Turno… E poi c'è nigra. La similitudine si apre con
questo aggettivo, e il sostantivo hirundo compare solo alla fine del
verso successivo, in una tensione lunghissima. Due interi versi in cui una
macchia nera, indefinita, attraversa volando la casa dell'uomo ricco, fra le
colonne del portico: e quando, finalmente, questa macchia-epiteto si riaggancia
al suo sostantivo, hirundo, l'impressione di "nero" è già
troppo profondamente marcata in chi legge. Scoprire che si tratta della
rondine-l'amica degli uomini, si dice- è sollievo limitato(…)
Ma l'esempio forse più interessante è
costituito da una storia che si narrava di Alessandro Magno[9]. Il generale
stava dormendo , "a mezzogiorno", quando una rondine cominciò a
volteggiare sulla sua testa. Alessandro, ancora nel sonno, tentò di scacciarla
con una mano, ma la rondine non voleva saperne di andarsene. Si allontanò solo
quando il Macedone, destatosi, la colpì con forza- ma prima lasciò cadere su di
lui i suoi escrementi[10]. Alessandro si
spaventò molto del prodigio, e mandò a chiamare l'indovino Aristandro di
Telmisso, che abilmente lo rassicurò. L'indovino volse il prodigio in bonam
partem appellandosi al carattere di "amica dell'uomo" posseduto
dalla rondine. Si tratta di uno dei tipici casi in cui, di fronte a una
credenza di tipo bipolare, la dialettica fra dark side e bright side
viene utilizzata per fini di carattere "contestuale": sfruttandone le
intrinseche possibilità di manipolazione."[11]
Vediamo
il testo di Arriano.
Durante l’assedio di Alicarnasso. Mentre
Alessandro riposava sul mezzogiorno una rondine svolazzava sulla sua testa truvzousan megavla (1, 25, 6)
garrendo ripetutamente e si posava qua e là sul suo letto e cantava in modo più
irrequieto del solito qorubwdevsteron
h} kata; to; eijwqov~
a[/dousan (25, 7). L’eroe
macedone non si svegliava e comunque cercava di scacciarla con la mano, ma la
rondine si posò sulla sua testa e non se ne andò prima che quello si fosse
svegliato del tutto (25, 8). L’indovino Aristandro gli disse che questo
significava una macchinazione di amici che sarebbe stata scoperta. Infatti la
rondine è un uccello familiare e benevolo suvntrofon kai; eu[noun
verso gli uomini e lavlon
chiacchierone più degli altri uccelli. (25, 9).
giovanni
ghiselli
La rondine è un segno non chiaro anche nel Macbeth
dove Banquo giungendo al castello del protagonista già pronto al cupo delitto
sostiene che la presenza di questo uccello significa amenità del luogo e
amabilità dell'aria: l'alito del cielo qui sa di amore (I, 6). Invece si sta
preparando un assassinio.
Il
meccanismo del potere è una scala i cui gradini sono vite umane da calpestare.
Shakespeare
mostra di lacrime grondi e di che sangue. Pima di lui Erodoto, Euripide,
Platone, Tito livio e tanti altri
Macbeth
di Shakespeare inciamperà nel meccanismo del potere che è una scala i
cui gradini sono vite umane da calpestare:"That is a step/On which I must fall down, or else o'erleap / For in my way it lies-Lat base leg-lectus- "
(I, 4), questo è un gradino sul quale devo cadere oppure scavalcarlo poiché si
trova sulla mia strada. Il gradino è
Malcolm, un figlio del re ucciso.
Poi
(III, 4): ci sarà ancora sangue: blood will have blood, sangue vuole
sangue. Così le Erinni nell’Orestea
Quindi:
“I am in blood –stepped in, so far, that
should I wade- latino vadum- no
more,-returning were as tedious-taedium as go o’er” (Macbeth, III, 4) mi sono inoltrato nel sangue che, se non passassi
il guado, il tornare indietro sarebbe pericoloso come l’andare avanti. Cfr. il tiranno che taglia le teste:
Trasibulo di Mileto e Periandro di Corinto in Erodoto, e i Tarquini in Tito
Livio.
Erodoto
poi Tito Livio raccontano che le prime vittime del tiranno sono le persone
intelligenti e capaci
Periandro
tiranno di Corinto, quando era ancora apprendista e la sua malvagità non si
era scatenata, accolse il suggerimento
di Trasibulo tiranno di Mileto il quale:"oiJ
uJpetivqeto (…) tou;"
uJperovcou" tw'n ajstw'n foneuvein", gli consigliava di
mettere a morte i cittadini che si distinguevano ( Storie , V, 92 h) . Il tiranno esperto aveva dato il
consiglio criminale in maniera simbolica: mostrandosi a un araldo, mandato da
Corinto a domandargli come si potesse governare la città nella maniera più
sicura e bella, mentre recideva le spighe più alte di un campo di grano.
Periandro
comprese e allora rivelò tutta la sua malvagità (" ejnqau'ta dh; pa'san kakovthta ejxevfaine").
Tito
Livio attribuisce lo stesso gesto di Trasibulo, con le stesse intenzioni, al re
Tarquinio il quale indicò al figlio Sesto cosa fare degli abitanti di Gabi con
un'analoga risposta senza parole:" rex
velut deliberabundus in hortum aedium transit sequente nuntio filii; ibi
inambulans tacitus summa papaverum capita dicitur baculo decussisse "(I,
54), il re quasi meditabondo passò nel giardino della reggia seguito
dall'inviato del figlio; lì passeggiando in silenzio, si dice che troncasse con
un bastone le teste dei papaveri[12].
Il
falso sciocco: l’ossimoro vivente
Bruto, per salvarsi, aveva stabilito di non
lasciare al re nulla da temere dall'animo suo, nulla da desiderare nella sua
fortuna, e di trovare sicurezza nell'essere disprezzato:"Ergo ex industria factus ad imitationem
stultitiae, cum se suaque praedae esse regi sineret, Bruti quoque haud abnuit
cognomen " (I, 56, 8) pertanto fingendosi stolto apposta, lasciando se
stesso e i suoi beni al re, non rifiutò neppure il soprannome di Bruto.
il Coro dell'Eracle di Euripide dopo
la punizione del tiranno Lico afferma che l'oro, e il successo, spingono i
mortali fuori dalla ragione tirandosi dietro un potere ingiusto:" oJ cruso;" a[ t j
eujtuciva-frenw'n brotou;" ejxavgetai-duvnasin a[dikon ejfevlkwn" (vv. 774-776).
Lo afferma
anche Platone chiamando in causa Omero che ha rappresentato
Tantalo, Sisifo e Tizio "ejn j Aidou to;n ajei; crovnon
timwroumevnou""(525e), puniti nell'Ade per sempre: questi
erano appunto re e dinasti; mentre Tersite, e chiunque altro sia stato malvagio
da privato cittadino ("ijdiwvth"")
non ha avuto occasione di fare tanto male, e per questo si può considerare più
fortunato dei potenti dai quali provengono "oiJ
sfovdra ponhroiv" ( Repubblica, 526a) quelli malvagi assai.
giovanni
ghiselli
Antonio
subornato da Cleopatra affronta il giudizio della battaglia sbagliando tutto.
Plutarco
prosegue ribadendo che Antonio era succube di Cleopatra –prosqhvkh th`"
gunaikov",
(Vita di Antonio, 62, 1) era diventato una specie di aggiunta, appendice
della donna- al punto che pur essendo di
molto superiore nelle truppe di terra, tw`/ pezw`/ polu; diafevrwn, per assecondare
Cleopatra voleva che fosse adoperata la forza nautica, anche se vedeva che
nell’Ellade i comandanti delle navi per scarsità di equipaggi dovevano
arruolare viandanti-oJdoipovrou"-, asinai,-ojnhlavta"- mietitori-qeristav"- ed efebi-ejfhvbou". Le navi comunque
rimasero male equipaggiate
quelle
di Ottaviano invece erano maneggevoli veloci e bene equipaggiite
Abbiamo
già visto che nella tragedia di Shakepeare Enobarbo suggerisce ad Antonio di
combattere una battaglia terrestre per la quale è già prepared, preparato.
Diverse parole di questo consiglio traducono quelle
di Plutarco. Le ho citate nella parte precedente (XXV) e le ripeto qui dopo averle riconosciute nel
testo greco
Your ships are not well mann’d
your mariners are muleters, reapers, people
ingross’d by swift impress; in Caesar’s fleet
are those that often have ‘gainst Pompey fought:
their ships are yare, your heavy: no disgrace
shall fall you for refusing him at sea
Being prepared for land” (III, 7, 34-40), le vostre navi non sono ben fornite di
uomini, i vostri matìrinai sono mulattieri, mietitori, gente raccolta in fretta
con leva forzata; nella flotta di Cesare ci sono quelli che hanno combattuto
spesso contro Pompeo: le loo navi sono leggere, le vostre pesanti.
Poco
dopo entra un soldato e Antonio lo fa parlare.
Il soldier dice (III, 7, 60-66):
“o noble empeor,
do not fight by sea;
Trust not to rotten planks. Do you misdoubt
This sword and these my wounds? Let the Egyptians
And the Phoenicians go a-ducking: we
Have used to conquer, standing on the earth
And fighting foot-corresponding to
Idg. type *pōd, with the variants *ped, *pod- Cf L. pēs, Gk pouv" (Aeolic pwv")[13]- o nobile
generale, non combattete per mare; non affidatevi a tavole imputridite: potete
dubitare di questa spada e di queste mie ferite? Lasciate che gli Egiziani e i
Fenici vadano guazzare come oche: noi siamo abituati a vincere stando sul
terreno, e combattendo piede a piede.
Antonio
esce dopo avere risposto solo “Well, well, away! Con lui escono Cleopatra, Enobarbo. Quindi
Canidio, luogotenente generale di Antonio,
risponde
al soldato che l’azione bellica di Antonio non si sviluppa dal lato della sua
forza: “so our leader ‘s led/ and we are
women’s men” (68-69), così il nostro comandante è comandato e noi siamo
uomini in mano a donne
Si
ricorderà che in precedenza Canidio aveva sosenuto Cleopatra (Plutarco Vita di Antonio, 56, 6 citato sopra: XXV)
ma poi para; ta;
deinav,
di fronte al pericolo, una metabolh; gnwvmh", un cambiamento di parere gli fece
consigliare ad Antonio di mandare via Cleopatra-Kleopavtran me;n ajpopempein- , di ritirarsi in
Tracia e in Macedonia e di combattere per terra-pezomacia/ kri`nai cfr. crisis-criterion decidere con un combattimento terrestre(63, 6-7).
Lo stesso Antonio stava prendendo in considerazione l’esercito di terra perché
vedeva che la flotta operava male. Tuttavia prevalse il parere di Cleopatra che
la guerra venisse decisa con le navi: “oij mh;n ajll j ejxenivkhse Kleopavtra dia; tw`n vew`m kriqh`nai
to;n povlemon”
( 63-6). La regina oltretutto era già orientata alla fuga e dispose le navi
nella posizione dalla quale fosse più facile scappare qualora le cose si
fossero messe male.
Siamo
arrivati alla battaglia di Azio (2 settembre del 31).
giovanni
ghiselli
La
battaglia di Azio. Antonio perde la guerra e anche la reputazione
Plutarco
scrive che quando la battaglia navale
non era già aggiudicata e stava
ancora alla pari- ajkrivtou
de; kai; koinh`" th`" naumaciva" sunestwvsh" (Vita di Antonio 66,5), si videro le
sessanta navi di Cleopatra- aiJ Kleopavtra" eJxhvkonta nh`e" che alzavano le vele per la ritirata,
fuggivano attraverso i combattenti e aprendosi un varco tarach;n ejpoivoun, creavano
confusione.
La
confusione
Abbiamo
detto più volte che la confusione è il male delle origini che si riaffaccia
periodicamente e portando regresso.
Nei
Cavalieri (
Alla
fine la confusione però si ritorce contro chi la crea: Cleone morirà nel 422 ad Anfipoli ucciso in battaglia come
pure lo spartano Brasida, l’altro pestello della Grecia. Nella commedia, il demagogo Paflagone perderà il potere.
Quello
della confusione è un tema ricorrente nella Medea di Seneca. La
navigazione ha unito, confondendo, parti che doveva restare separate e
distinte. Così si sono guastati i candida…saecula (Medea, 329) dei padri. "Bene
dissaepti foedera mundi/ traxit in unum Thessala pinus,/iussitque pati verbera
pontum/partemque metus fieri nostri/mare sepositum" ( Medea, vv. 335-339), la nave tessala
unificò le parti del cosmo ben separate
da un recinto di leggi, e ordinò che il ponto patisse le frustate dei remi e
che il mare lontano divenisse parte della nostra paura.
Il rischio è quello del ritorno al magma indifferenziato
del caos. Infatti “il pretium huius cursus [14], il risultato del
caos cosmico provocato dalla prima nave è Medea, emblema del caos etico "[15].
Il
mondo pervius ha aperto la via alla "confusion delle persone"[16] .
Ma
torniamo a Plutarco che punta l’obiettivo e la critica su Antonio il quale non
si comportò da capo né da uomo non agendo in modo razionale ma si lasciò
trascinare da quella donna come se fosse connaturato a lei e mosso con lei-w{sper sumpefukw;" kai;
summetaferovmeno"
–(66, 8). Infatti tradendo e abbandonando quelli che combattevano e morivano
per lui seguiva la donna che l’aveva già rovinato e l’avrebbe fatto morire.
Ora
passiamo a Shakespeare. Per l'uomo
moderno, Plutarco significa Shakespeare"[17], e viceversa.
Enobarbo
annuncia la rovina, l’azzeramento totale, inguardabile: “Naught,
naught, all naught! I cannot behold no longer!
The Antoniad, the Eyptian admiral,
With all their sixty, fly and turn latino torno-as; tornus- the
rudder:
To see ’t mine
eyes are blasted
( III, 10, 1-4), niente, niente, tutto è niente. Io non posso guardare più a
lungo. L’Antoniade, l’ammiraglia Egiziana, con tutte le sue sessanta, fugge e
volta il timone, a vedere questo i miei occhi sono scoppiati.
Quindi
entra Scaro un altro amico di Antonio che dice: “we have kiss’d away-kingdoms and provinces” (7-8) abbiamo consumato
in baci regni e province. Quindi racconta a Enobarbo la fuga di Cleopatra
seguita dall’amante risucchiato da lei: “quell’oscena baldracca d’Egitto, che
la colga la lebbra-whom leprosy- latino lepra, leprosus-o’ertake- nel mezzo della battaglia, quando il
vantaggio appariva pari come due gemelli, o piuttosto maggiore il nostro, punta
da un tafano –like a cow in June!-
come una vacca in giugno, alza le vele e scappa (III, 10, 10- 15). Cfr. Iò nel Prometeo incatenato
La
donna paragonata a una mucca spinta a correre dalla brezza o punta da un tafàno
fa venire in mente la povera Iò del Prometeo
incatenato di Eschilo.
Enobarbo
conferma che ha visto anche lui quella scena ammalandosi di occhi.
Il
racconto di Scaro prosegue con Antonio
che corre dietro a Cleopatra ossia alla
propria rovina come un’anatra rimbecillita like a doting mallard ( III, 10, 20) lasciando il combattimento
giunto al culmine.
Antonio
ha perso la faccia con i suoi: “I never
saw an action of such shame; experience manhood, honour, ne’er before –did
violated so itself (22-24) non ho mai visto un’azione di tale vergogna:
esperienza, virilità, onore, mai pima si sono così violati da soli.
Lo
riconosce poco più avanti lo stesso Antonio: “I have offended my reputation, / a most unnoble swerving, il traviamento
più ignobile (III, 11. 47-48)
Excursus
sulla reputazine
Sentiamo
anche Cassio nell’Otello di
Shakespeare: “Reputation, reputation,
reputation! O, I have lost my reputation! I have lost the immortal part of myself,
and what remains is bestial. My reputation Iago, my reputation! (II, 3). Iago
risponde: “Reputation is an idle and most
false imposition; oft got without merit and lost without deserving: you have
lost not reputation at all, unless you repute yourself such a loser”, la
reputazione è una vana e falsissima imposizione; spesso ottenuta senza merito e
perduta senza demerito: tu non hai perso la reputazione a meno che tu stesso
reputi di averla perduta.
La
reputazione scaduta contibuisce allo scadimento dell’identità talora perfino
alla sua perdita
La tragedia di Seneca dà grande
rilievo al terrore dell'identità minacciata, quindi alla difesa della stessa.
Ricordo Medea superest ( Seneca, Medea,
166).
Grande dolore dunque provoca il calo della reputazione, secondo
l'importanza che ha la dovxa
nella cosiddetta civiltà della vergogna.
Ricordo anche la Medea di
Euripide che non vuole essere considerata una donna ordinaria e debole, né
mite, ma di indole diversa, violenta con i nemici (barei'an ejcqroi'"
) e benevola con gli amici;
infatti la vita di tali persone è piena
di gloria (eujkleevstato"
bivo"), vv. 807-810.
Alcesti invece diviene
eujklehv" (v. 150) , gloriosa, per la sua benevolenza e per
"il coraggio che si manifesta essenzialmente nel prestare aiuto, nell'aver
cura, nel proteggere"[18].
Ecco due vie diverse per giungere a una
rinomanza rispettata.
Già Solone nell'Elegia alle Muse
chiede, quale bene supremo, oltre il benessere (o[lbon), la reputazione buona (dovxan e[cein ajgaqhvn): "Splendide
figlie della Memoria e di Zeus Olimpio,/Muse Pieridi, ascoltate la mia preghiera:/concedetemi
il benessere da parte degli dei beati, e di avere una buona/reputazione da
parte di tutti gli uomini sempre;/in modo che così possa essere dolce per gli
amici e amaro per i nemici,/rispettato da gli uni, temibile a vedersi per gli
altri" (vv. 1-6).
Questa alta considerazione di quanto pensano gli altri di noi, induce a
ricordare la definizione data da E. R. Dodds alla società descritta da Omero
quale "Civiltà di vergogna" . In essa "il bene supremo non sta nel godimento di una coscienza
tranquilla, ma nel possesso della timhv, la
pubblica stima (...) La più potente forza morale nota all'uomo omerico non è il
timor di Dio, è il rispetto dell'opinione pubblica, aijdwv": aijdevomai Trw'a"[19], dice Ettore nel momento risolutivo del suo
destino, e va alla morte con gli occhi aperti"[20].
Il cedimento alla pressione del
conformismo sociale è caratteristico della cultura della vergogna "ove
tutto quel che espone l'uomo al disprezzo o al ridicolo dei suoi simili, tutto
quel che gli fa "perdere la faccia" è sentito come insopportabile"[21].
Esiodo[22] si trova su questa linea, quando consiglia di evitare la
cattiva fama (fhvmh
kakhv)
che è leggera a sollevarsi ("kouvfh me;n ajei'rai", Opere , v. 761), ma è
pesante da portare ed è difficile togliersela di dosso ("ajrgalevh de; fevrein, caleph;
d& ajpoqevsqai",
v. 762).
Nella
Tebaide di Stazio la Fama è la dea
turbida ( II, 208), burrascosa, che scatena burrasche.
Qualche aspetto di questa culture of shame dunque arriva a Virgilio, mentre dal Critone di Platone (
Critone
sostiene che bisogna tenere conto della reputazione poiché la maggioranza è
capace di compiere i più grandi mali, se uno viene calunniato. Al che Socrate
risponde: magari fossero capaci i più ("oiJ polloiv", 44d) di compiere grandi mali, purché sapessero
fare grandi beni. Ma non sanno fare né l'una né l'altra cosa e operano a
casaccio ("poiou'si
de; tou'to o{ti a]n tuvcwsi").
La
moralità è il valore più importante solo per chi è andato oltre la civiltà di
vergogna poiché soltanto una persona siffatta sa che "non vi è profonda
felicità senza morale profonda"[24]. Lo ripeto come
sintesi di questo excursus.
Senza morale profonda non c'è neppure la
bellezza:"Le risposte estetiche sono risposte morali: kalon kagathon…La
forma senza Anima diventa formalismo, conformismo, formalità, formule,
formulari burocratici: forme senza lucentezza, senza la presenza del corpo.
Sigle invece di parole, società anonime. E intanto la bellezza è segregata nel
ghetto delle cose belle: musei, ministero della cultura, musica classica, la
stanza buia della canonica: Afrodite imprigionata…La nostra salvezza è in
Afrodite, e il primo modo di scoprire la dea, per noi, è nella malattia della
sua assenza"[25].
p. s.
Civiltà
di vergogna (Culture of shame) dunque
e Civiltà di colpa (Culture of guilt)
secondo Dodds.
Peggiore
però è questa civiltà dell’ignoranza e del cretinismo.
La
Sardegna da bianca, in seguito alle riaperture, è diventata rossa.
Come
si possono chiedere le riaperture dopo questo segnale?
Per
dare vitto e alloggio ai caduti in miseria si faccia una patrimoniale non si mandino all’obitorio altri centomila
italiani
Eterno
amore e amicizia eterna
L’amicizia
di Enobarbo e Antonio sopravvive a tutto come l’amore tra Antonio e Cleopatra
Canidio
il luogotenente di Antonio annuncia a Enobarbo e Scaro : “Toward Peloponnesus are they fled” essi sono fuggiti verso il Peloponneso
(III, 10, 31)
Enobarbo
dubita che la fedeltà ad Antonio abbia più senso almeno dal punto di vista
della ragione e dell’utile: “I ’ yet
follow the wounded chance of Antony, though my reason- latino ratio-rationem-/ sits in the wind against me” (III, 10,
36-38) io seguirò ancora la fortuna
ferita di Antonio , sebbene la mia ragione si trovi nel vento a me contrario.
Quando
Cleopatra, che si trova nel suo palazzo di Alessandria con Carmiana e Iras gli
domanda: “What shall we do, Enobarbo? III, 13, 1, 1) egli risponde: Think, and die, meditare e morire
Poi la regina gli fa: “Is Antony or we in fault for this?”
Enobarbo risponde: “Antony only, that would make his will Lord
of his reason” (III, 13, 2-4) solo
Antonio che ha voluto mettere il suo piacere al di sopra della ragione. Fece
male a seguire Cleopatra che fuggiva: the
itch of his affection should not then-have nick’d his captainship, il
prurito dell’amore non avrebbe dovuto intaccare in quel momento la sua funzione
di comando (III, 13, 7-8)
Poi la ragione prevale ma rimangono i dubbi: “mine honesty and I begin to square
latino quadrare, tornare bene,
corrispondere.” (III, 13, 41), la mia onestà e io cominciamo a corrispondere.
“The
loyalty well held to fool does make/our faith
-latino fides , greco pivsti" - mere latino
merus - folly: yet he that can endure
/to follow with allegiance a fall’d lord/does conquer- latino conquīrere-
him that did his master conquer,/and earns a
place latino platĕa, greco plateiva,
via larga- i’ the story” (III, 13, 42-46)
, la lealtà fedelmente tenuta ai folli,
rende la nostra fedeltà pura follia: eppure colui che ha la costanza di seguire
fedelmente un signore caduto, vince quello che ha vinto il suo signore e
guadagna un posto nella storia.
Bisogna
mantenere la fede o no?
Machiavelli
ritiene che il principe, soprattutto giunto al potere da poco, non sia tenuto a
mantenere la fede
“Et hassi ad intendere questo, che uno
principe, e massime uno principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose per
le quali li uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere
lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro umanità, contro
alla relligione…Debbe, adunque, avere uno principe gran cura che non li esca
mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità, e
paia, a vederlo et udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto
relligione”[26].
Riccardo III di Shakespeare è
il “principe che ha letto Il Principe.
La politica è per lui pura pratica, un’arte il cui fine è governare. Un’arte
amorale come quella di costruire i ponti o come una lezione di scherma. Le
passioni umane sono argilla, e anche gli uomini sono un’argilla di cui si può
fare quel che si vuole.”[27].
Riccardo espone il suo metodo: Io commetto il torto e sono il primo a
recriminare. Quindi mi incitano a vendicarmi: “ But then I sigh, and, with a piece of Scripture,-Tell them that God
bids us do good for evil:- And thus I clothe my naked villainy-With odd
old ends stol’n forth of Holy Writ-And seem a saint, when most I play the devil”
(I, 3, 334-339), ma allora io sospiro,
e, con un brano della Scrittura, dico loro che Dio ci ordina di rendere bene
per male: e così rivesto la mia nuda scelleratezza con occasionali vecchi
scampoli della Sacra Scrittura, e sembro un santo quando più faccio il
diavolo.
Tacito
segnala la perversione della fides
tra i Germani i quali, dopo avere perso tutto ai dadi (alea), con un ultimo lancio mettono in gioco la libertà personale,
quindi, se perdono, mantengono la parola data e subiscono la schiavitù. Ebbene
in questo caso ciò che loro chiamano fides
è una forma di ostinazione in un vizio riprovevole: “ea est in re prava pervicacia”(Germania,
24, 2).
Nella
Montagna incantata di T. Mann,
Claudia Chauchat parla con Hans Castorp che è innamorato di lei e la corteggia.
Il giovane chiede alla donna: “ Ci consideri pedanti, noi tedeschi…nous autres allemands?” E Claudia
risponde “ nous causons de votre cousin.
Mais c’est vrai, siete un poco
burgeois. Vouz aimez l’ordre mieux que la libertè, toute l’Europe le sait ”
(V capitolo, Notte di Valpurga, p. 494, Mondadori, 2010), noi parliamo di
vostro cugino, ma è vero, siete un poco borghesi amate l’ordine più della libertà, lo sa tutta
l’Europa. Il cugino di Hans è Joachim,
un militare tubercoloso che morirà nel sanatoio.
Hans
replica a Claudia di cui è innamorato dicendo: “Ce que toute l’Europe nomme la libertè , est peut- être une chose assez
pèdante et assez burgeoise en comparaison de notre besoin d’ordre-c’est ça!”,
ciò che tutta l’Europa chiama libertà è forse qualcosa di piuttosto pedante e
borghese, se la si confronta con il nostro bisogno dim ordine: è così.
Torniamo
a Enobarbo di Shakespeare
Quando
vede che Cleopatra nel trattare la resa con Tireo, il messo di Ottaviano, calunnia Antonio con il
dire che il proprio onore fu preso con la forza, Enobarbo dice a parte: “Sir, sir, thou art so leaky-that we must
leave thee to thy sinking, for thy dearest quit thee” (III, 13, 63-65),
signore, signore, siete così perdente che dobbiamo lasciarvi al vostro
naufragio, poiché l’essere a voi più caro vi abbandona. Poco più avanti dice a
se stesso che è meglio giocare con un cucciolo di leone che con uno vecchio e
morente (III, 13, 93-94).
La
furia si associa al terrore, all’ impotenza, all’ infantilismo.
Alla
fine del III atto Enobarbo che ha osservato la furia di Antonio, la associa al
terrore della caduta dopo la sconfitta : “to
be furious /is to be frighted out of fear” (Antonio e Cleopatra, III, 13,
195-196) essere infuriato è essere
spaventato al di là della paura.
Anche secondo E. Fromm l’ira deriva dallo spavento:“we see a man who shouts and has a red face.
We describe his behavior as ‘being angry’. If we ask why he is angry, the
answer may be ‘because he is frightened’ ‘Why is he frightened?’ ‘Because he
suffers from a deep sense of impotence’. ‘Why is this so?’ ‘Because he has
never dissolved the ties to mother and is emotionally still a little child’
”[28], noi vediamo un uomo che grida e ha la faccia rossa. Descriviamo il suo
comportamento dicendo che è arrabbiato. Se noi domandiamo perché è arrabbiato,
la risposta può essere, perché è spaventato. Perché è spaventato? Perché soffre
di un profondo senso di impotenza. Perché è così? Perché non ha mai reciso i
legami con la madre ed è ancora emotivamente un bambino.
Enobarbo
torna nella seconda scena del IV atto. Antonio gli domanda se sia disposto a
combattere e lui risponde ambiguamente Take
all! (7), prenda tutto (chi vince)
ma più benevolmente si può intendere “tutto per tutto” o “a tutti i
costi” all’incirca come a detto Draghi «Whatever it takes».
Quando poi Antonio passa
dalla furia alla querimonia definendosi a mangled shadow greco skovto"-(IV, 2, 27), un’ombra mutilata, Enobarbo
gli rinfaccia il dolore che procura a chi gli sta vicino: “Look, they
weep-and I, an ass, am onion- eyed: for shame-trasform us not to women (34-36),
guardate essi piangono, e io ,da asino, sono come uno che ha la cipolla sotto
gli occhi: per evitare la vergogna, non trasformateci in donne.
Forse questo consentire
il pianto alle donne e proibirlo agli uomini dipende da Tacito: “feminis
lugere honestum est, viris meminisse” (Germania, 27, 2)
Alla fine della sesta
scena del IV atto Antonio domanda a un soldato chi ancora è andato via da lui, e il milite risponde: one
ever near thee (IV, 6, 7) uno che vi è sempre stato vicino: Enobarbo , He
is with Caesar, egli è con Cesare
Tuttavia tra i due l’affetto non è
sparito come non sparisce l’amore tra Antonio e Cleopatra.
Quando Eros lo informa che Enobarbo se ne è
andato senza portare via i suoi scrigni e i suoi tesori, Antonio gli ordina: Go Eros, send his treasur after; do it, vai Eros e mandagli i suoi
tesori; fallio. Non trattenere uno iota, te lo ordino. Scrivigli cortesi addìi
e saluti. Digli che gli auguro di non trovare più motivi per cambiare padrone. O, my fortunes have-corrupted honest men! (IV, 5, 12-16), oh le mie sventure hanno
corrotto gli uomini onesti!
Anche l'Antonio di Plutarco si comporta con benevolenza-eujgnwmovnw"- verso l'amico che lo ha tradito e nonostante
il parere di Cleopatra para; th;n Kleopavtra" gnwvmhn (Vita di Antonio, 63, 3).
Enobarbo h[dh purevttwn, già
febbricitante,
era salito su una piccola barca e
passato a Ottaviano.
Antonio pur molto dispiaciuto, barevw" ejnegkwvn, gi
mandò comunque tutti i suoi bagagli con gli amici e i servi-o{mw" pa`san
aujtw`/ th;n ajposkeuh;n meta; tw`n fivlwn kai; tw`n qerapovntwn ajpevpemye-
Domizio Enobarbo come alterato per
l’evidenza della sua infedeltà e tradimento-w{sper ejpi; tw`/ mh; laqei`n th;n ajpistivan
kai; prodosivan metabalovmeno" - morì subito dopo- eujqu;"
ejteleuvthsen-(63,
4-5)
Pure l'Enobarbo di Shakespeare si pente
"I am alone the villain of
the earth , /and fell I am so most", io sono solo lo scellerato della
terra e sento con tutta la forza di esserlo. Quindi riconosce la generosità di
Antonio, lo benedice e gli promette a distanza
"non combatterò contro di te! No, andrò a cercare una fossa dove
morire. (IV, 6, 30 ss.)
Infine prega la benedetta luna the blessed moon di essere testimone del
suo pentimento (IV, 9, 7).
Poi, sempre rivolto alla sovrana signora della malinconia vera, le
chiede: "trhow my heart against the
flint and hardness of my fault", getta Il mio cuore contro la durezza
di selce della mia colpa ed esso, inaridito dal dolore, si frantumerà in
polvere, ponendo termine a tutti i ripugnanti pensieri. Infine si rivolge
all'amico: "Oh Antonio, più nobile di quanto è infame il mio tradimento, forgive me in thine own particular, but let
the world rank me in register a master-leaver and a fugitive: o Antony, Antony! (IV, 9, 15-23), perdonami per tuo proprio
conto, ma lascia che il mondo mi classifichi nel registro dei traditori e
disertori. O Antony, O Antony. Quindi
muore. Tra i due rimane un'amicizia celeste.
Antonio sconfitto e fuorviato diventa misantropo come Timone di Atene
Avere
un metodo significa percorrere la
propria strada -ojdov"-. Metodicamente
appunto
Dopo
la battaglia di Azio irrimediabilmente perduta, Antonio, dentro il palazzo di
Cleopatra, dice ai suoi: hark! The land bids me tread no more upon it; /it is ashamed
to bear me. Friends, come hither:/ I am so lated- alllied L. lassus (for
*lad-tus)- in the world that I/have lost
my way. I have a ship/laden with gold, take that, divide it; fly/and make your
pace with Caesar (III, 11, 1-6), ascoltate! La terra mi ordina
di non calpestarla più a lungo; essa ha vergogna di portarmi. Amici venite qua:
sono rimasto così in ritardo nel mondo
che ho perso la mia strada. Ho un vascello carico d’oro, prendetelo e
dividetelo; fuggite e fate la pace con Cesare.
Rimanere
in ritardo rispetto ai giri del mondo e del cielo significa la discrepanza
della persona rispetto alla natura: è questo che provoca il cozzo della
tragedia.
Nella
Fedra di Seneca la nutrice rinfaccia
a Ippolito di essere uno truculentus et
silvester ( v. 462), truce e
selvatico, in quanto passa una gioventù senza Venere, una dea che colma i vuoti
della razza umana. Se la escludi, il mondo rimane senza vita: “Excedat agedum rebus humanis Venus/ quae
supplet ac restituit exhaustum genus:/ orbis iacebit squalido turpis situ,
/vacuum sine ullis piscibus stabit mare/alesque caelo derit et silvis
fera/solis et aer pervius ventis erit (v. 469-473), poni che Venere si
allontani dalle faccende umane, lei che cmpleta e restaura la stirpe consunta:
il mondo giacerà schifoso in un ripugnante squallore, il mare rimarrà senza il
guizzare dei pesci, mancherà l’uccello al cielo e la fiera ai boschi, l’aria
sarebbe percorsa soltanto dai vènti.
La
conclusione è: “ Proinde vitae sequere
naturam ducem:/urbem frequenta , civium coetus cole” (v. 481-482), allora
segui la guida della natura, frequenta la città, coltiva le riunioni dei
cittadini.
Ippolito
si è sviato dalla natura attraverso un eccesso: quello di rifiutare il modo
delle donne, delle feste, della gioia; Antonio attraverso la strada opposta
dopo che ha perso quelle del potere e dell’amore
Il
figlio di Teseo è arrivato alla misoginia come si vede con chiarezza nell’Ippolito di Euripide; Antonio ha
trascurato il suo ruolo politico e militare per affogare nei banchetti e nella
lussuria. Entrambi devono pagare il
conto del loro fuorviarsi.
Antonio,
il guerriero e gaudente, il nuovo Eracle e nuovo Dioniso, diventa misantropo
come Timone e Cnemone
Torniamo
ora a Plutarco il quale racconta che Antonio abusò di una grande sollitudine ( Vita di Antonio, 69, 1). Quindi cadde in un eccesso opposto al
precedente: lasciata la città e i passatempi con gli amici-th;n povlin ejklipw;n kai;
ta;" meta; tw`n fivlwn
diatribav" (69,
6), si ritirò in una abitazione sul mare e là fuggiva il consorzio umano. Era
diventato dunque un misantropo, tanto che diceva di volere imitare Timone, in
quanto come lui era stato trattato con ingratitudine dagli amici-uJpo; tw`n fivlwn
ajcaristhqeiv" (69,
7) e per questo diffidava di tutti gli
uomini e li aveva in odio.
Plutarco
racconta che Tivmwn
oJ misavnqrwpo~
imbattutosi un giorno in Acibiade che
tornava dall’assemblea popolare soddisfatto per un successo, non lo scansò come
era solito fare con gli altri, ma anzi gli andò incontro, gli strinse la destra
e gli disse: “fai bene ragazzo a crescere in potenza: mevga ga;r au[xei kako;n a{pasi touvtoi~, così accresci di
molto il male a tutti questi ( Vita di
Alcibiade , 16)
Shakespeare
ha scritto un dramma su Timone d'Atene (1607).
Il protagonista diventato misantropo per
l’ingratitudine umana dice: All’s
obliquy;-there is nothing level in our cursed –natures-but direct villainy. Therefore be abhorred-all feasts, societies, and throngs of men-His
semblable latino similis-yea himself, Timon disdains- latino dedignari -Destruction fang-,allied to latin pangere- mankind. IV, 3, 18-24), tutto è storto, non cè niente di
dritto nelle nostre nature maledette, ma è la malvagità che va dritta. Perciò siano aborrite tutte le
feste, le compagnie, e le folle di uomini. Timone disprezza il suo simile, anzi
se stesso, che la distruzione azzanni l’umanità.
Quale
corruttore principale viene indicato l’oro, giallo, prezioso, scintillante,
agli occhi dei più. Invero un po’ di
quella roba ribalta tutto: “ will make black white, foul fair, wrong
right- latino rectus-, base noble, old
young, coward valiant (Timone di
Atene IV, 3, 29-30), farà diventare nero il bianco, brutto il bello,
ingiusto il giusto, vile il nobile, vecchio il giovane, vile il prode. E
viceversa,
E ancora: This
yellow slave-will knit and break religions- questo schiavo giallo unirà e
spezzerà religioni, bless the accursed, benedirà I maledetti, make the hoar leprosy adored, farà
adorare la lebbra canuta, place thieves,
darà posti ai ladri and give them title,
knee and approbation with senators on the bench, darà loro titoli
nobiliari e li metterà nei banchi del
senato riveriti e applauditi.
That makes the wappened widow wed again/ she, whom the spital house and
ulcerous sores/ would cast the gorge at, this embalms and spices/to the april
day again. Come, damned earth, /thou common whore of mankind, that putt
odds/among the rot of nations, I will make thee/do thy right nature” ,
questa roba fa risposare la vedova stantia,
una da far vomitare un ospedale di ulcerosi doloranti, ma questa cosa la
aromatizza e imbalsama fino a riportarla all’aprile. Vieni fuori,
terra dannata, tu comune bagascia del
genere umano che semini discordia tra la marmaglia delle nazioni, ti farò agire
secondo la tua vera natura (Timone di Atene, IV, 3, 35-45).
K. Marx, commenta Shakespeare
scrivendo che nel denaro il grande drammaturgo inglese rileva:"la divinità
visibile, la trasformazione di tutte le caratteristiche umane e naturali nel
loro contrario, la confusione universale e l'universale rovesciamento delle
cose"[29].
Timone d’Atene dunque si presenta
ad Alcibiade dicendogli: “I am
Misanthropos, and hate mankind” (II, 3, 53), io sono misantropo e odio
l’umanità
Corso
di giugno XX La sconfitta di Antonio ne provoca la follia
L’insuccesso
irrimediabile è spesso associato alla follia. Quando la realtà non è più
sopportabile viene negata dalla pazzia che cerca di prolungare la vita.
Antonio
manda al vincitore della battaglia decisiva l’ambasciatore Eufronio perché gli
porti la sua sottomissione con la richiesta di poter rimanere in Egitto o
almeno “to let him breathe between the
heavens and earth, a private man in Athens” (III, 12, 14-15) di lasciarlo
respirare tra il cielo e la terra come privato cittadino in Atene.
Ottaviano
risponde di non avere orecchi per la sua richiesta. Quanto a Cleopatra che gli
ha mandato la preghiera di conservare la corona dei Tolomei con l’offerta della
propria sottomissione, la donna dovrà scacciare dall’Egitto Antonio her all-disgraced friend (22)-, il suo
amante del tutto screditato, se vorrà che le sue richieste non rimangano
inascoltate.
Plutarco
scrive che l’ambasciatore mandato a Ottaviano, Eufronio che era pure oj
tw`n paivdwn didavskalo"
(72, 2), maestro dei loro figli, riferì a Ottaviano che Cleopatra chiedeva il regno d’Egitto per i
propri figli , e Antonio soltanto di
vivere come privato cittadino-ijdiwvth" (72, 2) in Atene, se non poteva rimanere in Egitto.
Cesare
non accolse le richieste di Antonio, mentre a Cleopatra rispose che non avrebbe
mancato di ottenere niente di quanto era
ragionevole chiedere se avesse ucciso o
scacciato Antonio (Vita, 73, 1)
Torniamo
a Shakespeare. Antonio reagisce con il misero orgoglio di un tempo che fu: ordina
a Eufronio di tornare da Ottaviano per dirgli che la battaglia l’ha vinta
grazie ai suoi ministri che avrebbero avuto successo anche se fossero stati
comandati da un bambino.
Quindi:
“lo sfido a lasciare da parte il suo vantaggio e a misurarsi con me già in declino,
spada contro spada, noi soli-sword
against sword-ourselves alone” (III, 13, 27-28)
Enobarbo
in un a parte associa questa folle
proposta agli insuccessi di Antonio.
“I see men’s judgements are-a parcel of their fortunes”- 31-32-
vedo che i senni degli uomini fanno parte della loro fortuna . Antonio sogna,
conoscendo la situazione, che la potenza di Cesare risponderà al suo vuoto.
“Caesar, thou hast subdued-his judgment too”
(35-36), Cesare, tu hai soggiogato anche il suo giudizio.
Antonio
si è lasciato prima sottomettere da Cleopatra, poi sconfiggere da Ottaviano.
Poco dopo entra Tireo mandato da Ottaviano e
suggerisce a Cleopatra di affermare che lei non ha mai amato Antonio ma ha subito violenza da lui.
Cleopatra non lo nega e manda a dire al padrone del mondo I kiss his conquering hand (75), io bacio la mano che ha vinto.
La
donna difficilmente perdona l’insuccesso
dell’uomo.
Cfr Il Gabbiano (1895) di Cechov quando
Kostantin dice che le donne non perdonano l’insuccesso. Poi si uccide.
Quindi
esplode la rabbia di Antonio il quale urla a Cleopatra “Ah, you kite! (III, 13, 89), avvoltoio!, e ricorda pateticamente la
sua epoca d’oro, quando aveva successo e gli obbedivano i re, accorrendo come fanciulli al suono della sua
voce.
Infine l’ultimo squillo del misero e folle
orgoglio dell’uomo malamente caduto: I am
Antony yet ” (93), io sono ancora Antonio! Lo abbiamo già accostato al Medea superest di Seneca (Medea,
166).
La donna abbandonata però
non ucciderà se stessa ma i figli avuti da Giasone che l’ha gettata nella
disperazione e nella follia.
Anche nella Vita di
Plutarco troviamo questa proposta di monomachia fatta dal vinto al vincitore. La sfida viene lanciata due volte.
La prima alla vigilia della battaglia di Azio: “ajntikompavzwn
jAntwvnio"
aujto;n me;n eij" monomacivan proujkalei`to kaivper w]n presbuvtero"” (62, 4) rispondendo con spacconate Antonio lo
sfidava a duello, sebbene fosse più avanti con l’età (Ottaviano era del
La seconda volta Antonio
ripetè la sfida dopo l’ambasceria di Eufronio: “pavlin
d ‘Antwvnio" e[pempe monomach`sai prokalouvmeno" e Ottaviano rispose ad Antonio che aveva a
disposizione molte vie per morire (ajpokrinamevnou d’ ejkeivnou polla;" ojdou;" jAntwnivw/ parei`nai qanavtou, 75, 1)
La sconfitta, il fallimento
se non lasciano aperta nessuna via per rimediare, portano dunque alla follia e
alla morte
Antonio,
acciecato dall’insuccesso, si degrada
ulteriormente.
Dopo
avere rivendicato la propria identità, come fanno quanti temono di averla perduta, Antonio ordina di frustare
Tireo , l’ambasciatore che gli ha riferito la volontà di Ottaviano
“Moon and stars!
Whip him (III, 13, 96), luna e stelle,
frustatelo!
Se
sia lecito violare un ambasciatore discutono il podestà e il conte Attilio durante un banchetto nel palazzotto di don
Rodrigo. Il podestà sostiene : “il messaggiero è di sua natura inviolabile, per
diritto delle genti, jure gentium”.
Quindi fa l’esempio dei fetiales “che
gli antichi romani mandavano a intimar le sfide agli altri popoli” e non
vennero mai bastonati”.
Ma
“lo spensierato d’Attilio” ribatte che “un messo il quale ardisce di porre in
mano a un cavaliere una sfida, senza avergliene chiesta licenza, è un temerario
, violabile, violabilissimo, bastonabile, bastonabilissimo” (I promessi sposi, capitolo V). Urlavano
entrambi e nom mancavano altre “voci discordi che cercavano a vicenda di
soverchiarsi. Come succede in molte trasmissioni televisive.
Nel
dramma di Shakespeare in effetti Tireo era entrato in scena subito dopo essere
stato annunciato da un messo, e Cleopatra aveva
detto: “What, no more ceremony?
(III, 13, 22), e che, senza cerimonie?.
Antonio
dunque ribadisce che l’importuno deve essere frustato fino a farlo piangere. Lo
sconfitto è irritato anche per la
confidenza che Tireo si è preso con Cleopatra e l’impertinenza che ha avuto nel
proporre un baciamano alla regina (Antonio
e Cleopatra, III, 13, 81-82).
Plutarco
racconta che Ottaviano mandò insieme con gli ambasciatori anche Quvrson uno dei suoi
liberti, un uomo intelligente capace di parlare in modo persuasivo come si può
fare con una donna altera e straordinariamente superba per la sua bellezza (73,
2)
Thyrso,
siccome si intratteneva con la regina più a lungo degli altri e riceveva
particolari onori kai;
timwvmeno" diaferovntw", procurò dei sospetti ad Antonio ujpovnoian tw`/ jAntwnivw/ parevsce (73, 3) che lo fece prendere e frustare (ejmastivgwsen). Quindi lo
rimandò a Cesare scrivendogli che il liberto lo aveva irritato con la sua insolenza
mentre egli era già facilmente
irritabile per i guai- eujparovxunton ujpo; kakw`n
o[nta
(4).
L’insuccesso
oscura tutta la vita di Antonio.
Torniamo
a Shakespeare che ordina ai servi di
portare via Tireo, e di riportarlo dopo le frustate-“being -L. fore ; Gk. fuvein-whipp’d Cf. L.
vibrare--bring him again”
Dopo
che i servi furono di scena usciti con Tireo, Antonio fa una scenata a
Cleopatra degradandosi ancora.
Le
dice: “you were half blasted ere I knew
you” (III, 13, 105), eri gà mezzo appassita prima che ti conoscessi. Io dunque ho lasciato il
mio guanciale intatto a Roma –Have I my
pillow left unpress’d in Rome – e rinunciato ad avere una discendenza
legittima -by a gem-L. gemma- of women- da una gemma tra le
donne per essere ingannato da una che presta attenzione ai servi?
E
continua: “sei sempre stata incostante, ma quando ci incalliamo nel nostro
vizio , oh miseria- the gods seel – L. cilium, eye-lid-our eyes- gli dei ci
acciecano. L’acciecamento mentale è l’ a[th dei Greci, quell’offuscamento della ragione che
impedisce di vedere gli errori che commettiamo in tempo per evitarli .
Dopo
averci acciecati gli dèi ci fanno adorare i nostri errori-make us-adore our errors-e ridono mentre noi avanziamo
pomposamente verso il nostro rovinoso caos-laugh
at while we strut –to our confusion (III, 13, 113- 115)
Breve excursus sull’ a[th
Nell'Iliade
c'è un discorso esortativo del maestro all'alunno con l'impiego del
paradigma: si tratta di Fenice che nel IX canto prega Achille di accettare i
doni di Agamennone, di domare il cuore magnanimo (v. 496) e smettere l'ira (v.
517), facendogli l'esempio (negativo) di Meleagro, il quale, irato contro la
madre Altea che l'aveva maledetto, non voleva difendere gli Etoli, che pure lo
supplicavano offrendogli dei doni, dai Cureti i quali assalivano Calidone.
Il
giovane ostinato intervenne solo quando i nemici arrivarono a scuotere il
talamo (v. 588) dove egli giaceva con la sposa, la bella Cleopatra; allora ella
lo pregò ed egli intervenne in battaglia salvando gli Etoli che però non gli
diedero più i doni preziosi e belli (vv. 598-599).
Anche qui dunque c'è l'uso del paradigma.
"In nessun altro luogo dell'Iliade Omero è, in così alto grado come qui,
maestro e guida della tragedia, come lo chiama Platone[30] ( ...) Dall'esempio
di Meleagro si stacca l'idea religiosa dell'Ate, che è di tanto peso per il
poeta dell'Iliade quale ci sta dinanzi compiuta. Sullo sfondo
dell'allegoria, moralmente commovente, delle litài , delle preghiere, e della pervicacia del cuore umano, quest'idea
brilla come un lampo minaccioso da cupe nubi"[31].
Le
Preghiere ("Litaiv", Iliade , IX, 502) racconta Fenice, sono
figlie di Zeus, zoppe, rugose e losche d'occhi;
seguono Ate che è gagliarda,
veloce e percorre la terra danneggiando gli uomini; esse pongono riparo se
vengono richieste; ma se uno le rifiuta, le Litài chiedono a Zeus che l'Ate lo insegua ed egli
paghi il fio. Ate insomma è una smisurata forza irrazionale contro la quale
spesso la volontà e l'educazione umana sono impotenti.
Un vero e proprio trofeo di Ate ( "[ Ata" tropai'on", Eschilo, I sette a Tebe , v. 956) si trova sulle
porte di Tebe sulle quali urtavano i fratelli figli di Edipo ammazzandosi a vicenda, poi, impadronitosi
dei due, il demone cessò ("duoi'n krathvsa" e[lhxe daivmwn", v. 960).
Fine
excursus
Quindi Antonio aggiunge un’ulteiore
volgarità : “ I found you as a morsel-latino
morsus- cold upon /dead Caesar’s trencher” , vi ho trovata come un boccone
freddo sul tagliere di Cesare morto, nay,
you were a fragment of Cneius Pompey’ s, 8III, 13, 116-117)anzi eravate un
avanzo di Pompeo. Senza contare le lussurie inaudite, ossia non registrate
dalla fama
volgare.
In conclusione: “though you can guess what temperance should
be,-you knew not what it is” (III, 13,121-122), sebbene tu possa supporre
che cosa sia la temperanza, non sai che cosa davvero è.
Antonio
vuole tentare una riscossa.
Ma i
segni sono pessimi.
Un
servo riporta da Antonio Tireo che è stato frustato forte e ha chiesto grazia
Antonio
gli dice di tornare da Cesare a raccontargli come è statoi accolto. Aggiunge
che Ottaviano lo fa arrabbiare- he makes
me angry (III, 13, 143) in un momento in cui è facilissimo farlo: “ when my good stars that were former
guides-have empty their orbs and shot their fires-inti the abyss of hell
(144-147) quando le mie buone stelle che erano un tempo la mia guida hanno
lasciato vuote le loro orbite e hanno lanciato I loro fuochi nell’abisso dell’inferno.
Se
Ottaviano vorrà pareggiare i conti, potrà far frustare Ipparco, il liberto di
Antonio che si trova nelle sue mani
.
“now I will set
my teeth-and send to darkness all that stop me. Come, let’s have one other
gaudy -latino gaudium, gaudere;
greco ghqevw- night: call to me-all my sad captains, fill our bowls
–latino bulla-once more:-let’s mock the midnight bell” (III, 13,
181-185), ora voglio serrare I denti e mandare nelle tenebre tutti quelli che
cercano di fermarmi. Su,
prendiamoci un’altra notte gioiosa: chiamatemi tutti I miei tristi capitani,
riempiamo le nostre coppe ancora una volta: e scherniamo la campana della
mezzanotte.
Cleopatra
replica: It is my birh-day:-I had thought
to have held it poor, but since my lord-is Antony again, I will be Cleopatra”
(185-187), è il mio compleanno: avevo pensato di passarlo tristemente , ma dal
momento che il mio signore è di nuovo Antonio, io voglio essere Cleopatra.
Torna il nesso già indicato con Medea
superest.
Antonio
conferma la sua decisione disperata senza escludere del resto la speranza: “come on my queen-greco gunhv-:-there is sap in ’t yet. The next time I do
fight-i’ll make death love me, for I will contend-even with his pestilent
scythe (III, 13, 191-194), venite mia regina: c’è ancora
della vita in questo. Nel
prossimo combattimento mi faròò amare dalla morte, perché io lotterò persino
con la sua falce avvelenata
Nella
mezzanotte fra il 31 luglio e il primo agosto del 30 ci furono i segni della
fine ultima di Antonio.
Si
racconta che improvvisamente si udirono suoni armoniosi di vari strumenti e il
clamore di una folla-kai;
boh;n o[clou- con
grida e danze da satiri, come fosse una schiera dionisiaca che procedeva non
senza turbolenza-w{sper
qiavsou tino;" oujk ajqoruvbw" ejxelauvnonto" - e sembrava che
avanzasse attraverso il centro della città in direzione della porta esterna,
quella rivolta dalla parte dei nemici-ejpi; th;n puvlhn e[xw th;n tetrammevnhn pro;"
tou;" polemivou" –.
Là giunto,
il tumulto arrivato al massimo, cessò. Kai; tauvth/ to; qovrubon
ejkpesei`n plei`ston genovmenon- A chi esaminava il segno pareva che abbandonasse
Antonio il dio con il quale egli aveva continuato a identificarsi e a
conformarsi (Plutarco, Vita di Antonio,
75, 4-6)
Si
ricorderanno altri brutti presagi per Antonio, pecedentemente segnalati tanto
da Plutarco quanto da Shakespeare.
Le rondini
annidate nelle vele. Segno non buono
Nel
IV atto dell’ Antonio e Cleopatra
Shakespeare riprende quello delle rondini che nella Vita
di Plutarco si trova a 60, 7 citato sopra.
L’antoniano Scaro
dunque dice tra sé: “Swallows have built-in Cleopatra’s sails
their nests- latino nidus-: the
augurers- say they know not, they cannot tell, look grimly-and dare not speak
their knowledge. Antony-is valiant,
and dejected, and by starts-his fretted fortunes give him hope, and fear-of
what he has, and has not” (Antonio e
Cleopatra, IV, 12, 4-9), delle rondini hanno costruito i loro nidi sulle
vele di Cleopatra: gli àuguri dicono di non sapee, non possono parlare, hanno
un aspetto torvo e non osano dire quello che sanno. Antonio è animoso e pure
scoraggiato, e a sbalzi le sue logorate fortune gli danno speranza e timore di
quello che ha e non ha.
Le
vele (sails) di Cleopatra sono state
già menzionate come purpuree (purple) da Enobarbo,
(II, 6, 198), quindi da Cleopatra stessa come timorose (fearful sails, III, 11, 55). Ora
presentano il segno cattivo del lato infausto della rondine.
Del resto la porpora è fin da Omero associata
alla morte
Breve
excursus sul nesso porpora-morte
Nel
V dell’Iliade purpurea è la morte che
prese il troiano Ipsenore colpito da Euripilo: “e[llabe porfuvreo~ qavnato~ kai; moi'ra krataihv” (v. 839, lo prese la morte purpurea e la
moira possente.
Questo
verso viene ripetuto da Giuliano quando, il 6 novembre del 354 viene nominato
Cesare dal cugino Costanzo. In quella circontanza risplendeva nel fulgore della
porpora imperiale (imperatorii muricis
fulgore), i soldati lo avevano acclamato battendo gli scudi sul ginocchio,
e, salito sul cocchio imperiale, procedeva verso la reggia (Ammiano Marcellino,
Storie, XV, 8). Morirà nove anni dopo
combattendo contro i Persiani.
Dario III a capo dell' esercito persiano schierato contro Alessandro
spiccava per il suo sfarzo: "purpurae
tunicae medium album intextum erat"[32],
la tunica di porpora era intessuta d'argento nel mezzo. Ebbene, era già consacrato
alla morte.
Anche il Cristo tribolato, già destinato alla morte, presentato da
Pilato, è vestito di porpora: "Exiit
ergo Iesus foras, portans spineam coronam et purpureum vestimentum. Et dicit
eis - Ecce homo!" ( N. T. Giovanni,
19, 5) .
Un
forte valore simbolico ha anche il tappeto di porpora che Clitemestra fa
dispiegare dinanzi ad Agamennone prima di assassinarlo; esso rappresenta il
mondo di lussi e di sfarzi di cui Clitemestra si compiace, ma ha al tempo
stesso un valore quasi magico, preludendo alla rete in cui al momento del
delitto Agamennone resterà impigliato.
Credo
di avere riconosciuto un’eco del tappeto rosso nel film di Chaplin The great dictator (1940):
Napoloni-Mussolini, in visita da Hynkel-Hitler, non è disposto a scendere dal
treno se non gli distendono davanti un tappeto: “I never get out without a carpet”.
Donne
e soldati non perdonano l’insuccesso.
Antonio,
l’uomo abbandonato, si capovolge da comandante a farmakov".
I
brutti segni non mentivano. Antonio si mette in vedetta dove si erge un pino ed
esclama:
All is lost!
This foul Egyptian has betrayed me:
my fleet hath yelded to the foe, and yonder
they cast their caps up and carouse together
like friends long lost” (Antonio e Cleopatra, IV, 12, 9-13)
Tutto
è perduto! Questa lurida egiziana mi ha tradito:
la
mia flotta ha ceduto al nemico, e laggiù essi lanciano i cappelli in aria e
brindano insieme come amici smarriti da lungo tempo.
Antonio
continua a esecrare Cleopatra addebitandogli la propria rovina
Triple-turned whore! IV, 12, 13, 14, puttana tre vole incostante!
Interessante
la nota del dizionario etimologico di W. Skeat: “Allied to Polish kurwa… L. cārus, loving.
Plutarco
racconta che Antonio dispose la fanteria sui colli e osservava le sue navi che
avanzavano verso quelle di Ottaviano e vide che i marinai come giunsero vicino
a quelli di Cesare tai`"
kwvpai" hjspavsanto,
li salutarono con i remi e quelli risposero al saluto. Le due flotte, unitesi e
divenute una sola, drizzarono le prue verso la città (Vita, 76, 2).
Abbiamo
detto più volte che le donne non perdonano l’insuccesso; qui vediamo che
nemmeno i combattenti e i sottoposti in genere perdonano l’insuccesso del capo
che da persona autorevole, rispettata e spesso anche amata si capovolge in farmakov".
Come
Edipo nell’ Edipo re di Sofocle.
Anche
la cavalleria abbandonò subito Antonio e passò al nemico, mentre i fanti
rimasti con lui vennero sconfitti. Antonio si ritirò in città gridando che era
stato consegnato a tradimento da
Cleopatra a quelli che lui aveva combattuto per amore di lei (76, 3).
Antonio
prende l’atteggiamento che di solito viene attribuito alla donna abbandonata:
Arianna, Medea, Didone e altre.
Sentiamo
Arianna di Catullo: La figlia di Minosse, piantata in asso da Teseo mentre
dormiva nell'isola di Dia, al risveglio si dispera, corre come una puledra e
impreca contro il perfido amante:"Sicine
me patriis avectam, perfide, ab aris,/ perfide, deserto liquisti in litore,
Theseu?/Sicine discedens neglecto numine divum/inmemor a! devota domum periuria
portas? " (64, vv. 132-135) è
così che tu, traditore, condottami via dal focolare paterno, mi hai abbandonata
in una spiaggia deserta, Teseo, traditore? E' così che tu, fuggendo dopo avere
disprezzato il potere dei numi, dimentico ah! porti a casa i tuoi maledetti
spergiuri?
Vediamo che la ragazza si trova "in litore " (v. 133) vicino al
mare, come Antonio
La
stanchezza del sole
Antonio
è stanco del sole: “O sun thy uprise
shall I see no more (IV, 12, 18). O
sole io non ti vedrò più sorgere. Il sole si trova spesso tra gli ultimi
pensieri delle persone già vicine alla morte. Macbeth nell’ultimo atto dice. “I gin to be aweary of the sun” (Macbeth V, 5), io comincio a essere
stanco del sole
Anche
il sole può essere stanco.
Leggiamo
i primi cinque versi dell’Oedipus di Seneca :"Iam nocte Titan dubius expulsa redit,/et nube moestum squalida
exoritur iubar, /lumenque flamma triste luctifica gerens/prospiciet avida peste
solatas domos,/stragemque, quam nox fecit, ostendet dies " (vv.
1-5), già, cacciata la notte, torna un Titano incerto, e il suo splendore
spunta cupo da una nuvola sporca, e, portando una luce afflitta con fiamma
luttuosa, osserverà le case desolate dall'avida peste, e la strage che la notte
ha compiuto la farà vedere il giorno.
Il
sole incerto dallo splendore cupo (moestum iubar), la luce afflitta (lumen
triste) e la fiamma luttuosa (flamma luctifica) significa il capovolgimento
della natura. La luce che vivifica e rallegra è capovolta a fiaccola mortuaria
che mette in mostra una strage.
Antonio
è già vicino al suicidio: “Fortune and
Antony part here, evene here-do we shake hands (IV, 12, 19-20) la fortuna e
Antonio qui si separano e proprio qui ci stringiamo la mano. Poi riprende
l’invettiva contro la vera zingara- right
gipsy- che lo ha tascinato to the
very heart of loss (28-29) nel cuore
stesso della rovina.
Quindi
entra in scena Cleopatra e Antonio la riempie di insulti: la più grande macchia
di tutto il suo sesso, la più simile a un mostro -the greatest spot-of all thy sex: most monster like ( IV, 12, 34-35)
e le augura che la paziente Ottavia ari il suo volto con unghie già pronte- patient Octavia plough thy visage up-with
her prepared nails (IV, 12, 38-39)
Cleopatra esce e Antonio seguita a imprecare: the witch shall die:-to the young Roman boy she hath sold me, and I fall-under this
plot. She dies for it” (IV, 12, 47-49),
la strega morrà: mi ha venduto al fanciullo romano, e io cado sotto il suo
complotto. Per questo deve morire.
Nella
scena seguente Cleopatra chiede aiuto al suo seguito guidato da Carmiana: Help me, my women! O he is more mad-than
Telamon for his shield” (IV, 13, 1-2) aiutatemi domme mie! Oh egli è più
pazzo di Aiace per il suo scudo. La pazzia di Aiace viene menzionata anche in Pene
d'amore perdute : Berowne in preda a un amore as mad as Aiax (IV, 3, 7) pazzo come
Aiace, cerca di resistergli per non finire ammazzato al pari di una pecora-
La
mentita morte di Cleopatra
Carmiana
suggerisce a Cleopatra di mandare ad Antonio la notizia falsa che la regina è
morta.
Cleopatra dà retta all’ancella
amica e ordina: “To the monument!-Mardian go tell him i have slain
myself;-say that the last i spoke was “Antony” –and word it, prithee,
piteously: hence, Mardiam,- and bring me how he takes my death. To the monument! (Antonio e Cleopatra, IV,
13, 4-10) Al Mausoleo! Mardiano vai a dirgli che mi sono uccisa;
digli che la mia ultima parola è stata Antonio, e, ti prego , usa parole
commoventi; vai Mardiano e riferiscimi come accoglie la notizia della mia
morte. Al Mausoleo!
Plutarco
scrive soltanto che Cleopatra temendo l’ ira e la follia di lui-hj de; th;n ojrgh;n aujtou` fobhqei`sa kai; th;n
ajpovnoian - si rifugiò
nel mausoleo, fece abbassare le saracinesche, poi mandò da Antonio dei messi ad
annunciare che era morta- “pro;"
d j jAntwvnion e[pemye tou;" ajpaggelou`nta" o[ti tevqnhke” (76, 4)
Antonio vuole raggiungere Cleopatra creduta
morta
Parla con il
servitore e amico Eros e gli ricorda la forma cangiante delle nuvole che sono
il corteo dell’oscuro vespero.
Ebbene il
comandante sconfitto, l’amante che si sente tradito dice: “here I am Antony,-yet cannot hold this visible shape” (IV, 14,
13-14) eccomi sono qui Antonio, eppure non posso mantenere questa forma
visibile.
E’ il tema
ricorrente della vita umana come ombra che trascorre sulla terra al pari di
quella proiettata dalle mutevoli nuvole.
“Pulvis et umbra sumus”, polvere e ombra
siamo, scrive Orazio (Odi, IV, 7, v.
16). Amleto dice che l’uomo è quintessenza di polvere.
Nel
Seicento questa idea va di moda, tanto che
Calderòn de
Mattia
Pascal/Adriano Meis passeggiando per Roma riflette sulla propria ombra: “Uscii
di casa, come un matto. Mi ritrovai dopo un pezzo per via Flaminia, vicino a
Ponte Molle. Che ero andato a far lì? Mi guardai attorno;poi gli occhi mi
s’affissarono su l’ombra del mio corpo, e rimasi un tratto a contemplarla;
infine alzai un piede rabbiosamente su essa. Ma io no, non potevo calpestarla,
l’ombra mia. Chi era più ombra di noi due? Io o lei? Due ombre! Là, là per
terra; e ciascuno poteva passarci sopra: schiacciarmi la testa, schiacciarmi il
cuore: e io, zitto, l’ombra, zitta. L’ombra d’un morto: ecco la mia vita…Ma sì!
Così era! Il simbolo, lo spettro della mia vita era quell’ombra: ero io, là per
terra, esposto alla mercè dei piedi altrui. Ecco quello che restava di Mattia
Pascal, morto alla Stìa: la sua ombra
per le vie di Roma”[34].
Concludo
con Proust:"Ci si accanisce a cercare i rottami inconsistenti d'un sogno,
e intanto la nostra vita con la creatura amata continua: la nostra vita,
distratta dinanzi a cose di cui ignoriamo l'importanza per noi, attenta a
quelle che forse non ne hanno, succube di esseri senza nessun rapporto reale
con noi, piena di oblii, di lacune, di ansietà vane; la nostra vita simile a un
sogno" (La prigioniera, p. 147)
Quindi entra Mardiano. Antonio lo
aggredisce ribadendo che Cleopatra lo ha tradito e aggiungendo che sarà messa a
morte
L’eunuco però gli dà la notizia
falsa della morte della regina le cui ultime parole sono state: “Antony! Most noble Antony!” (IV, 14, 29).
Antonio allora dice a Eros che il
proprio compito è finito, poi congeda Mardiano e aggiunge no
more soldier (42) non sono più un soldato. La perdita dell’identità, del
proprio ruolo, fa chiudere il sipario della vita che è una recita.
Eros
esce e Antonio decide di morire per raggiungere Cleopatra e chiederle piangendo
di essere perdonato and weep my pardon
(45)
Ogni
indugio è tortura since the torch is out
(46) dal nomento che la torcia è spenta.
Cfr. “out , out,
-brief L. brevis, GK. bracuv"- candle!” di Macbeth (V, 5), spengiti, spengiti,
breve candela!
Anche
Nella Vita di Plutarco, Antonio crede
alla morte di Cleopatra e dice: a se stesso: “tiv e[ti mevllei", jAntwvnie; th;n movnhn hj tuvch kai;
loiph;n ajfhv/rhke tou` filoyucei`n provfasin”, che cosa aspetti ancora Antonio?
La sorte ti ha tolto l’unico e ultimo pretesto per amare la vita.
Quindi
si toglie la corazza, il segno visibile, la divisa del suo ruolo di soldato,
quindi rivolge parole all’ombra di Cleopatra:
“non soffro per essere privato di te che tosto raggiungerò ma perché io
, comandante tanto grande, mi sono rivelato inferiore a una donna per forza
d’animo-oj
thlikou`to" aujtokravtwr eujyuciva/ pefwvramai leipovmeno"” (76, 6).
Tra
gli amanti non manca quasi mai la competizione: spesso Eros si associa a Eris. :"Militat omnis amans, et habet sua castra
Cupido;/Attice, crede mihi, militat omnis amans "(Amores, I, 9,
1-2), è un soldato ogni amante; anche Cupido ha il suo campo di guerra; Attico,
credimi, ogni amante è un soldato.
Anche nel grande amore di Anna Karenina e Vronskij a un certo punto entra la cattiva
Eris, ossia lo spirito della competizione distruttiva dovuta al fatto che lui
era in allarme per la propria autonomia minacciata dall'amante; ella a sua
volta:" sentì che, a fianco dell'amore che li univa, fra loro si era
insediato un certo malvagio spirito di dissidio e che lei non poteva scacciarlo
dal cuore di lui, né, ancor meno, dal proprio"[35]. Perfino le
espressioni di approvazione diventano sospette e allarmanti quando l'amore, in
uno solo dei due, è in fase calante:" C'era qualcosa di offensivo nel
fatto che egli avesse detto:"Questo sì che va bene", come si dice ai
bambini quando smettono di fare i capricci; e ancor più offensivo era quel
contrasto fra il tono di colpa che aveva lei e quello sicuro di sé di lui: e
per un istante Anna sentì sollevarsi dentro di sé il desiderio di lotta; ma, fatto
uno sforzo su se stessa, lo soffocò e accolse Vrònskij con la stessa allegria
di prima" (p. 746). Tuttavia la simulazione non regge:" anche sapendo
che si rovinava, non poté non fargli vedere quanto lui avesse torto, non poteva
sottomettersi" (p. 747),
Capita
spesso, quasi sempre purtroppo, che gli amanti diventino nemici. Cfr. Catullo: Odi et amo (85, 1)
Torniamo
a Shakespeare dove Antonio dice di volere raggiungere Cleopatra: I come my queen, stay for me-where the souls
couch on flowers, we ‘ll hand in hand, -and with our sprightly port make the
ghosts gaze:-Dido and her Aeneas shall want troops-and all the haunt be ours (IV,
14, 50-54), vengo mia regina,
aspettami dove le anime giacciono sui fiori. noi ci terremo per mano, e con il
nostro portamento fulgente ci faremo ammirare dagli spiriti e Didone e il suo
Enea rimsarranno senza corteo e tutto il ritrovo sarà nostro
Poi
chiama Eros per chiedergli di aiutarlo a uccidersi
Mimesi e
catarsi nella Poetica di Aristotele e
nelle tragedie di Shakespeare Antonio e
Cleopatra-Amleto
Antonio si
cura l’anima ferendosi il corpo: tw`/ pavqei mavqo" .
Antonio
ricorda a Eros che aveva giurato di aiutarlo a morire when the exigent -from
the stem of pres. pt. of exigere L. ex- and agere -should come,
quando la necessità fosse giunta-which
now is come indeed e ora è giunta
davvero: do ’t; the time is come, fallo il momento è
giunto (IV, 14, 62-63 e 67).
La necessità
spinge Antonio fuori dalla vita e niente è più forte della necessità.
Il potere assoluto dell' jjjjAnavgkh viene apertamente affermato da Euripide nell'Alcesti. Nel terzo Stasimo della tragedia, il Coro
eleva un inno alla Necessità vista come la divinità massima, quella che vincola
e subordina tutti, compresi gli dèi:
"Io attraverso le Muse/mi lanciai
nelle altezze, e/ho toccato moltissimi ragionamenti (pleivstwn
aJyavmeno" lovgwn),/ma
non ho trovato niente più forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson
oujde;n jAnavgka"-hu|ron oujdev ti
favrmakon)/nelle
tavolette tracie che scrisse la voce di/Orfeo, né tra quanti rimedi/diede agli
Asclepiadi Febo/dopo averli ricavati dalle erbe come antidoti/per i mortali
afflitti dalle malattie"(vv. 962-972).
Da questi versi si vede che
E ancora:
Nella Prefazione al romanzo Notre-Dame
de Paris, Victor Hugo scrive che “rovistando all’interno di
Notre-Dame…trovò in un recesso oscuro di una delle torri, questa parola incisa
a mano sul muro:
ANAGKH”
Ebbene,
conclude la prefazione: “Proprio su quella parola si è fatto questo libro.
Marzo
Eros chiede
di non ordinargli di ucciderlo, ma Antonio insiste con un’espressione molto
densa ed efficace: “come then, for with a
wound I must be cured-Lat. cura-” (78), vieni dunque perché io devo essere
curato con una ferita.
La ferita
come cura può essere accostata al tw`/ pavqei mavqo" di Eschilo (Agamennone, 177).
Nella
Vita di Plutarco leggiamo che Antonio aveva un
servo fedele-oijkevth"
pistov"-
chiamato Eros cui aveva chiesto da tempo di ucciderlo se glielo avesse chiesto.
Arrivato a questo punto gli ricordò la promessa
che lo avrebbe fatto. Eros sguainò la spada, la sollevò come per colpirlo-ajnevsce wJ" paivswn
ejkei`non-,
ma, appena Antonio volse la faccia, ejauto;n ajpevkteine- Eros uccise se stesso.
Antonio
disse: “bravo Eros, non potendolo fare tu, insegni a me che cosa devo fare. E
colpitosi al ventre, si lasciò cadere in un piccolo letto (Plutarco, Vita di Antonio, 56, 7-9).
Shakespeare
fa parlare Eros il quale prova a rifiutarsi di ammazzare l’amico. Antonio gli
ricorda la promessa che gli fece quando lo rese libero-when I did make thee free (IV, 14, 81)
Allora
l’amico gli chiede. “distogliete da me quel nobile volto, dove è distesa la
venerazione di tutto il mondo
Poi Eros
dice - my sword is drawn - la mia
spada è sguainata
Il
dramma richiede appunto la dammatizzazione dell’episodio con il dialogo.
Aristotele
nella Poetica scrive : "la
tragedia è dunque imitazione di azione seria e compiuta (mivmhsi~ pravxew~ spoudaiva~
kai; teleiva~
che, con una certa estensione e con parola ornata hJdusmevnw/ lovgw/……di attori che agiscono e non
attraverso un racconto-drwvntwn
kai; ouj dij ajpaggeliva", per mezzo di
pietà e terrore, compie la purificazione da tali affezioni"(di j ejlevou kai; fovbou peraivnousa th;n tw'n toiouvtwn
paqhmavtwn kavqarsin,
1449b, 24- 28).
In
questo episodio dell’Antonio e Cleopatra non
manca nemmeno la catarsi con la morte volontaria dei due amanti che uccidendosi
si sottraggono alla schiavitù.
Catarsi
e mimesi si trovano teorizzati anche da Amleto
Non
molto diversamente l’Amleto di Shakespeare che dice: “I have heard-that guilty
creatures, sitting at a play,-have, by the very cunning of the scene,-been
struck so to the soul that presently-they have proclaim’d their malefactions”
(Hamlet, II, 2), io ho udito che
delle persone colpevoli, davanti a un dramma, sono state colpite, dall’abilità
della scena, fin dentro l’anima, in maniera tale che hanno confessato subito i
loro misfatti.
Più
avanti anche la teoria della mimesi è espressa
dal principe di Danimarca che definisce “the purpose of playing”, lo
scopo dell’arte drammatica, “ whose end,
both at the first and now, was and is, to hold as ‘twere, the mirror up to
nature” ( Hamlet, III, 2), il cui fine, all’inizio come ora, è sempre
stato quello di reggere, per così dire, lo specchio alla natura.
Ma
torniamo a Shakespeare
Eros
dopo avere salutato per sempre l’amico, aggiunge queste ultime parole: “thus I do escape the sorrow –of Antony’s
death” (IV, 14, 94) così sfuggo al dolore della morte di Antonio, quindi si
uccide
Antonio
lo ammira : “thrice-noble than myself!
(95), tre volte più nobile di me! Quindi segue l’insegnamento coraggioso,
esemplare- the brave instruction-
appreso dalla regina e dal liberto.
Vuole morire anche lui: correre verso la morte come verso il letto di
un’amante. A Eros in particolare Antonio
riconosce il ruolo di suo maestro: “Eros,-
thy master dies thy scholar; to do thus I learn’ d of thee.
Eros,
il tuo padrone muore tuo discepolo, a fare così ho imparato da te.
Si
lascia cadere sulla spada (falling on his
sword)
Ma
non muore subito
“how! , not
dead?-the guard, ho! O! dispatch me! (IV, 14,
101-103),
Come,
non sono morto! Oh guardie oh, finitemi!
giovanni
ghiselli
Corso di
giugno XXVII. L’agonia di Antonio
Entrano in
scena le guardie. Antonio dice: “I have
done my work ill, friends” ( Shakespeare,
Antonio e Cleopatra, IV, 14, 105), ho
compiuto male il mio lavoro, amici. Intende il
suicidio ma non solo quello.
Didone invece, prima di suicidarsi, riconosce
a se stessa delle capacità realizzative che l'avrebbero anche resa felice se
non avesse incontrato Enea “Vixi et quem
dederat cursum Fortuna
peregi,/et nunc magna mei sub terras ibit imago " ( Eneide, IV, vv. 652-654), ho vissuto e
compiuto il percorso che
"Urbem
praeclaram statui, mea moenia vidi,/ulta virum poenas inimico a fratre recepi:/felix, heu nimium felix, si litora tantum/numquam Dardaniae tetigissent nostra
carinae " (vv. 655-658), ho fondato
una città splendida, ho visto mura mie, vendicato il marito, ho punito il
fratello nemico: oh troppo felice, se solo le le navi della Dardania non
avessero mai toccato le nostre coste!
Quindi
Antonio ferito chiede alle guardie di portare a termine il lavoro da lui
iniziato infliggendosi una ferita che non lo ha ucciso
Tutti
i presenti recalcitrano e Antonio ripete la richiesta aggiungendo l’elemento patetico
dell’amore: Let him that loves me strike
me dead (107), chi mi ama mi colpisca a morte.
Ma
le guardie si rifiutano ed escono.
Plutarco
racconta che il colpo infertosi da Antonio non era tale da provocare una morte
istantanea-h\n d’ oujk eujquqavnato" hj plhghv (Vita, 76, 10)
Perciò
pregò i presenti di finirlo-ejdei`to tw`n parovntwn ejpisfavttein aujtovn”. Ma quelli
fuggivano dalla stanza mentre il ferito gridava e si dibatteva. Antonio non è
più capace di soddisfare nessun suo desiderio, neppure quello della morte. Continuò così finché giunse Diomhvdh" oj grammateuv" (76, 11) Diomede
il segretario mandato da Cleopatra che come sappiamo non era morta, né ferita
Plutarco
aggiunge solo che Antonio saputo che Cleopatra era viva ordinò ai servi di
sollevarlo kai;
dia; ceirw`n posekomivsqh tai`" quvrai" tou`
oijkhvmato" , e fu portato a
braccia alle porte dell’edificio.
Shakespeare
attribuisce delle parole a Diomede
subentrato alle guardie. Alla domanda di
Antonio “dov’è?”, il segretario risponde “Lock’
d in her monument” (IV, 14, 120), chiusa nel suo mausoleo. Diomede adduce
delle scuse per la mentita morte della sua padrona: ella si è inventata il
proprio decesso perché temeva l’ira (rage
123, latino rabies) di Antonio e
chiede scusa anche di essere giunto toppo tardi.
In effetti abbiamo visto Antonio infuriato nei confronti della zingara (gipsy IV, 12, 28) nel momento in cui le
attribuiva la colpa della rovina nella quale era caduto
Excursus
sull’ira
Nei
testi classici l’ira viene spesso attribuita agli uomini di potere
Edipo
è in preda all'ira quando minaccia
Tiresia: non tralascerò nulla, irato come sono ( "wJ" ojrgh'" e[cw",
Sofocle, Edipo re , 345) e
pure quando uccide Laio (" paivw dij ojrgh'"", colpisco
con ira, v. 807).
"L'ira appare tratto distintivo di ogni
figura di tiranno venga rappresentata sulla scena; essa trova una particolare
evidenza nell'Antigone e nell'Edipo
re sofoclei. Sia Creonte fin
dall'inizio, sia Edipo, da quando incomincia a sospettare un complotto contro
il suo potere (è dunque in questo caso il principio della degenerazione che
trasforma il buon re paterno del prologo in una figura tirannica), appaiono
soggetti all'ira, incapaci perciò di un dialogo rispettoso dell'interlocutore e
di una decisione meditata. "Taci, prima di riempirmi d'ira con le tue
parole" (Antigone , v. 280), esclama Creonte, quasi ad interrompere
il resoconto col quale la guardia lo sta informando del clandestino
seppellimento di Polinice. E, a conclusione quasi della scena, nuovamente lo
redarguisce:"Non ti rendi conto di parlare di nuovo in modo irritante? (Antigone
, v. 316)"[36].
L'ira di Edipo continuerà a colpire i nemici anche dopo la morte: nell' Edipo a
Colono Ismene dice al padre che un giorno il suo cadavere sarà un grave
peso (bavro" , v. 409) per i
Cadmei, quindi la ragazza precisa: "th'" sh'" uJp ' ojrgh'", soi'" o{tan stw'sin
tavfoi" "
(v. 411), a causa della tua
ira, quando staranno presso la tua tomba. Lo ha fatto sapere Apollo delfico (v.
413).
L'ira per i Latini è una forma di pazzia. Orazio sentenzia:"ira furor brevis
est " (Epist. I, 2, 62),
l'ira è una breve follia.
Seneca
considera l'ira un' insania e un
sintomo di impotenza:" iram dixerunt brevem insaniam; aeque enim
impotens sui est ", dissero che l'ira è una breve pazzia; infatti è
incapace di dominarsi, proprio come quella (De ira , I, 1). Inoltre non
è naturale l'ira poiché essa desidera infliggere pene (poenae appetens est ,
I, 6) mentre la natura dell'uomo non vuole questo:"ergo non est
naturalis ira ", I, 6).
L'ira
non ha alcuna utilità:"nihil habet in se utile" (9). Nell'ira
per giunta non c'è niente di grande né di nobile, neppure quando appare
impetuosa e sprezzante degli dèi e degli uomini:"Nihil ergo in ira, ne
cum videtur quidem vehemens et deos hominesque despiciens, magnum, nihil nobile
est " (21).
Cfr.
la figura di Capaneo nei Sette a Tebe di Eschilo, nell’Antigone di Sofocle e nell’Inferno di Dante.
Euripide,
nelle Supplici lo riabilita
attraverso la moglie Evadne.
"Perché
proprio questo caratterizza il monarca, poter fare ciò che vuole senza essere
soggetto ad alcun controllo"[37].
La
nutrice della Medea di Euripide
mette in rilievo la sfrenatezza derivata dalla prepotenza cui ella contrappone l'uguaglianza:"Deina; turavnnwn lhvmata kai;
pw"-ojlig j ajrcovmenoi, polla; kratou'nte",-calepw'"
ojrga;" metabavllousin.-To; ga;r eijqivsqai zh'n ejp j i[soisin-krei'sson" (vv.
119-123), terribile è l'animo dei tiranni e poiché di rado come che sia sono
subordinati, e il più delle volte comandano, difficilmente elaborano le ire.
Infatti essere abituati a vivere in condizione di uguaglianza,
è meglio
Nel
Thyestes di Seneca, Megera aizza
l'ombra di Tantalo perché scateni l'ira tra i suoi discendenti e si crei la
compiuta peccaminosità:"Nihil sit, ira quod vetitum putet:/fratrem
expavescat frater, et gnatum parens/gnatusque patrem; liberi pereant male/peius
tamen nascantur; immineat viro/infesta coniux; bella trans pontum
vehant;/effusus omnes irriget terras cruor,/supraque magnos gentium exultet
duces/libido victrix; impia stuprum in domo/levissimum sit fratris; et fas et
fides/iusque omne pereat. Non sit a vestris malis/immune coelum"
(vv.39-49), non ci sia niente che l'ira consideri vietato: il fratello tema il
fratello, il padre il figlio, il figlio il padre; i figli muoiano male e
nascano anche peggio; la moglie ostile minacci il marito; portino guerre di là
dal mare; il sangue sparso bagni tutte le terre, e la libidine vincitrice salti
sopra ai grandi capi dei popoli; nell'empia famiglia l'incesto del fratello sia
un lievissimo fallo; e le leggi divine, la lealtà, ogni diritto umano perisca.
Nemmeno il cielo sia esente dai vostri mali.
Concludo
questo excursus con
"L'espressione ira, qua ducis, sequor (v. 953) è
probabilmente 'ricalcata' su Ovidio, Heroides 12, 209 (il finale
dell'epistola di Medea a Giasone, che si chiude con la prefigurazione della
tragedia imminente): Quo feret ira, sequar!, "Dove l'ira mi
porterà, la seguirò".
Vedi anche, in Seneca, Agamemnon, vv. 141-142 (è Clitennestra
che parla): quocumque me ira, quo dolor, quo spes feret,/hoc ire pergam,
" dove mi porterà il furore, il dolore, la speranza, là seguiterò a
dirigermi". Medea, e i personaggi senecani in genere, invertono i dettami
dello Stoicismo; spesso il riecheggiamento 'invertito' delle formule stoiche è
marcato da richiami espliciti che sottolineano il contrasto"[38].
Torniamo
a Shakespeare e per oggi concludiamo
Diomede
chiama le guardie che rientrano. Antonio chiede di essere portato dov’è
Cleopatra. Sono quattro o cinque che compatiscono il loro capo ma Antonio parla
loro con la fierezza del guerriero indomito: fate che il crudele destino non si
compiaccia del vostro dolore, date il benvenuto al fato che viene per punirci:
lo puniremo noi mostrando di non curarcene. Sollevatemi : io spesso ho condotto
voi, portate me ora, buoni amici e abbiate i miei ringraziamenti per tutto- Take me up:-I have led you oft: carry me
now, good friends,-and have my thanks for all” (IV, XIV, 138-140. Fine della XIV scena.
Amore e
morte
La morte di
Antonio con Cleopatra e con Dioniso. Ut pictura poēsis.
Cleopatra
da una finestra vede il corpo ferito di Antonio trasportato dalle guardie di lui. Chiede aiuto perché venga
sollevato dentro il mausoleo e invoca le
tenebre dopo che il sole abbia bruciato the
great sphere la grande sfera del suo percorso
Antonio
si dà animo e dice che il trionfo vero non è quello di Cesare, bensì quello di
Antonio che ha trionfato su se stesso-Antony
has triumphed on itself (IV, 15, 15)
Cleopatra
promette che la scena del trionfo superbo di Cesare non sarà mai adornato dalla
sua persona.
Se knife,
drugs, serpents-L. serpentem acc. of serpens- coltello, veleni e serpi
hanno edge, sting, or operation, il
filo, la puntura o l’effetto, sono salva I
am safe- L. salvum acc. of
salvus- da quelle umiliazioni (Antonio e
Cleopatra, IV, 15, 25-27) e gli
occhi pudichi di Ottavia non avranno l’onore di sollevare obiezioni, di
trattenermi – demuring me-L. demorari- (28-30)
Salvo
sarà anche il loro amore. In questa parte della tragedia assistiamo alla
classica associazione dell’amore con la morte-
In
Amore e Morte di Leopardi il
principio e la fine del nostro esistere sono quanto di meglio c'è
nell'universo mondo: due fratelli, due fanciulli bellissimi che vengono
in soccorso dei mortali:
"Fratelli,
a un tempo stesso, Amore e Morte/ingenerò la sorte./ Cose quaggiù sì belle/
altre il mondo non ha, non han le stelle./ Nasce dall'uno il bene,/nasce il
piacer maggiore/che per lo mar dell'essere si trova;/l'altra ogni gran
dolore,/ogni gran male annulla./Bellissima fanciulla,/dolce a veder, non
quale/la si dipinge la codarda gente,/gode il fanciullo Amore/accompagnar
sovente;/e sorvolano insiem la via mortale,/primi conforti d'ogni saggio
core" (vv. 10-16).
L'affratellamento
amore/morte più famoso è quello del canto di Leopardi, ma il nesso è già reperibile in Saffo:"teqnavkhn
d j ajdovlw" qevlw" (96D., v. 1) sinceramente vorrei essere
morta. In questo frammento tra l'altro ci sono corone di rose e viole ( i[wn kai; brovdwn): è lo
"strano" accostamento floreale che si ritrova nel poeta di Recanati[39]
Vediamo
la prima parte di quest'ode, fin dove è intellegibile: "Vorrei davvero
essere morta./Ella mi lasciava, piangendo/ molto e questo mi disse:/"ahimé
come terribilmente soffriamo,/Saffo, certo contro voglia ti lascio"./Io allora
le rispondevo con queste parole:/"vai, sii felice e ricordati/di me: sai
infatti quanto mi prendevo cura di te./Se no, io voglio/ ricordarti/di quante
cose belle e delicate abbiamo gioito:/infatti vicina a me ti cingesti/il capo
con molte corone/di viole, di rose/e di crochi insieme,/e molti serti
intrecciati fatti di fiori/ponesti intorno/ al collo delicato/e tutto il corpo
ungesti/con unguento regale".
Cleopatra
e i suoi amici sollevano il corpo di Antonio per farlo morire dove è vissuto.
La regina anzi spera di rianimarlo con i suoi baci.
Antonio
però dice: “I am dying, Egypt,
dying:-give me some wine, Lat. vinum-
and let me speak a little” ( Antonio
e Cleopatra, IV, 15, 41-42), sto morendo Egiziana, dammi del vino e
lasciami parlare un poco
Veniamo
a Plutarco (Vita di Antonio, 77)
Antonio
si era fatto portare davanti alle porte del mausoleo. Cleopatra non le aprì, ma
affacciatasi a una finestra calò funi e corde
con le quali Antonio venne legato poi ella stessa lo tirava su aiutata
da due donne, le sole da lei ammesse con sè nel mausoleo-ajnei`lken aujth; kai; duvo
gunai`ke" , a}" movna" ejdevxato meq j auJth`" eij" to;n tavfon (2-3). Una sarà
senz’altro l’amica Carmione, l’altrs Iras. Chi vide la scena del sollevamento
di quel carico sostiene che non ci fu nulla di più pietoso-oujde;n oijktrovteron genevsqai.
Antonio era cosparso di sangue e agonizzante mentre veniva issato e intanto
tendeva le mani verso di lei-ojrevgwn cei`ra" eij" ejkeivnhn (4) . L’operazione non
era facile per una donna, ma Cleopatra tirava su la corda faticosamente
stringendola con entrambe le mani e contratta nel volto-katateinomevnh tw`/ proswvpw/ -mentre quelli di
sotto la incoraggiavano e partecipavano alla sua angoscia.
Quando
Cleopatra finalmente ebbe Antonio accanto a sé, lo chiamava signore, marito e
imperatore- “despovthn
ejkavlei kai; a[ndra kai; aujtokravtora”
(5) e quasi si era dimenticata dei propri mali per compassione di quelli
di lui-kai; mikrou`
dei`n ejpilevlhsto tw`n aujth`" kakw`n oi[ktw/ tw`n ejkeivnou (6)
Rispetto
alla descrizione invero non pespicua di Shakespeare qui si vede la mano dello
scrittore pittore (cfr. Orazio, Ars
poetica, 361 “ut pictura poesis”).
Lo
stesso Plutarco paragona la propria opera di biografo a quella dei pittori:
“Noi
infatti non scriviamo storie, ma vite, né del resto nelle azioni più famose è
sempre insita una manifestazione di virtù o di vizio, ma spesso un'azione breve
e una parola e una battuta danno un'immagine del carattere più che battaglie
con innumerevoli morti e schieramenti di eserciti enormi e assedi di città.
Come
dunque i pittori-w{sper
ou\n oiJ zw/vgrafoi-
colgono le somiglianze dal volto e dalle espressioni relative allo sguardo
nelle quali si mostra il carattere, mentre delle parti restanti si prendono
pochissima cura, così a noi si deve concedere di penetrare più nei segni
dell'anima, e attraverso questi rappresentare la vita di ciascuno, lasciando ad
altri le grandezze e le contese (
Introduzione alle Vite di Alessandro e
Cesare, I. 2-3)
Torniamo
alla Vita di Antonio il quale chiese
del vino, sia per la sete, sia sperando di morire più in fretta (77, 7).
Oppure, piuttosto, in punto di morte
volle ribadire il suo legame con Dioniso.
La morte di
Antonio. Amor fati
Plutarco
prosegue riferendo le ultime parole di Antonio che dopo avere bevuto (piwvn, Vita, 76, 7) esortò Cleopatra a
salvarsi se poteva esserci salvezza senza disonore (a]n h| mh; met j aijscuvnh"). Poteva fidarsi solo di Proculeio fra gli amici di
Ottaviano.
Nel dramma
di Shakespeare non c’è la narrazione semplice – aJplh' dihvghsi"- ma il racconto procede dia; mimhvsew", per imitazione che l’autore fa dei
personaggi i quali si scambiano battute alterne ta; ajmoibai'a .
Un modesto
suggerimento per l'esame di maturità
Mimèsi
diegèsi e forma mista secondo Platone.
Può essere
utile dirlo durante l’esame di maturità a un esaminatore preparato. Altrimenti
risparmiatelo
Il dramma contiene più personaggi che parlano: è,
spiega Socrate al fratello di Platone Adimanto, la specie di poesia e mitologia
che toglie le parole intercalate dal poeta ai discorsi diretti lasciando solo
le alterne battute (ta; ajmoibai'a) dei personaggi e dunque
si esprime dia; mimhvsew~, per imitazione
Se
non appaiono i personaggi parlanti, abbiamo una narrazione semplice senza
mimesi (a[neu
mimhvsew~ aJplh' dihvghsi~ ), questa forma che si presenta –di jajpaggevliva" aujtou`
tou` poihtou`-
attraverso il racconto del poeta stesso, si trova soprattutto nei ditirambi , specifica
Socrate; se invece cè solo mimesi con le battute dei personaggi, abbiamo la
tragedia e la commedia; infine c’è la
forma mista che si trova nell’ l’epica e in molti altri luoghi: questa impiega
entambi i mezzi: la mimesi e il racconto del poeta stesso (Repubblica 394 b- c).
giovanni
ghiselli
Vediamo
dunque le battute che Shakespeare attribuisce ai due amanti
Cleopatra
vuole imprecare contro la falsa donna di
casa, la meretrice fortuna provocandola fino a farle spezzare la sua ruota
Antonio
le suggerisce di ottenere da Cesare onore e salvezza
Ma Cleopatra
risponde: “They do not go together” (IV, 15, 47): loro non vanno insieme
Antonio
ribatte di non fidarsi di nessuno di quelli che stanno attorno a Cesare tranne
Proculeio.
Cleopatra
replica: “My resolution and my hands I’ll
trust;-none about Caesar (49-50) , mi fiderò della mia risoluzione e delle
mie mani, di nessuno intorno a Cesare.
Le ultime richieste di Antonio morente a Cleopatra:
non lamentarti e non addolorarti del miserevole cambiamento giunto alla
fine della vita, ma conforta i tuoi
pensieri nutrendoli con le precedenti fortuna nelle quali ho passato la vita-in feeding them with those my former
fortunes –wherein I lived the greatest
prince o’ the world,-the noblest, (Shakespeare, Antonio e Cleopatra, IV, 15, 53-55) io che sono stato il più grande
principe del mondo, il più nobile, e ora muoio non
bassamente-not basely-, né mi
tolgo con vigliaccheria l’elmo davanti a un concittadino. Now my spirit is going-I can no more ( 58-59), ora il mio spirito se ne va: non ce la faccio
più.
Cfr. Ugo
Foscolo“Facciamo tesoro di sentimenti cari e soavi i quali ci ridestino per
tutti gli anni, che ancora forse tristi e perseguitati ci avanzano, la memoria
che non siamo sempre vissuti nel dolore” Ultime
lettere di Jacopo Ortis, 26 ottobre 1797
Si può
attribuire anche ad Antonio quanto T. S. Eliot dice di Otello:"Quel che
Otello mi sembra faccia nel tenere questo discorso è darsi animo. Egli tenta di sfuggire alla realtà, ha cessato di
pensare a Dsdemona, e sta pensando a se stesso. L'umiltà è, di tutte le virtù,
la più difficile a conseguire: nulla è più duro a morire del desiderio di
pensar bene di se stessi. Otello riesce a mutarsi in personaggio patetico,
adottando un'attitudine estetica piuttosto che morale, drammatizzandosi di
contro all'ambiente. Egli seduce lo spettatore, ma il motivo umano è
primariamente sedurre se stesso" [40].
Otello vuole essere ricordato come uno che
servì lo Stato, uno che amò saviamente ma non troppo bene, uno non geloso ma
divenuto dissennato per istigazione, uno che come l'indiano ignorante buttò via
la perla più preziosa della tribù, uno che una volta ad Aleppo punì un cane
circonciso il quale batteva un veneziano e calunniava la repubblica. (V, 2,
337-355).
E’
il “darsi animo”, l'atteggiamento che
Eliot individua nello stoicismo romano, rappresentato da Seneca, in Shakespeare
e in Nietzsche:"Nietzsche è il più cospicuo esempio moderno del darsi
animo. L'attitudine stoica è il rovescio dell'umiltà cristiana"[41].
T.
S. Eliot trova delle analogie tra i personaggi di Seneca e quelli di
Shakespeare precisamente in questo loro
arroccarsi nella proprio
individualità:"Nell'Inghilterra elisabettiana si hanno condizioni in
apparenza affatto diverse da quelle di Roma imperiale. Ma era un'epoca di
dissoluzione e di caos; e in tale epoca, qualsiasi attitudine emotiva che
sembri dare all'uomo alcunché di stabile, anche se è soltanto l'attitudine di
"io sono solo me stesso", è avidamente assunta. Ho appena bisogno di
segnalare...quanto prontamente, in un'epoca come l'elisabettiana, l'attitudine
senechiana dell'orgoglio, l'attitudine montaigniana dello scetticismo, e l'attitudine
machiavellica del cinismo giunsero a una specie di fusione nell'individualismo
elisabettiano. Questo individualismo, questo vizio d'orgoglio, fu,
necessariamente, sfruttato molto a causa delle sue possibilità
drammatiche...Antonio dice "Sono ancora Antonio [42]" e
Questa
battuta di Medea ha un’eco anche in Il rosso e il nero di Stendhal: la
giovinetta Mathilde de
Subito
dopo viene ricordato il “darsi animo” di Medea: “In quegli ultimi momenti di
dubbio atroce scesero in campo dei sentimenti di orgoglio femminile. “Tutto
deve essere straordinario nel destino di una ragazza come me” esclamò Matilde,
snervata dal suo ragionare. L’orgoglio, che le avevano instillato fin dalla
nascita, si mise in lotta contro la virtù”[45].
Cfr.
Seneca: Vaco, Lucili, vaco et
ubicumque sum, ibi meus sum (Ep. 62,
1), sono libero, Lucilio, sono libero e dovunque io sia, appartengo a me
stesso.
“In
questa rapina rerum omnium (Marc
. 10, 4), che ingigantisce su scala cosmica l'instabilità della condizione
politica, resta come unico punto fermo, come unico bene inalienabile il
possesso della propria anima” afferma
Traina[46]. Infatti Medea in
tutta la tragedia rivendica il suum esse
del De brevitate vitae[47] . Avendo davanti
agli occhi questa visione d'insieme bisogna moderare il dolore: dovete farlo
soprattutto voi donne “quae immoderate fertis” (Ad Marciam, 10,
7) che lo portate in maniera smodata.
giovanni
ghiselli
Plutarco
racconta senza farne un dialogo, con semplice narrazione dunque, che Antonio
chiese a Cleopatra mh;
qrhnei`n ejpi; tai`" ujstavtai" metabolai`" (Vita di Antonio, 77, 7) di non piangere
sugli ultimi cambiamenti, ma di considerarlo beato per le cose belle avute in
sorte (ajlla;
makarivzein w|n e[tuce kalw`n): egli era stato il più illustre degli uomini, aveva
esercitato un potere grandissimo e ora era
vinto in modo non ignobile- kai; nu`n oujk ajgennw`" krathqeiv"- da Romano a
opera di un Romano.
Per
conservare la propria dignità nella sconfitta bisogna comportarsi in modo non
ignobile: significa accettare la series
causarum , cioè il destino.
Manifestare
amor fati: “ il necessario non mi
ferisce; amor fati è la mia intima
natura”[48] , das ist
meine innerste Natur.
Del resto ogni persona secondo Nietzsche coincide con
il suo destino: "Il fatalismo turco contiene l'errore fondamentale di
contrapporre fra loro l'uomo e il fato come due cose separate…In verità ogni
uomo è egli stesso una parte di fato…Tu stesso, povero uomo pauroso, sei
Cfr. h\qo~ ajnqrwvpw/ daivmwn[50] di Eraclito, il
carattere è il destino dell’uomo.
Mentre Antonio muore,
Smontature
del potere. Un segreto del Palazzo
Il pianto di
Ottaviano misto di ipocrisia e di paura della propria morte
Shakespeare
Alla fine
del IV atto Cleopatra definisce se stessa
niente altro che una donna dominata dalle stesse povere passioni di una
ragazza che munge il latte e compie le più umili mansioni as the maid that milks and does the meanest chares (Antonio e Cleopatra, IV 72-73). Queste
parole rientrano in un topos molto diffuso nelle tragedie in genere e
particolarmente in quelle di Shakespearre
Nel Riccardo II (1595) si legge che
La
regalità viene smontata anche in The
tempest, quanto il nostromo (boatswain)
dice che le onde che ruggiscono e sballottano la nave senza curarsi del re di
Napoli: “what cares these roarers for the
name of King?”,
Poi
il nostromo intima al re Alonso e al gentiluomo Gonzalo: “To cabin: silence trouble-lat. turba-
us not!” (I, 1)
Do un altro esempio tratto da Euripide
Nelle
Troiane, Ecuba constata che il polu;~ o[gko~ , il grande vanto degli antenati era oujdevn, niente, era un
gonfiore che si è dissolto.
“O
grande vanto umiliato
Degli
avi, come davvero eri un nulla!” (vv. 108-109)
All’ininizio
del V atto entra nel campo di Cesare Dercetas, una guardia del corpo di Antonio
con la spada del suo capo e la notizia della morte di lui: “Antony is dead” (V, 1, 12)
Nella
Vita di Antonio Plutarco ci fa
conoscere altri particolari: Derceteo prese la spada di Antonio, la nascose, e,
andato di corsa da Cesare, per pimo annunziò la morte di Antonio kai; to; xivfo" e[deixen
hj/magmevnon (78, 2), e
mostrò la spada insanguinata. A
proposito di ut
pictura poesis, il sangue aggiunge colore alla scena.
Segue
un altro topos presente nelle tragedie che Shakespeare trae da Plutarco: il
compianto del nemico morto e il suo elogio funebre da parte del vincitore che
comunque lo ha fatto morire.
Il
biografo scrive che Ottaviano si ritirò in un angolo della tenda e pianse
l’uomo che era stato suo parente, collega nel governo e compagno di molte
battaglie e imprese (78, 2-3).
Si ricorderà che Antonio dopo la sconfitta
aveva chiesto a Ottaviano soltanto di
vivere come privato cittadino-ijdiwvth" (Vita, 72, 2) in Atene, se non poteva
rimanere in Egitto.
Cesare
non accolse questa richiesta, mentre a Cleopatra rispose che non avrebbe
mancato di ottenere niente di quanto era
ragionevole chiedere se avesse ucciso o
scacciato Antonio (Vita, 73, 1).
Del
resto anche dopo questo pianto da coccodrillo, Ottaviano lesse agli amici le
lettere scambiate con Antonio per mostrare come lui stesso scrivesse parole
ragionevoli e giuste, mentre Antonio era sempre fortikov", volgare e uJperhvfano" tracotante (78, 3-4).
Nella
tragedia di Shakespeare l’encomio di Ottaviano, la laudatio funebris del nemico vinto è più sonora: “The breaking of so great a thing should make
–a greater crack (V, 1, 14-15), l’infrangersi di un uomo tanto grande avrebbe dovuto
produrre un più grande fratuono; la morte di Antonio non è un solo destino; nel
suo nome era racchiusa la metà del mondo.
A
questo punto anche il Dercetas di Shakespeare mostra la spada dicendo che l’ha
tratta dalla ferita e aggiunge: behold it
stain’d-with his most noble blood” (25-26),
guardate, è macchiata del suo noblissimo sangue.
Ma
siamo già dentro il collegio degli ipocriti che fingono di essere tristi.
La
guardia del corpo ha aspettato di capire che aria tirava.
Ottaviano
tira fuori di nuovo le lacrime, questa volta in pubblico: “it is tidings-to wash the eyes of kings (V, 1, 27-28) si tratta di
notizie tali da bagnare gli occhi dei re. Seguono parole di Agrippa e Mecenate:
il primo nota che i pregi di Antonio prevalevano sui difetti, il secondo che le
sue colpe e le sue glorie si bilanciavano.
Segreti
del Palazzo, segreti del potere. Arcana
domus, arcana imperii.
Tacito
e Shakespeare
Altro
tema storico, letterario e politico da utilizzabile a scuola da docenti e
discenti.
Ottaviano
avuta notizia del suicidio di Antonio ripete l’ arcanum imperii, il segreto del potere gà rivelato da Tacito: “we cold not stall together- in the whole
world (Antonio e Cleopatra, V, 1,
39-40) non potevamo fermarci insieme nell’intero mondo.
Ossia
il potere non è condivisibile pacificamente.
Un
segreto del Palazzo, (arcana domus) è rivelato da Tacito all'inizio
degli Annales, quando Tiberio
sta succedendo ad Augusto (14 d. C.) :"eam condicionem esse
imperandi ut non aliter ratio constet quam si uni reddatur " (I, 6),
questa è la condizione dell'impero che i conti tornano bene se si rendono a uno
solo.
Qualche decennio più tardi, nel
55, Britannico viene fatto avvelenare da
Nerone. Il figlio di Claudio e Messalina rimase senza voce né respiro e Nerone
disse che si trattava di epilessia. Ma tutti capiscono e si spaventano. Tra il
popolo molti giudicarono il delitto con indulgenza: “plerique etiam hominum ignoscebant antiquas fratrum discordias et
insociabile regnum aestimantes” (Annales, XIII, 17), considerando antiche
discordie tra fratelli e il fatto che il re non può avere un socio.
Si pensi all'antica discordia tra Eteocle e Polinice: "sociisque comes discordia regnis" (Stazio, Tebaide, I, 130), la discordia compagna
dei regni condivisi. Quindi romolo e Remo-
Alla
morte di Nerone si rivelò un
altro arcanum imperii: "posse principem alibi quam Romae fieri
" (Historiae , I, 4),
l'imperatore poteva essere creato anche fuori da Roma.
Poco
dopo a Vespasiano, vicino allo scontro finale con Vitellio, si svelò un' altra
norma :"imperium cupientibus
nihil medium inter summa aut praecipitia" (Historiae, II, 74),
per chi aspira al potere non c'è via di mezzo tra la vetta e il
precipizio.
giovanni
ghiselli
Ottaviano
chiede il permesso di piangere ancora,
addirittura ad Antonio -chiamandolo fratello mio –my brother, compagno nell’impero my mate in empire-, amico e commilitone sul fronte di guerra-friend and companion in front of war-
braccio del mio stesso corpo-the arm of
mine own body e cuore in cui il mio alimentava i suoi pensieri
Sono
state le nostre stelle irreconciliabili a dividere così la nostra uguaglianza(V,
1, 42-46) .
Da
una parte c’è l’ipocrisia e la retorica delle celebrazioni volute dal potere ma
non manca la paura che prende ciascuno di noi quando vediamo che una vita
simile e quasi parallela alla nostra
finisce, tanto che si tratti di un amico quanto di un nemico. Il sopravvissuto
viene preso dal terrore della propria morte.
Il successo
dipende in gran parte dalla reputazione
Potenza
della fama.
Secondo Seneca la diceria comune è spesso fuorviante:"nulla
res nos maioribus malis implicat quam quod ad rumorem componimur " (De
vita beata , 1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori che il fatto
di regolarci secondo il "si dice".
Bisogna cercare di vivere ragionando "ad
rationem ", ivece che imitando "ad similitudinem " , come
fanno i più.
La dovxa e la fama acquisite con le prime vittorie
contribuiscono al successo finale quanto le azioni. Il vincitore assume un’ingannevole
aria di invincibilità eterna. Oiu invece arrivano le Idi diu Marzo o Warerloo
Nell’ultimo
atto dell’Antonio e Cleopatra di
Shakespeare, un Egiziano mandato dalla
regina va da Ottaviano a chiedergli
quali siano i suoi intendimenti .
Il vincitore
promette gentilezza e onore per la regina: “for
Caesar cannot live-to be ungentle ( V, 1, 59-60), perché Cesare non può
vivere ed essere scortese. In realtà sotto questa maschera c’è l’uomo crudele
che ha decretato la morte di Antonio, e ora vuole la totale sottomissione di
Cleopatra.
Ottaviano ordina a Proculeio di andare in Egitto a blandire
Cleopatra con promesse di benevolenza perché la donna non si uccida sottraendosi
al trionfo del vincitore: “for her life in Rome-would be eternal in our
triumph (V, 1, 65-66) perché la sua
presenza viva in Roma rimarrebbe eterna nel mio trionfo.
Plutarco
scrive che Ottaviano mandò Proculeio in Egitto ordinandogli di fare il possibile per
impossessarsi di Cleopatra viva-keleuvsa" h]n duvnhtai mavlista th`" Kleopavtra" zwvsh"
krath`sai: poiché
temeva per i suoi tesori e riteneva che quella avrebbe dato una grande spinta
alla gloria-pro;"
dovxan- del suo
trionfo (Vita di Antonio, 78, 4-5).
La gloria di
questi comandanti vincitori dipende in gran parte dall’opinione degli altri,
dalla reputazione che acquisiscono.
Anche le vittorie successive al successo iniziale sono
dovute almeno in parte dalla fama che
questo ha suscitato sul conto del
vincitore.
Alessandro Magno dichiara apertamente l’importanza
della fama, di quanto si dice, e
anche Dario III.
Dopo la scoperta della seconda
congiura: quella “dei paggi” (primavera
Cfr. III, 8, 7 dove Dario, prima della battaglia
di Isso (
Come nelle Eumenidi di Eschilo, le parti in
conflitto hanno un pensiero comune.
Dopo la
conquista della rupe di Aorno (326) Alessandro magnae victoriae speciem fecit (Curzio, VIII, 11, 24), creò
l’apparenza di una grande vittoria con sacrifici e cerimonie in onore degli
dèi.
Nelle Storie di Livio il console Claudio
Nerone, in rapida marcia contro Asdrubale, che verrà sconfitto poco dopo, sul
fiume Metauro (tra Fano e Senigallia,
Si può
chiarire il valore pratico, oltre che
estetico, della parola attraverso l'espressione di Tucidide ta; e[rga tw'n pracqevntwn (I, 22, 2), le
azioni tra i fatti. L'altra componente dei fatti sono le parole dette dai capi
della guerra: sul modo di riferirle Tucidide dichiara le intenzioni e il metodo
nella prima parte del capitolo metodologico (I, 22, 1).
Tolstoj smonta Napoleone facendone una
marionetta del destino
Tolstoj spiega
i successi di Napoleone che era "un uomo senza convinzioni, senza
consuetudini, senza tradizioni, senza nome, e che non è neppure francese"
come necessari perché potesse compiersi
"il movimento di carattere militare dei popoli europei da occidente a
oriente"[51].
Poi doveva
esserci il movimento inverso, allora "improvvisamente, al posto di quei
casi e di quella genialità , che in modo
così progressivo lo hanno guidato finora, con una serie ininterrotta di
successi, verso lo scopo prestabilito, si profilano una quantità incalcolabile
di casi contrari, dal raffreddore di
Borodino al gelo e alla scintilla che incendia Mosca; e invece della genialità
, appaiono una stupidità e una viltà senza ragioni"[52].
“Napoleone è
uno dei soggetti classici di biografia in quanto reputato personaggio
sicuramente ‘decisivo’, eppure per il Tolstoj di Guerra e pace è quasi una marionetta perché la storia è fatta dalla
somma degli infiniti e contraddittori voleri delle masse”[53].
Non credo
tanto delle masse quanto piuttosto delle “astuzie della ragione”, della
“vecchia talpa”, insomma del destino, o della Storia che ci usa per i suoi fini
Corso di
giugno XXXII
Un’altra
smontatura del potere. Shakespeare, Euripide e Seneca
La seconda
sena del V atto si apre con Cleopatra che parla a Carmiana e Iras la
parrucchiera . La regina dice parole che smontano di nuovo il potere: ‘Tis poltry to be Caesar;-not being Fortune,
he’ s but Fortune’s knave,-a minister of her will-(V, 2, 2-4), è una miseria essere Cesare; non essendo egli
Nella
tragedia Ecuba di Euripide (del 424)
la vecchia regina di Troia dà questo avvertimento ad Agamennone, il comandante
dell’esercito vincitore:
“non
c'è tra i mortali chi sia libero Oujk e[sti qnhtw'n o{sti" e[st j ejleuvqero",:/infatti si è
schiavi delle ricchezze oppure della sorte-h] crhmavtwn ga;r dou'lov" ejstin h] tuvch",
-/o
la folla della città o le leggi scritte h] plh'qo" aujto;n povleo" h] novmwn grafaiv- / impediscono di usare l’orientamento del
proprio giudizio"(vv. 864-865).
Sono versi chiave.
Chi
comanda-aveva gà detto Ecuba- non deve comandare quello che non si deve-ouj tou;" kratou'nta"
crh; kratei'n a{ mh; crewvn (Ecuba,
282), e chi ha successo- eujtucou'nta"- non deve credere
che gli andrà sempre bene.
Ecuba procede facendo l’esempio di se stessa: che
era una regina cui un solo giorno ha tolto ogni forma di benessere-to;n pavnta dj o[lbon h|mar e{n m’ ajfeivleto (285).
Del
resto l’Agamennone delle Troiane di
Seneca sa che i successi sono effimeri e che noi mortali siamo tutti in balia
della sorte:
Al
culmine della sua carriera di a[nax
l’Atride mostra di avere coscienza della probabile caduta ovinosa per chi è
salito in alto:"Violenta nemo imperia continuit diu,/moderata durant;
quoque Fortuna altius/evexit ac levavit humanas opes,/hoc se magis supprimere
felicem decet/variosque casus tremere metuentem deos/nimium faventes. Magna
momento obrui/ vincendo didici. Troia nos
tumidos facit/nimium ac feroces? Stamus hoc Danai loco,/unde illa cecidit " (Troiane, vv. 258-266), nessuno ha
conservato a lungo il potere con la violenza, quello moderato dura; e quanto
più
Troviamo
un locus analogo nel primo coro dell'Agamennone di Seneca quando
le donne di Micene notano che
Cfr.
la teoria della classe media nell’Oreste di Euripide.
giovanni
ghiselli
La logica
della casta e il decorum (prevpon) della maestà. Cleopatra e Nerone
Ottaviano
dunque mandò Proculeio da Cleopatra, ma ella non volle mettersi nelle sue mani
e aprirgli l’ingresso . Sicché si parlarono attraverso le porte che lasciavano
passare la voce. Così poterono dialogare: lei chiedendo il regno per i figli, l’altro
esortandola a farsi coraggio e ad affidarsi del tutto a Cesare -hJ me;n aijtoumevnh toi`" paisi; th;n basileivan, oj de; qarrei`n kai; pavnta pisteuvein Kaivsari
keleuvwn.-(Plutarco,
vita, 78, 6).
Cleopatra
cerca la continuità del potere e Ottaviano non poteva esaudirla per la logica delle caste che Orwell chiarisce in
questo modo: “a ruling group is a ruling
group so long as it can nominate its successors”, una classe dirigente
rimane tale tanto a lungo quanto può nominare u suoi successori (1984, parte seconda, 9, capitolo I). L’ultimo
successore della dinastia Giulio Claudia sarà Nerone morto suicida nel 68 d. C.
Cleopatra è
l’ultima della stirpe dei Tolomei che regnò sull’Egitto dalla morte di
Alessandro Magno (
Ora
sentiamo. Shakespeare
Proculeio
continua a parlare da fuori e domanda a Cleopatra quali favori voglia da
Ottaviano. Cleopatra risponde regalmente: “you
must tell him-that majestiy, to keep decorum, must –no less beg that kingdom-
(V, 2, 16-18) devi dirgli che la maestà per mantenere quanto le si addice, non
può mendicare meno di un regno.
Ho tradotto decorum, un prestito da latino non
modificato, tenendo conto del decet
in esso contenuto. Il suicidio di Cleopatra ormai prossimo mi fa
di nuovo pensare a quello di Nerone quando seppe che il senato l’aveva dichiarato
nemico pubblico e lo cercava ut puniatur
more maiorum[54] (Svetonio, Neronis Vita, 49).
Allora
l’imperatore, atterrito, afferrò due pugnali, ma poi li ripose, e disse che non
era ancora giunta l’ora fatale. Quindi chiese a Sporo- un castrato che aveva
sposato, di aiutarlo e disse: “Vivo
deformiter, turpiter , ouj prevpei Nevrwni, ouj
prevpei-nhvfein dei' ejn toi'~ toiouvtoi~, a[ge
e[geire seautovn, vivo in maniera turpe e sconcia. Non si addice,
non si addice a Nerone. Bisogna essere svegli in circostanze del genere, su
svegliati!
Automitopoiesi.
Poi citò un verso dell’Iliade (V, 535)
{Ippwn m j wjkupovdwn ajmfi; ktuvpo~ ou[ata bavllei, di cavalli dai piedi veloci, mi percuote le orecchie il rumore (parla
Nestore).
Infine si cacciò il ferro in gola iuvante Epafrodito a libellis (49)
addetto alle suppliche.
Si pensi al
film Ludwig di Visconti
Proculeio chiede di poter riferire a Ottaviano che
Cleopatra è disposta a una dolce sottomissione-sweet dependency-(V. 2, 26)
Cleopatra accetta e si qualifica his fortune’s vassal 829) vassalla della
sua fortuna, una che ha imparato a
doctrine of obedience (31) una lezione di obbedienza. Ma sta prendendo
tempo.
Proculeio crede di assicurarla dicendo I know your plight is pitied- of him that
caused it (34-35) so che il tuo stato ha la compassione di colui che l’ha
causato. Ma alla regina abituata a sedurre e a comandare non può andare bene la
compassione e una pietas sul tipo di
quella spietata di Enea per Didone.
Quindi Proculeio sale nel mausoleo attraverso una
scala appoggiata a una finestra e Carmiana esclama: O Cleopatra! Thou art taken, queen!,Oh Cleopatra, siete presa regina!
Plutarco racconta che Proculeio klivmako"
prosteqeivsh" (Vita di Antonio, 79, 2) appoggiata una
scala, entrò attraverso la finestra –dia; th`" qurivdo" eijsh`lqen-, la stessa per la quale le donne avevano
tirato su Antonio. Intanto Cleopatra stava trattando, attraverso un’altra
finestra, con Cornelio Gallo mandato da Ottaviano e anche lui arrivato alle
porte del Mausoleo. Verrà nominato da Augusto praefectus Aegypti poi, caduto in disgrazia, nel 26 si suiciderà.
Fu anche poeta elegiaco e tra i protettori di Virgilio che lo ricorda nella X
ecloga[55]. Cornelio Gallo è stato il primo
poeta elegiaco latino: il mediatore fra
il neoterismo e l’elegia augustea
Cleopatra si volse e vide Proculeio, quindi una
delle due donne rinchiuse insieme con la loro regina gridò: “tavlaina
Kleopavtra, zwgrei` (79, 3), povera Cleopatra, è presa viva!
Cleopatra e Proculeio.
Perché cito Plutarco e Shalespeare nelle loro
lingue
Proculeio
nel dramma di Shakespeare ferma Cleopatra che aveva già sguainato un pugnato
una spada per uccidersi e le dice: “fermatevi degna signora, fermatevi, do not yourself such wrong , who are in this relieved latino relĕvo- but not betray’d –to deliver up, from L. trado-.” (V, 2, 40-41), non fate un tal torto a voi stessa che in questa circostanza siete
risollevata non tradita.
Ma Cleopatra
si sente tradita anche dalla morte
Proculeio
sbandiera la generosità (bounty,
latino bonitas) del suo padrone che
sarebbe oscurata dal suicidio della regina
Cleopatra
invoca la morte poi risponde a Proculeio. Gli dice: “I will eat latino edo, greco e[dw-no meat, non mangerò , I’ll not drink, sir, non berrò, signore,
I’ll not sleep neither, nemmeno
domirò. Non apparirò con le ali tarpate pinion’d
–latino pinna , penna e ala- e non
verrò insultata una sola volta-nor once be chastised-latino castigo-
dal casto sguardo dell’ottusa Ottavia.
Non vuole
subire l’urlante plebaglia della Roma che biasima of censuring latino censura-
censēre- Rome.
Rather a ditch in Egypt-be gentle
grave unto me!, piuttosto una
fossa in Egitto sia la mia gentile tomba.
Cleopatra sa che “la tomba ai mortali di tutto è
confine”[1] come canterà la traviata Violetta Valery e sa pure che noi poveri mortali lottiamo
soltanto per la nostra sepoltura tantum de funere
pugnamus
[2] .
Altre
sepolture del suo corpo, comunque in Egitto, immagina Cleopatra: “ponetemi
piuttosto del tutto nuda sulla melma del Nilo e lasciate che le zanzare mi
gonfino fino a rendermi orrenda” blow me into abhorring-
altino ab-horrēre (V, 2, 58-60)
L’ultima, estrema
possibilità è che le alte piramidi le facciano da forca-gibbet (61) e che lei penda incatenata di lassù.
Ricorderete:
“Io fei giubbetto
a me delle mie case” Dante, Inferno, XIII, 151), mi impiccai nella
mia casa detto da un fiorentino anonimo
Quindi
Proculeio dice a Cleopatra: “voi estendete
questi pensieri d’orrore oltre
quello che potrete provocare in Cesare” (V, 2, 61-63)
Ora
sentiamo il racconto di Plutarco dove Proculeio trattiene Cleopatra con
entrambe le mani-tai`"
cersi;n ajmfotevrai"
e le dice: “fai torto, o
Cleopatra a te stessa e a Cesare-“ajdikei`" w\ Kleopavtra
kai; seauth;n kai; Kaivsara” Vita di Antonio, 79, 4) togliendogli una grande
dimostrazione della bontà sua-megavlhn ajfairoumevnh crhstovthto" ejpivdeixin aujtou`, mentre calunni
il più mite dei comandanti come se sfosse infido e implacabile.
Ottaviano
darà nei fatti “una grande
dimostrazione della sua bontà” facendo
uccidere i figli di Cleopatra, compreso Cesarione avuto da Cesare.
Del
resto il primo a non fidarsi di Cleopatra era lo stesso Proculeio: le portò via
l’arma e le scosse
la veste mh;
kruvptoi favrmakon,
temendo che nascondesse qualche veleno (Vita, 79, 6).
Una
brevissima spiegazione sul perché cito spesso alcune parole nella lingua degli
autori.
Intanto
perché mi piace farlo.
Poi
perché spero di insegnare qualche rudimento di greco, latino e inglese.
Le
lingue infatti dovrebbero essere insegnate attraverso i grandi autori citando,
possibilmente a memoria ossia non leggendole, le loro frasi belle e chiare le
quali sono memorabili, si ricordano in quanto colpiscono la sfera emotiva.
Voglio inoltre nostrare la grande quantità di parole neolatine nella pur
germanica lingua inglese 3.
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[1] F. M. Piave, La traviata,
(III, 4)
[2] Cfr. Lucano, Pharsalia, VI,
811.
[3]
Il compianto Tullio De Mauro fece notare
che l’inglese è una “lingua d’origine germanica profondamente
latinizzata”: al 75% del suo vocabolario è latina e neolatina. In Italia il
prevalere del fiorentino antico sugli altri dialetti è stato in gran parte
determinato dalla sua prossimità al latino.
Storia linguistica dell’Italia
repubblicana dal 1846 ai nostri giorni
. Laterza, 1914, p. 39.
Corso di giugno XXV. Cleopatra ricorda e rimpiange
l’amante inimitabile
Cleopatra
seppe da Dolabella, il quale aveva una certa simpatia per lei, che che Ottaviano aveva deciso di inviarla a Roma
con i figli dopo tre giorni-ejkeivnhn meta; tw`n tevknwn
ajpostevllein eij" JRwmhn trivthn
hjmevran e[gnwken (Plutarco,
Vita di Antonio, 84, 2)
La regina esautorata chiede il permesso di portare
libagioni sulla tomba di Antonio. Recatasi là dice parole di amore al compagno
che l’ha preceduta nella morte. Lo prega di non lasciare viva la sua compagna e
di non permettere che attraverso la propria persona trionfino su di lui ajll
j ejntau`qa me kruvyon meta; seautou` kai; sunvqayon ma nascondimi e seppelliscimi qui con te, perché tra i miei
innumerevoli mali nessuno è così grande e terribile come questo breve spazio di
tempo che ho vissuto senza di te-oujde;n ou{tw mevga kai;
deinovn ejstin, wJ" oj bracu;" ou|to" crovno" a]n sou`
cwri;" e[zhka” (84, 7).
Quindi Cleopatra, incoronata di fiori e abbracciata la tomba, ordinò che le
si preparasse il bagno-ejkevleusen auJth`/ loutro;n genevsqai (85, 1). Intanto si lava, come abbiamo visto fare ad Alcesti. Così siamo passati
a
Shakespeare. Torniamo un poco indietro
Entra Dolabella e congeda Proculeio dicendogli che Cleopatra rimane sotto
la propria custodia. Mentre Proculeio esce, Cleopatra gi chiede di riferire a
Ottaviano che lei vorrebbe morire: “Say,
I would die (V, 2, 70)
Quindi racconta a Dolabella di avere sognato
Antonio e ne fa un elogio più totale e molto più sentito di un’apoteosi: His face was as the heaven; and therein
stuck –a sun and moon, which kept their course and lighted –the little O of the earth
(79-81), la sua faccia era come il cielo e lì c’erano infissi un sole e una
luna che tenevano il loro corso e illuminavano il piccolo O della terra.
Un’
espressione di questo genere si trova nel prologo dell’ Enrico V dove this wooden O
indica il palcoscenico del teatro o l’intero teatro ligneo The Globe dove si rappresentavano i drammi di Shakespeare.
Cleopatra
nel rimpiangere Antonio ne ricorda la grandezza, la generosità la forza e la
gioia di vivere: le sue gambe cavalcavano l’Oceano, il suo braccio alzato era
il cimiero del mondo, la sua voce era armoniosa come tutte le intonate sfere
per gli amici, ma se voleva dominare e scuotere il mondo, era simile al tuono
che rimbomba. Quanto alla sua generosità-bounty-
non c’era inverno in essa: un autunno era che si accresceva con i raccolti, le sue gioie erano come delfini; esse
mostravano la schiena al di sopra dell’elemento in cui vivevano (V, 2, 82-90).
Dolabella
dice di condividere il dolore di Cleopatra la quale gli domanda se sappia che
cosa Ottaviano intenda fare di lei.
Dolabella
con riluttanza ammette quello che Cleopatra sospetta: il vincitore la condurrà
nel proprio trionfo (V, 2, 110)
La femminilità di razza di Cleopatra
Cleopatra è imbruttita ma non ha perduto il suo
fascino
L’ipocrisia
e la perfidia del pincipe
Questo post si trova intero nel mio blog
Plutarco racconta che Antillo, figlio di Antonio e
di Fulvia fu tradito dal suo precettore, quindi venne ucciso (81, 1). Cesarione di cui si diceva fosse figlio di Giulio
Cesare venne ammazzato dopo la morte di Cleopatra. Altri figli della regina vennero
utilizzati da Ottaviano perché Cleopatra non si uccidesse.
La regina si
era ferita battendosi il petto durante i funerali di Antonio, poi la piaga si era infettata. Le venne la
febbre. Smise di mangiare per farla finita. Ma Ottaviano la fece desistere con
il ricatto dei figli (Vita di Antonio
82).
Quindi l’erede unico di Cesare andò a trovarla per
confortala. La trovò stesa in un giaciglio modesto- ejn
stibavdi tapeinw`" (83, 1). Entrambi devono recitare per raggiungere
ciascuno il suo scopo. Cleopatra si alzò vestita con una sola tunica e con la testa e il viso terribilmente
devastati-deinw`" me;n ejxhgriwmevnh kefalh;n kai;
provswpon. Si vedeva che il corpo soffriva quanto l’anima, hj
mevntoi cavri" ejkeivnh kai; to; th`" w{ra" ijtamo;n ouj katevsbeto
pantavpasin (83, 3)
tuttavia quel suo famoso fascino e il vigore della sua grazia non erano
del tutto spenti, ma pure in quello stato tralucevano in qualche modo da dentro
–ajlla; kaivper diakeimevnh" endoqe;n poqen ejxevlampe” e apparivano insieme nei movimenti espressivi del volto-kai;
sunepefaivneto toi`" kinhvmasi tou` proswvpou (83, 4). Evidentemente la vera bellezza, quella che resiste al tempo,
all’indebolimento somatico, alle malattie, perfino allo sfregio, ha una
sorgente nell’anima.
Una ripetizione dovuta al fascino di Cleopatra
Riferisco di nuovo alcune parole attribuite da
Shakespeare a Enobarbo sul fascino di Cleopatra la cui bellezza pure non era
incomparabile
Con la sua femminilità di razza Cleopatra sapeva
rendere affascinante tutto quanto faceva:
“una volta la vidi saltare quaranta passi nella
pubblica via,
and having lost her breath, she spoke, and panted,
that she did make defect
perfection,
and, breathless, power breathe forth ( Antonio e Cleopatra, II, 2,
233 - 237)
e rimasta senza fiato parlava ansimando in modo da
trasformare un difetto in cosa perfetta, e senza fiato, esalava potere
seduttivo.
Su questo Plutarco aveva scrtto
che la la sua bellezza in sé -auJto; to;
kavllo"- non era proprio incomparabile-ouj pavnu dusparavblhton.-dus-parabavllw- getto di fianco, paragono- né tale da
stordire quelli che la vedevano-oujd j oi|on ejkplh'xai tou;" ijdovnta"- ma la sua
compagnia aveva una presa dalla quale non si poteva fuggire-ajfh;n (a[ptw)
d j
ei\cen hJ sundiaivthsi" a[fukton (Plutarco, Vita di Antonio, 27).
Toniamo al capitolo 83 della Vita di Antonio con le ultime mosse di
Cleopatra. Ella prima accennò a giustificarsi, attribuendo le proprie azioni
alla necessità e alla paura di Antonio-eij" ajnavgkhn kai; fovbon jAntwnivou ta; pepragmevna trepouvsh"-(83, 4),
ma Ottaviano ribatteva punto per punto, quindi lei cambiò metodo e tosto si
rivolse alle preghiere e alla supplica tacu; pro;" oi\kton meqhrmovsato kai;
devhsin.
Cleopatra recita prima la parte dell’amante
pentita poi quella della donna desolata. Il suo repertorio di donna e di
attrice è vasto. Ora vuole dare anche l’impressione di essere molto attaccata
alla vita. Pobabilmente perché questa parte le riesca bene deve pensare ai
propri figli.
Quindi prese la lista delle sue
ricchezze che consegnò al vincitore.
A questo punto però Seleuco, uno
dei suoi amministratori, la accusò di nasconderne una parte. Cleopatra balzò su
dal letto kai;
tw`n tricwn` aujtou` labomevnh, e afferratolo par i capelli, gli diede
molti ceffoni al servo fellone.(83, 5).
Ottaviano sorrideva, manifestando
evidentemente superiorità e noncuranza sovrana. Anche lui aveva coscienza che
la nostra vita è una recita.
Poco prima di morire si avvide del buco nel
cielo di carta del teatrino e
domandò agli amici "ecquid iis videretur mimum
vitae commode transegisse" (99), se a loro sembrasse che avesse
recitato bene la farsa della vita, quindi chiese loro, in greco, degli applausi
con la solita clausula delle commedie:" eij de;
ti - e[coi kalw'" to; paivgnion, krovton dovte", se è andato un po’ bene questo scherzo, applaudite (Svetonio Augusti Vita, 99)
Cleopatra quindi parla a Ottaviano chiedendogli se non
trovi terribile deinovn che mentre lui,
il padrone del mondo va a trovarla pur così malmessa, i suoi servi la accusano-oij de;
dou`loiv mou kathgorou`sin.
Ho messo da
parte qualche ornamento femminile, nemmeno per me ma per fare un piccolo dono a
Ottavia e (Vita di Antonio, 83, 6).
La servitù qui attribuita al cortigiano è un’attitudine
e una categoria dello spirito. Può appartenere agli schiavi come pure ai
prìncipi.
Nel
mondo carnevalesco e rovesciato degli schiavi plautini[56] al posto del
valore forte della fides troviamo quello della perfidia , la
“santa” protettrice dei servi:" Perfidiae laudes gratiasque habemus
merito magnas" (Asinaria, v. 545), abbiamo ragione di elogiare
e ringraziare assai la mala Fede, dice lo schiavo Libano allo schiavo Leonida.
Cleopatra
aggiunge che spera in una intercessione di Ottavia e Livia per trovare
Ottaviano, fratello e marito, più benevolo e più clemente
Ottaviano
si rallegrò credendo assolutamente che Cleopatra desiderasse vivere-pantavpasin aujth;n filoyucei`n
oijovmeno"
(83, 7). Quindi promise di trattarla bene e se ne andò credendo di averla
ingannata mentre era lui piuttosto a essere stato ingannato-ejxhpathkevnai me;n
oijovmeno", ejxhpathmevno" de; ma`llon.
L’inganno
e la perfidia
trasudano anche dai luoghi del potere.
Breve
excursus: l’ipocrisia e la perfidia del principe
Riccardo III, è “ il principe
che ha letto Il Principe. La politica è per lui pura pratica, un’arte il cui
fine è governare. Un’arte amorale come quella di costruire i ponti o come una
lezione di scherma. Le passioni umane sono argilla, e anche gli uomini sono
un’argilla di cui si può fare quel che si vuole.”[57]
Riccardo
viene aizzato dai suoi alleati a vendicarsi dei suoi nemici: “ But then I sigh, and, with a piece of
Scripture,-Tell them that God bids us do good for evil:- And
thus I clothe my naked villainy-With odd old ends stol’n forth of Holy Writ-And
seem a saint, when most I play the devil” (I, 3), ma allora io sospiro, e, con un brano della
Scrittura, dico loro che Dio ci ordina di rendere bene per male: e così rivesto
la mia nuda scelleratezza con occasionali vecchi scampoli della Sacra
Scrittura, e sembro un santo quando più faccio il diavolo.
Riferisco
un motto di Lisandro il comandante della flotta spartana che concluse la guerra
del Peloponneso sconfiggendo gli Ateniesi: egli se la rideva di quanti
stimavano che i discendenti di Eracle dovessero sdegnare di vincere con il
tradimento e raccomandava sempre:" o{pou ga;r hJ leonth' mh; ejfiknei'tai prosraptevon
ejkei' th;n ajlwpekhvn"
dove di fatto non giunge la pelle del leone, bisogna cucirle sopra quella della
volpe" (Plutarco, Vita di Lisandro, 7, 6).
La perfidia
plus quam punica[58] di Annibale e
quella italica di Machiavelli hanno avuto dei maestri greci.
Nel XVIII
capitolo di Il Principe, Machiavelli ricorda "come Achille e molti altri di quelli
principi antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua
disciplina li costudissi". E ne deduce:"Il che non vuol dire altro,
avere per precettore uno mezzo bestia et uno mezzo uomo, se non che bisogna a
uno principe sapere usare l'una e l'altra natura; e l'una sanza l'altra non è
durabile. Sendo dunque uno principe necessitato sapere usare la bestia, debbe
di quelle pigliare la golpe et il lione; perché il lione non si difende da'
lacci, la golpe non si difende da' lupi. Bisogna adunque essere golpe a
conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi. Coloro che stanno
semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può, per tanto, uno
signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia li torni
contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere".
La constatazione del sangue umano che scorre
nella corte viene denunciata da Donalbain, un figlio del re vecchio assassinato
dal nuovo re, da Macbeth :"qui dove siamo ci sono pugnali nei sorrisi degli
uomini: il vicino per sangue è il più vicino all'essere sanguinario ( the near in blood, the nearer bloody, Macbeth 2, 3).
Torniamo
al dramma Antonio e Cleopatra di
Shakespeare
Cleopatra
chiama Seleuco e lo presenta come my
treasurer (V, 2, 141) , il mio
tesoriere. Poi gli chiede di dire a Ottaviano che la regina non ha serbato
nulla per sé: speak the truth, Seleucus
(V, 2, 144) di’ la verità, Seleuco. Il tesoriere non obbedisce e nega che la regina dica il
vero.
Ottaviano
giustifica Cleopatra la quale lamenta il fatto che gli uomini seguono la
fortuna del voncitore. “mine will now be
yours, i miei ora saranno vostri
(151)
Nell’Oreste di Euripide il messo che
riferisce a Elettra come si è svolta l’assemblea degli Argivi, fa una
considerazione del genere a proposito degli araldi.
“E
dopo questo si alza:
Taltibio
che con tuo padre razziava i Frigi.
E
parlò, lui sempre sottoposto ai potenti,
in
modo ambiguo, da una parte ammirando il padre tuo
però
senza approvare tuo fratello, intrecciando
discorsi belli e malvagi: che aveva stabilito
usanze
non
belle verso i genitori; e occhiate sempre
sorridenti
lanciava agli amici di Egisto.
Infatti
tale genìa è siffatta: su chi ha successo
saltano
sempre gli araldi. Questo è loro amico:
chi
ha potere sulla città e si trova tra le autorità (vv. 887-897)
Cleopatra
aggiunge che l’ingratitudine di quel Seleuco la rende furiosa
Quindi
lo riempie di insulti: slave, soulless
villain, dog! -O rarely base! (V, 2, 157-158), schiavo, infame senza anima,
cane! Mostro di bassezza!
Poi
si giustifica con Ottaviano dicendo “ ho
tenuto per sé soltanto alcuni gingilli donneschi, mentre ho messo da parte qualche dono più nobile riservato a Livia e
Ottavia per indurle a pensarmi some nobler token I have kept apart –for
Livia and Octavia, to induce –their meditation (168-170) Quindi ingiunge a Seleuco di andarsene non
senza rinfacciargli la sua disumanità: wert thou a man-thou wouldst have mercy of
me-(174-175), se tu fossi un uomo avresti pietà di me. Avere compassione
dei caduti è la quintessenza dell’umanità.
Infine Ottaviano lo congeda stampato fin qui
26 aprile 2021
Ultimo scambio
di battute tra Cleopatra e Ottaviano nell’Antonio e Cleopatra
L’ereditarietà
della colpa. Il disprezzo del lavoro mercantile
Cleopatra
dice: si deve sapere che noi, le persone più grandi della storia umana, siamo
mal giudicati per cose fatte male da altri-be
it known thate we, the greatest, are miss-thought/ for things that other do,
e quando cadiamo rispondiamo con il
nostro nome di quanto hanno meritato altri, and
when we fall,-we answer other merits L. meritum-merere
in our name, e quindi siamo degni di compassione, and therefore to be pitied” (V, 2, 276-279)
Ancora
una negazione della felicità di chi raggiunge o eredita il potere nel cui
ambito vige, secondo Cleopatra, la legge della ereditarietà della colpa
chiarita per la propria stirpe da Eteocle nei Sette a Tebe di Eschilo.
Un
problema grande nell’uomo greco è quello della ereditarietà delle colpe dei
padri. Sentiamone alcune espressioni: Eteocle nei Sette a Tebe non è personalmente colpevole ma deve pagare per
:"la trasgressione antica/dalla rapida pena/che rimane fino alla terza
generazione:/quando Laio faceva violenza/ad Apollo che diceva tre volte,/negli
oracoli Pitici dell'ombelico/del mondo, di salvare la città/morendo senza
prole;/ma quello vinto dalla sua dissennatezza/generò il destino per sé,/Edipo
parricida,/quello che osò seminare/il sacro solco della madre, dal quale
nacque/radice insanguinata,/e fu la pazzia a unire/gli sposi
dementi"(vv.742-757).
Il
Coro dell ’Antigone di Sofocle nel commo del IV episodio deplora la
catastrofe della ragazza con queste parole: "Avanzando verso l'estremità
dell'audacia,/hai urtato , contro l'eccelso trono della Giustizia,/creatura,
con grave caduta,/ del resto sconti una colpa del padre" (vv. 853-856).
Ora
leggiamone un’interpretazione, a sua volta parecchio problematica, di
Pasolini:“Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è la
predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri. Non importa se i figli
sono buoni, innocenti, pii: se i loro padri hanno peccato, essi devono essere puniti.
E’ il coro-un coro democratico- che si dichiara depositario di tale verità: e
la enuncia senza introdurla e senza illustrarla, tanto gli pare naturale”
Pasolini
trova una ragione nella legge della
tragica predestinazione a ereditare le colpe: i giovani del 1975 sono figli di
padri colpevoli, padri “che si son resi responsabili, prima, del fascismo, poi
di un regime clerico-fascista, fintamente democratico, e, infine, hanno
accettato la nuova forma del potere, il potere dei consumi, ultima delle rovine,
rovina delle rovine”. I figli dunque sono puniti. “Ma sono figli “puniti” per
le nostre colpe, cioè per le colpe dei padri. E’ giusto? Era questa, in realtà,
per un lettore moderno, la domanda senza risposta, del motivo dominante del
teatro greco. Ebbene sì, è giusto. Il lettore moderno ha vissuto infatti
un’esperienza che gli rende finalmente, e tragicamente, comprensibile
l’affermazione-che pareva così ciecamente irrazionale e crudele-del coro
democratico dell’antica Atene: che i figli cioè devono pagare le colpe dei
padri. Infatti i figli che non si liberano delle colpe dei padri sono infelici:
e non c’è segno più decisivo e imperdonabile di colpevolezza che l’infelicità”.
E le
colpe dei padri? Esse sono la complicità col vecchio fascismo e l’accettazione
del nuovo fascismo. Perché tali colpe?
“Perché
c’è-ed eccoci al punto-un’idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune
a tutti: l’idea cioè che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi
la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della
classe dominante. In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in
questo: credere che la storia non sia e
non possa essere che la storia borghese” [59].
Ottaviano
risponde a Cleopatra che non intende sottrarle nulla di quanto ella ha
dichiarato e si è meritata e prende le proprie distanze dalla figura del
mercante che l’antica aristocrazia disprezzava e magari anche la moderna lo fa,
soprattutto se è di origine mercantile.
“Caesar ’s no merchant, to make prize with you-of
things that merchants sold” (V, 2, 183-184), Cesare non è un mercante da
contrattare con voi un prezzo delle cose vendute dai
mercanti.
Il
disprezzo del mercante risale all’Odissea.
Odisseo si offende poiché il Feace Eurialo gli
ha detto che non sembra un atleta bensì un ajrco;"
nautavwn oi{ te prhkth're" e[asi
(Odissea, VIII, 162) capo di marinai
che sono mercanti ed è ejpivskopo"
kerdevwn aJrpalevwn, ispettore di guadagni rapaci (163-164).
Cfr.
la lex Claudia de senatoribus ( del
“Id
satis habitum ad fructus ex agris
vectandos, quaestus omnis patribus indecōrus visus” tale carico si ritenne impiegato
per il trasporto dei prodotti agricoli, ogni profitto ritenuto indecoroso per i
senatori (Livio, XXI, 63)
La legge aveva avuto l’appoggio del
senatore Caio Flaminio il quale allora ebbe la malevolenza del patriziato e il
favore della plebe che lo elesse console per la seconda volta. Venne eletto
senza che si fossero presi gli auspìci. Morirà nel 217 sconfitto da Annibale al
Trasimeno
Dante
nell’elogio di San Francesco scrive:
“Né
li gravò viltà di cor le ciglia
Per
esser fi’ di Pietro Bernardone,
né
per parer dispetto a maraviglia” (Paradiso,
XI, 88-90)
Il
padre di Francesco di Assisi era un mercante appunto.
Parini
nell'ode Alla Musa considera estraneo alla poesia "il mercadante che con ciglio
asciutto/fugge i figli e la moglie ovunque il chiama/dura avarizia nel remoto
flutto" (vv. 1-3).
Leopardi nel
canto Il pensiero dominante condanna la sua età "superba,/ che di
vote speranze si nutrica,/vaga di ciance, e di virtù nemica;/stolta, che l'util chiede,/e inutile la
vita/quindi più sempre divenir non vede"(vv. 59-64).
Ancora più
duramente si esprime nei confronti del lucro
il poeta di Recanati nella Palinodia
al Marchese Gino Capponi :" anzi coverte/fien di stragi l'Europa e
l'altra riva/dell'atlantico mar...sempre che spinga/contrarie in campo le
fraterne schiere/di pepe o di cannella o d'altro aroma/fatale cagione, o di
melate canne,/o cagion qual si sia ch'ad auro torni"(vv. 61-67).
La
dignità nella morte di Cleopatra e di Polissena
Il
cesto di fichi per Cleopatra e quello di fragole nel Riccardo III
Uscito Ottaviano, Cleopatra
commenta le promesse di lui con Iras e Carmiana: egli mi raggira, ragazze, mi
raggira con parole perché non agisca nobilmente verso me stessa “he words
latino verbum- me that I should not be noble to myself (V, 2, 191-192).
Il carattere nobile rimane tale
anche nel momento supremo della morte.
Cfr. la morte di Polissena nell’Ecuba di Euripide
La
principessa troiana dice a Odisseo che non deve temere di venire importunato da
suppliche. Ti seguirò per via della necessità, poi sono io che voglio morire qanei'n te crhv/zomai (347).
Se
non lo volessi, continua Polissena, kakh; fanou'mai kai; filovyuco" gunhv (348) apparirò
quale donna vile e attaccata alla vita. Vengo da una condizione principesca,
una ragazza h|/ path;r h\n a[nax-Frugw'n ajpavntwn (349-350) il cui
padre era il signoe di tutti i Frigi e dovevo sposare un re. Avevo molti
pretendenti. Ero i[sh
qeoi'si plh;n to; katqanei'n movnon (356), simile alle dèe a parte che sarei
dovuta morire, nu'n d j eijmi; douvlh, ora sono una schiava. Basta questo nome, cui non
sono avvezza, a farmi amare il morire. Ora posso essere comprata per denaro da
padroni crudeli, io, la sorella di Ettore e di molti altri eroi, addetta alla
necessità di fare il pane,- prosqei;" d j ajnavgkhn sitopoiovn ejn dovmoi", 362, di spazzare la casa- saivrein te dw'ma- e stare al
telaio 363.
Uno
schiavo comprato da qualche parte dou'lo" wjnhtov" povqen
insozzerà
il mio letto- levch de; tajma; cranei' , che una volta
era considerato degno di principi. No di certo-Ouj dh't j (367)
Mando
fuori dagli occhi una luce libera attribuendo il mio corpo all’Ade (367).
Polissena
quindi chiede alla madre di non impedirle quanto ha deciso: mhde;n ejmpodwvn gevnh/ (372), anzi di
condividere la sua volontà: morire è meglio che subire turpitudini immeritate
(374). Chi non è abituato ad assaggiare i mali li porta sul collo con
sofferenza e si sente più fortunato morendo.
Torniamo
a Shakespeare.
Carmiana
dice che il giorno luminoso è finito: we
are for the dark (V, 2, 194) siamo pronte per il buio.
Poi
rientra Dolabella e conferma che Ottaviano intende inviare la regina a Roma (V,
2, 200-202)
Lo
abbiamo già visto nella Vita di
Plutarco (84, 2)
Cleopatra
rivolta a Iras le dice che cosa si aspetta da quella deportazione: “thou, an Egyptian puppet-dimin. of L. pupa-,
shalt be shown-in Rome, as well as I (207-208) tu, quale una marionetta
egiziana sarai messa in mostra come me, e saremo alzate alla vista di tutti da
volgari schiavi and forced to drink their vapour- e costrette ad aspirare le loro
emanazioni .
Piuttosto che vedersi vilipesa da
littori e istrioni i quali rappresenteranno Antonio come ubriaco e che dover
assistere a qualche giovanotto mentre,
travestito da becera Cleopatra squeaking
Cleopatra , avvilisce la sua grandezza raffigurandola in the posture of a whore (V, 2, 214-219), nell’atteggiamento di
una puttana, la donna regale, la donna non comune decide di uccidersi.
Prima di morire però chiede a Charmian e alle altre
anncelle di adornarla dalla regina
che siccome vuole tornare sul Cidno a
incontrare Marco Antonio : “I am again
for Cydnus-to meet Mark Antony” (V, 2,
227-228)
Comunque ha deciso: “My resolution is placed, and I haved nothing
of woman in me: now from head to foot
I am a marble-constant; now the fleeting moon non planet of mine” (V, 2,
238-241), la mia risoluzione è presa e io non ho nulla di femminile in me,
adesso sono salda come il marmo dalla testa ai piedi, adesso la luna incostante non è il mio
pianeta.
Cfr. Lady Macbeth che vuole defemminilizzarsi quando invoca gli spiriti che
apportano pensieri di morte:"unsex me here", snaturatemi il
sesso ora, e riempitemi dalla testa ai piedi della crudeltà più orrenda (of
direst cruelty). Il sangue di cui gronda la tragedia, nel suo corpo
deve addensarsi e chiudere ogni via di
accesso al rimorso ( Macbeth, I, 5).
Cfr. pure
Lady Macbeth e Medea vogliono uccidere altre persone, Cleopatra solo la schiava che diventerebbe dopo la
vittoria di Ottaviano, e lo fa con
regalità: the stroke of death is as a
lover's pinch (V, 2, 294), il tocco della morte è come il pizzicotto di un
amante.
Plutarco racconta che Cleopatra
dopo avere incoronato di fiori e abbracciato la tomba di Antonio ejkevleusen auJth`/ loutro;n genevsqai (Vita di Antonio, 85, 1) ordinò che le si
preparasse un bagno. Dopo essersi lavata e accomodata a tavola, fece un pranzo
splendido.
Vuole riassestarsi per incontrare Antonio.
Intanto era arrivato un uomo dalla
campagna con un cesto- kai; ti" h|ken ajp j ajgrou` kivsthn tina; komivzwn (85, 2).
Le guardie gli domandarono che cosa
contenesse ed egli scoperchiatolo e tolte le foglie, mostrò il recipiente pieno
di fichi- suvkwn
ejpivplewn to;
ajggei`on edeixe (85, 3).
Nel dramma di Shakespeare una
guardia annuncia il contadino: “Here is a rural- L. rur-stem of rus- fellow-that will not be denied your higness’ presence-he
brings you figs.-latino ficus- (V, 2, 233-234), qui c’è un campagnolo che
non vuole gli si neghi la presenza di vostra altezza, egli vi porta dei fichi.
Il cestino con la frutta che sembra un dono, prefigura la morte.
Nel Riccardo III anticipa di poco una condanna capitale.
Nella Torre siede l’intero consiglio della corona che aspetta Riccardo il Lord Potettore il quale ha
già deciso di condannare a morte il ciambellano lord Hastings che ha cercato di
non cedere al complotto ordito per esautorare il legittimo successore al trono,
figlio del defunto Edoardo IV e nipote
di Riccardo.
Il quale aveva già risposto “Chop off his head”, tagliargli la testa ,
alla domanda di Buckingham :”Now, my lord, what shall we do if we
perceive Lord Hastings will not yeld to our complots?” allora, signore, che
cosa dobbiamo fare se ci rendiamo conto che Lord Hastings non cede ai nostri complotti?
(III, 1, 191-193)
Entra dunque Il duca di Gloucester
e Lord Potettore del nipote erede al trono. Sono tutti trepidi temendo ciascuno
per sé ma il più allarmato è Hastings
che si è opposto al colpo di Stato.
Riccardo non si scopre subito, anzi
assume un tono svagato prima di decretare la condanna del ciambellano: “My Lord of Ely, when I was last in Holborn-I
saw good strawberries in your garden there;-I do beseech, send for some of them”
III, 4, 31-33)
Poche battute dopo, nonostante
Hastings abbia cercato di fare ammenda, Riccardo grida infuiato: Off with his hear!” (III, 4, 76), gli si
tagli la testa!
Jan Kott commenta: “Shakespeare non
sapeva la geografia. Per lui
il corteggiamento di Cleopatra al serpente.
L'invidia degli dèi. Amore e
morte
Uscita la guardia, Cleopatra commenta: " what poor an instrument-may do a noble deed! he brings me liberty"
(V, 2, 235-236), che misero strumento può compiere un'azione nobile! Egli mi
porta la libertà.
Nobiltà e libertà sono associate alla morte quando questa ci sottrae
alla perdita dell'identità che è insopportabile se una persona ne ha una propria, non gregaria. Si pensi a Dante
che è morto terminata
Segue la negazione della femminilità già citata sopra , e
accostata a quelle di Medea e di lady Macbeth: “and I have nothing of woman in me” (Antonio e Cleopatra, V, 238-239).
E’ più facile rinunciare alla propria femminilità, un’identità collettiva, che
a quella della nobiltà, identità molto più rara
La guardia esce ed entra il contadino cui Cleopatra
domanda: “Hast thou the pretty worm-
latino vermis- of Nilus there-that kills
and pains not? (243) hai tu lì
il grazioso serpente del Nilo che uccide senza fare male?
Cleopatra invero riprende la sua
femminilità con il serpente quasi corteggiandolo come un amante. Poco più
avanti dirà la battuta già citata: the stroke of death is as a lover's pinch (V, 2, 294), il tocco della morte è come il
pizzicotto di un amante.
Poi arriva a mostrare
un sentimento da nutrice per l'aspide dicendo a Carmiana: "Peace, peace! dost thou not see my baby at
my breast-that sucks latino sugere,
sucus- the nurse asleep?" (V,
2, 317-320), silenzio, silenzio!, non vedi che ho Il mio bambino al petto vhe
succhia fino a fare addormentare la balia?
Invero Cleopatra è troppo femminile per poter negare la femminilità che
fa parte della sua identità profonda non meno della propria regalità
Il contadino conferma che il morso del serpente uccide. Però deve avere
notato che Cleopatra corteggia il serpente come il suo prossimo e ultimo amante
perché, congedato da Cleopatra, la saluta dicendo: "I wish you all joy of the worm" (260), vi auguro ogni gioia
con il serpente.
Chi ama la vita e ama l'amore non smette mai di corteggiare, non può
farne a meno.
Nel suo ultimo romanzo Svevo scrive. "Ne ho cinquantasette degli
anni e sono sicuro che (…) la mia ultima occhiata dal mio letto di morte sarà
l'espressione del mio desiderio per la mia infermiera, se questa non sarà mia
moglie e se mia moglie avrà permesso che sia bella!" (La coscienza di Zeno, Preambolo)
Plutarco scrive che quando il contadino
ebbe scoperto i fichi, le guardie ne ammirarono to; kavllo" kai;
to; mevgeqo" (85, 3) la
grandezza e la grossezza e furono invitati a prenderne, sicché cadde ogni
diffidenza verso di lui. La bellezza, anche quella dei fichi, apre molte porte.
Dopo il pranzo, Cleopatra sigillò una tavoletta scritta da lei e la
mandò a Ottaviano. Gli chiedeva di farla seppellire con Antonio su;n jAntwnivw/
qavyai- (85, 5).
La tendenza a corteggiare sempre non esclude la fedeltà alla persona
del tutto congeniale.
Torniamo a Shakespeare.
Rientra Iras con un manto e una corona . Cleopatra se ne fa adornare perchè
sente Antonio che la chiama: "I hear
him mock-the luck of Caesar (284-285), lo sento schernire la fortuna di
Cesare, la fortuna "which the gods
give men-to excuse their after wrath" (285-286) che gli dèi concedono agli uomini per
giustificare la loro ira futura. Sento un'eco proveniente da Erodoto che
avverte sull'invidia degli dèi nei confronti degli uomini dai successi
eccessivi.
Quello (Solone) allora disse:"O Creso, tu fai domande
sulle vicende umane a me che so che il divino è tutto invidioso e perturbatore.
to; qei`on
pa`n ejo;n fqonero;n kai; taracw`de"- (Erodoto, Storie, I, 32, 1).
Volendo nobilitare "l'invidia
degli dèi" avvalendoci di parti dell'opera, vediamo che essa scatta nei confronti degli uomini di potere
che, superando la giusta misura umana, si inorgogliscono e peccano di u{bri", o fanno
errori politici, o sbagli militari: come Creso appunto, come Policrate tiranno
di Samo, come Serse cui lo zio Artabano dice che il fulmine si abbatte sugli
edifici e gli alberi più alti, poiché il dio
tende a troncare tutto ciò che è pominente "filevei ga;r oJ
qeo;" ta; uJperevconta pavnta kolouvein", VII, 10).
Quindi Cleopatra saluta e bacia le ancelle amiche Carmiana e Iras che cade morta.
Quindi la battuta splendida con l'associazione tra il tocco della morte
e il pizzicotto di un amante which hurts
and is desired (Antonio e Cleopatra,
V, 2, 295) che fa male ed è desiderato.
E' l'associazione amore e morte diffusa in letteratura antica e moderna
Sentiamo
H. Hesse:"Amore e voluttà
gli parevano l'unica cosa che potesse davvero scaldare la vita, e darle un
valore (…) L'amore delle donne, il gioco dei sessi stava per lui in cima a
tutto e il fondo della sua frequente tendenza alla malinconia e al disgusto
aveva origine nell'esperienza di quanto sia instabile e fugace la voluttà (…)
Morte e voluttà erano una cosa sola"
La morte di Cleopatra. Un poco di metodologia storiografica
Siamo arrivati alla morte di
Cleopatra. Partiamo da Shakespeare. La regina si rammarica del fatto che Iras
sia morta pima di lei. Teme di apparire vile al riccioluto Antonio ( the curled Antony, V. 2, 300): quando Iras lo avrà raggiunto, lui domanderà
di Cleopatra e darà a lei quel bacio che era pronto per l’amante arrivata in
cielo. Ma la regina si è fatta precedere dalla parrucchiera ed è in ritardo. Quindi invita l’aspide a venire da lei e se lo
applica al petto. Gli chiede: “with thy
sharp teeth this knot intrinsicate –of life at once untie” (303-304) con i
tuoi denti aguzzi sciogli in un colpo solo questo intricato nodo della vita.
Cfr. il nodo di Gordio. Alessandro
disse: “Nihil interest quomŏdo
solvantur”
(Curzio Rufo, III, 1, 18) e tagliò con un colpo tutte le cinghie.
La funzione di sciogliere gli
intrighi rivelando le verità nascoste viene attribuita da Cordelia, la figlia
buona di Re Lear, al tempo:" Time shall unfold what plaited cunning
hides", il tempo spiegherà ciò che l' attorcigliata astuzia nasconde
(I, 1).
Il tempo ha la funzione benefica di salvare
l’umanità quando questa giunge sull’orlo del baratro
Ancora
nel Re Lear il duca di Albania
aspetta una salvezza dal tempo auspicandone la fretta: “Se il cielo non manda
subito i suoi spiriti a frenare queste colpe orrende, sarà per forza necessario
che l’umanità vada a caccia di se stessa, come i mostri del mare like monsters of the deep (IV, 2).
Il
serpente è arrivato nel momento opportuno per salvare la dignità di Cleopatra.
La
regina gli fa fretta: “poor venenous
fool, be angry and dispatch”, (304-305), povero sciocco velenoso, irritati
e fai presto. Se l’aspide potesse parlare, Cleopatra lo udirebbe chiamare the great Cesare- ass unpolicied
(306-307) un asino grossolano.
Quindi
la battuta già citata sul serpente assimilato a un bambino che succhia fino a
fare addormentare la nutrice.
Infine
la regina prende un altro aspide e se lo applica al braccio. Inizia la frase: “what should I stay (311) perché dovrei restare… ma non la finisce
perché muore
La completa
Carmiana: “in this vile world?
In questo mondo spregevole?
Quindi
l’amica la saluta e ne fa l’elgio funebre con queste parole: “now boast thee, death, in thy possession
lies –a lass unparalle’ d” (514-515), ora vantati morte, in tuo potere
giace una ragazza senza pari.
unparalle’ d : sembra che
Shakespeare voglia giustificare Plutarco di non avere dedicato a Cleopatra una
vita parallela-
Plutarco
racconta che l’aspide fu portato con i fichi nascosto sotto le foglie secondo
l’ordine di Cleopatra che non voleva vederlo, ma tolti i fichi lo vide e disse
“eri qui dunque” (86, 3). E denudato il braccio lo offrì al morso. Altri dicono
che il serpente era custodito in un orcio e che Cleopatra lo povocò e lo irritò
con un fuso d’oro finché questo saltò fuori e le morse il baccio. Ma nessuno
conosce la verità- to;
d’ ajlhqe;" oujdei;" oi\den (86, 4)
C’è
una terza versione secondo la quale Cleiopatra teneva del veleno in uno
spillone cavo nascosto tra i capelli.
Come
si vede Plutarco non usa il dialogo e non sceglie fra tre versioni della morte
di Cleopatra. Questo di riferire tutte le fonti disponibili, pure quelle poco
verosimili è un metodo seguito anche da altri storiografi.
Ne
faccio quattro esempi.
A
proposito della diceria secondo la quale le ragazze indigene con penne di
uccello spalmate di pece traevano pagliuzze d’oro da un lago situato in un’isola
posta davanti alla costa africana Erodoto scrive : “tau'ta eij mh; e[sti ajlhqevw~ oujk oi\da, ta; de;
levgetai gravfw”
(I, 195, 2), queste cose non so se sono vere, ma quello che si dice lo scrivo.
E
per quanto riguarda un’intesa tra i
Persiani e gli Argivi: “ejgw;
de; ojfeivlw levgein tav legovmena, peivqesqaiv ge me;n ouj pantavpasin
ojfeivlw”
(VII, 152, 3), io sono tenuto a dire le parole dette, a credere a tutte invece
non sono tenuto.
In
modo simile Curzio Rufo:“Equidem plura transcribo quam credo: nam nec
adfirmare sustineo, de quibus dubito, nec subducere, quae accepi” (9, 1,
34), per conto mio riporto più notizie di quelle cui presto fede: infatti non
me la sento di confermare notizie delle quali non sono sicuro, né di sottrarre
quelle che ho ricevuto.
Quindi,
a proposito del cadavere di Alessandro
che giaceva nel sarcofago da sei giorni, trascurato, e, nonostante il caldo
estivo, il corpo non era degenerato, Curzio scrive: “ Traditum magis quam creditum refero” (10, 10, 12).
Arriano
a proposito della morte di Alessandro Magno riporta una notizia alla quale non
crede, della quale anzi afferma che dovrebbero vergognarsi quanti l’hanno
scritta.
Si
racconta dunque che il condottiero macedone,
sentendosi morire, voleva gettarsi nell’Eufrate per sparire accreditando
la fama di una sua assunzione in cielo in quanto nato da un dio. Glielo impedì
Rossane ed egli le disse che lo privava della gloria di essere nato dio. Ebbene
lo storiografo di Nicomedia precisa che ha riportato queste notizie wJ" mh; ajgnoei'n dovxaimi perché non sembri
che io le ignori, più che per il fatto che esse sembrino pista; ej" ajfhvghsin, (7, 27, 3)
credibili a raccontarle.
Concludo
citando Tacito
Ut conquirere fabulosa et fictis oblectare
legentium animos procul
gravitate coepti operis crediderim, ita vulgatis
traditisque
demere fidem non ausim. die, quo Bedriaci
certabatur, avem
invisitata specie apud Regium Lepidum celebri luco
conse-
disse incolae memorant, nec deinde coetu hominum
aut cir-
cumvolitantium alitum territam pulsamve, donec Otho
se ipse
interficeret; tum ablatam ex oculis: et tempora
reputantibus
initium finemque miraculi cum Othonis exitu
competisse. (Historiae,
II, 50)
Come
reputerei lontano dalla serietà dell’opera iniziata andare in cerca di miti e dilettare le anime
dei lettori con delle invenzioni, così non oserei togliere credito a tradizioni
diffuse. Nel giorno in cui si combatteva a Bedriaco, gli abitanti ricordano che
un uccello di aspetto mai visto si posò in un frequentato bosco sacro presso
Reggio Emilia, e che non venne spaventato né scacciato di lì dalla grande
quantità delle persone né degli uccelli che svolazzavano intorno, finché Otone
non si fu ucciso; allora scomparve alla vista; e per chi tiene conto dei tempi,
il principio e la fine del prodigio coincide con la fine di Otone.
Sono
fatti dell’aprile del ’69.
Corso
di giugno XXXI. La nobiltà nella morte di Cleopatra e delle sue ancelle
Carmiana e Iras.
Morta Cleopatra, entrano correndo delle guardie
Carmiana chiede loro di parlare
piano, di non svegliare la regina. La prima guardia inizia a dire. “Caesar hath sent”…, Cesare ha mandato…
E Carmiana conclude: “too slow a
messengger” (V, 2, 320), un messaggero troppo lento. Quindi pure lei
si applica una aspide (in greco e in latino il genere è femminile lo conservo
in italiano come fa Foscolo con “arbore amica”, Sepolcri, 39 )
La prima guardia chiede alla
seconda di avvicinarsi. “all’s not well:
Caesar’s beguiled” (321), non va tutto bene: Cesare è stato ingannato.
Per il servo contano solo gli interessi
del potere.
La morte di una persona in sé non
conta niente.
La pima guardia dunque si rivolge a Carmiana morente e le
rivolge la domanda "Charmian, is this well done?", e l'amica di Cleopatra ribatte : "It is well done, and fitting for a
princess-Descended of so many royal kings. Ah, soldier! (V, 2, 324-327)",
è ben fatto e si confà a una sovrana discesa da tanti nobili re. Ah soldato!
"Shakespeare è inoltre maestro del linguaggio drammatico,
intendendo come tale il linguaggio che suggerisce, anzi impone attraverso la
parola scritta, il gesto o il tono che non possono non accompagnarla se detta:
oppure l'espressione disadorna, priva di valori poetici-e quindi lirici-in sé e
per sé, ma che si carica di significazione poetica in forza della situazione in
cui si trova inserita (…) valga, ora,
l'ultima parola , "Ah soldier!, che Charmin morente getta sprezzantemente
in faccia alla guardia , quando, di fronte al cadavere di Cleopatra, che
uccidendosi, si è sottratta all'umiliazione di adornare il trionfo del
vincitore a Roma, il romano le rivolge l'ottusa domanda is this well
done?": "It is well done, and fitting for a princess-Descended of so
many royal kings. Ah, soldier!, risponde
Charmian con il suo ultimo fiato, e la parola non ha certo alcun valore poetico-lirico-
in sé e per sé- ma inserita in quella situazione, acquista un significato d'inaudita
violenza: "Che cosa puoi capire , tu-"soldato!" degli alti sensi della mia regale
signora?"; e dei suoi stessi , in realtà, in quanto nel medesimo istante,
poiché della sua "regale signora" ha seguito l'esempio, muore.
E ancora, in The Merchant of
Venice, l'elementare "I am not well" (IV, 1, 96) non mi sento
bene di Shylock sconfitto, quando chiede al tribunale il permesso di allontanarsi.
E infine l'ineffabile "Do
you love me?" (III, 1, 67) Mi vuoi bene? di Miranda a Ferdinand in The Tempest, dove la più vieta delle
frasi d'amore sembra pronunciata per la prima volta nella storia
dell'umanità" (Carlo Izzo, Storia
della letteratura inglese, I volume, pp. 407-408). Ho fatto questa lunga
citazione per gratitudine verso il miglior maestro trovato all'Università
quando ero studente. Eppure ho continuato con il greco e latino perché, seppure
insegnati non bene, mi piacevano di più e costituivano il mio destino.
Vediamo adesso la medesima situazione descritta da Plutarco che ha insegnato
a Shakespeare le battute che Shakespeare ha insegnato a Carlo Izzo, Calro Izzo
a me, e io a voi che mi leggete. Così non muoiono le civiltà.
Veniamo dunque alla Vita di
Antonio. Plutarco descrive lo stato delle due donne ancelle e amiche di
Cleopatra: Iras stava morendo ai piedi della regina già morta, mentre Carmione h[dh sfallomevnh kai;
karhbarou`sa , già barcollante e
con la testa appesantita, accomodava il diadema sulla testa di lei-katekovsmei to; diadhma
to; peri; th;n kefalh;n aujth`"- (85, 7) . Questo gesto mostra la nobiltà dell'ancella di gran lunga
superiore a quella di Ottaviano.
Concludo le vicende di Cleopatra con le parole di Carmiana nella biografia
di Plutarco
Quando uno le dice con ira. eijpovnto" dev tino" ojrgh`/-
"kala;
tau'ta Cavrmion ;" è bello
questo?
, Carmiana risponde
"kavllista
me;n ou\n kai; prevponta th'/ tosouvtwn ajpogovnw/ basilevwn" ( 85, 8), è bellissimo e si confà a
una donna che discende da re tanto grandi. Non disse altro ma cadde lì presso
il letto- ajll j aujtou` para;
th;n klivnhn e[pese. . Credo sia
doveroso questo omaggio a Carmiana, un'ancella che aveva imparato lo stile
della regalità dalla sua regina
Nell'Elena
si trova l'espressione "per gli schiavi nobili" ( gennaivoisi douvloi~, v. 1641) che lascia
un’eco in Terenzio: propterea quod
servibas liberaliter (Andria, v.
38), poiché facevi lo schiavo con animo libero.
Viceversa
molti sedicenti o presunti personaggi nobili o importanti, o vincenti, ricchi e
famosi sono dei servi. Nelle tragedie e nella realtà.
Appendice
John Middleton Murry (in Shakespeare, trad. it.
Einaudi,
1953) rileva la regalità di Cleopatra e quella di Antonio nell' Antonio e
Cleopatra di Shakespeare. Cleopatra ricorda regalmente la regalità di
Antonio vivo, come lo vede morto: "Cleopatra stessa rimane soffusa di uno
splendore di tramonto e la sua dignità nella morte viene rivestita della maestà
dei cieli. La disposizione delle parole è magica: dà valore e rilievo a quella
definizione della poesia data dal Coleridge: "le parole migliori nel
miglior ordine" prose: words in their best order; poetry:
the best words in the best order"Quest'ordine
è tale che ogni rilievo confluisce in quella parola "regale" (p. 351)
La
dignità e nobiltà nella morte
Antigone
e Aiace di Sofocle e pure Polissena nell'Ecuba di Euripide Soltanto nella bellezza si può tollerare il
dolore di vivere, afferma Polissena quando antepone una morte dignitosa a
una vita senza onore: to;
ga;r zh'n mh; kalw'~ mevga~ povno~, (Euripide, Ecuba , v. 378),
vivere senza bellezza è un grande tormento.
Il
culto della bellezza nella vita e nella morte non manca in Sofocle: Antigone
dice a Ismene: ma lascia che io e la pazzia che spira da me/soffriamo questa
prova tremenda: io non soffrirò/nulla di così grave da non morire
nobilmente"peivsomai
ga;r ouj - tosou`ton oujden w{ste mh; ouj kalw`~ qanei`n ( Antigone,
vv. 95-97).
Aiace
risponde al corifeo ajll j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai-- to;n eujgenh'
crhv" ma il nobile deve o vivere con
stile, o con stile morire (Sofocle, Aiace vv.479-480).
La
dignità nell’insuccesso
Neottolemo,
il figlio schietto dello schietto Achille, dice al subdolo Odisseo del Filottete
:"
bouvlomai d j, d' , a[nax, kalw'" - drw'n
ejxamartei'n ma'llon h] nika'n kakw'" " (vv. 94-95), preferisco,
sire, fallire agendo con nobiltà che avere successo nella volgarità.
L’essenza della regalità è qualche
cosa che rende l’uomo più uomo, cioè più buono. Nel Mercante di Venezia, Porzia dice che la clemenza adorna il monarca
sul trono meglio della sua corona poiché lo scettro è l’emblema del potere
terreno e in esso risiedono il timore e la paura che ispirano i re, but mercy is above the sceptred sway, ma
la misericordia è al di sopra del potere scettrato. Essa ha il suo trono nel
cuore dei re ed è un attributo del Dio stesso, it is an attribute to God himself (IV, 1, 188-197).
In questa essenza della regalità vi
è l’idea della comunione fra gli uomini.
Antonio e Cleopatra immortalano la
loro regalità perseverando nella loro diversità dai politici usuali.
Viene in mente il Vangelo di Matteo: “et eritis odio omnibus propter nomen meum;
qui autem perseveraverit usque in finem, hic salvus erit”, oJ de; ujpomeivna"
eij" tevlo" ou|to" swqhvsetai (N. T. 10, 22).
[1] Tullio De Mauro, Storia
linguistica dell’Italia repubblicana dal 1946 ai nostri giorni, Laterza,
2014, p. 39
[2] 436-
[3] Del 390.
[4] De officiis, I, 142.
[5] C. Marlowe, L'ebreo di Malta, V, 2.
[6] Di là dal bene
e dal male, Che cosa è aristocratico?, 274.
[7]C. Pavese, Il
mestiere di vivere , 26 aprile, 1936.
[8] Cfr. soprattutto Eliano, La natura degli animali,
I, 52; D. W. Thompson, A Glossary of Greek Birds, Oxford, London
1936, pp. 314 sgg.
[9] Arriano, L'anabasi di Alessandro, I, 25, 6,
sgg.
[10] Si narrava che lo stesso incidente fosse capitato a
Gorgia. Il quale se la cavò, però, senza allarmarsi e con molto spirito,
esclamando "non son cose da farsi, queste, Filomela!" (Plutarco, Questioni
conviviali, 8, 7, 2).
Il particolare degli escrementi non è raccontato da
Arriano (n.d. r)
[11] M. Bettini, Le
orecchie di Hermes, p. 126 sgg..
[12] Il tiranno è invidioso. Infatti L'Invidia
personificata da Ovidio "exurit herbas et summa papavera
carpit" (Metamorfosi, II, 792), dissecca le erbe e stacca le cime dei
papaveri.
[13] Walter W. Skeat,
Etymological Dictionary of the English Language, Oxford at Clarendon Impression
of .1984, fist impression 1882.,
[14] Cfr. Medea
di Seneca, vv. 360-361 (n.d.r.)
[15]G. Biondi, Il mito argonautico nella Medea. Lo
stile 'filosofico' del drammatico Seneca, "Dioniso" 1981, p.
428-429 e
[16] “Sempre la
confusion delle persone/principio fu del mal della cittade” ( Paradiso ,
XVI, 67-68).
[17]Mazzarino, op. cit., p.
[18] M. Cacciari, L'arcipelago, p. 53.
[19]Iliade,
XXII, 105, e VI,
[20] I greci e l'irrazionale , p. 30.
[21] I greci e l'irrazionale , p. 31.
[22] VIII-VII sec. a. C.
[23] Questa descrizione di Virgilio ricorda quella che Omero
fa di [Eri" a[moton memaui'a,
[24]R. Musil, L'uomo senza qualità , p. 846.
[25] J. Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del
cuore , p. 102.
[26] Machiavelli, Il
principe, XVIII, 5.
[27] Jan Kott, Shakespeare
nostro contemporaneo, p. 42.
[28] The anatomy of
human destructiveness, p. 67.
[29] Manoscritti
economico-filosofici del 1844, p.
154.
[30]Platone
Repubblica 595c: " e[oike me;n ga;r tw'n kalw'n
aJpavntwn touvtwn tw'n tragikw'n prw'to" didavskalov" te kai;
hJgemw;n genevsqai", sembra infatti
essere il primo maestro e la guida di tutti questi bravi poeti tragici.
[31]Jaeger, Paideia 1, pp. 70-71.
[32] Curzio Rufo, Historiae
Alexandri Magni, 3, 3, 17.
[33] Del 1612.
[34] L. Pirandello, Il
fu Mattia Pascal, pp. 234-325.
[35]L. Tolstoj, Anna
Karenina (del 1877) , p. 711.
[36]D. Lanza, op. cit, , p. 50.
[37]D. Lanza, Il tiranno e il suo pubblico , p. 43.
[38] G. B. Conte, op. cit., p. 358.
[39] Uk sabato del villaggio, 4.
[40] T. S. Eliot, Shakespeare e lo stoicismo di Seneca,
in T. S. Eliot. Opere, p. 798.
[41] Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S.
Eliot, Opere, p. 799.
[42] "I am Antony yet ", Antonio e
Cleopatra (del 1606-1607) , III, 13.
[43]Da La duchessa di Amalfi (del 1614) , di J.
Webster (1580-1625).
[44]Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S. Eliot Opere , p. 800..
[45] Stendhal, Il
rosso e il nero (del 1830) in
Stendhal Romanzi e racconti, vol. I, ,
trad. it. Sansoni, Firenze, 1956, p.
594
[46]Lo stile "drammatico" del filosofo Seneca , p. 13.
[47] Composto tra il 49 e il 52 : “Ille illius cultor
est, hic illius: suus nemo est”, 2, 4,
quello è dedito al culto di quello, questo di quello, nessuno appartiene
a se stesso.
[48] F. Nietzsche, Ecce
homo, il caso Wagner, 4
[49]Nietzsche, Umano troppo umano , vol. II, parte
seconda, Il viandante e la sua ombra, 61...
[50] Fr. 91 Diano.
[51]Tolstoj, Guerra
e pace , p. 1697.
[52] Guerra e pace
, p. 1701.
[53] L. Canfora, Noi
e gli antichi, p. 43.
[54] Significava che il collo veniva inserito in una forca
e il corpo veniva battuto a morte con le verghe
[55] Dove Cornelio Gallo cerca di sfuggire alla
sofferenza amorosa, che Licoride gli infligge , col proposito di
percorrere le montagne dell'Arcadia a caccia di aspri cinghiali mescolato alle
Ninfe :"Interea mixtis lustrabo
Maenala Nymphis,/aut acris venabor apros "(vv. 55-56).
[56] Plauto visse tra il 255 ca e il
[57] Jan Kott, Shakespeare
nostro contemporaneo, p. 42.
[58] Tito Livio, Storie, XXI, 4.
[59] P. P.
Pasolini, Lettere luterane, I giovani
infelici, pp. 5-12.
[60] Shakespeare
nostro contemporaneo, passim
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