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lunedì 28 giugno 2021

La presenza degli autori classici nelle tragedie di Shakespeare. CORSO COMPLETO

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28 giugno 2021

Tra la fine di giugno e la metà luglio terrò un nuovo corso nell’Università Primo Levi di Bologna:

La presenza degli autori classici nelle tragedie di Shakespeare

 

 

Persone che sono nodi di dolore

Le madri dolorose

 

La duchessa di York, madre di Riccardo, del re Edoardo IV e di Clarence, quando viene a sapere della morte di Edoardo e di Clarence, replica al lamento dei figli di Clarence e della vedova del re dicendo:

Alas, I am the mother of these griefes:

Their woes are parcell’d, mine is general” (Riccardo III, II, 2, 80 - 81), ahimé, io sono la madre di questi lutti: i loro dolori sono suddivisi, il mio li comprende tutti. 

Simile nodo di dolore è Ecuba che nelle Troiane di Seneca risponde con queste patole al nuntius, il quale è incerto se debba dare le orrende notizie delle uccisioni di Polissena e Astianatte prima alla vecchia regina o alla vedova di Ettore: 

quoscumque luctus fleveris, flebis meos:

sua quemque tantum, me omnium clades premit;

mihi cuncta pereunt: quisquis est Hecubae est miser " (vv. 1061 - 1062), qualunque lutto piangerai, piangerai il mio: la propria rovina schiaccia ciascuno soltanto, me quella di tutti; tutti gli affetti miei sono morti; chiunque è un pegno di Ecuba è infelice! 

 

Edipo re di Sofocle. Gli eroi della passività.

"Parla a tutti - ej" pavnta" au[da. Di questi infatti io porto il dolore

più che per la mia vita" (vv. 93 - 94) .

Edipo nella prima parte del dramma presenta aspetti paternalistici: non devono esserci segreti nè muri tra la piazza e il palazzo. Tale facies però poi lo porta a combattere contro sacerdoti e oracoli, cioè su posizioni che Sofocle condanna.

 Edipo è un crocicchio di pene, un nodo di dolore che gli darà una straordinaria facoltà di comprendere. Egli ribadisce continuamente tale sua eccezionale capacità di soffrire e di capire attraverso la sofferenza. Questa, una volta compresa, lo porterà alla dimensione eroica e benefica di Colono.

Nietzsche considera Edipo eroe della passività

“la figura più dolorosa della scena greca, lo sventurato Edipo, è sta concepita da Sofocle come l’uomo nobile che è destinato all’errore e alla miseria nonostante la sua saggezza, ma che alla fine, in virtù del suo immenso soffrire esercita intorno a sé un’azione magica e benefica che è ancora efficace durante la sua dipartita”.

 Nell’Edipo a Colono si vede “come l’eroe possa raggiungere, con il suo comportamento puramente passivo la sua più alta attività , che si estende molto oltre la sua vita, mentre tutti i suoi sforzi consapevoli nella vita precedente l’avevano condotto solo alla passività” (La nascita della tragedia capitolo IX).

 

La propria passività viene proclamata da Edipo ai vecchi di Colono:" ejpei; tav e[rga mou - peponqovt j i[sqi ejsti; ma'llon h] dedrakovta" (Edipo a Colono, vv. 266 - 267), poiché le mie azioni sono state subite piuttosto che fatte.

Lo stesso afferma "the lunatic King "[1] di Shakespeare: "I am a man/more sinned against than sinning" (King Lear, III, 2), sono uno contro cui si è peccato più di quanto io abbia peccato.

 

Edipo dunque trova la sua dimensione positiva nella passività di Colono, dopo avere fatto soffrire e avere sofferto assai nella fase dell'attività sconsiderata

 Similmente Giovanni Drogo in Il deserto dei Tartari di Buzzati scopre"l'ultima sua porzione di stelle"(p.250) e sorride nella stanza di una locanda ignota, completamente solo, mangiato dal male, accettando la più eroica delle morti, dopo avere sperato invano, per decenni, di battersi"sulla sommità delle mura, fra rombi e grida esaltanti, sotto un azzurro cielo di primavera". Invece il suo destino si compie al lume di una candela, dove"non si combatte per tornare coronati di fiori, in un mattino di sole, fra i sorrisi di giovani donne. Non c'è nessuno che guardi, nessuno che gli dirà bravo".

Del resto gli eroi della passività nella letteratura moderna sono tanti, da Oblomov di Gončarov, a Zeno di Svevo per dire solo i più noti.

 

 

[1] Il re matto (Re Lear, III, 7)

 

 

La difesa dell’identità

 

gevnoio oi|o~ ejssiv (Pindaro, Pitica II v. 72), diventa quello che sei.
 
Come la Medea di Euripide anche quella di Seneca afferma la propria identità contro tutti.
 
Nella tragedia latina la nipote del Sole si attribuisce una dimensione grandiosa, addirittura cosmica.
 La nutrice le fa notare: "Abiere Colchi, coniugis nulla est fides;/nihlque superest opibus e tantis tibi" (Medea, vv. 164 - 165), quelli della Colchide sono lontani, la lealtà del marito non esiste, di tanta potenza non ti rimane niente.
A queste parole la donna abbandonata ribatte: "Medea superest; hic mare et terras vides,/ferrumque et ignes et deos et fulmina " (vv. 166 - 167), Medea rimane: qui vedi il mare e le terre, e il ferro e i fuochi e gli Dei e i fulmini.
 
Altrettanto il Giulio Cesare di Shakespeare che non teme Cassio anche se Cassio è da temere: I rather tell thee what is feared - than I fear; for always I am Caesar (Giulio Cesare, I, 2, 210 - 211), io dico quello che è temuto piuttosto che quello che dico io , dato che sono sempre Cesare
 
Anche Antonio cerca di conservare la propria identità: “Questo individualismo, questo vizio d'orgoglio, fu, necessariamente, sfruttato molto a causa delle sue possibilità drammatiche...Antonio dice "Sono ancora Antonio " e la Duchessa "Sono ancora Duchessa di Amalfi "
[1]; avrebbe sia l'uno che l'altro detto questo se Medea non avesse detto Medea superest[2] ?"[3].
 
I am Antony yet " (Shakespeare, Antonio e Cleopatra III, 13, 92.)
 Lo dice a Tyreus mandato da Ottaviano per chiedere a Cleopatra di abbandonare Antonio alla sua sorte disgraziata.
 
La difesa dell'identità a tutti i costi assimila Medea agli eroi omerici, che non cedono, e a quelli sofoclei: preferiscono tutti morire piuttosto che piegarsi alla pressione della norma.
L'autopossesso è l'unico punto fermo nei periodi e nei momenti critici:"Vaco, Lucili, vaco, et ubicumque sum, ibi meus sum" (Seneca, Ep. 62, 1), sono libero, Lucilio, sono libero, e dovunque mi trovi sono padrone di me stesso.
 
Un’altra Epistola si chiude con queste parole: "Qui se habet nihil perdidit: sed quoto cuique habere se contigit? Vale" ( 42, 10), chi possiede se stesso non ha perduto nulla ma a quanto pochi tocca questo possesso! Stammi bene.
 
Nella Praefatio al III libro delle Naturales quaestiones Seneca afferma che la vittoria più grande di tutte e quella sui vizi, quindi aggiunge:"innumerabiles sunt qui populos, qui urbes habuerunt in potestate, paucissimi qui se" (10), sono innumerevoli quelli che tennero in loro potere popoli e città, pochissimi quelli che se stessi.
 
La libertà assoluta è questa:"non homines timere, non deos; nec turpia velle nec nimia; in se ipsum habere maximam potestatem: inestimabile bonum est suum fieri" (Ep. 75, 18), non temere gli uomini né gli dèi; non volere cose turpi né eccessive; avere il pieno dominio su di sé: è un bene inestimabile appartenere a se stessi.
 
Si può applicare a tali personaggi questa affermazione della Zambrano:"Vivere nell'identità significa essere al riparo dall'inferno del vedersi nell'altro e di essere l'altro che imita l'uno (…) Dalla mancata identità della vita umana sorge la visione frammentaria, incompleta, distorta"
[4].
 
Non trovare la propria identità significa assumerne una gregaria basata su un sentimento di appartenenza alla massa. Medea è di altra stoffa, e, ben lontana dal vergognarsi, è fiera della sua diversità. Per lei è inconcepibile che ci sia gente pronta "a rinunciare alla libertà, a far sacrificio del proprio pensiero, per essere uno del gregge, per conformarsi e ottenere così un sentimento di identità, benché illusorio"
[5].
 
 E' con la difesa dell'identità, anche se criminale, che Medea evita l'orrore di essere canzonata e di sentirsi al di sotto di se stessa. Così fa Achille che sceglie la vita breve e gloriosa dicendo: "
ouj lhvxw "( Iliade , XIX, 423), non cederò, in risposta alla predizione di morte del cavallo fatato Xanto.
 Così fanno anche Antigone e l'Elettra di Sofocle: "
ejgw; me;n ou\n oujk a[n pot' touvtoi" uJpekavqoimi[6]" ( Elettra, v. 359 e v. 361), io certo non potrei piegarmi a questi. La sorella Crisotemi viceversa vorrebbe indurla a cedere ai forti (toi'" kratou'si d'' eijkaqei'n, v. 396).
 
Compiendo il delitto più atroce questa donna pensa di diventare quello che è: "Medea", la chiama la nutrice; ed ella risponde "fiam" (Seneca, Medea, v. 171), lo diventerò.
"E' forse questo che si cerca attraverso la vita, null'altro che quello, la più grande sofferenza possibile per diventare se stessi prima di morire"
[7].
 
Questo vuole l'imperatore Adriano della Yourcenar: "Volevo il potere. Lo volevo per imporre i miei piani, per tentare i miei rimedi, per instaurare la pace. Lo volevo soprattutto per essere interamente me stesso, prima di morire … Ho compreso che ben pochi realizzano se stessi prima di morire: e ho giudicato con maggior pietà le loro opere interrotte. Quell'ossessione di una vita mancata concentrava i miei pensieri su di un punto, li fissava come un ascesso. La mia sete di potere agiva come quella dell'amore, che impedisce all'innamorato di mangiare, di dormire, di pensare, di amare perfino, sino a che non siano stati compiuti certi riti"
[8].
 
Il motivo del Medea superest (v. 166) rinnovato da questo fiam (171) è quasi un Leitmotiv nella Médée di Anouilh (del 1953): "Je me retrouve … C'est moi, c'est Médée … je suis redevenue Médée … je suis Médée
[9] "(ben 5 volte…); e ancora, alle articolate perplessità della nutrice, Medea risponde sempre epigraficamente."Mais qu' est - ce que tu veux dans cette i^le ennemie? Colchos me^me tu est chassée. Et Jason nous laisse aussi maintenant. Que te reste - t'il donc? Moi [10] Si vedano anche:"c'est maintenant Médée qu'il faut e^tre toime^me"; e" est … je suis Médée, enfin, pour toujours[11]"[12].
 
 Medea è pure una donna insanguinata, e anche lei potrebbe dire le parole di Macbeth: "io sono andato tanto oltre nel sangue che, se non volessi andare avanti nel guado, tornare indietro per me sarebbe rischioso quanto procedere" (III, 5).
 
Forse l’aspetto più tragico della condizione umana è che l’uomo può cercare di soppiantare se stesso, cioè di falsificare la sua vita”
[13].
 
Quando è che l’uomo smette di essere una cosa gradevole? Quando non assomiglia a se stesso. Sconcio, sconveniente in greco si dice 
ajeikhv~, ossia non eijkov~, oggetto neutro non somigliante, non somigliante a se stesso.
"Quando è privo di ogni charis , l'essere umano non assomiglia più a nulla: è aeikelios . Quando ne risplende, è simile agli dei, theoisi eoikei . La somiglianza con se stessi, che costituisce l'identità di ciascuno e si manifesta nell'apparenza che ognuno ha agli occhi di tutti, non è dunque presso i mortali una costante, fissata una volta per tutte….Oltraggiare - cioè imbruttire e disonorare a un tempo - si dice aeikizein , rendere aeikes aeikelios , non simile"
[14].
 
Torna ancora a proposito un'affermazione di Iacopo Ortis nutrito da Plutarco, il biografo degli eroi: "io mi reputo meno brutto degli altri e sdegno perciò di contraffarmi; anzi buono o reo ch'io mi sia, ho la generosità, o dì pure la sfrontatezza, di presentarmi nudo, e quasi quasi come sono uscito dalle mani della Natura
[15]".
 
In conclusione La Medea di Euripide alla fine trionfa poiché accetta del tutto quella sua diversità della quale in un primo tempo aveva solo preso coscienza: "
h\ polla; polloi'" eijmi diavforo" brotw'n" (v. 579), davvero in molte cose io sono diversa da molti. Sembra che la donna barbara abbia infine attuato il precetto che costituisce "La somma di tutto il pensiero educativo di Pindaro"[16]: "gevnoio oi|o" ejssiv" (Pitica II v. 72), diventa quello che sei.

 

[1] Da La duchessa di Amalfi (del 1614) , di J. Webster (1580 - 1625).
[2] Seneca, Medea, v. 166.
[3]Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S. Eliot Opere , p. 800..
[4] L'uomo e il divino , pp. 268 - 269.
[5]E. Fromm, Psicanalisi della società contemporanea , p. 68.
[6] Ottativo aoristo secondo di uJpeivkw, "cedo".
[7] L. F. Céline, Viaggio al termine della notte, p. 249.
[8] M. Yourcenar, Memorie di Adriano, pp. 84 - 85.
[9] Io mi ritrovo…sono io, sono Medea…sono ridiventata Medea
[10] "Ma che puoi tu in quest'isola nemica? Colco è lontana e anche da Colco tu sei cacciata. E Giasone pure ci lascia, ora. Che ti resta dunque?:: Me stessa!"
[11] Ecco, è adesso che devi essere te stessa…Io sono Medea, infine, per sempre.
[12]F Citti, C. Neri, Seneca nel Novecento , p. 104.
[13] J. Ortega y Gasset, Meditazioni sulla felicità, p. 198 e p 199.
[14]J. P. Vernant, Tra mito e politica , pp. 210 - 211.
[15] U. Foscolo, Ultime lettere di Iacopo Ortis ,11 dicembre, 1797.

[16]Jaeger, Paideia , I vol., p.391.

 

 

La vita come recita teatrale

 

Le quattro parti di Orazio (Ars poetica) e i sette atti di Shakespeare (As you like it). La morte teatrale di Augusto nella Vita di Svetonio.

Epitteto e Seneca

 

Orazio nell' Ars poetica[1] distingue le quattro diverse parti che ciascuno di noi recita nella vita. Dobbiamo ricordarcene noi insegnanti per avvicinarci alla comprensione dei nostri ragazzi.

Dunque: "aetatis cuiusque notandi sunt tibi mores" (156), si deve badare bene ai costumi specifici di ciascuna età.

Segue una descrizione dei mores delle varie epoche della vita umana: il puer il quale gestit paribus colludere (159), smania di giocare con i suoi pari, e cambia umore spesso: et mutatur in horas (160).

 

Poi l' imberbus iuvenis il giovinetto imberbe il quale gaudet equis canibusque, è cereus in vitium flecti, facile come la cera a prendere l'impronta del vizio, prodigus aeris, prodigo di denaro.

 

Quindi, conversis studiis aetas animusque virilis/quaerit opes et amicitias, inservit honori (vv. 166 - 167), cambiate le inclinazioni, l'età e la mente adulta cerca ricchezze e aderenze, si dedica alla conquista del potere.

 

Poi c'è il vecchio: "difficilis, querulus, laudator temporis acti/se puero, castigator censorque minorum" (vv. 173 - 174), difficile, lamentoso, elogiatore del tempo trascorso da ragazzo, critico e censore dei giovani.

Sono dunque quattro atti che recitiamo in quattro parti diverse, con quattro aspetti diversi. 

Sentiamo quindi Shakespeare:

"All the world's a stage -

And all the men and women merely players" (As you like it [2], II, 7), tutto il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e le donne non sono che attori.

They have their exits and their entrances

And one man in his time plays many parts,

His acts being seven ages

Gli uomini, continua il malinconico Jaques, hanno le loro uscite e le loro entrate. Una stessa persona, nella sua vita, rappresenta sette parti, poiché sette età costituiscono gli atti".

Segue la descrizione dei sette atti.

At first the infant

Mewling and puking in the nurse’s arms;

Prima l’infante che miagola e rigurgita tra le braccia della balia;

 poi lo "scolaro piagnucoloso che, con la sua cartella e col suo mattutino viso infreddolito, striscia come una lumaca malvolentieri alla scuola - creeping like snail unwillingly to school";

 il terzo atto è quello dell' innamorato "che soffia come una fornace, con una triste ballata composta per le sopracciglia dell'amata".

Quindi il soldato pieno di tremende imprecazioni , barbuto come un leopardo, geloso del suo onore, rapido e pronto alla rissa, mentre cerca una chimerica bolla di reputazione perfino nella bocca del cannone;

poi il giudice consistente nel giusto ventre rotondo foderato con del buon cappone, con occhi severi, e la barba tagliata come richiesto, pieno di sagge massime e di risaputi esempi; così recita la sua parte.

La sesta età si sposta nel pantalone secco sulle ciabatte, con occhiali sul naso e borsa al fianco e le calze giovanili ben conservate diventate enormi per le sue gambe rinsecchite, e la sua grossa voce virile che mutata in una voce bianca da bambino, zufola e fischia.

Infine "l'ultima scena, che chiude questa storia strana e piena di eventi, è seconda fanciullezza e mero oblio, senza denti, senza vista, senza gusto, senza niente - sans teeth, sans eyes, sans taste, sans everything" (II; 7, 139 - 167)

 

Nella Vita di Svetonio troviamo l'ultima scena di Augusto il quale supremo die , fattisi mettere in ordine i capelli e le guance cascanti, domandò agli amici "ecquid iis videretur mimum vitae commode transegisse" (99), se a loro sembrasse che avesse recitato bene la farsa della vita, quindi chiese loro, in greco, degli applausi con la solita clausula delle commedie:" eij de; ti - e[coi kalw'" to; paivgnion, krovton dovte", se è andato un po’ bene questo scherzo, applaudite.

La “corta buffa”[3] era giunta al termine.

 

Noi siamo attori che recitiamo una o più parti ma il regista è un altro. Ce lo ricorda Epitteto

“ mevmnhso o[ti uJpokrith;~ ei\ dravmato~ , oi{ou a]n qevlh/ didavskalo~, ricorda che sei attore di un dramma, di quello che il regista vuole, se breve di uno breve, se lungo di uno lungo, se vuole che tu reciti la parte di un mendicante, cerca di recitarla bene, e così quella di uno zoppo, di un magistrato etc so;n ga;r tou`t j e[sti, to; doqe;n uJpokrivnasqai provswpon kalw`~ : ejklevxasqai d j aujto; a[llou (Manuale, 17), il tuo compito infatti è recitare bene la parte assegnata, sceglierla è potere di un altro

 

Chiudo con la dovuta citazione di Seneca

Quomodo fabula sic vita: non quam diu , sed quam bene acta sit refert (Ep. 77, 20).

 

La vita umana come una processione di attori,

 

 

Aggiungo questo splendido pezzo di Luciano all’argomento

La vita umana come recita.

Venne dato da tradurre diversi anni fa quale seconda prova all’esame di maturità. Una volta agli dstudenti si chiedeva questo. Ero tra gli esaminatori non interni nel liceo Mamiani di Pesaro. Gli studenti furono in grado di tradurre. Doveva essere verso la fine degli anni Ottanta o tra i pimi anni Novanta, non ricordo l’anno preciso.

 

Toig£rtoi ™ke‹na Ðrînt… moi ™dÒkei Ð tîn

¢nqrèpwn b…oj pompÍ tini makr´ proseoikšnai,

Dunque a me che guardavo sembrò che la vita umana fosse simile a una lunga processione,

 

corhge‹n d kaˆ diat£ttein ›kasta ¹ TÚch, di£-

fora kaˆ poik…la to‹j pompeuta‹j t¦ sc»mata

pros£ptousa· tÕn mn g¦r laboàsa, e„ tÚcoi,

basilikîj dieskeÚasen, ti£ran te ™piqe‹sa kaˆ

dorufÒrouj paradoàsa kaˆ t¾n kefal¾n stšyasa

tù diad»mati, tù d o„kštou scÁma perišqhken·

e che la Tyche la guidasse e ordinasse ogni cosa, applicando ai partecipanti  abbigliamenti  differenti e vari: preso uno infatti, se è il caso, lo equipaggia da re, mettendogli la tiara, attribuendogli guardie del corpo e incoronadogli il capo con un diadema, mentre a un altro dà la foggia di un servo;  

 

tÕn dš tina kalÕn enai ™kÒsmhsen, tÕn d ¥morfon

kaˆ gelo‹on pareskeÚasen· pantodap¾n g£r,

omai, de‹ genšsqai t¾n qšan.

uno poi lo adorna in modo che sia bello, un altro invece lo rende deforme e ridicolo: multiforme infatti, credo, debba essere lo spettacolo.

 poll£kij d kaˆ

di¦ mšshj tÁj pompÁj metšbale t¦ ™n…wn sc»mata

oÙk ™îsa e„j tšloj diapompeàsai æj ™t£cqhsan,

¢ll¦ metamfišsasa tÕn mn Kro‹son ºn£gkase

t¾n toà o„kštou kaˆ a„cmalètou skeu¾n ¢nala-

be‹n, tÕn d Mai£ndrion tšwj ™n to‹j o„kštaij

pompeÚonta t¾n toà Polukr£touj turann…da

metenšduse kaˆ mšcri mšn tinoj e‡ase crÁsqai

tù sc»mati·

Spesso poi a metà della processione cambia le parvenze di alcuni: non permettendo che marcino in processione fino al termine  come erano stati ordinti, ma cambiando quell’ordine costringe Creso a prendere il costume di uno schiavo, e di un prigioniero di guerra, mentre Meandrio che fino allora sfilava tra i servi lo riveste con la tirannide di Policrate e per un certo tempo gli lascia indossare quell’abito

™peid¦n d Ð tÁj pompÁj kairÕj

paršlqV, thnikaàta ›kastoj ¢podoÝj t¾n skeu¾n

kaˆ ¢podus£menoj tÕ scÁma met¦ toà sèmatoj

™gšneto oŒÒsper Ãn prÕ toà genšsqai, mhdn toà

plhs…on diafšrwn.

Quando poi il tempo della processione è passato, allora ciascuno restituendo l’abito e spogliandosi dell’aspetto con il corpo, diventa quale era prima di essere nato, per niente diverso dal vicino.

 œnioi d Øp' ¢gnwmosÚnhj,

™peid¦n ¢paitÍ tÕn kÒsmon ™pist©sa ¹ TÚch, 

¥cqonta… te kaˆ ¢ganaktoàsin ésper o„ke…wn

tinîn steriskÒmenoi kaˆ oÙc § prÕj Ñl…gon ™cr»-

santo ¢podidÒntej.

Ma alcuni per stoltezza, quando la Tyche che sta accanto a loro richiede l’adornamento, se la prendono, e se ne dolgono come se fossero privati di alcuni beni propri e non restituissero quello di cui si erano serviti per breve tempo.

 

     Omai dš se kaˆ tîn ™pˆ tÁj skhnÁj poll£kij

˜wrakšnai toÝj tragikoÝj Øpokrit¦j toÚtouj prÕj

t¦j cre…aj tîn dram£twn ¥rti mn Kršontaj,

™n…ote d Pri£mouj gignomšnouj À 'Agamšmnonaj,

kaˆ Ð aÙtÒj, e„ tÚcoi, mikrÕn œmprosqen m£la

semnîj tÕ toà Kškropoj À 'Erecqšwj scÁma

mimhs£menoj met' Ñl…gon o„kšthj proÁlqen ØpÕ

toà poihtoà kekeleusmšnoj.

Io credo che tu abbia visto spesso sulla scena gli attori tragici: questi secondo la necessità dei drammi ora diventano Creonti, talora Priami o Agamennoni, e, se è il caso, il medesimo attore che poco prima recitava con gravità la parte di Cecrope o di Eretteo, poco dopo entra in scena da servo secondo  l’ordine del poeta. 

 

½dh d pšraj œcontoj

toà dr£matoj ¢podus£menoj ›kastoj aÙtîn t¾n

crusÒpaston ™ke…nhn ™sqÁta kaˆ tÕ proswpe‹on

¢poqšmenoj kaˆ katab¦j ¢pÕ tîn ™mbatîn pšnhj

kaˆ tapeinÕj per…eisin, oÙkšt' 'Agamšmnwn Ð

'Atršwj oÙd Kršwn Ð Menoikšwj, ¢ll¦ Pîloj

Cariklšouj SounieÝj ÑnomazÒmenoj À S£turoj

Qeoge…tonoj Maraqènioj. toiaàta kaˆ t¦ tîn

¢nqrèpwn pr£gmat£ ™stin, æj tÒte moi Ðrînti

œdoxen.

 

Quando il dramma è già terminato ciacuno di loro, deposta la veste ricamata d’oro  e messa via la maschera e sceso giù dai coturni, se ne va povero e dimesso, non più Agamennone figlio di Atreo, né Creonte figlio di Meneceo, ma Polo figli di Caricle da Sunio  o Satiro figlio di Teogitone sa Maratona. Così sono sembrate le faccende umane a me come una volta osservavo quello spettacolo.   

 

Luciano (120-185 circa)  Menippo o la Necromanzia  (16, 9-44)

 

 

[1] Composta tra il 18 e il 13 a. C.

[2] 1599 - 1600.

[3] Dante, Inferno, VII, 61.

 

Sotto un re buono il popolo prospera, sotto uno cattivo crepa

 

Tovpo" della connessione organica tra il re e la sua terra, anzi con tutto il suo mondo, cielo compreso

 
Segue un elenco di citazioni, troppo lungo forse, nonostante abbia tralasciato diverse testimonianze. Ma ne ho lasciate molte nella speranza di interessare a questi testi, da Omero a Ibsen, chi mi legge. Nel presentare questi appunti parlandone durante li corso, li commenterò.
 
Sappiamo da Omero, da Esiodo, da Solone da Isocrate, e pure dalle tragedie greche e da quelle di Seneca, che i costumi, le virtù, i vizi, e perfino le malattie del capo si riverberano sulla sua terra per una sorta di responsabilità collettiva.
 
Un re buono, dice Ulisse nel XIX canto parlando con Penelope, porta il popolo alla prosperità: "Raggiunge l'ampio cielo la tua fama,/ come quella di un re irreprensibile che pio,/ regnando su molti uomini forti,/tenga alta la giustizia; allora la nera terra produce/ grano e orzo, gli alberi si appesantiscono di frutti,/figliano continuamente le greggi e il mare offre i pesci,/per il suo buon governo, insomma prosperano le genti sotto di lui"(Odissea, XIX, vv. 108 - 114).
 
L'altro lato della stessa concezione secondo la quale il bene e il male di un solo uomo ridondano in favore e in danno di una città intero lo troviamo nel secondo archetipo della poesia greca, cioé in Esiodo (Opere, vv.240 - 244: "
Pollavki kai; xuvmpasa povli" kakou' ajndro;" ajphuvra - oJv" ti" ajlitraivnh/ kai; ajtavsqala mhcanavatai. - Toi'sin d j oujranovqen meg& ejpevgage ph'ma Kronivwn - limo;n oJmou' kai; loimovn: ajpofqinuvqousi de; laoiv. - Oujde; gunai'ke" tivktousin, minuvqousi de; oi|koi", spesso anche un'intera città soffre per un uomo malvagio,/uno che si rende colpevole e architetta scelleratezze./Su di loro dal cielo il Cronide fa piombare grandi malanni,/fame e peste insieme,e le genti vanno in rovina,/le donne non fanno figli e le case diminuiscono".
 
L’ Eunomia (fr. 4 West) di Solone esprime in distici elegiaci la medesima concezione:"e ingiusta è la mente dei capi del popolo cui è destinato/ soffrire molti dolori in seguito alla gran prepotenza (
u{brio" ejk megavlh")... Ma si arricchiscono fidando in opere ingiuste, non risparmiando le ricchezze sacre né alcuna di quelle/pubbliche, rubano per arraffare chi da una parte chi dall'altra/né osservano i venerandi fondamenti di Giustizia,/che, pur mentre tace, conosce il passato e il presente,/e con il tempo in ogni caso arriva a far pagare....questi precetti l'animo mi spinge ad insegnare agli Ateniesi/ che il Malgoverno (Dusnomivh) procura moltissimi mali alla città/mentre il Buongoverno mostra ogni cosa ordinata e armonizzata (Eujnomivh d j eu[kosma kai; a[rtia pavnt j ajpofaivnei, v.32) /e spesso mette i ceppi addosso agli ingiusti:/leviga le asperità, fa cessare l'arroganza, oscura la prepotenza,/dissecca i fiori nascenti dell'accecamento,/raddrizza i giudizi tortuosi, mitiga le azioni/ superbe, fa cessare le opere della discordia,/e fa cessare la rabbia della contesa terribile, e sono sotto di lui/tutte le cose umane armonizzate e assennate"(vv. 7 - 8, 11 - 16, 30 - 39).
 
Nell' Encomio di Elena Isocrate chiama i despoti che cercano di dominare con la forza sui concittadini, non capi ma pesti delle città (
oujk a[rconta" ajlla; noshvmata tw'n povlewn, 34).
 
Il re negativo, cattivo e malato dunque contamina la sua terra, rendendola sterile e sconciandola quale 
mivasma.
Nell’Antigone di Sofocle, Tiresia dice al re di Tebe Creonte: “ E la città è ammalata (
nosei` povli") per la tua disposizione mentale (th`" sh`" ejk frenov", v. 1015) ) .
Nell'Edipo re il protagonista eponimo scopre di essere il miasma che ha contaminato la città appestandola e deve allontanarsi da Tebe.
Da re si è capovolto in 
farmakov", una specie di medicina umana.
 
Del resto questa idea che il benessere di un popolo dipenda dalla giustizia e pietà religiosa del re non è limitata ai soli autori greci:"Nella nozione omerica della regalità sopravvivono rappresentazioni che si ritrovano più o meno in altre società indoeuropee. Si tratta soprattutto dell'idea che il re è l'autore e il garante della prosperità del suo popolo, se segue le regole della giustizia e i comandi divini. Si legge nell'Odissea (XIX 110 sgg.) questo elogio del buon re (...) Questo passo ha avuto nella letteratura classica una lunga discendenza; gli autori si sono compiaciuti ad opporre la felicità dei popoli governati secondo la giustizia alle calamità che nascono dalla menzogna e dal crimine. Ma non si tratta in questo caso di un luogo comune morale. In realtà il poeta esalta la virtù mistica e produttiva del re la cui funzione è quella di incrementare la fecondità intorno a sé, negli esseri e nella natura. Questa concezione si ritrova, molto più tardi, è vero, nella società germanica, attestata quasi negli stessi termini. Presso gli Scandinavi, il re assicura la prosperità per terra e per mare; il suo regno è caratterizzato dall'abbondanza dei prodotti naturali, dalla fecondità delle donne. Gli si chiede, secondo una formula consacrata, ar ok fridr ' l'abbondanza della pace', come ad Atena, durante le Bufonie, si sacrificava 'per la pace e la ricchezza'. Non si tratta di formule vane. Ammiano Marcellino ci dice che i Burgundi, dopo una disfatta o una calamità, mettevano a morte ritualmente il loro re, perché non aveva saputo far prosperare né dare successo al suo popolo"
[1].
Anche i ragazzi sanno che il rex deve agire recte: infatti, quando giocano, dicono: sarai re se farai bene: "at pueri ludentes 'Rex eris ' aiunt/ 'si recte facies" 
[2].
 Insomma il rex deve dirigere sulla retta via. Il re allora non può essere contorto.
Nemmeno la virtù può esserlo: “et haec recta est, flexuram non recipit” (Seneca, Ep. 71, 20), anche questa è diritta, non ammette piegatura.
 
Il re malato rende malato il suo popolo, la sua terra e perfino il cielo.
 
Diversamente dall'Edipo di Sofocle che nel prologo della tragedia si addossa soltanto il dolore del suo popolo, l’Oedipus di Seneca, fin dai primi versi, si sobbarca tutte le colpe:"Fecimus coelum nocens" (v. 36), io ho reso colpevole il cielo
[3].
 
Un'eco di questa autodenuncia si trova nell'Amleto di Shakespeare, quando Claudio, il re assassino del fratello dice:"Oh, my offence is rank, it smells to heaven" (III, 3), oh il mio delitto è marcio, e manda fetore fino al cielo. Poco dopo Amleto, parlando con la madre, Gertrude,  paragona lo zio a una spiga ammuffita che infetta l'aria (III, 4).
 
Più avanti del resto Oedipus tirerà indietro la mano che ha indicato il colpevole in se stesso, e, come l’edipo di Sofocle, accuserà Creonte di avere congiurato con Tiresia per togliergli il potere (vv. 666 e sgg.).
 
Il cielo avvelenato dai delitti umani può fornire a sua volta veleni per nuovi delitti: Medea non si accontenta dei malefici terreni:"Parva sunt - inquit - mala,/et vile telum est, ima quod tellus creat:/coelo petam venena. Iamiam tempus est/aliquid movere fraude vulgari altius " ( Seneca, Medea, vv. 691 - 694), sono piccoli malefici - dice - e vale poco l'arma che la bassa terra produce: al cielo chiederò i veleni. Oramai è già tempo di scuotere qualche cosa di più alto che un artificio volgare.
 
L'ambiente, cielo compreso, è stato contaminato dall'uomo empio, i valori forti (fas, fidesius) cadono, e non rimangono nemmeno nel cielo: nel Tieste di Seneca, Megera aizza l'ombra di Tantalo dicendo:" et fas et fides/iusque omne pereat. Non sit a vestris malis/immune coelum " (vv. 47 - 49), le norme divine e la lealtà e ogni diritto vadano in malora. Il cielo non sia immune dalle vostre malattie.
Nella Medea di Euripide, viceversa, il Coro delle donne corinzie lamenta la fuga del pudore dalla terra al cielo: “Se n'è andato il rispetto dei giuramenti - né più il pudore (
aijdwv") nell'Ellade grande rimane, ma in aria è volato” (vv. 439 - 440).
 
La Medea di Seneca vuole abolire i valori forti di fas e pudor: “fas omne cedat, abeat expulsus pudor” (Seneca, Medea, v. 900), ogni legge divina sparisca, se ne vada cacciato via il ritegno.
 
Nella Medea di Euripide il coro lamenta la fuga dell’
aijdwv" dalla terra al cielo (vv. 339 - 340).
 
La nutrice di Fedra afferma che il pudor è incompatibile con il servizio al potere: “malus est minister regii imperii pudor” (Seneca, Fedra, v. 430), il pudore è un cattivo ministro del potere regio.
 
Nel Macbeth
[4], un nobile scozzese, Lennox preannuncia l’assassino del re quanto si dice:"some say the earth was feverous,latino febris- and did shake" (II, 3), la terra era febbricitante e ha tremato. 
Poco dopo un altro nobleman of Scotland, Ross, fuori dal castello del delitto fa notare a un vecchio che il cielo (the heavens), quasi sconvolto dal misfatto umano (as troubled with man's act), minaccia la sua scena sanguinosa (threaten his bloody stage), e il giorno è buio
[5] come la notte, mentre la luce della vita dovrebbe baciarlo- “when living light should kiss it”.
Infatti, risponde l'old man:" 'Tis unnatural, Even like the deed that ' s done" (II, 4), è innaturale, come l'azione che è stata perpetrata.
 
La terra contaminata e desolata, la Scozia, è diventata tutta una tomba :"poor country…it cannot be called our mother, but our grave; where nothing, but who knows nothing, is once seen to smile greco
meidiavw-; where sighs, and groans, and shrieks that rend the air, are made, not marked " ( Macbeth, IV, 3), povera terra!…non può essere chiamata nostra madre ma nostra tomba; dove niente, se non chi non conosce niente, si vede sorridere, dove sospiri e gemiti e grida che lacerano l'aria, sono emessi, ma nessuno ci fa caso. E' il nobile Ross che parla.
 
Anche in La duchessa di Amalfi (del 1613) di John Webster il quale “was much possessed by death
[6] viene affermato il principio della connessione organica tra il capo e la sua terra da Antonio, il maggiordomo e l'amore della duchessa, contrastato dai fratelli di lei:"Nel tentativo di ridurre all'ordine entrambi, lo Stato e il popolo suo, quel re assennato inizia l'opera fin dalla sua stessa casa e libera per prima cosa il suo palazzo reale dai sicofanti adulatori, da tutte le persone perverse e dissolute (…) da che ritiene giustamente che una corte principesca sia simile a una pubblica fonte dalla quale dovrebbero sgorgare pure, stille d’argento, ma se avviene che un malaugurato caso ne intorbidi la sorgente, morte e malsania si diffondono per tutto il paese" (I, 1).
"Il gusto del sensazionale e dell'orrido è, nel Webster, preponderante"
[7].
 
L'immagine della sorgente inquinata è ripresa da Ibsen in Un nemico del popolo
[8], il dottor Stockmann che dice:"tutta la nostra vita spirituale è inquinata e marcia alla base. Non soltanto le Terme, no, è tutta la nostra bella società borghese che è costruita su una cloaca, su un pantano, sulla menzogna!" (IV). In questo caso è il potere della maggioranza che porta "lo scorbuto spirituale" poiché "la maggioranza ha la forza, sì, per nostra sciagura, ma non ha la ragione (…) è la minoranza, sono i pochi che hanno ragione!" 
 
E' tradizionale e molto antica dunque l'idea della connessione organica tra il capo e la comunità.
Erasmo da Rotterdam ripete questo locus nell'Elogio della follia
[9]:" aliorum vitia neque perinde sentiri neque tam late manareprincipem eo loco esse, ut si quid vel leviter ab honesto deflexerit, gravis protinus ad quam plurimos homines vitae pestis serpat" (55), i vizi degli altri né si sentono allo stesso modo né si diffondono così ampiamente; il principe si trova in tale posizione che se in qualche maniera perfino di poco egli si scosta dalla rettitudine, subito una grave peste della vita si espande su un numero enorme di persone. La vita del principe insomma è emblematica. 
 
La 
povli" di Edipo è la città malata per antonomasia: Dante chiama Pisa "vituperio delle genti"[10] e "novella Tebe"[11] per la crudeltà della pena inflitta ai figli innocenti del conte Ugolino.
“C’è da domandarsi se tutto il resto del mondo possegga una sola città che abbia una preistoria così ricca e fatale come quella di Tebe”
[12].
 
 Dante ripropone questa idea che il benessere di un popolo dipenda dalla giustizia e pietà religiosa delle guide e fa derivare la malvagità del mondo dal malgoverno di quelli che furono i "due soli": "Ben puoi veder che la mala condotta/è la cagion che il mondo ha fatto reo/e non natura che in voi sia corrotta./Soleva Roma, che 'l buon mondo feo,/due soli aver, che l'una e l'altra strada/facean vedere , e del mondo e di Deo./L'un l'altro ha spento; ed è giunta la spada/col pasturale, e l'un con l'altro inseme/per viva forza mal convien che vada"
[13]. Spada e pastorale congiunti sono un aspetto di quella confusione che troveremo anche nell'incesto, nella peste e nella guerra civile.
 
 Nelle Historiae di Tacito c’è un popolo intero, quello iudaicus che infetta la terra egiziana con una pestilenza e per questo viene cacciato dal faraone: “Plurimi auctores consentiunt orta per Aegyptum tabe quae corpora foedaret, regem Bocchorim, adito Hammonis oraculo, remedium petentem, purgare regnum et id genus hominum, ut invisum deis, alias in terras avehere iussum” (5, 3, 1), moltissimi storici sostengono concordemente che, scoppiata attraverso l’Egitto una pestilenza che sconciava la popolazione, il re Boccori, recatosi all’oracolo di Ammone per chiedere un rimedio, ricevette l’ordine di purgare il regno e di deportare quella razza di uomini, in quanto odiosa agli dèi, in altre terre. Quindi l’autore spiega che Mosè introdusse tra loro riti mai visti e contrari a quelli degli altri uomini: “Profana illic omnia quae apud nos sacra, rursum concessa apud illos quae nobis incesta” (4, 1), empio è là tutto quello che da noi è sacro, e viceversa è lecito da loro quello che da noi è sacrilegio.
 Freud invece presenta Mosè come un egiziano che ha potato agli e

Ebrei il monoteismo del faraone eretico Amenophi IV (L’uomo Mosè e la religione monoteistica)
 


[1]Emile Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee , pp. 304 - 305.
[2] Orazio, Epistulae I, 1, 59 - 60.
[3] In La tragedia spagnola ( 1592) di Thomas Kyd il nobile portoghese Alexandro, con pessimismo meno assoluto, dice:"Il cielo è la mia speranza: quanto alla terra, essa è troppo infetta per darmi speranza di cosa alcuna della sua matrice" (III, 1).
[4] 1605 - 1606.
[5] Cfr. OedipusTitan dubius (v. 1).
[6] T. S. Eliot, Whispers of immortality, v. 1, fu molto ossessionato dalla morte
[7] C. Izzo, Storia della letteratura inglese, p. 439.
[8] Del 1882.
[9] Del 1510.
[10] Inferno, XXXIII, 79.
113 Inferno XXXIII, 89.
[12] Jacob Burckhardt, Storia della civiltà greca (1902), vol II, p. 214.

[13]Purgatorio XVI, 103 - 111.

 

 

Le streghe

Seneca. Shakespeare. Lucano. Dante. Apuleio

Medea è una maga nipote del Sole, una creatura in parte soprannaturale, ma, come Euripide, anche Seneca trae dal suo comportamento una legge valida pure per le femmine umane: "Nulla vis flammae tumidique venti/tanta, nec teli metuenda torti,/quanta, cum coniux viduata taedis/ardet et odit" (Medea , vv. 579 - 582), non c'è forza di fiamma e di vento impetuoso tanto violenta, e non è così tremenda quella di un dardo scagliato, quanto allorché brucia e odia una moglie privata dell'amore.
Sono le parole d’inizio del III Coro.
Seneca, con il suo gusto del macabro, mette in rilievo lo speciale talento della donna nel preparare intrugli malefici mescolando elementi diversi in un guazzabuglio infernale.
La nutrice di Medea racconta come la nipote del Sole sia solita preparare i veleni: "Mortifera carpit gramina ac serpentium/saniem exprĭmit miscetque et obscenas aves/maestique cor bubonis et raucae strigis/exsecta vivae viscera () Addit venenis verba non illis minus/metuenda. Sonuit ecce vesano gradu/canitque. Mundus vocibus primis tremit" (Medea, vv. 731 - 734 e 737 - 740), sminuzza le erbe micidiali e spreme la bava dei serpenti e mescola anche uccelli di cattivo augurio e il cuore di un lugubre gufo e le viscere strappate da stridula strige ancora viva (…) Ai veleni aggiunge parole non meno tremende di quelli. Eccola che ha fatto risuonare il suo passo furioso e canta.
 Il mondo trema già alle prime note. 
"In verità è difficile leggere il resoconto dei preparativi di Medea (670 - 739) senza riandare con la mente agli incantesimi del Macbeth
[1]
 
Si tratta della prima scena del quarto atto della tragedia di Shakespeare. Le streghe mettono vari ingredienti in una caldaia bollente. Vediamone alcuni: filetto di una biscia di pantano (Fillet of a fenny snake), pelo di pipistrello e lingua di cane (wool of bat, and tongue of dog), zampa di lucertola e ala d’allocco (lizard’s leg, and howlet’s wing), fegato di giudeo bestemmiatore (liver of blaspheming jew), dita di un bambino strangolato al suo nascere, appena messo al mondo in una fossa da una sgualdrina (finger of birth - strangled babe - ditch - delivered by a drab), viscere di una tigre (a tiger’s chaudron), tutto da raffreddare con il sangue di un babbuino (with a baboon’s blood).
Il tragico e il macabro qui, a dire il vero, confinano con il comico.
Anche le streghe del Macbeth , come Medea, sono seguaci di Ecate.
 
Questa si rivolge alle fatali donne, fatali sorelle (the weird womenthe weird sisters,) rimproverandole di non averla consultata, dato il suo ruolo: "And I, the mistress of your charms,/the close contriver of all harms,/was never called to bear my part,/or show the glory of our art?" (III, 5), e io, la signora dei vostri incantesimi, la segreta progettatrice di tutti i mali, non sono mai stata chiamata a fare la mia parte, o a mostrare la gloria dell'arte nostra? 
Nella letteratura latina la terra più famigerata come madre di streghe è la Tessaglia. La strega tessala più famosa è Eritto menzionata anche da Dante sulla scia di Lucano.
Dice dunque Virgilio rispondendo a una domanda di Dante:
“Vero è che altra fiata qua giù fui
Congiurato da quella Eritòn cruda
Che richiamava l’ombre a’ corpi sui” (Inferno, IX, 22 - 24)
 
Risaliamo dunque al VI libro della Pharsalia di di Lucano
La Tessaglia è tellus damnata fatis (413), terra condannata dal destino. Si avvicina hora summi discriminis (415) l’ora decisiva della battaglia di Farsalo ed è chiaro propius iam fata moveri (417) che il destino si muove oramai più vicino. 
Turbae sed mixtus inerti - Sextus erat, Magno proles indigna parente (419 - 420). Sesto Pompeo, il figlio di Pompeo Magno vuole conoscere il futuro ma non può farlo non in modo lecito andando a Delfi, o a Delo o Dodona né consulta aruspici sulle fibre degli animali, né fa trarre trae auspìci da volo degli uccelli, né interroga piromanti sui fulmini, né gli astrologi. Sa che ci sono arcani di maghi terribili, e altari orrendi per i sacrifici umani fatti per gli dèi infernali. Bisognava interrogare i morti: miseroque liquebat - scire parum superos (433 - 434) al disgraziato era chiaro che gli dèi del cielo sapevano poco.
La Tessaglia pullula di streghe - quarum quidquid non creditur ars est - la loro arte è l’incredibile (437)
 
Vediamo dunque le streghe della Tessaglia con la pessima Erichto
La gente di Tessaglia è maledetta - gens dira - e usa impia carmina empie formule magiche per attrarre le orecchie degli dei sorde a tante altre genti caelicolum aures tot surdas gentibus (443).
 Ma quelle delle streghe e dei maghi tessali sono verba cogentia. Quando quell’infandum murmur ha raggiunto le stelle tetigit cum sidera (448) allora la strega tessala abdūcet superos alienis aris (451) sottrarrà gli dèi agli altari divenuti estranei.
A causa delle formule magiche delle donne tessale è stillato in cuori restìi un amore non portato dal destino: non fatis adductus amor, flammisque severi - illicitis arsere senes (453 - 454), vecchi severi bruciarono per passioni illecite.
Ora c’è la stregoneria del viagra per gli impotenti giovani e vecchi, severi e libertini.
Non solo noxia pocula, beveraggi nocivi, o l’ippomane sottratto alla fronte del puledro, talora basta che la mente riceva l’incantesimo per andare in malora mens - excantata perit - (457 - 458).
Sposi quos non concordia mixti - allĭgat ulla mixti tori (458 - 459) che la concordia di un letto comune non unisce né la potentia blandae formae (458 - 459) li hanno avvinti con l’avvolgimento magico di un fuso ritorto traxerunt torti magica vertigine fili (460). Il cielo non obbediva alle solite leggi - legi non paruit aether (462). Le donne di Tessaglia mutano il corso della natura.
 
Lucano si chiede se queste streghe abbiano potere anche su gli dei.
 
La luna impallidisce prigioniera dei maledetti veleni portati da quelle formule.
Ma questi riti scellerati sembravano troppo pii alla effĕra Erichto (508) - inque novos ritus pollutam duxerat artem - (509) .
Desertaque busta - incolit (511 - 512) abita tombe deserte, occupa i sepolcri dopo avere scacciato le ombre dei morti.
Una magrezza sconciata dalla muffa occupa la faccia della sacrilega, il suo aspetto sconosciuto al cielo sereno è appesantito da chiome scarmigliate.
Esce dalle tombe di notte durante i temporali e afferra i fulmini. Rende sterili anche i semi del grano calpestandoli e appesta l’aria. Fa morire anzi tempo alcuni e fa uscire dalle tombe altri già morti. Su alcuni cadaveri infierisce immergitque manus oculis (541) poi rosicchia le pallide escrescenze della mano essiccata - et siccae pallida rodit - excrementa manus - (542 - 543)
Con i denti ha rotto i nodi e i lacci degli impiccati, ha fatto a brani i cadaveri penzolanti - pendentia corpora carpsit (344) e ha raschiato le croci - abrasitque croces (545), ha tirato fuori le viscere battute dalla pioggia e midolla cotte dal sole. Quindi si è portato via l’acciaio conficcato nelle mani - insertum manibus chalybem - 547 - e nero marciume di pus che goccia per le membra, veleno condensato - nigramque per artus - stillantis tabi saniem virusque coactum sustulit (548 - 549), ma se il nervo del crocifisso stringe i suoi morsi, anche lei rimane appesa et nervo morsus retinente pependit (549). Siede accanto al cadavere in concorrenza con fiere e avvoltoi : morsusque luporum - expectat siccis raptura e faucibus artus”(552 - 3) attende i morsi dei lupi per strappare gli arti alle fauci asciutte e affamate.
Quando servono dei cadaveri per i suoi empi riti, i morti li procura lei ipsa facit manes 561. Questa strega utilizza ogni morte - hominum mors omnis in usu est (561).
Quando le muore un parente, mentre imprime baci oscula figens ne mutila la testa addentando la lingua e sussurrando nefandezze da trasmettere ai morti.
Questa dunque è Erichto.
Sesto Pompeo va a cercarla. Eritto si trovava vicina a Farsalo. Componeva una cantilena per nuovi usi carmenque novos fingebat in usus (578). Timens ne tellus tam multa caede careret temendo che alla terra venisse meno l’immensa carneficina (580). Eritto spera di avere molti morti a disposizione.
La Pompei ignava propago 589 l’inetto figlio di Pompeo le parla lusingandola e chiedendole quale sarà il risultato della guerra.
Non è una fatica di levatura modesta Non humilis labor est (602): è degno di te curarti di sapere quo tanti praeponderet alea fati (603) da che parte si inclini il dado di un così grande destino
La Tessala è contenta dell’onore ricevuto
Risponde a Sesto Pompeo: fata minora si possono smuovere giovanotto, o iuvenis, ma da quando c’è la causarum series (612) la serie delle cause omnia fata laborant- si quidquam mutare velis (612 - 613) il destino intero soffre se si vuole mutare qualcosa e su tutto il genere umano incombe un’unica minaccia. Quindi, noi turba tessala, lo confessiamo Plus Fortuna potest (615), la fortuna ha maggior potenza.
 
Il futuro comunque è dato conoscerlo. Si può anche fare parlare uno morto da poco ut modo defuncti tepidique cadaveris ora - plena voce sonent nec membris sole perustis - auribus incertum strideat feralis umbra (622 - 623), purché la bocca del cadavere del defunto tiepido parli a piena voce e, quando, le membra sono essiccate dal sole, l’ombra del morto non strida incomprensibilmente alle orecchie.
 
Dopo avere detto questo, Eritto raddoppia con la magia le tenebre della notte e con la testa lugubre coperta da una nuvola sudicia va errando in mezzo ai cadaveri degli insepolti. Fuggono i lupi e gli uccelli da preda mentre la donna cerca il morto che farà da profeta. Finalmente sceglie un cadavere, gli annoda un laccio intorno alla gola, vi inserisce un uncino e lo trascina sotto la roccia di una caverna. Dentro la grotta si trovano tenebre torpide marcentes intus tenebrae (646). E’ l’anticamera del mondo dei morti. La chioma irta di Eritto che fa violenza alla morte, è stretta sul collo da una ghirlanda di vipere “et coma vipereis substringitur horrida sertis” (656).
 Sesto Pompeo e i compagni hanno paura e la strega li rimprovera: “quis timor ignavi, metuentis cernere manes?” 666. Sono i morti che hanno paura di me. Eritto apre nuove ferite nel cadavere, lava le viscere togliendo la putredine e versa umore cattivo di luna - abluit et virus large lunare ministrat (669). Quindi mescola tutto quanto la natura ha generato con un parto sinistro: bava di cani idrofobi, spuma canum, viscere di linci, vertebra di iena spietata, midolla di cervo nutrite da un serpente, il pesce remora che trattiene la nave anche se spinta dal vento, occhi di drago, sassi che crepitano intiepiditi da uccello che cova, il serpente alato degli Arabi, la vipera marina che nasce nel mar Rosso, custode della preziosa conchiglia, la pelle di una cerasta - vipera cornuta cfr. 
kevra", corno - di Libia.
 
In Dante le “feroci Erine - “serpentelli e ceraste avean per crine” - Inferno 9, 41
 
Poi la cenere di una Fenice posatasi su un altare d’ Oriente.
 
A questi flagelli la strega aggiunge fronde impregnate di formule nefande et quibis os dirum nascentibus inspuit herbas - addidit (683 - 684) e aggiunse erbe su cui la bocca tremenda aveva sputato quando nascevano.
 
Poi il suo ceffo fa uscire borbottii dissonanti.
Latratus habet illa canum gemitusque luporum” (688) la sua lingua contiene latrati di cani e ululati di lupi, il verso del gufo inquieto e di strige notturna, lo stridere e l’ululare delle fiere, il sibilare dei serpenti. Esprime pure i lamenti dell’onda colpita dagli scogli - exprimit et planctus illisae cautibus undae - (691), e i tuoni della nuvola che si spacca fractaeque tonitrua nubis (692).
La sua voce penetra nel Tartaro con suoni rivolti alle Eumenidi, all’empietà dello Stige, alla Pena dei colpevoli, poi si rivolge al Caos avido di confusione “et Chaos innumeros avidum confundere mundos - 696, a Plutone rector terrae (697) tormentato dal fatto che la morte degli altri dèi è differita nel tempo, poi allo Stige, ai campi Elisi quos nulla meretur - Thessalis Elysios (698 - 699) che nessuna donna di Tessaglia si merita, poi a Persefone caelum matremque perosa - Persephone (699 - 700), che ha odiato il cielo e la madre.
Quindi si rivolge a Ecate che è il tratto d’unione tra Eritto e i morti, poi al custode Eaco che getta al cane Cerbero le viscere offerte “tuque o flagrantis portitor undae”, a Caronte (704) traghettatore dell’onda infuocata, vecchio affaticato dalle ombre che tornano da me iam lassate senex ad me redeuntibus umbrae (705)
Dunque exaudite preces (706). Io infatti vos satis ore nefando - pollutoque voco (706 - 707) vi invoco con bocca abbastanza nefanda e lorda e canto formule magiche numquam fibris humanis ieiuna (708), mai digiuna di viscere umane, se piena del dio nel petto ho lavato interiora tagliate quando il cervello era ancora caldo, se ogni bambino quisquis infans che ha messo sulle vostre scodelle - vestris lancibus - lanx (femminile: satura lanx) testa e viscere sarebbe sopravvissuto in mia assenza - parete precanti 711, date retta a me che vi prego.
 
Voglio sentire uno morto da poco: primo pallentis hiatu - haeret adhuc Orci , è ancora fermo sulla prima apertura del pallido Orco. Licet has exaudiat herbas 715 anche se il morto ascolta il richiamo di queste erbe l’anima sua ad manes ventura semel, verrà ai morti una volta sola per tutte. Il defunto profetizzi al figlio di Pompeo tutto quanto riguarda Magno: si bene de vobis civilia bella merentur 718”
 haec ubi fata. caput spumantiaque ora levavit” (719), detto questo alzò la testa e la bocca bavosa.
Allora le apparve l’ombra in piedi del cadavere disteso - aspicit astantem proiecti corporis umbram (720). Lo spettro ha paura dei propri arti senza vita e delle chiusure odiose del carcere antico. Esita a entrare nel petto squarciato e nelle viscere rotte dalla ferita mortale.
Lucano commisera l’infelice A miser, extremum cui mortis munus inique eripitur, non posse mori! (724) a infelice cui viene ingiustamente strappato il dono estremo della morte: non poter nemmeno morire.
Lo spettro morto indugia ed Erichto irata morti - verberat immotum vivo serpente cadaver (727), irata con la morte, frusta il cadavere immobile con un serpente vivo, e attraverso le  spaccatire della terra create con la sua cantilena, manibus inlatrat regnique silentia rumpit (729) latra contro i morti e rompe i silenzi del regno. Minaccia le Furie, Tisifone e Megera, chiamandole cagne dello Stige: le evocherà fino alla luce poi le abbandonerà. Minaccia anche Ecate e Proserpina dicendo che potrebbe rivelare i loro segreti: Ecate che cambia volto nel cielo (Diana, la luna) rispetto a quello che ha nell’Erebo; e della figlia di Cerere, la donna di Enna racconterà quae te contagia passam - noluerit revocare Ceres per quali contagi da te subìti Cerere non ti ha voluto richiamare (il chicco di melograno).
 
Contro Plutone immittam Titana.il Sole - ruptis cavernis (743), immetterò i raggi del sole dopo avere rotto le caverne et subito feriēre die (744) sarai ferito dalla luce improvvisa. Poi minaccia di invocare un dio misterioso che non teme nulla e osa spergiurare sulle acque di Stige. Un dio summum cui nomen scire non licet. Un dio innominabile.
Le minacce hanno successo: Protinus astrictus caluit cruor (750), subito il sangue solidificato si riscaldò atraque fovit - vulnera (750 - 751) e riscaldò le nere ferite e corse per le vene fino alle membra estreme - et in venas extremaque membra cucurrit (751). Et nova vita miscetur morti (753 - 754) una nuova vita si mescola alla morte. Tum omnis palpitat artus - tenduntur nervi (754 - 755), palpita ogni articolazione, i nervi si tendono.
 Il cadavere non si alza dal terreno un poco alla volta ma terra repulsum est- erectumque semel, fu respinto dalla terra e si rizza in un colpo solo (756-757). Lumina nudantur distento rictu, gli occhi si scoprono allargatasi l’apertura delle palpebre
L’uomo assume l’aspetto di uno che sta morendo remanet pallorque rigorque (759) rimane il pallore e la rigidità et stupet e appare stupito.
La bocca ancora non parla.
 
Eritto gli promette che se parlerà con chiarezza nessuno potrà evocarlo di nuovo. Ne parce, precor: da nomina rebus, - da loca; da vocem qua mecum fata loquantur (773 - 774, dai un nome ai fatti, da’ i luoghi, dai una voce con cui il destino parli con me.
Il morto non ha fatto in tempo a vedere tristia Parcarum stamina (777) i tristi fili delle Parche, però ha visto che una effera Romanos agitat discordia Manes (780) una selvaggia discordia tiene in agitazione i morti romani.
Vengono elencati diversi alti magistrati di Roma già morti: vidi Decios natumque patremque, - lustrales bellis animas (785 - 786), vite espiatorie delle guerre, flentemque Camillum (786) et CuriosSullam de te, Fortuna querentem, poi Scipio deplōrat libycis perituram –infaustam subŏlem (Metello Scipione); Cato maior Carthaginis hostis (789) nemico dei Cartaginesi più di Scipione piange il destino del nipote non disposto a sevire. maeret fata nepotis non servituri.
Solum te, consul depulsis prime tyrannis - Brute, pias inter gaudentem vidimus umbras (790 - 791), solo te Bruto primo console dopo la cacciata dei tiranni, abbiamo visto lieto tra quelle ombre pie. –Perché bruto minore uccoderà Cesare


I sovversivi
Abruptis, Catilina minax fractisque catenis - exultat (793 - 794), spezzate e frantumate le catene, Catilina minaccioso esulta, Mariique truces, padre e figlio, nudique Cethēgi (Cetègo complice di Catilina)
Vidi ego laetantis, popularia nomina Drusos (cari al popolo, tribuni della plebe graccani promotori della guerra sociali) legibus immodicos, smodati nelle leggi, ausosque ingentia Gracchos e i Gracchi che osarono smisurati progetti - e le mani legate da eterni nodi di acciaio dentro il carcere di Dite, hanno levato applausi - aeternis chalybis nodis et carcere Ditis - constrictae plausere manus (797 - 798) Camposque piorum –poscit turba nocens 798 - 799
Plutone prepara pene dure per il vincitore. I campi Elisi invece sono aperti alla famiglia di Pompeo. Sia Pompeo sia Cesare morranno presto: veniet quae misceat omnis –hora duces (806 - 807), verrà un’ora a uguagliare tutti i duci.
 Properate mori affrettatevi a morire e disprezzate gli imperatori divinizzati

L’imperatore Marco aurelio diceva anche a se stesso: bada di non cesarizzarti, resta l’uomo semplice e buono che la filosofia ha plasmato-  {ora mh; ajpokaisarwqh'"- (VI, 30). Vivi semplicemente e piamente. poponiti di essere i[lew", benevolo.


Quem tumulum Nili, quem Thybridis alluat unda
Quaeritur, et ducibus tantum de funere pugna est (810 - 811) 
La guerra viene fatta per una tomba.
 
Voi di Pompeo disgraziati abbiate paura dell’Europa, dell’Africa, dell’Asia: la fortuna ha assegnato tumuli ai vostri trionfi.
Europam, miseri, Libyamque Asiamque timete:
distribuit tumulos vestris Fortuna triumphis (817 - 818)
 
Il soldato morto e resuscitato sale sul rogo dove viene bruciato
Eritto allungò la notte mentre il cielo portava il colore della luce.
Così poterono tornare non visti alle tende
Fine VI libro della Pharsalia di Lucano

Anche nel romanzo di Apuleio troviamo terribili maghe tessale come quella ostessa anziana ma alquanto graziosa che mutò un suo amante fedifrago in un castoro "quod ea bestia captivitati metuens ab insequentibus se praecisione genitalium liberat" , poiché questo animale, temendo di essere preso, si libera dagli inseguitori con il recidersi i testicoli praecisione genitalium (1, 9), poi aveva fatto altre stregonerie comportandosi quale emula di Medea (1, 10), l’allieva di Ecate.
Senza contare Panfile la padrona di casa che diventa un uccello e Lucio che, cosparso con un unguento sbagliato sottratto a Panfile dall’ancella Fotide , diventa asino. La prima parte dell’Asino d’oro è ambientata in Tessaglia.


 

[1] Bradley, La tragedia di Shakespeare, p. 418.

 

 

La tematica dell’orrore. Seneca, Albertino Mussato e Shakespeare

 

“Shakespeare, ‘simile al mondo ed alla vita’, secondo Kott, riprende la tematica senecana dell'orrore, e l' atrocità shakespeariana non stupisce, non ci è mai lontana. Titus Andronicus, Riccardo III , si ritrovano in Medea e Thyestes. Da Titus Andronicus fino ad Amleto, fino alla crudeltà senza nome della morte di Cordelia. In Shakespeare, il teatro di sangue che porta l'insegna senecana, raggiunge il suo punto culminante"[1].
 
Fu Albertino Mussato (1261 - 1329), allievo di Lovato Lovati (1241 - 1309), il promotore del cosiddetto preumanesimo padovano, "il primo scrittore moderno che volle imitare le tragedie di Seneca. Mussato, scopritore di un "Seneca tragicus" (Ecerinis 
[2]) sotto la descrizione dei crimini di Ezzelino[3], rappresenta i crimini del suo contemporaneo Cangrande della Scala[4], il tiranno di Verona e cerca il suo modello nei temi di orrore e di sangue delle tragedie di Seneca (…) Si inizia la traiettoria moderna di un Seneca tragicus (…) che culmina nella esposizione che ci offre Shakespeare in Titus Andronicus, opera degna del  Tieste o della Medea.
L’ esposizione tematica del teatro della crudeltà viene così formulata:"I must talk of murders, rapes and massacres/Acts of black night, abominable deeds,/ Complots of mischief, treason, villainies/ Ruthful to hear, yet piteously performed " (V, 1, 63 - 66)"
[5], io devo parlare di assassinii, stupri e massacri, atti della nera notte, azioni abominevoli, complotti del demonio, tradimenti, malvagità, penosi a udirsi, eppure eseguiti in modo da fare pietà.
Sono parole di Aaron il moro amato da Tamora.
 
Vediamo ora l’orrore nella Medea di Seneca
 Medea rivolge una preghiera nera anche alla luna perché si faccia vedere facie lurida (790), con aspettto squallido: "Sic face tristem pallida lucem/ funde per auras,/horrore novo terre populos/inque auxilium, Dictynna
[6], tuum/pretiosa sonent aera Corinthi" (Medea, vv. 792 - 796), Così con la fiaccola pallida devi versare una luce funesta per l'aria, così con un raccapriccio inaudito terrorizzare le genti, Dictinna, e in tuo aiuto risuonino i preziosi bronzi di Corinto.
Il rumore dei bronzi doveva fare riapparire la luna eclissata.
La fiaccola funerea torna nei versi successivi: "Tibi sanguineo caespite sacrum/solemne damus, /tibi de medio rapta sepulcro/ fax nocturnos sustulit ignes,/ tibi mota caputflexa voces/ cervice dedi,/tibi funereo de more iacens/passos cingit vitta capillos,/tibi iactatur tristis Stygia/ramus ab unda, tibi nudato/pectore maenas/ sacro feriam bracchia cultro" (vv. 797 - 807), a te offriamo un sacrificio solenne su zolla insanguinata, per te la fiaccola sottratta al sepolcro ha alzato fuochi notturni, per te scossa nel capo, piegato il collo ho pronunciato le formule, per te, disposta secondo il rito funereo, una benda mi cinge gli sparsi capelli, per te viene agitato il lugubre ramo portato dall'onda Stigia, per te a petto nudo, come una Menade, mi ferirò le braccia col sacro pugnale.
L'anafora del tibi ossessivamente ripetuto significa la devozione totale di Medea a questa dea .
Lo scuotimento della testa e la torsione del collo significa lo stato selvaggio della donna e ricorda un gesto della menade di Euripide: "
truferovn te plovkamon eij" aijqevra rJivptwn" (Baccanti , v. 150) che scaglia la molle chioma su nell’aria. Un ricordo che ho ravvisato anche in un quadro di Picasso del 1922 Deux femmes courant sur la plage .
Il ferimento del proprio corpo apre la via a quello dei figli: Medea prende dalla vista del suo sangue versato da lei stessa la spinta a spargere quello dei bambini:"Manet noster sanguis ad aras:/ assuesce, manus, stringere ferrum/ carosque pati posse cruores - /sacrum laticem percussa dedi" (vv. 807 - 811), il nostro sangue cola sull'altare: abìtuati, mano, a snudare la spada e a poter sopportare il sangue dei cari. Colpita ho versato il liquido sacro.
Medea si rende conto di contare troppo su Ecate e se ne scusa: il motivo dell'ossessione è sempre l’uomo che l’ha abbandonata: "Quodsi nimium saepe vocari/quereris votis, ignosce, precor:/causa vocandi, Persei, tuos/saepius arcus/ una atque eadem est/semper, Iason" (vv. 812 - 816), e se ti lamenti di essere invocata spesso, perdonami, ti supplico: la causa dell'invocare troppo spesso il tuo arco, figlia di Perse, è sempre una e la stessa, è sempre Giasone.


“Per moltissimi aspetti, il teatro di Seneca si prestava a incontrare una sua grande fortuna in epoca barocca. Dacché è un teatro di grandiose passionalità, di smisurate aspirazioni, di crolli risonanti, di cruente sensazionalità e di ipertrofie retoriche"
[7].
Do un altro esempio di cruenta sensazionalità senecana: nel Thyestes il nunzio racconta lo scempio compiuto da Atreo sui nipoti cotti quali vivande per il loro padre:"Stridit in verubus iecur;/nec facile dicam, corpora an flammae gemant" (vv. 770 - 771), stride sugli spiedi il fegato, e non potrei dire facilmente se gemano i corpi o le fiamme.
Quindi:"lancĭnat gnatos pater,/artusque mandit ore funesto suos" (vv, 778 - 779), il padre dilania i figlioli e con bocca sepolcrale mastica gli arti che sono suoi.
Meno particolareggiata e compiaciuta dell'orrifico è la tecnofagia vista dalla pur furibonda Cassandra nell' Agamennone di Eschilo. La donna invasata vede i bambini di Tieste che piangono la propria uccisione e le loro carni cotte (
ojptav" te savrka" ) divorate dal padre (v. 1097). 


 

[1] George Uscatescu, Seneca e la tradizione del teatro di sangue, "Dioniso" 1981, p. 387.
[2] Del 1314 .
[3] 1194 - 1259 Crudelis ut Nero (ndr)
[4] 1291 - 1329.
[5] George Uscatescu, op. cit,. p. 374
[6] Come la casta diva Artemide significa anche la luna.

[7] Marcello Pagnini, Seneca e il teatro elisabettiano, in "Dioniso" LII, 1981, p. 409.

 

 

La paura della donna (metus mulieris, genitivo soggettivo e oggettivo)

 

Tito Livio, Shakespeare, Seneca, Euripide, Giovenale

Catone il Vecchio si opponeva al lusso e alla libertas femminile da lui intesa già come licentia 
[1]. E' la paura della donna a suggerire al Catone di Tito Livio alcune parole sulla necessaria sottomissione della femina al fine di tenere sotto controllo una natura altrimenti riottosa .
Così si esprime il Censore quando parla, nel 195 a. C., contro l'abrogazione della lex Oppia che, dal 215, imponeva un limite al lusso delle matrone
[2] le quali erano scese in piazza proprio per manifestare a favore dell'annullamento della legge:" Maiores nostri nullam, ne privatam quidem rem agere feminas sine tutore auctore voluerunt, in manu esse parentium, fratrum, virorum...date frenos impotenti naturae et indomito animali et sperate ipsas modum licentiae facturas...omnium rerum libertatem, immo licentiam , si vere dicere volumus, desiderant… Extemplo simul pares[3] esse coeperint, superiores erunt "[4], (XXXIV, 2, 11 - 14; 3, 2) i nostri antenati non vollero che le donne trattassero alcun affare, nemmeno privato senza un tutore, e che stessero sotto il controllo dei padri, dei fratelli, dei mariti...allentate il freno a una natura così intemperante, a una creatura riottosa e sperate pure che si daranno da sole un limite alla licenza...desiderano la libertà, anzi, se, vogliamo chiamarla con il giusto nome, la licenza in tutti i campi…. appena cominceranno a esserci pari, saranno superiori.
 
Sentiamo anche il lunatico Re Lear (dramma del 1605) di Shakespeare: "Guardate quella signora che sorride in modo affettato, la cui faccia fa presagire neve dove il corpo si biforca whose face between her forks -latino furca - presages latino presagium - snow, che pronuncia con affettazione virtù that minces virtue (lat. minutia e virtus) e scuote il capo and does shake the head a sentir nominare il piacere to hear -
ajkouvw - of pleasure’s - placēre - name - nomeno[noma - ; la puzzola e il cavallo nutrito d'erba fresca non vanno là (alla lussuria) con un appetito più sfrenato with a more riotous appetite - appetitus - appĕtere.
Sotto la vita esse sono centauri, sebbene donne nella parte superiore (down from the waist they are centaurs, though women all above); solo fino alla cintola esse sono eredi degli dèi but to the girdle do the gods inherit (lat. heres); sotto è tutta del demonio beneath is all the fiend’s : lì c'è l'inferno, lì ci sono le tenebre there’s hell, - allied to cell small room, latino cella, stanzuccia - there’s dark, lì c'è il pozzo solforoso the sulphourous pit - puteus che brucia, che scotta, c'è il fetore (stench), c'è la consunzione" (King Lear, IV, 6).
 
Questa svalutazione e svilimento del corpo femminile, necessario a chi voglia liberarsi dall'irrazionale soggezione alla libidine erotica, si trova nel Secretum del Petrarca quando S. Agostino che vuole liberare l'animo di Francesco dai due errori più pericolosi, l'amore per la gloria e l'amore per Laura, mette in guardia il poeta dai pericoli connessi alla bellezza delle donne, effimera e ingannevole se non addirittura inesistente:"Pauci enim sunt qui, ex quo semel virus illud illecebrose voluptatis imbiberint, feminei corporis feditatem de qua loquor, sat viriliter, ne dicam satis constanter, examinent " (III, 68), sono pochi quelli che, da quando una volta sola abbiano assorbito quel noto veleno del piacere seducente, possono considerare abbastanza energicamente, per non dire con sufficiente costanza, la laidezza del corpo femminile.
 
Si può ricordare anche la terribilità di Medea nella tragedia di Euipide, 
deinhv tremenda e furente; il furor stesso incarnato, in quella di Seneca che abbiamo già ricordato.

Quindi Fedra, un’altra nipote del Sole in quanto sua madre Pasife è figlia del sole come Eeta, il padre di Medea. Le due perciò sono cugine
Aggiungo un paio di citazioni: la Fedra Seneca dice alla nutrice:"Quae memoras, scio/vera esse, nutrix; sed furor cogit sequi peiora. Vadit animus in praeceps sciens,/remeatque, frustra sana consilia adpetens" (vv. 178 - 181), so che quanto mi rammenti è vero, nutrice; ma il furore mi costringe a seguire il peggio. Il mio animo si avvia al precipizio e lo sa, poi torna a cercare invano sani propositi.
Sentiamo anche la Fedra dell'Ippolito di Euripide :"bisogna considerare questo:/il bene lo conosciamo e riconosciamo,/ma non lo costruiamo nella fatica (
oujk ejkponou'men: il bene topicamente costa povno" , fatica), alcuni per infingardaggine (ajrgiva" u{po),/ alcuni anteponendogli qualche altro piacere./ E sono molti i piaceri della vita:/lunghe conversazioni, l'ozio, diletto cattivo, (scolhv, terpno;n kakovn) l'irrisolutezza"(vv.379 - 385).
Anche la Medea di Euripide individua nel suo animo un prevalere della passione sui ragionamenti, quindi comprende che l'emotività, sebbene sia causa dei massimi mali, per gli uomini è più forte dei suoi propositi:" 
Kai; manqavnw me;n oi|a dra'n mevllw kakav, - qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn, - o{sper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'"" ( vv. 1078 - 1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione che è causa dei mali più grandi per i mortali", dice nel quinto episodio dopo avere preso la decisione folle di uccidere i figli.
Un'eco di questa situazione si trova nelle Metamorfosi di Ovidio dove Medea cerca di contrastare, senza successo. la passione per Giasone " et luctata diu, postquam ratione furorem/ vincere non poterat, "Frustra, Medea, repugnas." (VII, vv. 10 - 11), e dopo avere combattuto a lungo, dacché non poteva vincere la follia amorosa con la ragione, disse "ti opponi invano". 
Pochi versi più avanti questa Medea di Ovidio aggiunge:"sed trahit invitam nova vis, aliudque cupido,/mens aliud suadet: video meliora proboque/, deteriora sequor! quid in hospite, regia virgo,/ureris et thalamos alieni concipis orbis?" (VII, vv. 19 - 22), ma contro voglia mi trascina una forza mai sentita, altro consiglia il desiderio, altro la mente: vedo il meglio e l'approvo, seguo il peggio! Perché ragazza figliola di re ti infiammi per uno straniero, e desideri il talamo di un mondo estraneo?
 
Voglio introdurre un nuovo autore del quale non abbiamo ancora parlato: un tradizionalista latino attivo nei primi decenni del II secolo: Giovenale (55 - 140 d. C.).
Ci sono arrivate 16 satire piene di sdegno per i mutati costumi rispetto al tempo antico: “si natura negat, facit indignatio versum” (I, 79)
La sua indignatio flagella, tra gli altri, gli omosessuali i quali De virtute locuti clunem agitant (II, 20 - 21), poi l’ingiustizia: Dat veniam corvis, vexat censura columbas (II, 63), quindi i graeculi tuttologi e affamati "omnia novit/ Graeculus esuriens; in caelum, iusseris, ibit" (III, vv.77 - 78), e commedianti “natio comoeda est” (III, 100).
 Non manca la satira contro le abbuffate mostruose: la I satira descrive persone le quali
Comedunt patrimonia una mensa (I, 138 ) su una sola mensa divorano interi patrimoni. Poi vanno in bagno con il pavone non digerito nel ventre e muoiono
quanta est gula quae sibi totos
ponit apros, animal propter convivia natum
poena tamen praesens cum tu deponis amictus
turgidus et crudum pavonem in balnea portas
hinc subitae mortes atque intestata senectus (140 - 143)
 
Davanti a tanto decadimento difficile est saturam non scribere ( I, 30).
 
L’imperatore Adriano nel romanzo della Yourcenar lo mandò in esilio dopo questo giudizio:"ne avevo abbastanza di quel poeta ampolloso e corrucciato, non mi piaceva il suo grossolano disprezzo per l'Oriente e la Grecia, le sue affettate simpatie per la cosiddetta austerità dei nostri padri, e quel miscuglio di descrizioni particolareggiate del vizio e declamazioni inneggianti alla virtù che stuzzica i sensi del lettore e ne rassicura l'ipocrisia"
[5].
 
La satira VI di 660 versi è diretta contro le donne.
Faccio solo qualche citazione caustica
L’autore afferma che la donna romana del suo tempo si sarebbe accontentata più facilmente di un occhio che di un maschio solo:"unus Hiberinae vir sufficit? ocius illud/extorquebis, ut haec oculo contenta sit uno " (vv. 53 - 54 ) a Iberina basta un maschio solo? Più in fretta otterrai con la forza che si accontenti di un occhio solo.
Dalla requisitoria di Giovenale contro le donne si evince che il male deriva dal vertice del potere: Messalina viene presentata attraverso un ritratto espressionistico, deformante verso lo squallore: ogni volta che si accorgeva che Claudio dormiva, la meretrix Augusta (VI, 119) lo lasciava, indossato un cappuccio notturno, e accompagnata da una sola ancella. Poi, nascondendo il nigrum crinem (v. 120) sotto una parrucca bionda, entrava nel lupanare, riparato dal freddo con una vecchia tenda fatta di stracci cuciti insieme ("veteri centone 
[6] ", v. 121). Lì aveva una cella riservata: "tunc nuda papillis/prostitit auratis titulum mentita Lyciscae/ostenditque tuum, generose Britannice, ventrem!" (vv. 122 - 124), allora si metteva in vendita nuda con i capezzoli dorati facendo passare per suo il cartello di Licisca[7], e mostrava il ventre da cui eri nato tu, nobile Britannico![8].
Questa satira si chiude con l'affermazione che fra le tragiche mogli incontrate nel dramma greco, quelle ottime come Alcesti, a Roma non esistono: "Spectant subeuntem fata mariti/Alcestim, et similis si permutatio detur,/morte viri cupiant animam servare catellae!" (vv. 653 - 655), a teatro osservano Alcesti che si sobbarca il destino di morte del marito, ma se si desse la possibilità di un simile scambio, desidererebbero con la morte del marito salvare la vita della cagnetta. Di Clitennestre invece ce n'è dappertutto e queste di Roma sono armate più e meglio della Tindaride.
 
La moglie della satira sesta quando si trova sulla nave dove l’ha fatta salire il marito, gli vomita addosso, se invece segue l’amante, sta bene di stomaco, pranza in mezzo ai marinai, passeggia per la poppa e gode nel maneggiare le dure funi: “quae moechum sequitur, stomacho valet; illa maritum/convomit; haec inter nautas et prandet et errat/per puppem et duros gaudet tractare rudentis” (vv. 100 - 102)
 
 Sempre nella satira sesta, viene presentata come un incubo la verbosità femminile:"cedunt grammatici, vincuntur rhetores, omnis/turba tacet, nec causidicus nec praeco loquetur,/altera nec mulier; verborum tanta cadit vis,/tot pariter pelves ac tintinnabula dicas/pulsari; iam nemo tubas, nemo aera 
[9] fatiget:/una laboranti poterit succurrere Lunae", (vv. 438 - 443) si arrendono i grammatici, sono sconfitti i retori, tutta/ la folla tace, né l'avvocato né il banditore parlerà,/ né un'altra donna; cade una colossale quantità di parole,/che si direbbe che altrettanti catini e sonagli/ vengano percossi; nessuno oramai affatichi le trombe e gli ottoni:/una donna sola potrà soccorrere la luna in travaglio.
 
Giovenale trova scusabili Fedra e Medea se confrontate con tante donne romane
La pazzia con ira e rabies secondo Giovenale rendono meno esecrabili , i crimini di Medea e Procne assassine dei propri figli rispetto ai delitti delle matrone romane perpetrati per denaro o per il potere:"et illae/grandia monstra suis audebant temporibus, sed/non propter nummos. minor admiratio summis/ debetur monstris, quotiens facit ira nocentem /hunc sexum et rabie iecur incedente feruntur/praecipites… (VI, 644 - 649), anche quelle ai loro tempi osavano grandi mostruosità, ma non per denaro. Meno stupore si deve alle mostruosità somme, tutte le volte che è l'ira a rendere assassino questo sesso ed esse sono trascinate a precipizio dalla rabbia furiosa che brucia il fegato.

[1] Livio, XXXIV, 2, 11 - 14.
[2] Vietava tra l'altro di indossare vesti multicolori o di girare per Roma su un cocchio a doppio traino di cavalli.
[3] Evidentemente la parità fa paura ai maschi. Lo aveva già detto Marziale (40 ca - 104 d.C.) nella clausula di un suo epigramma:" Inferior matrona suo sit, Prisce, marito:/non aliter fiunt femina virque pares " (VIII, 12, 3 - 4), la moglie, Prisco, stia sotto il marito: non altrimenti l'uomo e la donna diventano pari.
[4]Tito Livio, Storie , XXXIV, 3, 2.
[5] Memorie di Adriano, p. 217.
[6] Il cento e il titulus del v. 123 li abbiamo già trovati nel bordello del Satyricon
[7] . Licisca, ragazza lupa, era un nome comune per le prostitute che mettevano un cartello con il nome e il prezzo.
[8] Britannico era il figlio di Claudio e Messalina fatto uccidere da Nerone.

[9]Il rumore di catini e campanelli doveva cacciare gli spiriti cattivi che provocano l'eclissi.

 

 

Plutarco (50 - 125 circa) nelle tragedie di Shakespeare (1564 - 1616)
 
Alcune tragedie di Shakespeare (il Giulio Cesare, l'Antonio e Cleopatra, il Coriolano ) dipendono da Plutarco che il drammaturgo inglese leggeva nella traduzione (del 1579) di Thomas North fatta su quella francese (del 1559) del vescovo Amyot che tradusse pure i Moralia (1572)
[1].
Nonostante la doppia traduzione ci sono, soprattutto nel Coriolano , situazioni e frasi che riproducono gli originali di Plutarco, tanto che Elias Canetti in un passo
[2] de La provincia dell'uomo , afferma che " Plutarco non è affatto schizzinoso. Nelle sue pagine accadono cose terribili, come nelle pagine del suo seguace Shakespeare".

Shakespeare, Giulio Cesare (1599 - 1600)
 
Il potere non vuole che gli uomini siano snelli e pensino.
Cesare dice ad Antonio: “Let me have men about me that are fat/sleek - headed men, and such as sleep a - nights. - Yond Cassius - has a lean and hungry look;/he thinks too much; such men are dangerous”, intorno a me ci siano uomini grassi con la testa curata e che dormano la notte ( Giulio Cesare, I, 2, 191 - 194), quel Cassio ha l’aria dello snello affamato; pensa troppo; uomini del genere sono pericolosi.
 
Quindi Cesare aggiunge: Would he were fatter” (I, 2), vorrei che fosse più grasso. Legge molto, è un grande osservatore, sa scrutare. Non lo temo ma se il mio animo fosse soggetto al timore, non conosco uomo che eviterei più prontamente di quell’asciutto Cassio as that spǎre Cassius. 
Tra l’altro he loves no plays, as tou dost, Antony; he hears no music (I, 2, 197 sgg.)
 
Forse anche Cassio considera la musica “politicamente sospetta”, come il Settembrini della Montagna incantata di T. Mann
 Disse che non gli piaceva ascoltare la musica a comando e quando puzzava di farmacia e veniva inflitta per ragioni sanitarie. - La musica è qualcosa di non completamente articolato, di ambiguo, di irresponsabile, di indifferente. Nutro nei confronti della musica un’avversione politica: l’ho in sospetto di quietismo. Settembrini è un cultore della parola doppiamente articolata in significanti e significati.
 La musica deve essere preceduta dalla letteratura. Da sola è pericolosa e non fa progredire il mondo. E’ ambigua e politicamente sospetta
Può fare l’effetto degli oppiacei che provocano servile ristagno
[3].
Settembrini dunque nutre il sospetto che la musica sia reazionaria
 
Del resto Platone nella Repubblica sostiene che l’educazione deve constare di ginnastica e musica perché il ragazzo non rimanga più molle né più rozzo del necessario. (
tou' devonto"). Certamente la musica deve essere educativa, armoniosa, ordinata, deve contenere il lovgo", non indurre a disordinate trasgressioni.
Lo scopo della ginnastica è la formazione del coraggio. Anche la ginnastica forma l’anima. Quelli che usano solo ginnastica però sono 
ajgriwvteroi tou' devontoς, quelli che praticano solo la musica sono malakovteroi (410 d)
 
Cesare non teme Cassio anche se Cassio è da temere: I rather tell thee what is feared - rather than I fear; for always I am Caesar (I, 2, 197). Cfr. Medea superest ( Seneca, Medea, v. 166) , e I am Antony yet ( Antonio e Cleopatra III, 13).
 
Ora sentiamo Plutarco
Cesare sospettava di lui. Una volta disse agli amici: “ 
tiv faivnetai boulovmenoς uJmi'n Kassioς ; ejmoi; me;n ga;r ouj livan ajrevskei, livan wjcro;ς w[n” (Vita di Cesare, 62, 10), che cosa vi sembra che voglia Cassio? A me infatti non piace troppo, è troppo pallido.
Un’altra volta che sentì accusare di sedizione Antonio e Dolabella, Cesare disse: “
ouj pavnu touvtouς devdoika tou;ς pacei'ς kai; komhvtaς , ma'llon de; tou;ς wjcrou;ς kai; leptou;ς ejkeivnouς”, Kavssion levgwn kai; Brou'ton (62, 10), non ho paura di questi che sono grassi e con i capelli curati, ma piuttosto di quelli pallidi e magri, intendendo Bruto e Cassio.
 
Lo stesso concetto, con parole non tanto diverse scrive Plutarco nella Vita di Bruto (8, 2): 
kai; prw'ton me;n j Antwnivou kai; Dolobevlla legomevnwn newterivzein, oujk e[fh pacei'" kai; komhvta" ejnoclei'n aujto;n ajlla; tou;" wjcrou;" kai; ijscnouv" , di Antonio e Dolabella si diceva che complottavano, e Cesare disse subito che non lo turbavano gli uomini grassi e capelluti ma quelli pallidi e snelli
 
Il potere non si associa alla pietà e al rimorso
 
All’inizio del II atto, Bruto dice: th’abuse of greatness is when it disjoins - latino disiungo - remorse from power, l’abuso della grandezza avviene quando essa disgiunge il romorso dal potere (Giulio Cesare, II, 1, 18 - 19).
Cfr. l’ Aiace di Sofocle quando Odisseo dice che non odia più il nemico morto, lo faceva quando odiarlo era cosa nobile in quanto Aiace era nemico “
[egwg j ejmivsoun d’ hJnivk j h\n misei'n kalovn (1347).
Agamennone risponde: 
to;n toi tuvrannon eujsebei'n ouj rJa/dion” 1350), non è facile che un uomo di potere abbia pietà.
 
Le tante parole neolatine in Shakespeare
Quanto alla citazione manzoniana tratta dal “barbaro che non era privo d’ingegno” (“tra il primo pensiero d’una impresa terribile, e l’esecuzione di essa l’intervallo è un sogno pieno di fantasmi e di paure, I promessi sposi, VII cap,), l’inglese di Shakespeare in certi momenti è più vicino al latino di quanto lo sia l’italiano di Manzoni il codificatore della lingua media scritta: “between the acting (ago, actus tra l’attuazione) of a dreadful thing and the first motion (cfr. motio e motus di una cosa spaventosa e il primo impulso), all the interim (è l’avverbio latino interim=nell’intervallo) is like a phantasma (greco 
favntasmalat phantasma) or a hideous (lat. hispidusdream, orrendo sogno (Giulio Cesare, II, 1, 63 - 65)
E’ Bruto che ha parlato a se stesso.

 

[1]Traduzioni approvate, da Montaigne che, qualche anno più tardi, scrive nei Saggi:" Io do giustamente, mi sembra, la palma a Jacques Amyot su tutti i nostri scrittori francesi, non solo per la semplicità e la purezza del linguaggio, nella quale supera tutti gli altri, né per la costanza di un così lungo lavoro, né per la profondità del suo sapere, poiché ha potuto volgarizzare così felicemente un autore tanto spinoso...ma soprattutto gli sono grato di aver saputo discernere e scegliere un libro tanto degno e tanto appropriato per farne dono al suo paese. Noialtri ignoranti saremmo stati perduti se questo libro non ci avesse sollevato dal pantano; grazie a lui, osiamo ora e parlare e scrivere; le signore ne dànno lezione ai maestri di scuola; è il nostro breviario"(II, 4, pp. 467 - 468).
[2]In Opere 1932 - 1973 , trad. it. Bompiani, Milano, 1990, p. 1812.
[3] T. Mann, La Montagna incantata, IV capitolo Politicamente sospetta! (p. 159)

 

 

La congiura contro Cesare. Il coraggio di Porzia, moglie di Bruto e il darsi animo di Cesare. L’uccisione di Cesare
 
I congiurati decidono di tenere fuori Cicerone
Bruto dice l’ Arpinate che non seguirà mai una cosa iniziata da altri, e Casca: “indeed he is not fit” - latino factus ( Shakespeare, Giulio Cesare, II, 1, 153) non è adatto.
 
Plutarco nella (Vita di Bruto, 12, 2) racconta che a Cicerone il progetto non fu reso noto poiché era 
ejndeh;ς tovlmhς fuvsei difettoso di audacia per natura e con l’età aveva assunto per giunta la tipica cautela dei vecchi gerontikh;n eujlavbeian.
 
Poi escono i congiurati ed entra Porzia cugina e moglie di Bruto, e pure figlia di Catone, zio di Bruto.
Chiede a Bruto di essere messa al corrente di quanto hanno tramato quei sei o sette uomini who hide - greco 
keuvqein - their faces - even from darkness (II, 1, 277 - 278) che nascondevano i volti perfino all’oscurità.
Domanda al marito: “dwell I but in the suburbs - of your good pleasure”? (285 - 286), abito io solo alla periferia del tuo piacere?.
Quindi dice a Bruto: “ sono una donna, ma una donna ben reputata (well reputed - latino repǔto 295). Sono figlia di Catone.
Non credi che sia più forte del mio sesso con un tale padre e un tale marito? Ho dato una forte prova della mia costanza (I have made strong proof – latino proba, probo - of my constancy - procurandomi una ferita volontaria sulla coscia giving myself a voluntary - latino voluntarius - wound –here. in the thigh. Posso sopportare questa con coraggio e non i segreti di mio marito?”.
Bruto allora disse: o dei rendetemi degno di questa nobile moglie! (Giulio Cesare, II, 1, 299 - 301).
Cfr. Plutarco (13). Porzia si era ferita a una coscia con uno di quei coltelli che usano i barbieri per tagliare le unghie. Disse: sono figlia di Catone e moglie di Bruto e dicendo così 
deivknusin aujtw'/ to; trau'ma kai; dihgei'tai thn pei'ran, gli mostra la ferita e gli racconta la prova (Vita di Bruto, 13, 11).
 
Per quanto riguarda il darsi animo dei personaggi tragici, Giulio Cesare dice alla moglie Calpurnia spaventata dai presagi: “The things that threatened (latino trudotrusi, trusum, spingo) me - ne’er looked but on my back; when they shall see - the face (lat. facies), of Caesar, they are vanished” (lat. vanesco) (II, 2, 10 - 12), le cose che mi hanno minacciato, hanno visto soltanto la mia schiena, quando vedranno la faccia di Cesare saranno svanite
E poco dopo Cesare conclude che non resterà a casa: “Danger knows full well –that Caesar is more dangerous than he” (II, 2, 44 - 45), il pericolo sa bene che Cesare è più pericoloso di lui.
 
Cesare dice all’indovino: The ides of March are come - e quello risponde: “Ay Caesar, but not gone”, sì ma non sono passati. (III, 1, 1 - 2)
 
 E in Plutarco: Cesare entrando in senato salutò l’indovino e gli disse 
aiJ me;n dh; Mavrtiai Eijdoi; pavreisin, le Idi di Marzo sono qui; e quello con calma (hJsuch'/) naiv, pavreisin, ajll j ouj parelhluvqasi (63) sì, ma non sono trascorse.
 
Nel Giulio Cesare III, 1, 78 il dittatore domanda in latino” Et tu Brute? Then fall Caesar!
 In Svetonio Cesare fa: 
Kai; su; tevknon ; (Caesaris Vita, 82). Forse allude al fatto che Servilia, la madre di Bruto, sorella di Catone Uticense era stata amante di Cesare il quale si era persuaso che Bruto fosse suo figlio ( Plutarco, Vita di Bruto, 5, 2.).

 

 

Le metafore nautiche sono frequenti nella letteratura antica
Sentiamone una nel Giulio Cesare (IV, 3, 217 - 220): “There is a tide in the affaire of men, c’è una marea nelle cose degli uomini (qui tide del resto svolge pure la funzione di 
kairovς, l’occasione, il momento opportuno) which taken at the flood, leads on to fortune, che presa nel flusso, conduce al successo, omĭtted (lat. omitto lascio perdere) all the voyage of their life is bound in shallows and in miseries, tutto il viaggio della loro vita è arenato in secche e disgrazie (lat. miseriae).
E’ Bruto che parla con Cassio il quale vorrebbe procrastinare la battaglia decisiva.
Per quanto riguarda il nesso con l’occasione, questa volta ricordo Isocrate il quale prescrive: 
tw'n kairw'n mh; diamartei'n (Contro i sofisti , 16), di non fallire l'occasione.
L’argomento dell’occasione torna nell’ Antonio e Cleopatra (1607) dove Menas disprezza Sesto Pompeo che non vuole sfruttare l’occasione di ammazzare i tre compropietari del mondo three world - sharers ospiti nella sua nave e dice a se stesso: “I’ll never follow thy pall’d fortune more - who seeks and will not take, when once ‘tis offer’d - shall never find it more” (II 7, 81 - 83), non seguirò più la tua svigorita fortuna: chi cerca e non prende una cosa quano gli viene offerta, non la troverà più.
 
I due Cesaricidi hanno fatto una discussione nella quale il mio maestro di letteratura inglese Carlo Izzo ha rilevato una “drammaticità tonale” quando Bruto accusa Cassio di avere affermato di essere miglior soldato di lui e Cassio risponde
You wrong me every way; you wrong me, Brutus/I said an elder soldier, - old da una radice indoeuropea *al - che si vede in lat. alo, nutro - not a better:/did I say better?” (Giulio Cesare, IV, 3, 55 - 56), tu mi fai torto un ogni modo, tu mi fai torto, Bruto: ho detto un soldato più anziano, non migliore; ho detto forse migliore?
 
L’uomo teme di essersi lasciato trasportare dall’ira e la battuta contiene il tono con cui va pronunciata,
 
Una notte in cui Bruto non riusciva a dormire, vide una mostruosa apparizione (monstruos apparitionGiulio Cesare, IV, 3, 276). Le chiede se fosse some angel or some devil, che rende freddo il sangue e fa rizzare i capelli.
Lo spirito risponde Thy evil (probably allied to over, über, 
uJpevr, super, quindi eccessivo) spirit - spiritus soffio, Brutus, il tuo cattivo genio (281)
 Bruto gli chiede Why com’st thou?
E The Ghost: To tell thee thou shalt see me at Philippi.
E Bruto“Why, I will see thee at Philippi then” (Giulio Cesare, IV, 3, 282 - 283 )
 
In Plutarco, Bruto ebbe la visione spaventosa di un uomo orribile
 per grandezza e dall’aria feroce
o[yin ei\de fobera;n ajndro;ς ejkfuvlou to; mevgeqoς kai; calepou' to; ei\doς ( Vita di Cesare, 69, 10).
Gli chiese chi fosse, e il fantasma rispose:
oJ so;ς w\ Brou'te daivmwn kakovς: o[yei dev me peri; Filivppouς” ( Vita di Cesare 69, 11).
Allora Bruto coraggiosamente rispose ti vedrò. 
Tovte me;n ou\n Brou'toς eujqarsw'ς –o[yomai ei\pe.
 
Parole molto simili si trovano nella Vita di Bruto ( 
kai; oJ Brou'to" ouj diataracqei;" oyomai ei\pen 36, 7)
 
In Giulio Cesare V, 1, 10 Antonio usa un efficace ossimoro: fearful bravery, pauroso ardire. a proposito dei nemici, i Cesaricidi che vogliono mostrare, simulando, di avere coraggio
Poco dopo ( 34 - 35) Cassio dice ad Antonio venuto a parlamentare your words - verba - they rob the Hybla bees and leave them honeyless, le tue parole derubano le api di Ibla e le lasciano senza miele.

La fioritura di Ibla è ricordata nel Pervigilium Veneris (vv. 49 - 52), un carme anonimo di 93 settenari trocaici, forse del IV secolo Hybla totos funde flores, quidquid annus adtulit/ Hybla florum sume vestem, quantus Aetnae campus est (51 - 52), Ibla diffondi tutti i fiori che il nuovo anno portò, Ibla prendi una veste di fiori per quanto si distendono i campi dell’Etna. Venere assistita dalle Grazie vuole che il suo tribunale sia colmo di fiori iblei. Il monte Ibla è in Sicilia ma le api sono tutte iblèe.
Il monte Ibla era famoso per il miele delle sue api. Nella I ecloga di Virgilio il fortunatus senex Titiro che ha conservato il sio podere grazie a una raccomandazione potrà rimanere inter flumina nota et fontes sacros e vicino alla saepes Hyblaeis apibus depasta florem salicti v. 54 divorate dalle api iblèe del fiore del salice. Queste gli concilieranno il sonno con lieve sussurro (vv. 51 - 55)
 
Antonio ribatte dicendo di avere lasciato il pungiglione alle api.
Ma Bruto replica che ha preso anche quello e pure il loro ronzio (buzzing) e prima di pungere astutamente minaccia (and very wisely threat before you sting, 38)
 
Bruto salutando Cassio suicida dice: “The last of all the Romans, fare the well! (Giulio Cesare, V, 3, 99).
 
Cassio è stato definito l’ultimo dei Romani da Cremuzio Cordo.
 
Tacito negli Annales ricorda i misfatti della tirannide di Tiberio quando i libri degli oppositori venivano condannati: “Cornelio Cosso Asinio Agrippa consulibus, Cremutius Cordus postulatur novo ac tunc primum audito crimine, quod editis annalibus, laudatoque M. Bruto, C. Cassium Romanorum ultimum dixisset” ( IV, 34), sotto il consolato di Cornelio Cosso e Asinio Agrippa
[1] viene citato in giudizio Cremuzio Cordo per un delitto nuovo e sentito allora per la prima volta: pubblicati degli Annali con la celebrazione di M. Bruto, egli aveva chiamato Cassio l'ultimo dei Romani.
Si ricordino anche i casi di alti storoiografi martiri: Tito Labieno sotto Augusto e Trasea Peto con Nerone .
 
 Bruto dice a Clito che gli ha riferito della cattura o dell’uccisione di Statilio avvicinatosi al campo nemico per contare i morti: “slaying is the word; - it is deed in fashion - latino factio diritto di fare e partito - ” (V, 5, 6 - 7), uccidere è la parola; è un’azione che va di moda.
Quindi Bruto si uccide aiutato da Stratone, e Antonio ne fa l’elogio funebre: era il più nobile di tutti quelli, tutti cospiratori tranne lui: “This was the noblest Roman of them all - all the conspirators - lat conspīro - save - lat salvus - only he” (Giulio Cesare, V, 5, 68 - 69)
 
Nella Vita di Bruto, Plutarco scrive che molti sentirono dire da Antonio che Bruto tra i cesaricidi era l’unico spinto da nobili ideali; gli altri avevano ordito il complotto 
misou'ntaς kai; fqonou'ntaς (Vita di Bruto, 29, 7) per odio e per invidia.
 
Leopardi nel Bruto minore del 1821 fa dire a Bruto in procinto di uccidersi “stolta virtù” (16)
Guerra mortale, eterna, o fato indegno, - teco il prode guerreggia, - di cedere inesperto
[2] (8 - 40)
 “ In peggio - precipitano i tempi; e mal s’affida - a putridi nepoti - l’onor d’egregie menti” (112 - 115).
 Il pathos è un elemento della ragione.
Cesare quale scrittore “tucididèo”, ossia razionale, alieno dal 
mu'qo".
Cfr. il passaggio del Rubicone di Cesare in Svetonio, molto diversi dal quello raccontato nel De bello civili dove Cesare
Un uomo che suonava il flauto, afferrò una tromba, diede il segnale di battaglia e si diresse all’altra riva.
Allora Cesare : “eatur, inquit, quo deorum ostenta et inimicorum iniquitas vocat. Iacta alea esto” (Svetonio, Caesaris vita, 32).
 
Nella sua opera sulla Guerra civile, questo condottiero non fa cenno a quell’ispirazione divina a cui i suoi contemporanei ricondussero la sua grande decisione della notte fra il 10 e l’11 gennaio: il passaggio del Rubicone. Il Cesare di tutti noi, è, ancor oggi, l’uomo che disse allora: “il dado è tratto”; questo non è il Cesare del Bellum civile, ma il Cesare delle Historiae scritte dal suo ufficiale più “indipendente” e acuto: Asinio Pollione.
Nel suo racconto Cesare aveva voluto esporre le ragioni storico - giuridiche della decisione presa, “condensate” in un’arringa ai soldati (B. C. I, 7)”
[3].
Ne De bello civiliCaesar apud milites contionatur , e denuncia il fatto che nella repubblica si sia introdotto novum exemplum…ut tribunicia intercessio armis notaretur atque opprimeretur” (I, 7), il veto dei tribuni veniva censurato e soffocato con le armi. Perfino Silla che aveva spogliato la tribunicia potestas, tamen intercessionem liberam reliquisse. Bisognava dunque andare a Roma per ripristinare la legalità.
“Asinio, che ancora portava nell’animo il ricordo fascinoso del capo, e tuttavia voleva a suo modo esercitare una critica “indipendente”, dipinse invece un “passaggio del Rubicone” in cui il lettore ritrovava ancora l’ansia e la gravità di quella decisione suprema”. Il racconto di Asinio lo ricostruiamo attraverso storici più tardi
[4]. “Tra il racconto di Cesare, scritto forse verso il 46 a. C., e quello di Asinio, che cominciò le sue Historiae verso il 30, corrono quindici anni, o più; ma la differenza non è solo nelle date; è più significativa e radicale; Cesare, scrittore “tucididèo”, ossia razionale, non poteva intendere abbastanza i momenti irrazionali della sua stessa impresa…le Historiae di Asinio potevano riflettere la vera situazione, in maniera più adeguata, senza preoccupazioni apologetiche…Il Cesare autentico è però un incontro della razionalità tucididèa…con la passione politica, che lo animò in questi momenti decisivi”[5].
 
Cesare “Non permetteva, anche se ciò possa deluderla, che il suo cuore disponesse della sua testa”
[6].
 C
fr. viceversa Medea: :" Kai; manqavnw me;n oi|a dra'n mevllw kakav, - qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn, - o{sper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'"" (Euripide, Medea, vv. 1078 - 1080),
E capisco quale abominio sto per osare,
ma più forte dei miei proponimenti è la passione
che è causa dei mali più grandi per i mortali (1078- 1080)

Il fatto è che queste due componenti della persona sono intrecciate: il Giulio Cesare di Plutarco (50 - 120 d. C.) nel momento di gettare il dado, ossia di infrangere le leggi lanciandosi oltre il Rubicone (gennaio del 49 a. C.), sintetizza emotività e calcolo: agisce "
Tevlo" meta; qumou' tino" w[sper ajfei;" eJauto;n ejk tou' logismou' pro;" to; mevllon" (Vita di Cesare , 32), in definitiva con impulso, come se si lanciasse verso il futuro partendo dal ragionamento.
Il pathos è un elemento della ragione nelle persone intelligenti.
 

[1] Nel 25 d. C.
[2] Cfr. Orazio Carm. I, 6, cedere nescii (detto di Achille) 
[3] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 199 - 200.
[4] P. e. Svetonio, Caesaris vita, 32.
[5] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 201.

[6] B. Brecht, Gli affari del signor Giulio Cesare, p. 22.

 

 

Shakespeare Riccardo III e Riccardo II. Plutarco, Seneca, Euripide
un poco di inglese comparato al latino
 
L’ipocrisia e la perfidia del principe


Riccardo III, è “il principe che ha letto Il Principe. La politica è per lui pura pratica, un’arte il cui fine è governare. Un’arte amorale come quella di costruire i ponti o come una lezione di scherma. Le passioni umane sono argilla, e anche gli uomini sono un’argilla di cui si può fare quel che si vuole.”
[1]
Riccardo viene aizzato dai suoi alleati a vendicarsi dei suoi nemici: “But then I sigh, and, with a piece of Scripture, - Tell them that God bids us do good for evil: And thus I clothe my naked villainy - With odd old ends stol’n forth of Holy Writ - And seem a saint, when most I play the devil” (I, 3), ma allora io sospiro, e, con un brano della Scrittura, dico loro che Dio ci ordina di rendere bene per male: e così rivesto la mia nuda scelleratezza con occasionali vecchi scampoli carpiti della Sacra Scrittura, e sembro un santo quando più faccio il diavolo. 
Riferisco un motto di Lisandro il comandante della flotta spartana che concluse la guerra del Peloponneso sconfiggendo gli Ateniesi: egli se la rideva di quanti stimavano che i discendenti di Eracle dovessero sdegnare di vincere con il tradimento e raccomandava sempre: "
o{pou ga;r hJ leonth' mh; ejfiknei'tai prosraptevon ejkei' th;n ajlwpekhvn" dove di fatto non giunge la pelle del leone, bisogna cucirle sopra quella della volpe" (Plutarco, Vita di Lisandro, 7, 6).
La perfidia plus quam punica
[2] di Annibale e quella italica di Machiavelli hanno avuto dei maestri greci. 
Nel XVIII capitolo di Il Principe, Machiavelli ricorda "come Achille e molti altri di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li costudissi". E ne deduce:"Il che non vuol dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia et uno mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l'una e l'altra natura; e l'una sanza l'altra non è durabile. Sendo dunque uno principe necessitato sapere usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe et il lione; perché il lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi. Bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può, per tanto, uno signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere".
 

La facciata del potere è attraente, ma dentro il palazzo c’è il dolore.


La constatazione del sangue umano che scorre nella corte viene denunciata da Donalbain, un figlio del re vecchio assassinato dal nuovo re, da Macbeth :"qui dove siamo ci sono pugnali nei sorrisi degli uomini: il vicino per sangue è il più vicino all'essere sanguinario (Macbeth 2, 3).

 

Ione  sostiene la superiorità della vita ritirata su quella impegnata o tesa al potere che viene smontato del tutto :"del potere lodato a torto/l'aspetto è dolce, ma dentro il palazzo/c'è il dolore  (tajn dovmoisi de;- luphrav): chi infatti è felice, chi fortunato/se, temendo e guardando di traverso (dedoikw;" kai; parablevpwn), trascina/il corso della vita? Preferirei vivere/da popolano felice piuttosto che essendo tiranno ("dhmovth" a]n eujtuch;"-zh'n a]n qevloimi ma'llon h] tuvranno" w[n"),/il quale si compiace di avere amici malvagi,/mentre odia i generosi per paura di attentati " (Ione, vv. 621-628).

 

E' questa un'affermazione ricorrente nell'opera euripidea: torna nell' Ifigenia in Aulide  dove lo stesso Agamennone, richiesto di sacrificare la vita della primogenita , dice a un vecchio servo:" ti invidio, vecchio,/invidio tra gli uomini quello che passa una vita/senza pericoli, ignorato, oscuro (ajgnw;" ajklehv" );/ quelli che stanno tra gli onori li invidio di meno"(17-20).

 
La paura del despota metus tyranni: genitivo soggettivo e oggettivo
Nell' Edipo re di Sofocle, Creonte mette in rilievo la paura che circonda il potere assoluto il quale pertanto non dovrebbe essere desiderabile da parte di una persona ragionevole: "Considera questo anzitutto, se ti sembra che uno potrebbe/scegliere di comandare con paura (
a[rcein xu;n fovboisi) piuttosto che/riposando tranquillo, se avrà proprio lo stesso potere. /Ed io dunque né per mia natura desidero/ essere personalmente tiranno piuttosto che fare le cose del tiranno/né chiunque altro sia in grado di ragionare" (vv. 584 - 589).
 
Un doppio ruolo sintetizzato bene da Creonte nell'Oedipus di Seneca: "Qui sceptra duro saevus imperio regit,/timet timentes; metus in auctorem redit ". (vv. 703 - 704), chi tiene crudelmente lo scettro con dura tirannide, teme quelli che lo temono; la paura ricade su chi la incute
Nella Fedra senecana la nutrice commenta la dira libido della regina associandola alla sorte socialmente elevata (magnae comes fortunaeFedra, v. 206), Viceversa una sancta Venus, parvis habitat in tectis (v. 211) ed è il medium vulgus ad avere sanos affectus (v. 212). I ricchi e i potenti regnanti sono insaziabili: plura quam fas est petunt (v. 214). La sentenza finale è: “Quod non potest vult posse qui nimium potest” (v. 215), chi è troppo potente vuole potere l’impossibile.
 
Il quarto coro commenta la morte di Ippolito con queste parole:" Quanti casus humana rotant! Minor in parvis Fortuna furit,/leviusque ferit leviora Deus;/servat placidos obscura quies,/praebetque senes casa securos" (Fedra, vv. 1123 - 1127), quante cadute fanno girare le umane vicende! sugli umili la Fortuna infuria di meno, e dio più debolmente colpisce i più deboli; un'oscura tranquillità conserva gli uomini in pace e una casetta presenta vecchi tranquilli. Il fatto è che la fortuna volubile non mantiene le sue promesse a nessuno: “nec ulli praestat velox/Fortuna fidem! ”(vv. 1142.1143).
 
In forma meno sintetica Cicerone fa la stessa denuncia nel De officiis
[3]: “Qui se metui volent, a quibus metuentur, eosdem metuant ipsi necesse est” ( II, 24), quelli che vorranno essere temuti, è inevitabile che essi stessi temano quelli dai quali saranno temuti.
 
 
Il disincanto del potere
 
Il potere è un bene apparente
Nel Riccardo II di Shakespeare si legge che la Morte tiene la corte nella corona cava (within the hollow crown) che cinge le tempie mortali di un re e là siede beffarda schernendo il suo stato con un ghigno alla sua pompa and grinning at his pomp.
 
 Riccardo II
[4] deposto da Bolingbroke che sarà Enrico IV espone “le tristi storie delle morti dei re”
For God
’sake let us sit upon the ground per amor di Dio, sediamoci sulla terra
And tell sad –latino satur- stories of the death of kings: e raccontiamo le tristi storie della mote dei re
How some have been deposed, some slain in war, come alcuni vennero deposti, altri uccisi in guerra
Some haunted by the ghosts they have deposed, altri ossessionati dai fantasmi di quelli che avevano deposto
Some poisoned by their wives, some sleeping kill’d, alcuni avvelenati dalle mogli, altri assassinati nel sonno
All murdered (latino mors) tutti morti ammazzati
 For within the hollow crown - latino corona - greco 
korwvnh: corvo e coronamento
perchè dentro la vuota corona
That rounds - latino rotundus - the mortal temples (lat. tempora) of a king
Che cinge le tempie mortali di un re
Keeps death his court; and there the antic sits, latino sedēre,greco
e[zomai -
 tiene corte la morte e là si insedia beffarda,
 Scoffing his state and grinning
[5] at his pomp - latino pompa greco pomphv processione, corteo,
schernendo il suo stato e ghignando alla sua pompa
Allowing - him a breath, a little scene - latino scena - greco 
skhnhv - ,
concedendogli un breve respiro, una particina
To monarchize, be fear’d - and kill with looks,
 fare il re, incutere timore fulminare con lo sguardo -
Infusing him with self and vain latino vanum  conceit-cfr. to conceive e latino concipere
riempiendolo di sé e di vuote illusioni,
As if this flesh which walls - latino vallum palizzata - about our life
Come se questa carne che cinge di mura lo spirito
Were brass impregnable; and humour’d thus,
fosse bronzo indistruttibile; e dopo averlo compiaciuto così
Comes at the last, and with a little pin latino - pinna penna, ala, freccia
Viene alla fine e con un piccolo spillo
Bores - latino. forare - through his castle latino castrum diminutivo castellum wall, and farewell king!
Perfora le mura del palazzo e addio re!
Cover your heads, and mock not - latino muccare, soffiarsi il naso - flesh and blood
Copritevi le teste e non canzonate un impasto di carne e di sangue
With solemn reverence, throw away respect latino respicio respectus con solenni riverenze, gettate via rispetto
Tradition, form, and ceremonious - latino caerimonia - duty; tradizione formalità e il dovere dell’etichetta
For you have but mistook me all this while, poiché mi avere frainteso per tutto questo tempo.
I live with bread, like you; feel want, vivo di pane come voi, sento desideri
Taste - ( latino tardo taxitare forma iterativa di taxare intensivo di tangere) - grief - latino gravis - , need friends, assaporo il dolore ho bisogno di amici.
Subjected - latino subiectus - thus , Così asservito
How can you say to me I am a king?
(Riccardo II, III, 2, 155 - 177)
 come posso dire di essere un re?
Nelle Troiane di Euripide, Ecuba constata che il 
polu;~ o[gko~ , il grande vanto degli antenati era oujdevn, niente, era un gonfiore che si è dissolto.
O grande vanto umiliato
Degli avi, come davvero eri un nulla! (vv. 108 - 109)
 
 

[1] Jan Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, p. 42.
[2] Tito Livio, Storie, XXI, 4.
[3] Del 44 a. C.
[4] Riccardo II Plantageneto (Bordeaux6 gennaio 1367 – Pontefract14 febbraio 1400) è stato re d'Inghilterra dal 1377 al 1399. La tragedia di Shakespeare è del 1595.
[5] Cfr. il gatto del Cheshire, lo stregatto che Alice vede appollaiato in cima a un albero scomparire a poco a poco cominciando dalla punta della coda, finché rimane solo un grin, una sorta di ghigno in forma di riso (Alice nel paese delle meraviglie, di Lewis Carrol, 1865). all right”, said the Cat, and this time it vanished quite slowly, beginning with the end of the tail, and ending with the grin, which remained some time after the rest of it had gone. “Well I’ve often seen a cat without a grin” thought Alice; “but a grin without a cat! It’s the most curious thing I evere saw in all my life!” (capitolo VI Pig and pepper, porco e pepe). Il nonsense e la morte 

 

 

La Medea di Seneca e lady Macbeth di Shakespeare
 
Donne che vogliono defemminizzarsi
Medea pensa di incenerire l'istmo di Corinto e di assumere la ferocia massima negando la propria femminilità: "Per viscera ipsa quaere supplicio viam,/si vivis, anime, si quid antiqui tibi/remanet vigoris; pelle femineos metus/et inhospitalem Caucasum mente indue./Quodcumque vidit Pontus aut Phasis nefas,/videbit Isthmos. Effera ignota horrida,/tremenda caelo pariter ac terris mala/mens intus agitat: vulnera et caedem et vagum/funus per artus " (vv. 40 - 48), attraverso le viscere stesse cerca la via per il castigo, se sei vivo, animo, se ti rimane qualche cosa dell'antico vigore; scaccia le paure femminili e indossa mentalmente il Caucaso inospitale. Tutta l'empietà che il Ponto o il Fasi hanno visto, le vedrà anche l'Istmo. La mia mente medita dentro di sé malvagità feroci, inaudite, terrificanti, terribili per il cielo parimenti e per le terre: ferite e strage e un cadavere disperso tra le membra.
Il Caucaso situato tra il Mar Caspio e il Mar Nero significa un luogo selvaggio
[1] che, indossato psicologicamente, rende la persona selvaggia :" un ambiente fisico reale - sorgente, primavera, albero, crocicchio - è animato (…) Le nostre anime sulla terra accolgono la terra nelle nostre anime (…) La vita ecologica è anche vita psicologica. E se l'ecologia è anche psicologia, allora il "Conosci te stesso" diviene impossibile senza il "Conosci il tuo mondo "[2].
 
Pure Lady Macbeth vuole defemminilizzarsi quando invoca gli spiriti che apportano pensieri di morte: "unsex me here", snaturatemi il sesso ora, e riempitemi dalla testa ai piedi della crudeltà più orrenda (of direst latino dirus cruelty). Il sangue di cui gronda la tragedia, nel suo corpo deve addensarsi e chiudere ogni via di accesso al rimorso ( Macbeth, I, 5). Quindi la donna chiama una densa notte che giunga avvolta nel più tetro fumo d'inferno perché il suo pugnale non veda la ferita che produce.


Poco più avanti questa creatura atroce immagina l'uccisione di un suo bambino piccolo: "Io ho dato latte: e so quanta tenerezza si prova nell'amare il bambino che lo succhia; ebbene io avrei strappato il capezzolo dalle sue gengive senza denti mentre egli mi avesse guardata in faccia sorridendo e gli avrei fatto schizzare via il cervello- and dashed the brains out-, se lo avessi giurato come tu hai giurato questo" (I, 7).
"La sua voce dovrebbe indubbiamente sollevarsi fino a raggiungere in "schizzar via il cervello", un urlo quasi isterico"
[3].

L’identità criminale realizzata
Compiendo il delitto più atroce questa donna pensa di diventare quello che è:"Medea " la chiama la nutrice; ed ella risponde "fiam " (Seneca, Medea, v. 171), lo diventerò. "E' forse questo che si cerca attraverso la vita, null'altro che quello, la più grande sofferenza possibile per diventare se stessi prima di morire"
[4].

La propria natura malvagia e infernale Medea può portarla a compimento solo dopo le nozze maledette,la maternità e l’abbandono da parte di Giasone.

 Da ragazza, ella ricorda, tradì il padre, uccise e fece a pezzi il fratello Apsirto, per amore di Giasone, ma ora che è sposa e madre andrà oltre:"levia memoravi nimis:/ haec virgo feci; gravior exurgat dolor:/ maiora iam me scelera post partus decent " (vv. 48 - 50), ho ricordato misfatti troppo leggeri: questi li ho compiuti da ragazza; sorga un dolore più opprimente: maggiori delitti mi si addicono dopo il parto.
I delitti passati continuano a tornarle in mente per incoraggiarla a quello estremo di uccidere i figli. La Medea furiosa di Delacroix (1838) rovescia l'immagine della maternità, data dai seni nudi e dai bambini avvinghiati a lei, con il pugnale che stringe nella mano sinistra. 

Anche Lady Macbeth è una donna che, per altre ragioni, non può permettersi la pietà: quando il marito, dopo l'assassinio del re, dà segni di pentimento dicendo :" This is a sorry sight ", questa è una vista pietosa, ella lo zittisce esclamando:"A foolish thought to say a sorry sight " (II, 2), è uno stolto pensiero dire vista pietosa! E' reperibile pure in questo dramma il tema dell'identità. La dark lady scozzese la trova nel soddisfacimento di un'ambizione assoluta la quale annienta ogni altro valore.

Medea come Aiace e altri eroi non sopporta di venire derisa lasciando invendicato l’oltraggio subito. Ma invece di ammazzarsi, come Aiace, uccide i fogli suoi e di Giasone
 

[1] Si pensi alla sciagurata strage di bambini del 3 settembre del 2004.
[2] J. Hillman, Variazioni su Edipo , p. 96.
[3]A. C. Bradley, La tragedia di Shakespeare, p. 403. Qualche pagina prima (370) Bradley scrive: "I versi più terribili della tragedia sono quelli del suo grido raccapricciante "Ma chi avrebbe mai pensato che quel vecchio avesse dentro tanto sangue?" (V, 1). Yet who would have thought the old man would have had so much blood in him?

[4] L. F. Céline, Viaggio al termine della notte, p. 249.

 

 

La presenza di Plutarco in Shakespeare

 

Vita di Coriolano ( parallela alla Vita di Alcibiade) di Plutarco

Shakespeare, Coriolano

 

Il Fato nel Coriolano (1608) di Shakespeare è la lotta di classe.

Shakespeare trae la trama da Plutarco.

Siamo nell’epoca successiva alla cacciata dei re da Roma (del 509 a. C. Una data sospetta perché coincide quasi in pieno con quella della cacciata di Ippia da Atene 510). I plebei hanno avuto i tribuni della plebe (494). Caio Marzio ha strappato Corioli ai Volsci (493) e ha avuto il soprannome di Coriolano.

Coriolano si candida al consolato ma il popolo respinge la sua candidatura poiché questo aristocratico nemico del popolo voleva eliminare il tribunato. I tribuni lo accusano di avere violato le leggi e lo fanno esiliare. Coriolano passa dalla parte dei Volsci e propone una spedizione contro Roma.

Giunto alle porte di Roma, potrebbe conquistarla, ma la madre e la moglie lo fanno tornare indietro

Livio lo fa morire serenamente tra i Volsci.

Plutarco invece scrive che i Volsci lo uccisero e Shakespeare segue questa versione

Una morale è che la città senza un capo diventa inerme.

Plutarco afferma che una natura forte se non riceve un’educazione buona produce molti vizi, come un terreno fertile se non trova chi lo coltivi.

 Il vizio di Coriolano è l’alterigia.

La storia feudale raccontata da Shakespeare trova facilmente i suoi modelli nella storia romana.

 

L’apologo di Menenio Agrippa alla plebe secessionista sul Monte Sacro

Agrippa racconta l’apologo delle membra che si ribellarono contro lo stomaco e lo accusarono così - all the body’s members rebelled latino rebellis accusativo rebellem against the belly thus accused it: di essere come un golfo like a gulf Late greek kovlfo" - greek. kovlpo" - [1]

nel mezzo del corpo (I, 1, 93 - 95), torpido e nullafacente, sempre dedito a stiparsi di cibo, senza lavorare come il resto del corpo: “where the other instruments - did see and hear, devise, instruct, walk, feel, - and mutually participate, did minister - unto appetite and affection common of the whole body” (I, 1, 99 - 104), dove invece gli altri apparati vedevano, udivano, pensavano, mandavano ordini, camminavano, sentivano, e si aiutavano a vicenda e provvedevano agli appetiti e ai bisogni comuni di tutto il corpo

 

Un apologo che si trova sia in Livio sia in Plutarco il quale scrive che i plebei occuparono o[ro" o} nu'n iJero;n kalei'tai para; to;n jAnivwna potamovn un colle che ora si chiama sacro presso il fiume Aniene.

Insomma l’attuale quartire monte Sacro in fono a via Nomentana.

La data tradizionale è quella del 494. Il senato allora mandò uno dei suoi membri più moderati e ben disposti verso il popolo.

 Agrippa andò dalla plebe secessionista e narrò il ben noto apologo: e[fh ga;r ajnqrwvpou ta; mevlh pavnta pro;" th;n gastevra stasiavsai kai; kathgorei'n aujth'" wJ" movnh" ajrgou' kai; ajsumbovlou kaqezomevnh" ejn tw'/ swvmati (6, 4) raccontava infatti che tutte le membra del corpo si ribellarono contro lo stomsco e lo accusarono di starsene, unica parte del corpo, inerte e senza contribuire mentre le altre parti per servire i suoi appetiti - eij" ta;" ejkeivnh" ojrevxei" - si sobbarcavano grandi fatiche e servizi povnou" te megavlou" kai; leitourgiva" uJpomenovntwn .

 Lo stomaco rise della loro stupidità - th;n de; gastevra th" eujhqeiva" aujtw'n katagela'n - poiché ignoravano che lui trofh;n uJpolambavnei me;n eij" aujth;n a{pasan raccoglie sì, dentro di sé tutto il nutrimento, ma poi lo rimanda e lo distribuisce alle altre parti del corpo ajnapevmpei d j au\qi" ejx auJth'" kai; dianevmei toi" a[lloi" (6, 4).

 

Nel Coriolano di Shakespeare Agrippa racconta che il ventre rispose (I, 1, 105) with a kind of smile – greco meidiavw - con una specie di sorriso, di essere il deposito the storehouse (I, 1, 131) e l’officina di tutto il corpo: io attraverso il tuo sangue rimando la sostanza del cibo fino al palazzo del cuore e al trono del cervello I send it trough the rivers of your blood even to the court , the heart, to the seat of the brain (I, 1, 133 - 134).

Agrippa contrappone alla opposizione di classe e alla rozza dicotomia plebea una concezione organica della società che è appunto un grande organismo.

 

 

 

[1]  Walter Skeat Conciso dizionario etimologico della lingua ìnglese, Oxford 1984 I edizione1882.

 

 

 

Agrippa e i tribuni della plebe. Tito Livio e Cicerone. Coriolano adulto e bambino

 

Vediamo alcune parole di Tito Livio su questo episodio della storia romana:
Menenio Agrippa era vir omni vita pariter patribus ac plebi carus, post secessionem carior plebi factus un uomo per tutta la sua vita caro sia alla plebe che ai patrizi e dopo la secessione divenuto più caro alla plebe. ( Storie, II, 33, 10).
Era per giunta facundus vir et inde oriundus un uomo eloquente e di origine plebea (II, 32, 8)
In seguito all’apologo da lui raccontato de concordia coeptum (II, 33,1)
cominciarono le trattative per la concordia, e furono concessi alla plebe dei magistrati ut plebi sui magistratus essent sacrosancti quibus auxilii latio adversus consules esset, magistrati inviolabili ai quali era riconosciuto il diritto di intercedere a favore della plebe contro i conso, e fu stabilito che nessun patrizio potesse accedere a questa magistratura.
Vennero nominati due tribuni: Gaio Licinio e Lucio Albino.

Secondo Momsen i tribuni della plebe erano i primi magistrati di Roma ed erano posti a vigilare sull’antitrono con un vessante sindacato sui consoli. Avevano potere di intercessio (veto) e coercitio (punizione): qui haberent summam coercendi potestatem (Gellio, Notti Attiche, XIII, 12, 9).
Erano eletti itercessionibus faciendis perché ponessero dei veti.

Cicerone nel De legibus (III, 7, 15) scrive che tutti i magistrati dovevano obbedire al console excepto tribuno. Questa magistratura minuit consulare ius, sminuì il potere consolare.
L’Arpinate paragona il potere dei tribuni opposti ai due consoli a quello degli Efori di Sparta opposti ai due re (De legibus, III. 7, 15).

Gli efori però erano cinque.
I consoli non dovevano obbedire a nessuno in guerra: militiae summum ius habento, nemini parento (Cicerone, De legibus, III, 8).
Anche la provocatio, il diritto di appello, cessava dopo un miglio di lontananza da Roma (Tito Livio, III, 20, 7).
Quando Menenio Agrippa morì, a lui, reductori plebis romanae in urbem sumptus funeri defuit non restarono i soldi per la spesa del funerale e la plebe coprì la spesa con una colletta (II, 33, 10)
Agrippa in Plutarco è un personaggio positivo, un membro moderato del senato, tra i più vicini al popolo (
mavlista dhmotikouv", 6, 3).


Secondo Jan Kott Agrippa Nel Coriolano di Shakespeare sarebbe l’ideologo dei patrizi e il tattico dell’opportunismo e farebbe la parte di Polonio nel’Amleto
[1]
 

Torniamo alla tragedia di Shakespeare
Entra  in scena Coriolano che dice alla plebe: “che c’è di nuovo, sediziose carogne che grattando la triste rogna delle vostre opinioni vi coprite di pustole?” (Coriolano, I, 1).
Coriolano respinge ogni genere di tattica
Marzio aggiunge alla divisione in classi quella tra i nobili e i vili, un’altra: quella tra gli intelligenti e gli scemi.
Chiama la plebe cani senza razza, chi merita onore ha il vostro odio, e le vostre passioni sono desideri di malato che vuole soprattutto ciò che gli fa male “and your affections are - a sick man’a appetite who desires most that – which would  increase his evil. Cambiate opinione ad ogni momento - with every minute you do change a mind - (I, 1, 174 - 180), gridate contro il Senato, ma se questo non vi tenesse a freno, vi divorereste l’un l’altro.

Per Coriolano i plebei sono delle bestie che troppo nutrite si avventano contro gli uomini.
La canaglia con il tempo spezzerà le serrature del Senato e farà entrare i corvi a beccare le aquile and bring in the crows to peck the eagles (III, 1, 138)

C’è la guerra: i Volsci insorgono contro Roma e Caio Marzio dice: The Volsces have much corn; take these rats thither to gnaw their garners -latino granarium - (I, 1, 248) portiamo là questi topi a rodere i loro granai.
I tribuni della plebe Sicinio e Bruto commentano l’insolenza di Coriolano. Bruto dice che quando si arrabbia non esita a insultare gli dèi e Sicinio: bemock the modest moon (I, 1, 254) sfotte la casta luna.
Quindi: se il successo lo aizza, sdegna l’ombra che calpesta a mezzogiorno - .disdains the shadow which he treads on at noon (I, 1, 259)
Coriolano non vuole chiedere i voti del popolo per diventare console, né vuole ricompense in denaro, Un cittadino dice che quanto ha fatto di meglio he did it to please his mother and to be partly proud per piacere a sua madre e anche per la superbia, che ha grande come il coraggio (Shakespeare, Coriolano I, 1, 37 - 38).


Coriolano dunque è un edipico.

 

Plutarco scrive che Coriolano si proponeva come fine della gloria la felicità di sua madre tevlo" ejkeivnw/ de; th'" dovxh" hj th" mhtro;" eujfrosuvnh (Vita di Coriolano, 4, 5)
Marzio si sposò quando la madre Veturia (Volumnia in Shakespeare) glielo chiese ed ebbe anche dei figli dalla moglie Virgilia, ma continuò a vivere nella stessa casa con la madre.

Volumnia del resto lo ha allevato come facevano le spartane: ero contenta di lasciarlo cercare il pericolo dove poteva trovare la fama (I, 3) To a cruel war I sent him, dalla quale tornò con le tempie cinte di quercia. Non provai tanta gioia quando seppi che mi era nato un uomo, quanta ne sentii in first seeing he had proved himself a man (I, 3, 10 ss.) vedendo per la prima volta che si era dimostrato un uomo
E ancora: “i seni di Ecuba quando allattava Ettore non erano belli come la fronte del figlio quando pieno di sprezzo (contemning - lat. contemno) schizzava sangue contro le spade greche” (I, 3, 41 - 44).
Valeria l’amica di Volumnia le dice che Coriolano era un bambino davvero carino a very pretty boy, dal piglio deciso. Lo vide correre dietro una farfalla dorata “I saw him run after a gilded butterfly” e quando la prese, and when he caught it, la lasciò andare, poi la inseguì cadde, poi e la prese di nuovo , catched it again, e forse la caduta l’aveva reso rabbioso, fatto sta che che serrò i denti e la fece a pezzi - he did so set his teeth and tear it (I, 3, 58 - 66).


Cfr. Gorgò la moglie di Leonida, a una straniera che le aveva detto: solo voi donne spartane comandate sugli uomini, Gorgò rispose: “
movnai ga;r tivktomen a[ndraς (Plutarco, Vita di Licurgo, 14), infatti solo noi partoriamo degli uomini.
Gorgò da bambina diede ordini perfino al padre, al re Cleomene. Lo dissuase dall’ accettare il denaro (50 talenti) che Aristagora di Mileto gli offriva in cambio di un aiuto militare (Erodoto, V, 52, 2). 


Virgilia, la moglie do Coriolano vuole fare la parte di Penelope. Glielo rinfaccia Valeria aggiungendo che tutta la lana filata in assenza di Ulisse non fece che riempire Itaca di tarme (I, 3, 82 ss)
 

[1] Shakespeare nostro contemporaneo, trad. it. Feltrinelli, 1964

 

 

La lotta di classe e l'esilio di Coriolano. Vi è un mondo altrove

 

Dopo la battaglia nella quale Marzio si è coperto di gloria, il collega generale Cominio vuole assegnargli the tenth, la decima parte della preda (I, 9, 39 - 40), ma Coriolano rifiuta un premio tanto grande e dice che la sua parte deve essere uguale a quella di chi lo ha visto combattere.

 

Plutarco mette in luce che in quel tempo il denaro non era un idolo. Marzio si presentò quale candidato al consolato (uJpateiva, u{patoς console) con il solo mantello (iJmavtion), senza la tunica a[neu citw'noς, sia per mostrarsi più umile nell’aspetto, come è appropriato a chi fa delle richieste, sia per mostrare le cicatrici (wjteilaiv), come segni visibili del valore.

 

La stessa cosa farà Mario il quale nel Bellum Iugurthinum dice che non può ostentare i ritratti, i trionfi, i consolati degli antenati - imagines neque triumphos aut consulatus maiorum, ma i mezzi e le ricompense del proprio valore personale “praeterea cicatrices advorso corpore” (85), inoltre le cicatrici sul petto.

Le ferite spesso parlano: non sempre sono " dumb mouths "[1] , bocche mute, come quelle di Cesare assassinato. "Una ferita è anche una bocca. Una qualche parte di noi sta cercando di dire qualcosa. Se potessimo ascoltarla! Supponiamo che queste "intensità sconvolgenti siano una sorta di messaggio: sono "cicatrici", ferite, che segnano la nostra vita"[2].

 

 

Elogio del parlare dicendo quod in buccam venerit. Mario e Socrate.

 

Mario  nel Bellum Iugurthinum dice che non può ostentare i ritratti, i trionfi, i consolati degli antenati - imagines neque triumphos aut consulatus maiorum, ma i mezzi e le ricompense del proprio valore personale “praeterea cicatrices advorso corpore” (85), inoltre le cicatrici sul petto.

Haec sunt meae imagines - continua Mario - , haec nobilitas, non hereditate relictae, ut illa illis, sed quae egomet meis plurimis laboribus et periculis quaesivi”, queste sono le mie immagini, questa la nobiltà, non lasciate in eredità, come quelle cose a loro, ma che io ho conquistato personalmente con fatiche e pericoli in grandissimo numero.

Mario arriva a rivendicare la propria rozzezza: “Non sunt composita mea verba, parvi id facio. Ipsa se virtus satis ostendit. Illis artificio opus est, ut turpia facta oratione tegant. Neque litteras Graecas didici: parum placebat eas discere, quippe quae ad virtutem doctoribus nihil profuerant” , non sono ricercate le mie parole e non me ne curo. La virtù si fa vedere abbastanza da se stessa. Sono loro che hanno bisogno di retorica, per coprire i loro misfatti vergognosi con parole adorne. Né ho imparato il greco, non ne ero invogliato dato che non avevano giovato a quegli studiosi per arrivare alla virtù.

 

Socrate nell’Apologia scritta da Platone confuta quanti affermano che lui è deino;" levgein, pericolosamente abile a parlare. L’accusato si difende dicendo che dià pa`san ajlhvqeian, tutta la verità, in maniera semplice e diretta; quindi da lui non ascolteranno discosi abbelliti-kekalliephmevnou" lovgou"- né ornati kekosmemevnou", cosmetizzati- bensì espressioni ejikh`/ legovmena toi`" ejpitucou`sin ojnovmasin- (Apologia di Socrate, 17 a-c) dette senza studio, con i termini che capitano, quelli che vengono in bocca

giovanni ghiselli

 

Ma torniamo a Plutarco. “ più tardi infatti, e dopo molto tempo, si introdusse la compra vendita dei suffragi e si mescolò il denaro con i voti dell’assemblea (ojye; ga;r meta; polu;n crovnon wjnh; kai; pra'siς ejpeish'lqe kai; sunemivgh tai'ς ejkklhsiastikai'ς yhvfoiς ajrguvrion, Vita di Croiolano, 14, 3).

Quindi la corruzione (hJ dwrodokiva) toccando anche i tribunali e gli accampamenti (kai; dikastw'n qigou'sa kai; stratopevdwn), portò la città al potere imperiale, asservendo le armi al denaro ejxandrapodisamevnh ta; o{pla toi'ς crhvmasin.

Primo a minare la forza del popolo fu colui che iniziò a offrirgli banchetti e doni

Il popolo del resto riteneva già allora di subire vessazioni uJpo; tw'n daneistw'n (Vita di Coriolano, 5, 2) da parte degli usurai.

 L’asservimento fino alla schiavitù degli indebitati insolventi si chiamava nexum . Questa conseguenza provocò rivolte e fu abolita nella seconda metà del IV secolo.

 

Nel Coriolano di Shakespeare un cittadino dice a Menenio Agrippa che i patrizi make edicts for usury, latino usura - to support usurers I, 1, 79-80) fanno editti contro sull’usura a vantaggio degli usurai. Se le guerre non ci mangiano vivi, lo faranno loro, e questo è tutto il bene che ci vogliono.

 

Anno 492. Coriolano non venne eletto per il 491, bensì Minucio e Sempronio

Gelone (tiranno di Siracusa dal 485 al 478; nel 491 - 490 era ancora tiranno di Gela) inviò del grano in dono: la plebe sperava che venisse venduto a prezzo politico o persino regalato. Coriolano si oppose. Era assolutamente contrario al tribunato della plebe come Stato nello Stato.

Il Coriolano di Tito Livio dice: “Si annonam veterem volunt, ius pristĭnum reddant patribus (II, 34, 9), se vogliono il grano al vecchio prezzo, restituiscano ai patrizi l’antico diritto, quindi aggiunge che non ha sopportato la dittatura di Tarquinio, e non vuole tollerare i tribuni. Et senatui nimis atrox visa sententia est (II, 35, 2), al senato stesso la proposta parve troppo dura

 La plebe vedeva in Coriolano un mostruoso carnefice.

Alla resa dei conti, damnatus absens in Volscos exulatum abiit, condannato in contumacia andò in esilio tra i Volsci (II, 35, 6 ). Lo ospitò Attio Tullio (In Shakespeare si chiama Tullo Aufidio) acerrimo nemico dei Romani.

 

Trattare bene il popolo come facevano le democrazie radicali della Grecia, disse Coriolano, significava rifornire la loro indisciplina th;n ajpeivqeian aujtw'n ejfodiavzein (Plutarco, 16).

Cfr. la Repubblica di Platone: la democrazia è una costituzione anarchica e variopinta.

 

Coriolano propone di togliere alla plebe th;n dhmarcivan (Plutarco, Vita di Coriolano, il tribunato, 16, 7) che annulla il potere consolare e divide la città. Roma infatti è stata tagliata in due.

Il Coriolano di Shakespeare aveva detto ai senatori che, nell’ assecondare la folla, noi nobili nutriamo contro il nostro senato la cattiva erba della ribellione, dell’insolenza della sedizione we nourish – latino nutrio - nutrire - ‘gainst our Senate the cockle of rebellion, insolence, sedition (III, 1, 69 - 70)

 

Plutarco: i tribuni - dhvmarcoi - aizzarono la folla contro Coriolano.

In Shakespeare i tribuni Sicinio e Giunio Bruto manovrano per danneggiarlo.

Eppure Coriolano combattendo aveva riempito Roma di benefici.

 

Plutarco ricorda che Marzio quando era ancora un ragazzo partecipò alla battaglia finale contro Tarquinio che gettava l’ultimo dado (e[scaton kuvbon, 3, 1) avendo molti latini alleati (forse fa confusione con la nattaglia del lago Regillo contro i Latini del 499 o 496).

 Allora il dittatore lo incoronò con una corona di quercia - ejstefavnwse druo;ς stefavnw/ (3)

Shakespeare scrive che Marzio piegò Tarquinio e per ricompensa was brow - bound with the oak, fu incoronato con la quercia sulla fronte (II, 2, 96).

 - brow, sopracciglio e fronte - cfr. ojfruvς, sopracciglio e orgoglio

 

Il popolo quasi si scagliò contro i senatori.

I tribuni presentarono un’accusa (aijtivan) contro Coriolano e lo invitavano a discolparsi ejkavloun aujto;n ajpologhsovmenon (Plutarco, Vita, 17, 4), Coriolano cacciò i funzionari che gli portavano la citazione. Allora i tribuni, meta; tw'n ajgoranovmwn (17, 5) con gli edili della plebe, cercarono di catturarlo. I patrizi lo difesero e scoppiò un tumulto (tarachv, 17, 7v)

Il giorno dopo i consoli tentarono di placare il popolo

I tribuni chiesero che Marzio andasse a scusarsi sperando che si umiliasse o si arrabbiasse. Marzio si presentò ma con aria sprezzante e di sfida, e il popolo si inasprì. Il più ardito dei tribuni (tw'n dhmavrcwn oJ qrasuvtatoς), Sicinio, disse che loro, i difensori del popolo, avevano condannato a morte Marzio (18, 3 - 4)

La madre Volumnia gli consiglia di dire anche parole bastarde come si può fare con dei nemici esterni.

Questo è il dramma dell’odio di classe

Ma Coriolano non adula “ la moltitudine mutevole e puzzolente” ( the mutable-latino mutabilis, rank - scented meiny III, 1, 66). Il popolo è tetro e miserabile ma non silenzioso . Abbaia come una muta di cani. E’ mutable, grida “evviva”, poi “a morte” ed è pronto a tutto pur di salvare la pelle e i suoi cenci fetidi.

Per Shakespeare, il popolo è solo materia della storia, non il suo attore: può suscitare pietà o ribrezzo o paura, ma è impotente, è un giocattolo nelle mani dei pochi che hanno il potere.

Cfr. Tacito delle Historiae.

Nel Giulio Cesare il popolo prima acclama Bruto, poi, dopo l’orazione di Marco Antonio, vuole farlo a pezzi.

Shakespeare aveva visto gli artigiani londinesi salutare il conte di Essex con le torce, poi pascersi alla vista della sua esecuzione (1601)

I tribuni in Plutarco difendono il popolo; nel Coriolano di Shakespeare sono degli imbecilli: sono definiti da Marzio “la lingua della bocca comune” ( the multitudinous tongue, III, 1, 156) e puzzano quanto la plebaglia.

 Bruto e Sicinio sono malmessi e ridicoli.

 

La plebe scaccia Coriolano, gli imbelli patrizi lo abbandonano, Roma si è dimostrata vile e Coriolano dice: “Io disprezzo per causa vostra la città e le volgo le spalle: there is a world elsewhere, vi è un mondo altrove (III, 3, 135).

 



[1] Shakespeare, Giulio Cesare , III, 2.

[2] J. Hillman, Il piacere di pensare , p. 66.

 

 

Le preghiere rivolte a Coriolano dalla madre e dalla moglie. Plutarco e Shakespeare

 

Alla fine dunque Marzio si sottopose al giudizio e fu condannato all’esilio perpetuo - ajivvdio" fughv (Plutarco, Vita, 20, 7)

 

Il popolo ne fu felice. Marzio non ne fu umiliato ma adirato. Quindi abbracciò le sue donne poi uscì da Roma seguito da tre o quattro clienti. trei'ς h] tevttaraς pelavtaς e[cwn peri; aujtovn (21). Cfr. pelavzw, sto vicino-pevla"-

I clienti in Italia non mancano mai. Coriolano prima dimorò nei suoi poderi poi decise di suscitare ajnasth'sai una grave guerra - povlemon baruvvn kai; o{moron (21, 5) contro Roma da parte dei popoli confinanti (oJmov" e o{ro" - ou - confine).

Coriolano si rivolse a Tullo Attio che viveva nella città di Anzio. Questo accolse la sua proposta e lo invitò a prendere il comando delle truppe. Marzio conquistò diverse città del Lazio fino a Bola che dista solo cento stadi da Roma (18 km circa). A questo punto la plebe chiese il ritorno di Coriolano a Roma ma il Senato non ratificò il plebiscito. Allora Marzio si infuriò e mosse contro Roma ponendo il campo a quaranta stadi (7 km e mezzo) quinque ab urbe milia (Livio, II, 9, 5).

Andarono a pregarlo dei suoi parenti e amici ma lui li ricevette seduto con una pompa e un sussiego insipportabili met j o[gkou kai; baruvthto" oujk ajnekth'" (30, 6). Coriolano rispose agli ambasciatotori con sdegno e ira pikrw'" kai; pro;" ojrghvn per i torti subiti, Poi chiese che si estendessero ai Volsci ijsopoliteivan h{nper Lativnoi" (30, 8) gli stessi diritti civili dei Latini in pratica il foedus Cassianum concesso dal console Cassio nel 493 dopo la battaglia del lago Regillo.

Era un patto difensivo nei confronti dei Volsci e degli Equi.

 

In Shakespeare Coriolano caccia Menenio Agrippa che è andato a implorarlo di perdonare chi gli ha fatto torto chiamandolo O my son my son (V, 2. 68 ).

Ma Coriolano risponde che non vuole sentire una parola in più e rivolto al volsco Aufidio dice “quest’uomo mi fu caro a Roma, eppure vedi” (V, 2, 89)

Tuttavia poi si ritirò dal territorio di Roma e questo suscitò tra i Volsci le prime accuse. Tra i detrattori ostili c’era il capo volsco –Tullo nel testo di Plutarco come Tullio in Tito Livio - invidioso di Coriolano - ejn

d janqrwpivnw/ pavqei gegonwv", vittima di una debolezza umana (31, 2)

Marzio poi avanza di nuovo contro Roma. Allora Valeria va a trovare Volumnia e Virgilia e propone di recarsi dal loro figlio e marito con i figli di Coriolano. Gli stessi Volsci ne ebbero compassione

Rimane fondamentale il rapporto con la madre Volumnia.

 Coriolano come vide avanzare le matrone si stupì (ejqauvmasenVita, 34, 3), ma osservando venne sopraffatto dall’emozione (genovmenoς de; tou' pavqouς ejlavttwn) e fu sconvolto a quella vista kai; suntaracqei;ς pro;ς th;n o[yin, e non sopportò di rimanere seduto mentre lei si avvicinava: scese dalla tribuna, prwvthn me;n hjspavsato th;n mhtevra anche con l’abbraccio più lungo kai; plei'ston crovnon, poi abbracciò la moglie Virgilia e i figli, senza trattenersi dalle lacrime

 

In Shakespeare, Coriolano vede arrivare “lo stampo venerato da cui prese forma questo torso” (the honoured mould - latino modulus - misura - wherein this trunk - latino truncus - was framed - V, 3, 22 - 23).

La nonna, Volumnia, porta per mano il nipote del suo sangue - and in her hand - the grandchild to her blood (V, 3, 23 - 24).

Coriolano è commosso ma cerca di resistere: let it be virtuous to be obstinate, - latino obstinatus - sia virtuosa la risolutezza (V, 3, 26)

Dice: mia madre si inginocchia bows come un Olimpo che si curvi a implorare la tana di una talpa, and my young boy hath an aspect of intercession which great Natur cries - latino quirīto - imporo l’aiuto dei quirìti - deny - latino nego - not’ ha un’aria di supplice che la grande natura mi grida: non respingere!” (V, 3, 29 - 33)

Coriolano cerca di non impietosirsi: “I’ll never be such a gosling to obey - latino - oboedio - instinct, non sarò come un papero che obbedisce all’istinto, but stand as if man were author of himself and knew no other kin - ma resisterò come se fossi un uomo che ha fatto se stesso e non conosce altra nascita (V, 3, 34 - 37)

 

Plutarco: come riconobbe la madre che camminava davanti alle altre, Coriolano dapprima cercò di non impietosirsi ma poi genovmeno" de; tou' pavqou" ejlavttwn, sopraffatto dall’emozione e sconvolto a quella vista kai; suntaracqei;" pro;" th; oyin, non sopportò di rimanere seduto e andò loro incontro senza rrisparmio di lacrime e gesti di tenerezza (34, 3).

 

In Shakespeare Coriolano davanti alla moglie che gli rinfaccia il loro dolore dice a se stesso - aside (a parte) - like a dull actor now I have forgot my part” (V, 3, 40 - 41 ). Cfr. la vita come recita: il già citato "All the world's a stage - And all the men and women merely players" (As you like it,  II, 7), tutto il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e le donne non sono che attori.

 

Poi si inginocchia davanti alla madre. Volumnia lo fa alzare. Quindi si inginocchia lei stessa

Volumnia gli presenta il figlio come a poor epitome – latino epitome, greco ejpitomhv - of yours (V, 3, 68) un povero compendio di te.

La madre aggiunge che anche se loro non parlassero, should we be silent and not speak, our raiment and state of bodies would bewray what life we have led since thy exile le vesti e lo stato dei corpi direbbero quale vita abbiamo fatto dal tuo esilio (V, 3, 95 - 97)

 

In Plutarco oJra'ς w| pai', ka]n aujta; mh; levgwmen, ejsqh'ti kai; morfh'/ tw'n ajqlivwn swmavtwn tekmairovmenoς oi{an oijkourivan hJ sh; fugh; periepoivhse (35, 2), tu vedi pure se noi non parliamo deducendolo anche dall’aspetto dei nostri miseri corpi a quale vita ritirata in casa c abbia costretto il tuo esilio

Siamo ajtucevstatai pasw'n gunaikw'n le più sventurate di tutte le donne poiché siamo quelle cui la sorte ha reso temibile la vista più cara –ai|ς to; h{diston qevama foberwvtaton hJ tuvch pepoivhken (35, 2)

 

Shakespeare

Think with thyself- How more unfortunate than all living women are we, pensa con la tua coscienza come noi siamo le più sfortunate di tutte le donne viventi siccome vederti che dovrebbe riempirci gli occhi di gioia e far danzare i cuori di felicità, li forza a piangere e a tremare di paura e di dolore (V, 3, 98 - 100.)

Ora noi dobbiamo perdere la patria, nostra cara nutrice o la tua persona, nostro conforto nella patria Alack, or we must lose - the country our dear - nurse - latino nutrix - , or else thy person, our comfort in the country (V, 3, 109 - 111)

 

E Plutarco: non è possible chiedere agli dèi la vittoria per la patria e la salvezza per te aijtei'sqai para; qew'n kai; th'/ patrivdi nivkhn a{ma kai; soi; swthrivan (35, 3)

 

Shakespeare: se attaccherai la patria thy country, gli dice Volumnia, non potrai che calpestare than to tread il ventre di tua madre –on thy mother’s womb - che ti mise al mondo (V, 3, 123 - 125 )

E Virgilia aggiunge: e il mio ventre Ay, and mine che ti partorì questo ragazzo e farà vivere nel tempo il nome di Coriolano (V, 3, 126 - 127).

Non ti chiedo di distruggere i Volsci, no: la nostra preghiera è di riconciliarli our suit is to reconcile them. (Coriolano, V, 3, 135 - 136)

“The end of war is uncertain; but this is certain” (V, 3, 141): se conquisti Roma, ti rimarrà la rinomanza di uomo che fu nobile ma con l’ultima impresa spazzò via la nobiltà: egli ha distrutto la sua terra madre destroyed his country (V, 3, 147)

 

 

In Plutarco la madreVolumnia dice: “se non riuscirai a farti benefattore di questi due popoli, tu non potrai attaccare la patria pri;n h[ nekra;n uJperbh'nai thn tekou'san (35, 6), prima di essere passato sulla morta che ti ha partorito”

a[dhloς d j w]n oJ povlemoς tou't j e[cei provdhlon (Vita35, 9) essendo la guerra incerta, ha questo di certo; se vincerai, sarai il distruttore della patria, se verrai sconfitto tutti penseranno che per spirito di vendetta hai causato sventure ai tuoi benefattori e amici.

 Volumnia  poi dice che a Coriolano vincitore rimarrà la cattiva fama di ajlavstwr th'ς patrivdoς, demone vendicatore, flagello della patria (35, 9).

 

 

Coriolano Plutarco e Shakespeare. Conclusione

 

Coriolano non risponde subito alla madre. Allora Volumnia fa: “tiv siga'/ς w\ pai';” (Plutarco, Vita, 36, 2).

 

In Shakespeare. Why dost not speak? (V, 3, 153)

Poi continua: “Think’st thou it honourable for a nobleman still to remember wrongs? pensi che sia onorevole per un nobile ricordare le offese per sempre? (154 - 155).

 

Di nuovo Plutarco: “è forse bello abbandonarsi del tutto all’ira e al risentimento, mentre non è bello compiacere la madre che ti rivolge così gravi preghiere? (povteron ojrgh'/ kai; mnhsikakiva/ pavnta sugcwrei'n kalovn, ouj kalo;n de; mhtri; carivsasqai deomevnh/ peri; thlikouvtwn; 36, 2).

Conviene (proshvkei) secondo te a un grand’uomo ricordare il male subìto mentre sarebbe indegno di un uomo grande e nobile rendere onore e omaggio ai benefici che da bambino ha ricevuto dai genitori? (36 , 2)

 

Shakespeare: “There’s no man in world more bound to’s mother, non c’è uomo al mondo più obbligato a sua madre (Coriolano, V, 3, 158 - 159)

“Thou hast never in thy life - showed thy dear mother any courtesy” (V, 3, 160 - 163), nella tua vita non hai mai dimostrato gentilezza a tua madre, a lei che, povera chioccia - poor hen - , non volle una seconda covata, e che starnazzava se andavi in guerra , e te ne tornavi salvo, pieno di onori.

 

Plutarco Eppure a nessuno si converrebbe osservare la riconoscenza kai; mh;n oujdeni; ma'llon e[prepe threi'n cavrin wJς soiv (36, 2) più che a te che così duramente ti vendichi della ingratitudine.

Ti sei vendicato ampiamente della patria ma th'/ mhtri; oujdemivan cavrin ajpodevdwkaς (36, 3), alla madre non hai reso nessuna gratitudine.

 

 

Shakespeare  Quindi Volumnia dice: down ladies! Let us shame him with our knees – Teut. Type *knewom cf. Lat. genu Gk. govnu -

  a terra donne!, svergogniamolo con le ginocchia! (Coriolano, V, 3, 169)

 

E in Plutarco : kai; tau't j eijpou'sa prospivptei toi'ς govnasin   aujtou' meta; th'ς gunaiko;ς a{ma tw'n paidivwn (Vita di Coriolano, 36, 4 - 5), si getta alle ginocchia di lui con la moglie e i figli.

 

Allora Coriolano fa alzare la madre e le dice: “nenivkhkaς - ei\pen - eujtuch' me;n th'/ patrivdi nivkhn, ejmoi; d  j ojlevqrion” (36, 5), hai vinto una vittoria fausta per la patria ma rovinosa per me.

 

E Shakespeare: “ O my mother, mother! O! you have won a happy victory to Rome. But for your son - believe it, o believe it - most dangerously you have him prevailed – latino praevaleo - if not most mortal to him”(V, 3, 186 - 190), ma per tuo figlio –credilo, credilo hai prevalso su di lui con un rischio gravissimo, se non mortale.

A Roma vengono festeggiate le donne. Il Senato decretò che venisse loro concesso qualsiasi cosa chiedessero, ed esse chiesero solo che venisse edificato un tempio alla Fortuna muliebre oujde;n hxivwsan a[llo h] Tuvchς gunaikeivaς iJero;n iJdruvsasqai (37, 4)

A Roma suonano trombe oboi, tamburi and the shouting Romans make the sun dance (Coriolano, V, 4, 48 - 49), mentre i Romani urlanti fanno ballare il sole

Quanto a Volumnia, Virgilia e Valeria, un senatore grida che bisogna spargere fiori sul loro cammino ( V, 5, 3)

 

Plutarco racconta che il Senato fece erigere il tempio con la statua della Fortuna muliebre (Tuvch" gunaikeiva" iJerovn (37, 4), mentre le donne a loro spese fecero costruire una seconda statua che avrebbe anche parlato dicendo alle donne che il dono fatto era gradito agli dei (37, 5).

L’autore non se la sente di negarlo in quanto il divino non assomiglia all’umano e, se fa cose per noi impossibili, non è in contrasto con la ragione ou[te paravlogovn ejstin (38, 6).

La maggior parte delle cose divine tw'n qeivwn ta; pollav, come dice Eraclito, ci sfugge ajpistivh/, a causa della nostra incredulità (38, 7). 

 

Cfr. mutatis mutandis, l’accoglimento del mito in Livio, Curzio Rufo, Tacito, Arriano. Nessuno se la sente di negarlo del tutto (a pp. 185-187).

 

In Tito Livio le donne si recano da Veturia, la madre di Coriolano, e da Volumnia, la moglie. Queste vanno nel campo nemico con i due figli di Coriolano il quale rimase multo obstinatior adversus lacrimas muliebres (II, 40) di cui aveva avuto l’annuncio. Ma quando le vide, si lanciò verso la madre per abbracciarla. Veturia, prima di lasciarsi abbracciare gli chiese se fosse un figlio o un nemico e se lei fosse prigioniera o madre. Coriolano si commosse, ritirò l’esercito. Alcuni invidia rei oppressum tradunt, ma apud Fabium longe antiquissimum auctorem si legge che visse fino alla vecchiaia. Coriolano ripeteva che l’esilio è molto più doloroso nella vecchiaia.

 

Fabio Pittore

L’auctor longe antiquissimus è Fabio Pittore contemporaneo del Cunctator e appartenente alla stessa gens Fabia. Questo “antichissimo tra gli annalisti…accentuava il diritto (e i successi) dei Romani…non aveva più quella superiore serenità in cui è il fascino della storiografia greca classica, insomma di un Erodoto o di un Tucidide” (Mazzarino, Il pensiero storico classico, II, 104). Si tratta dell’obiettività epica di questi autori.

Fabio pittore scrisse in greco la sua opera storica, che andava dalle origini dei Romani, considerati come discendenti di Enea, sino, pare, alla fine della seconda guerra punica (il frammento più recente si riferisce alla battaglia del Trasimeno).

Della sua storia si ebbe anche una traduzione latina. Ispirandosi alle mire della politica filellenica di T. Quinzio Flaminino, Fabio volle ribadire il concetto dell'affinità di stirpe tra Greci e Romani, dimostrare la giustizia della condotta tenuta da questi e suscitare imponente impressione della loro potenza. Per i tempi più antichi l’annalista attinse non soltanto a narrazioni storiche greche, ma anche a monumenti pubblici, a documenti famigliari e a carmi latini epici ed epico - lirici. L'esposizione relativa ai primi secoli della repubblica era più sommaria e lacunosa; quella della prima guerra punica diventava più diffusa, mettendo a profitto gli atti degli archivî e i ricordi dei vecchi, e quella della seconda era fatta come da contemporaneo.

 

Gli uomini romani non portarono invidia alle donne per il loro vanto –adeo sine obtrectatione gloriae alienae vivebatur - (Livio, II, 40) si viveva senza cercare di abbassare la gloria altrui, anzi consacrarono e dedicarono un tempio alla Fortuna muliebre. 

 

Torniamo a Shakespeare

 Tra i Volsci, Tullo Aufidio, il loro capo, fa uccidere Coriolano. Dice: “at a few drops of women’s rheum - greco rJeu'ma, flusso - , which are - as cheap as lies, he sold the blood and labour –of our great action. Therefore shall he die, - and I’ll renew - new - nevo" me in his fall” (V, 6, 46 - 49), per poche gocce di lacrime di donna che sono a buon mercato come le bugie, egli ha venduto il sangue e la fatica della nostra grande impresa. Perciò morirà e io rinascerò nella sua caduta.

Aufidio conclude dicendo che sebbene il Romano abbia riempito di lutti le donne dei Volsci, avrà un nobile monumento ( yet he shall have a noble memory, V, 6 , 154 - 155).

 

Termino la storia di Coriolano con la conclusione di Plutarco: Marzio tornò ad Anzio dai Volsci, Tullo che da tempo lo odiava e non lo sopportava per invidia misw'n pavlai kai; barunovmeno" dia; fqovnon (39, 1) tramò per farlo uccidere, sicché i suoi seguaci lo ammazzarono. Il popolo non era d’accordo e la tomba di Coriolano venne adornata con armi e spoglie come si fa con un prode. Presto dovettero rimpiangerlo. In seguito i Volsci combatterono contro gli Equi poi vennero sconfitti e sottomessi dai Romani in una battaglia nella quale morì Tullo. (Vita di Coriolano, 39, 13).

Murry: “Il Coriolano è per me un dramma assai più alto del Lear , ed è - come preludio dell’Antonio e Cleopatra - sommamente significativo per intendere l’evoluzione di Shakespeare. Segna il ritorno dallo sforzo alla spontaneità, dall’artificio alla creazione, dal disumano all’umano” (p. 344).

Passeremo quindi all’Antonio e Cleopatra.

 

 

Il fascino di Cleopatra. Antonio sottomesso. Medea incute paura 

Nella prima scena del primo atto dell’Antonio e Cleopatra  entrano Demetrio e Filone, amici di Antonio.

Filone dice: la passione del nostro generale passa la misura “o’erflows the measure (1-2): i suoi occhi che in battaglia scintillavano come quelli di Marte coperto dall’armatura, ora abbassano lo sguardo, devotamente su una fronte abbronzata e il suo cuore di condottiero è diventato il mantice e il ventaglio to cool a gipsy’s lust (10) per raffreddare la lussuria di una zingara,

Poi entrano i due amanti devoti pesti futurae con le  dame e gli eunuchi che fanno vento a Cleopatra. Quindi Filone aggiunge: facci caso e lo vedrai il terzo pilastro del mondo: “ trasform’d into a strumpet’s – Old France strupe Late L. strupum from L. stuprum-fool” (12-13), trasformato nello zimbello di una sgualdrina

Per il tardo latino strupum cfr. Dante:”non è sanza cagion l’andare al cupo- vuolsi nell’alto, là dove Michele-fe’ la vendetta swl superbo strupo” sono parole di Virgilio a Pluto (Inferno, VII, 10-12).


quando Antonio esclama. would I had never seen her!, vorrei non averla mai veduta, Enobarbo risponde magnificando Cleopatra : “O, sir, you had then left unseen a wonderful piece of work, which not to have been blest withal would have discredited your travel ( Antonio e Cleopatra, I, 2, 150 - 152), allora avreste perduto lo spettacolo di un’opera meravigliosa e non esserne stato beatificato avrebbe screditato il vostro viaggio.
 
A proposito della tattica usata da Cleopatra per affascinare, all’inizio della terza scena del I atto, la regina dice a Carmiana: vedi dov’è e cosa fa: I did not send you: if you find him sad, say I am dancing, if in mirth (merry), report that I am sudden sick: quick and return” (I, 3, 1 - 5), io però non ti ho mandata. Se lo trovi triste, digli che sto danzando; se lieto, riferiscigli che mi sono improvvisamente ammalata. Presto e ritorna.
 
Antonio è soggiogato. Cleopatra comunque lo contraccambia.
A proposito di Eracle e Onfale, Antonio nell’andare a Roma dopo l’annuncio della morte di Fulvia dice a Cleopatra che si lamenta per quella partenza. “I go from hence - thy soldier, servant, making peace or war - as thou affect’ st (I, 3, 69 - 71) me ne vado di qui, come vostro soldato, servo, per fare pace o guerra, secondo la tua disposizione.
Allora la regina d’Egitto dice a Carmiana: “ cut my lace, Charmian, taglia i miei nodi, come se stesse male; poi però la ferma (But let it be) dicendo : I am quickly ill and well; So Antony loves ( I, 3, 71 - 73) io passo in fretta dallo stare male allo stare bene, così Antonio ama
 
E’ il topos della fede degli amanti non più reale dell’araba fenice
 
Vediamo un breve excursus sulla fede degli e delle amanti
I giuramenti d'amore non sono credibili.
 L'inaffidabilità riguarda tanto gli uomini quanto le donne.
Lo afferma pure Sofocle in un frammento (811 Pearson):" 
o{rkon d j ejgw; gunaiko;" eij" u{dwr gravfw", giuramento di donna io lo scrivo sull'acqua.
 
E se tali solenni promesse penetrano da qualche parte, certo non dentro gli orecchi degli immortali, sostiene Callimaco in un epigramma:" 
ajlla; levgousin ajlhqeva, tou;" ejn e[rwti - o{rkou" mh; duvnein ou[at  j ej" ajqanavtwn" (A. P. V 6), ma dicono il vero che i giuramenti in amore non entrano negli orecchi degli immortali. 
 
 Ovidio echeggia questo motivo, sia per quanto riguarda Arianna tradita e la scarsa tenuta della parola dei maschi, sia per la non credibilità della femmina umana che è una creatura varia e sempre mutevole,"varium et mutabile semper/femina ", come aveva già detto Virgilio 
[1].
 
L'Arianna dei Fasti
[2] toglie fiducia a tutti gli uomini: dicebam, memini, "periure et perfide Theseu":/ille abiit; eadem crimina Bacchus habet : /nunc quoque "nullo viro" clamabo " femina credat (Fasti , III, 475 - 477, dicevo, ricordo, "Teseo spergiuro e traditore": / quello è andato via; Bacco commette lo stesso delitto:/ anche ora esclamerò:"nessuna donna si fidi più di un uomo".
 
Per quanto riguarda l'instabilità e l'inaffidabilità delle giovani donne, il poeta di Sulmona negli Amores è più comprensivo: il tradimento infatti non sciupa la bellezza e perfino gli dèi lo concedono:" Esse deos credamne? Fidem iurata fefellit,/et facies illi quae fuit ante manet (...) Longa decensque fuit: longa decensque manet./Argutos habuit: radiant ut sidus ocelli,/per quos mentita est perfida saepe mihi./Scilicet aeterni falsum iurare puellis/di quoque concedunt, formaque numen habet " (Amores , III, 3, 1 - 2 e 8 - 12), devo credere che ci sono gli dèi? Ha tradito la parola data,/eppure le rimane l'aspetto che aveva prima...Era alta e ben fatta; alta e ben fatta rimane./Aveva gli occhi espressivi: brillano come stelle gli occhi,/con i quali spesso la perfida mi ha ingannato./Certo anche gli dèi eterni permettono alle ragazze/di giurare il falso, e la bellezza ha una potenza divina.
 
 Ovidio conclude dicendo che dio è un nome senza sostanza, oppure, se esiste, ama le belle fanciulle e certamente ordina che solo loro abbiano tutto il potere:"si quis deus est, teneras amat ille puellas:/nimirum solas omnia posse iubet " (Amores , III, 3, 25 - 26).
 Tutto il potere alle donne dunque.


La donna imperiosa (Fulvia) o tremenda (Medea) e l’uomo sottomesso (Antonio) o spaventato (Creonte re di Corinto)
Plutarco scrive che Antonio in seguito alla limitazione che Cesare imponeva ai suoi modi rozzi e alla sua dissolutezza, si indirizzò al matrimonio e sposò Fulvia: un tipo di donna che non pensava a filare la lana né a curare la casa ma a governare i governanti e comandare i comandanti – “
ajll j a[rconto" a[rcein kai; strategou`nto" strathgei`n” (Plutarco, Vita, 10, 5).


l’Antonio di Shakespeare riferendosi a Fulvia dice a Ottaviano the third of the world is yours, il terzo del mondo è vostro e potreste guidarlo facilmente with a snaffle con un morso come un cavallo, but not such a wife (II, 2, 67 - 68), ma non una tale moglie. Quindi per scusarsi della guerra di Perugia (II, 2, 98 - 99) aggiunge: “Truth is that Fulvia - to have me out of Egypt, made wars here”, è vero che Fulvia per farmi tornare dall’Egitto suscitò una guerra qui.


Plutarco Fulvia lo dominò al punto che Cleopatra le fu debitrice delle lezioni di sottomissione di Antonio al potere femminile (
th`" jAntwnivou gunaikokrasiva" - . Infatti quando finì in pugno a Cleopatra quell'uomo era già stato domato del tutto e ammaestrato a obbedire alle donne. (Plutarco, Vita di Antonio, 10, 6 - 7).
Fulvia sposò Clodio ucciso da Milone nel 52, poi Curione morto in Africa nel 49, poi Antonio. Contribuì a scatenare la guerra di Perugia 42 - 40. Morì nel 40.
Nelle prime battute dell’Antonio e Cleopatra la regina rinfaccia al triumviro di essere vassallo homager del collega Ottaviano e sottomesso ai rimproveri della linguacciuta (shrill – tongued-O. Lat. dingua-L. lingua)) petulante Fulvia che si permette di sgridarlo (scold) facendolo arrossire (I, 1, 31 - 32).


 Fulvia e Medea sono
deinaiv.
Fulvia insomma è il tipo della donna 
deinhv, tremenda come la nutrice di Medea qualifica la donna abbandonata da Giasone e così la descrive:
“Temo di lei che progetti qualcosa di inaudito;
infatti violento è il suo animo, e non tollererà di subire
l'oltraggio: io la conosco, e ho paura di lei
che affilata spinga la spada nel fegato,
salita in silenzio alla casa dove è steso il letto,
o pure che ammazzi il tiranno e quello che ha preso moglie
e quindi si tiri addosso una sventura più grande. 
Siccome è tremenda (
deinh; gavr) : nessuno certo che abbia stretto
 odio con lei, intonerà facilmente il canto della vittoria” (Euripide, Medea, 39 - 45)
 
 Sentiamo ora, nella stessa tragedia, Creonte il re prossimo suocero di Giasone che ha paura di Medea, vuole cacciarla e le dice:
“A te che sei torva e infuriata con lo sposo,
Medea, ho detto che devi andare fuori da questa terra
esule, dopo avere preso con te i due figli,
e di non indugiare neanche un poco k
ai; mhv ti mevllein: poiché io sono l'arbitro di questa
sentenza, e non tornerò indietro nella reggia
prima di averti cacciata fuori dai confini della regione. (271 - 277)
 
Medea prova a impietosirlo mentre ha gà approntato un piano per ucciderlo con la figlia
“Ahimé disgraziata, completamente distrutta vado in rovina;
i nemici infatti allentano ogni gomena,
e non c'è un approdo accessibile fuori dalla sciagura.
Pur oppressa dalla sventura -
kai; kakw`" pavscous j - , in ogni modo ti farò una domanda:
perché mi mandi via da questa terra, Creonte? (278 - 281)
 
Creonte risponde:
“Ho paura di te -
devdoikav s j - , non c'è nessun bisogno di parlare copertamente,
che tu faccia a mia figlia un immedicabile male.
Molte indicazioni contribuiscono a questo timore:
tu sei per natura sapiente ed esperta di molti malefici,
 -
sofh; pevfuka" kai; kakw`n pollw`n i[dri" -
e per giunta sei in pena perché privata del letto dell'uomo
luph`/ de; levktrwn ajndro;" ejsterhmevnh .
Poi sento dire che tu minacci, a quanto mi riferiscono,
di fare qualcosa di male a chi ha dato , a chi ha preso la sposa
e alla sposata. Pertanto io prima di subire questi danni mi metterò in guardia.
E' meglio per me ora divenire odioso a te, donna,
che piangere dopo avere agito fiaccamente (282 - 291).
 
Anche il Creonte della Medea di Seneca vorrebbe liberare se stesso e la sua terra dal terrore di Medea: “cui parcet illa quemve securum sinet?” (v. 182), chi risparmierà colei e chi lascerà senza timore?
Quindi: “ Concessa vita est, liberet fines metu” (185) le ho concesso la vita ma liberi questa terra dalla paura.
Medea si avvicina e l’uomo spaventato odina:
arcete, famuli, tactu et arcessu procul,
iubete sileat” (187 - 188), tenetela a distanza servi impeditele di toccarmi e di avvicinarsi, ingiungetele di tacere
Ma la donna tremenda si avvicina e Creonte le fa: “vade veloci via - mostrumque saevum horribilem iamdudum avehe” ( 190 - 191), vattene via di corsa e porta via senza indugio il mostro feroce e orrendo che sei!
 


 

[1]Eneide , IV, 569 - 570. 

[2] Un calendario in distici composto fra il tre e l'otto d. C. quando fu interrotto, dall'esilio, al sesto libro di dodici che dovevano essere. Dovevano illustrare gli antichi miti e costumi latini.

 

 

Antonio e Cleopatra. Plutarco e Shakespeare

Vezzi e vizi dei due amanti

Medea quando era ancora molto giovane, formae confisa suae confidando nella propria bellezza va da Giulio Cesare adit tristis sine ullis lacrimis , triste ma senza lacrime, acconciata di un finto dolore simulatum compta dolorem (Lucano,Pharsalia, X, 83) quā decuit (84 ) fin dove le stava bene veluti laceros dispersa capillos, sparsi i capelli, come strappati.

 

Nell’Antonio e Cleopatra di Shakespeare, la regina d’Egitto prima dice a Carmiana cut my lace, Charmian, com se stesse male, poi però la ferma (But let it be) dicendo : I am quickly ill and well; So Antony loves ( I, 3, 71 - 73) io passo in fretta dallo stare male allo stare bene; così Antonio ama.

Ho già citato queste battute per indicare l’incostanza di Cleopatra.

Ora lo faccio per significare la dissoluteza di Antonio e la similitudine tra i caratteri dei due amanto

 

La dissolutezza di Antonio viene messa in rilievo da Ottaviano mentre parla a Lepido. “ from Alexandria - this is the news: he fishes, drinks and wastes - the lamps of night in revel: is not more manlike - than Cleopatra, nor the queen of Ptolomy - more womanly than he I, 4, 3 - 7 queste sono le notizie da Alessandria: egli va a pescare, beve e consuma le lampade notturne in orge: non è più virile di Cleopatra e la regina di Tolomeo non è più femminile di lui, you shall find there a man who is the abstract L.abstractus pp.of abs-trahere, to draw away-. of all faults –that all men follow, troverete in lui un uomo che è il compendio di tutte le colpe che tutti gli uomini seguono (Antonio e Cleopatra, I, 4, 7 - 10))

 

Sentiamo anche Cicerone sulla dissolutezza di Antonio:" Sumpsisti virilem, quam statim muliebrem togam reddidisti, hai messo la toga virile che hai subito reso veste da femmina.

Primo vulgare scortum, certa flagitii merces, nec ea parva, in un primo tempo prostituta volgare, a tariffa fissa del disonore, e nemmeno bassa, sed cito Curio intervenit qui te a meretricio quaestu abduxit et, tamquam stolam dedisset, in matrimonio stabile et certo conlocavit" (Filippica , II, 44), ma presto intervenne Curione che ti ha tolto dal traffico della prostituzione e, come se ti avesse dato la stola, ti ha sistemato in un matrimonio stabile e certo. La stola era la veste lunga delle matrone

 

Sregolatezza di Antonio.

Ottaviano aggiunge che Antonio ha regalato un regno per uno scherzo, che siede a bere con una schiava, poi va to reel the streets - latino strata - sterno - at noon a barcollare sulle strade a mezzogiorno -cfr. latino nona hora, circa le tre del pomeriggio-Orig. The ninth hour or 3 P. M. , but afterwords the time of church-service called nones  was shifted to mid-day- e fa a pugni con dei farabutti che puzzano di sudore (I, 4, 18 - 21).

 

Cleopatra innamorata

o Charmian, - where think’st thou he is now? Stands latino sto greco e[sthn - - he, or sits - latino sedeo greco e[zomai - he? Or does he walk? Or is he on his horse? O happy horse to bear -latino ferre- the weight of Antony! (I, 5, 18 - 21), O Carmiana, dove pensi che sia adesso? È in piedi o seduto? Oppure cammina o è sul suo cavallo? O beato cavallo che porti il peso di Antonio!

 Gli è grata anche perché è da lui amata pur non essendo giovanissima: si sente wrinkled deep in time, solcata dalle rughe profonde del tempo. Insomma non è più la ragazza amante di Giulio Cesare quando I was a morsel latino morsus, mordēre - for a monarch, un boccone degno di un monarca (I, 5, 29 - 31).

 

Di nuovo Antonio

Anche Sesto Pompeo parlando all’amico Menecrate nota la dissolutezza di Antonio e si augura che duri:

prega che stregoneria e bellezza si uniscano (II, 1, 22) (join, cfr. latino iungo e greco zeuvgnumi) ed entrambe si associno alla lussuria.

Tie up the libertine latino liber - in a field of feasts,

keep his brain - greco brecmov", sommità dal capo - fuming latino fumus greco qumov" - epicurean cooks latino coquus - sharpen with cloyless - sauce latino salsa - his –appetite latino appetitus appĕtere - (II, 1, II, 1, 23 - 25) ), avvinci il libertino in un campo di banchetti festosi, mantienigli il cervello nel fumo: cuochi epicurei aguzzino il suo appetito con salse stimolanti.

That sleep and feeding may prorogue latino prorŏgo - rimando, faccio durare - his honour –even till a lethe’d dulness (II, 1, 26 - 27) tanto che il sonno e il cibo possano rimandare il suo onore in un oblio leteo.

 

Sesto Pompeo aggiunge che non si aspettava l’ingresso in una piccola guerra di quell’amorous –surfeiter latino super facere - ghiottone innamorato (II, 1, 33) e riconosce che la sua abilità militare vale due volte quella degli altri due - his soldiership is twice the other twain, tuttavia se riusciamo a staccare Antonio mai sazio di piacere - ne’er - lust -greco lilaivomai, bramo, latino lascivus - wearied Antony (35 - 37) dal grembo della vedova d’Egitto possiamo alzare la nostra stima di noi.

 

Nella seconda scena del secondo atto dell’Antonio e Cleopatra di Shakespeare i triumviri si incontrano accompagnati dai loro amici.

 Mecenate fa il paraninfo e propone che Antonio rimasto vedovo sposi Ottavia (II, 2). L’amico di Ottaviano ne elogia la sorella come la migliore delle donne e chiarisce che il suo è un pensiero studiato e meditato a dovere, non improvvisato ‘tis a studied, not a present thought, by duty ruminated - latino rumino (II, 2, 142 - 143).

Antonio e Ottaviano si stringono la mano accordandosi su quel matrimonio. Poi i triumviri escono.

 

Lo spreco del bene più prezioso: il tempo. Le abbuffate orrende.

 

Quindi Enobarbo, l’amico di Antonio che in seguito lo tradirà, racconta a Mecenate che loro in Egitto dormivano di giorno, e della notte facevano giorno bevendo and made the night light drinking (II, 2, 183)

Mecenate domanda se è vero che per colazione arrostivano otto cinghiali interi eight wild –boars roasted whole at a breakfast per 12 commensali.

Enobarbo risponde che questa era solo a fly by an eagle: we had much more monstrous matter of feast which worthly deserved noting –L. deservire- de-fully servire to serve- noting (II, 2, 184 - 187) una mosca di fronte a un’aquila: noi avemmo festini molto più mostruosi che meritavano davvero di essere notati.

 

 Lo spreco del tempo è il più dispendioso e rovinoso di tutti.

 

La Gigantomachia sulle riaperture

 

Plutarco racconta che durante la guerra di Perugia (42 - 40) combattuta contro Ottaviano dal fratello di Antonio e da sua moglie Fulvia, Cleopatra catturò Marco Antonio tanto che il triumviro si lasciò portare ad Alessandria dove si diede a divertimenti puerili e a scialacquare e dissipare nello spreco che Antifonte definì il più dispendioso: quello del tempo: “polutelevstaton wJ" jAntifw`n ei\pen ajnavlwnma, to;n crovnon” (Plutarco,  Vita di Antonio, 28, 1).

 

Cfr. Seneca: Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est (Ep. 1, 4), tutto il resto è roba degli altri, il tempo soltanto è un bene nostro.

 

Nel De brevitate vitae Seneca nota quanto poco conto si faccia del tempo da parte dei più, gli infelici molti che chiedono a molti infelici questo bene preziosissimo e tanto gli uni quanto gli altri lo sciupano, lo sprecano, lo buttano via: “quasi nihil petitur, quasi nihil datur. Re omnium pretiosissima luditur, fallit autem illos, quia res incorporalis est, quia sub oculos non venit ideoque vilissima aestimatur , immo paene nullum eius pretium est (…) nemo aestimat tempus (8, 1), (il tempo) viene chiesto come se fosse un nulla, e come se fosse un nulla viene dato. Non si prende sul serio la cosa più preziosa di tutte, ma li inganna perché è cosa incorporea, poiché non giunge sotto gli occhi e perciò viene reputata di nessun pregio, anzi il suo apprezzamento è pressocché nullo.

 

Ora fanno perdere tempo a chi davvero vuole lavorare quelli che insistono per  le riaperture generalizzate. Riaprendo si dà spazio e tempo al virus di infettare, finché si dovrà chiudere un’altra volta.

Questo mostro letale è invisibile al pari di quel bene preziosissimo che è il tempo, e il materialista ottuso, come chiarisce il dialogo Sofista di Platone riconosce una realtà effettiva soltanto a ciò che è corporeo.

“I figli della terra che riconoscono come esistente solo ciò che possono toccare con mano” (Sofista, 247c). C’è una gigantomachia sull’essere tra questi tellurici e gli amici delle forme.

Ora i tellurici sono oggettivamente  amici del virus.

 

Avevano costituito un’associazione detta degli inimitabili, quelli dalla vita inimitabile - suvnodo"  jAmimhtobivwn legomevnh (Plutarco, Antonio, 28, 2) e ogni giorno si invitavano a pranzo a vicenda facendo spese incredibili e smisurate.

 

Il medico Filota di Anfissa raccontò a Lampria, il nonno di Plutarco, che aveva visto arrostire dai cuochi della reggia su`" ajgrivou" ojptwmevnou" ojktwv, otto cinghiali, e preparare numerose altre vivande. Allora aveva esclamato che si meravigliava del gran numero degli invitati. Ma il cuoco si mise a ridere e disse che i commensali oiJ depnou`nte" non erano molti ajlla; peri; dwvdeka circa dodici (28, 4 - 6)

Poi, nella tragedia di shakespeare, Enobarbo racconta a Mecenate la scena di Cleopatra sul fiume Cnido

La fonte è Plutarco

Ella risaliva il fiume su un battello dalla poppa d’oro - ejn porqmeivw/ crusopruvmnw, con le vele di porpora spiegate, tw`n me;n ijstivwn aJlourgw`n ejkpepetasmevnwn mentre i rematori remavano con remi d’argento ajrgurai`" kwvpai" - al suono del flauto - pro;" aujlovn - accompagnato da zampogne e cetre. La regina stava sdraiata sotto un padiglione ricamato d’oro, ornata come Afrodite, con ragazzi simili ad amorini che le facevano vento e le ancelle più avvenenti, abbigliate da Nereidi e Grazie, stavano al timone e alle funi. Meravigliosi profumi provenienti da aromi bruciati invadevano le sponde (Plutarco, Vita di Antonio, 26, 1 - 3).

 

 Sentiamo le parole di Shakespeare che leggeva Plutarco nella traduzione (del 1579) di Thomas North fatta su quella francese (del 1559) del vescovo Amyot il quale tradusse pure i Moralia (1572)[1]

 The barge she sat in, like a burnish’ d throne/Burn’d on the water: the poop was beaten gold;/Purple the sails, and so perfumed that/ The winds were love - sick with them; the oars were silver,/Which to the tune of the flutes kept stroke…” (Antonio e Cleopatra, II, 2, 196 - 200 ), la barca dove sedeva, come un trono brunito, splendeva sull’acqua: la poppa era di oro battuto; di porpora le vele, e così profumate che i venti languivano d’amore per esse; i remi erano d’argento, e tenevano il tempo al suono dei flauti.

 

 Her gentlewomen, like the Nereides , so, many mermaids, tended her in the eyes (…) at the helm a seeming mermaid steers, le sue gentildonne come Nereidi o tante Sirene, alzavano a lei lo sguardo (…) al timone a manovrare una in forma di sirena (…) a strange invisible perfume hits the sense of the adjacent whars, uno strano invisibile profumo colpiva i sensi dei vicini scali. The city cast her people out upon her, la città lanciò il popolo fuori dalle case verso di lei, and Antony enthroned in the market place did sit alone whistling to the air, e Antonio stava seduto da solo sul trono del mercato fischiettando all’aria, e questa, se il vuoto fosse stato possibile - but for vacancy - sarebbe andata a fissare Cleopatra and made a gap in nature e avrebbe lasciato una lacuna nella natura (II, 2, 211 ss)

 

Troppe parole

Metto insieme quelle di Plutarco che è meno ridondante.

Cleopatra risaliva il fiume: “ejn porqmeivw/ crusopruvmnw, tw'n me;n iJstivwn aJlourgw'n ejjkpepetasmevnwn, th'ς d’ eijresivaς ajrgurai'ς kwvpaiς ajnaferomevnhς pro;ς aujlo;n a{ma suvrigxi kai; kuqavraiς sunhrmosmevnon, in un battello dalla poppa dorata, con le vele purpuree spiegate, con il remeggio di remi d’argento condotto a suono del flauto insieme con zampogne e cetre Plutarco Vita di Antonio (26, 1)

Cfr. Nietzsche: ““Nessuno ha ancora spiegato perché gli scrittori greci abbiano fatto dei mezzi di espressione, di cui disponevano in quantità e forza sbalorditive, un uso così straordinariamente parco, che al paragone ogni libro posteriore ai Greci appare sgargiante, variopinto e sforzato (…) Lo stile sovraccarico in arte è la conseguenza di un impoverimento della forza di sintesi (…) Così è per Shakespeare, che, paragonato con Sofocle, è come una miniera piena di un'immensità di oro, piombo e ciottoli, mentre quello non è soltanto oro, ma oro lavorato nel modo più nobile, tale da far dimenticare il suo valore come metallo”[1].

 

Sentiamo ora di nuovo Plutarco

Kai; qerapainivde" aiJ kallisteuvousai Nhrhivdwn e[cousai kai; Carivtwn stolav", aiJ me;n pro;" oi[[axin, aij de; pro;" kavloi" h\san, le più belle delle sue ancelle con le vesti delle Nereidi e delle Grazie, stavano chi al timone chi alle funi (26, 3)

ojdmai; de; qaumastai; ta;" o[cqa" ajpo; qumiamavtwn pollw`n katei`con, meravigliosi profumi provenienti da molti incensi occupavano le sponde.

tw`n d’ ajnqrwvpwn oiJ me;n eujqu;" ajpo; tou` potamou` parwmavrtoun ejkatevrwqen , oiJ d’ ajpo; th`" povleo" katevbainon ejpi; th;n qevan, tra la folla alcuni seguivano fin dalla partenza lungo le due rive, altri invece scendevano dalla città per la vista dello spettacolo.

ejjkceomevnou de; tou` kata; th;n ajgora;n o[clou, tevlo" aujtov" oJ

 jAntwvnio" ejpi; bhvmato" kaqezovmeno" ajpeleivfqh movno" (26, 4) e riversandosi la folla giù dalla piazza, alla fine proprio Antonio fu lasciato  seduto sulla tribuna da solo.

Comunque si diffuse una voce che Afrodite si recasse da Dioniso in processione festosa ejp j ajgaqw`/ th`" j Asiva" (26, 5) per il bene dell’Asia.

 

Antonio mandò a invitarla a pranzo ejpevmmye me;n ou\n kalw`n ejpi; to; dei`pnon , hj de; ma`llon ejkei`non hjxivou pro;" ejauth;n h{kein (Plutarco, Vita di Antonio, 26, 6) ma lei preferiva che fosse lui a recarsi da lei.

 

Shakespere Antonio e Cleopatra:

 Enobarbo, ancora amico di Antonio, racconta questo episodio ad Agrippa e Mecenate, partigiani e amici di Ottaviano.

Invited her to supper : she replied

it should be better he became her guest -L. hostis, a stranger also an enemy- (II, 2, 225 - 226) Antonio la invitò a pranzo, lei rispose che sarebbe stato meglio che fosse lui ospite di lei.’

Our courteous Antony,

whom ne’er the word of “No” woman heard speak,

 being barber’d ten times o’er, goes to the feast”, il nostro cortese Antonio cui mai nessuna donna aveva sentito dire la parola No, dopo essersi fatto radere la barba dieci volte, va alla festa.

 

Plutarco: “Eujqu;" ou\n tina boulovmeno" eujkolivan ejpideivknusqai kai; filofrosuvnhn, uJphvkouse kai; h\lqen, subito dunque, volendole dimostrare affabilità e cortesia , obbedì e vi andò (Vita di Antonio, 26, 6) .

 

Nel dramma di Shakespeare, Agrippa commenta il racconto di Enobarbo dicendo che la fanciulla regale diversi anni prima aveva già indotto il grande Cesare a mettere la spada nel letto: allora egli la arò e lei  produsse il raccolto Royal wench!

She made great Caesar lay his sword to bed:

 he plough’d her, and she cropped (II, 2, 231 - 233.)

E’ il topos molto diffuso dell’uomo che ara e semina la donna che si comporta come il campo arato raccogliendo il seme e producendo il frutto.

 

Con la sua femminilità di razza Cleopatra sapeva rendere affascinante tutto quanto faceva, replica Enobarbo: “una volta la vidi saltare quaranta passi nella pubblica via,

 and having lost her breath, she spoke, and panted,

that she did make defect perfection,

 and, breathless, power breathe forth (II, 2, 233 - 237)

e rimasta senza fiato parlava ansimando in modo da trasformare un difetto in cosa perfetta, e senza fiato, esalava potere seduttivo.

 

Mecenate risponde che Antonio, dopo il patto matrimoniale concordato con Ottaviano, dovrà lasciare Cleopatra per sempre

Enobarbo lo esclude: “Never : he will not.

Age cannot wither her, nor custom stale

 her infinite variety: other women cloy

the appetite they feed, but she makes hungry

where most she satisfies: for vilest things

become themselves in her, that the holy priests

bless her when she is riggish ( II, 2, 237 - 245) ,

non lo farà mai: l'età non può appassirla, nè l'abitudine rendere stantia la sua varietà infinita: le altre donne saziano gli appetiti cui danno alimento, ma ella rende affamati dove più soddisfa, poiché le cose più vili assumono un’identità in lei tanto che i santi sacerdoti la benedicono nella sua lussuria.

Con le ultime tre battute Mecenate Agrippa ed Enobarbo si salutano cordialmente ricordandoci la conciliazione tra i due partiti. Durerà poco del resto poiché la casta Ottavia non potrà prevalere né preponderare su “Cleopatràs lussuriosa”.

 



[1] F. Nietzsche, Umano, troppo umano, II, Opinioni e sentenze diverse, 162 Effetto della quantità.

 

 

Cleopatra e Ottavia

 

L’aspetto con la capacità attrattiva della conversazione di Cleopatra hJ morfh; meta; th`" ejn tw`/ dialevgesqai piqanovthto" e il suo stile nel trattare con gli altri lasciavano un segno pungolante ajnevferev ti kevntron. Era un piacere ascoltare il suono della sua voce siccome ella volgeva facilmente la lingua come uno strumento musicale a parecchie corde kai; th;n glw`ttan w{sper o[rganovn ti poluvcordon eujpetw`" trevpousa (Plutarco, Vita di Antonio, 27,  4).

Inoltre conosceva molte lingue e raramente doveva servirsi di un interprete: sapeva rispondere da sola agli Etiopi , ai Trogloditi che vivevano nelle caverne (trwvglh= buco e duvw entro), agli ebrei, agli Arabi, ai Sii, ai Medi, ai Parti. E conosceva anche altre lingue, mentre i suoi predecessori non si erano impegnati neppure a imparare la lingua egiziana e alcuni avevano dimenticato anche quella macedone (27, 5) 

Era dunque molto difficile resistere al fascino di Cleopatra.

 

Eppure Mecenate spera che la vitù di Ottavia possa prevalere e preponderare sulla leggerezza della regina d’Egitto: “If beauty, wisdom, modesty, can settle - latino sella per *sed - la - the heart of Antony, Octavia is blessed lottery for him” (Antonio e Cleopatra, II, 2, 246 - 247), se bellezza, saggezza e modestia possono stabilizzare il cuore di Antonio, Ottavia è un benedetto terno al lotto per lui.

 

Plutarco scrive che Ottavia era crh`ma qaumasto;n wJ" levgetai gunaikov", una meraviglia di donna, come si dice (Vita di Antonio, 31, 2).

Tutti erano fautori di quelle nozze, sperando che la sorella di Ottaviano la quale aveva oltre tanta la bellezza - ejpi; kavllei tosouvtw/ - anche nobiltà di stile e intelligenza - semnovthta kai; nou`n - una volta al fianco di Antonio e da lui amata, come si conveniva a tale donna, sarebbe stata motivo di salvezza per loro e di equilibrio concorde in ogni questione (31 - 4 - 5).

 

 

Antonio e Ottaviano caratteri-destini diversi

 

Antonio e Ottaviano dunque si accordano su questo matrimonio da fare per la pace.

 Antonio avverte Ottavia che il suo alto ufficio lo dividerà spesso dal petto di lei

Ottavia risponde da par sua, dicendo cioè che pregherà sempre gli dei inginocchiandosi davanti a loro perché proteggano suo marito.

 Antonio allora le promette che se in passato non si è sempre tenuto nei limiti, dal momento della loro unione shall all be done by the rule - latino regula - tutto sarà fatto secondo le regole (II, 3, 6 - 7)

Il fatto è che le regole di Antonio erano molto differenti da quelle di Ottavia, ed erano molto più simili a quelle di Cleopatra.

Entra un indovino egiziano cui Antonio domanda whose fortune shall rise higher Caesar’s or mine? (II, 3, 16), quale fortuna si leverà più in alto, quella di Cesare o la mia?

L’indovino risponde Caesar’s

E spiega:

Therefore, O Antony, stay not by his side:

thy demon, that thy spirit which keeps thee is

noble, courageous, high, unmatchable,

where Caesar’s is not; but near him thy angel

becomes fear, as being o’erpower’d: therefore

make space enough between you (II, 3, 18 - 23), perciò, Antonio, non rimanete al suo fianco. Il vostro demone che è lo spirito che vi custodisce è nobile, coraggioso incomparabile, quando non c’è quello di Cesare, ma vicino a lui il vostro angelo diventa pauroso come se fosse soverchiato: perciò mettete spazio sufficiente tra voi.

 

Ora sentiamo la fonte greca. Plutarco racconta che i due triumviri dopo il matrimonio di Antonio con Ottavia agivano d’accordo e anche amichevolmente nelle questioni politiche e di massima importanza - ejn toi`" politikoi`" kai; megivstoi" (Vita di Antonio, 33, 1). Le gare fatte per gioco invece iquietavano Antonio che le perdeva sempre. Allora il triumviro interrogò un idovino egiziano che prediceva in base all’oroscopo e parlava con molta libertà ad Antonio ejparrhsiavzeto (33, 2) sia che volesse far piacere a Cleopatra, sia che fosse sincero. E gli consigliava di stare il più lontano possibile da quel giovane: “oJ ga;r sov" - e[fh - daivmwn to;n touvtou fobei`tai : kai; gau`ro" w]n kai; u{yhlov" o{tan h\/ kaq j eJautovn, ujp j ejkeivnou givnetai tapeinovtero" eggivsanto" kai; ajgennevstero" (33, 3 - 4), il tuo demone - diceva - teme quello di lui, e mentre è fiero e altero quando si trova da sé solo, avvicinato da quello diventa più meschino e vile.

Ogni volta che tiravano qualcosa a sorte per scherzo o giocavano a dadi, Antonio si alontanava perdente (e[latton e[cwn, 33, 4).

Spesso organizzavano incontri di galli o quaglie da combattimento, e vincevano quelli di Cesare “ajlektruovna" de; macivmou" o[rtuga", ejnivkwn oi{ Kaivsaro"”. Forse i dadi di ottaviano erano truccati, come quelli di zeus, e gli uccelli drogati.

 

Torniamo all’indovino che parla ad Antonio nel dramma di Shakespeare: “If tou dost play with him at any game,

thou at sure to lose; and, of that natural luck,

he beets thee ‘gainst the odds: thy lustre thickens

when he shines by” (25 - 28), se giocate con lui in una partita qualunque, voi siete sicuro di perdere; e per questa buona sorte naturale, egli vi batte nonostante i vosri vantaggi: il vostro splendore si offusca quando egli vi brilla accanto

L’indovino esce e Antonio riconosce :

 he hath spoken true: the very dice obey him,

and in our sports my better cunning faints

under his chance: if we draw lots, he speeds,

his cocks do win the battle still of mine

when it is all to nought, and his quails ever

beat mine, inhoop’d at odds. I will to Egypt:

and thought I make this marriage for my peace

I’ the east my pleasure lies – Lat. base leg –( in lectus, bed); Gk. base lec- (in levco" , bed) (II, 3, 33 - 40),

ha detto il vero: I dadi stessi gli obbediscono, e nei nostri giochi la mia destrezza migliore cede alla sua fortuna: se tiriamo a sorte, egli vince, i suoi galli vincono la lotta con i miei anche quandi non ne hanno la possibilità, e le sue quaglie battono sempre le mie malgrado lo svantaggio. Andrò in Egitto e sebbene il faccia questo matrimonio per la mia pace, il mio piacere giace in oriente.

L’inglese infatti è “lingua d’origine germanica  profondamente latinizzata”[1]

 

Plutarco procede scrivendo che Antonio contrariato da questi motivi e incline a dare fede all’Egiziano se ne andò dall’Italia mettendo i suoi affari domestici nelle mani di Cesare, quindi portò Ottavia fino alla Grecia dopo che era nata loro una bambina qugatrivou gegonovto" aujtoi`" (Vita di Antonio, 5 - 6). Si tratta di Antonia maior nipote di Augusto e nonna di Nerone.

 

Bologna 6 aprile 2021

Giovanni ghiselli

 

La presenza degli autori classici nelle tragedie di Shakespeare. XXIII

La musica dà segni, significa.

Antonio si identifica con Dioniso e con Eracle.

Gli scherzi di Antonio e Cleopatra

 

All’inizio della quinta scena del II atto Cleopatra dice ai suoi assistenti Carmiana Iras e Alexas: “Give me some music; music, moody food of us that trade in love” (II, 5, 1-2), datemi della musica, musica, umorale nutrimento di noi che traffichiamo nell’amore.

La musica significa pur senza parole. Può dare dei segni anche a chi traffica nel potere.

In questa stessa tragedia si sente una musica come di oboe in aria, o piuttosto da sotto terra, davanti al palazzo di Cleopatra e un soldato chiede: “It signs well, does it not?E un altro milite “No”. 

Dunque “What should this mean?” E il  lucido pessimista risponde: “’Tis the god Hercules, whom Antony loved, Now leaves him” ( IV, 3, 14-16).

 T. S. Eliot ha utilizzato queste parole: “the God Hercules/Had left him, that had loved him well” (Burbank with a Baedeker, Bleistein with a cigar (1920).

 

Antonio Eracle

Plutarco scrive che l’aspetto stesso di Antonio ricordava quello di Eracle quale appare nei dipinti e nelle statue. Aveva una bella barba, un’ampia fronte e un naso aquilino. Secondo una tradizione antica gli Antoni erano Eraclidi discendenti da Antone, figlio di Eracle, e il triumviro si adoperava per confermare questa leggenda con l’atteggiamento e l’abbigliamento: portava al fianco una grande spada mavcaira megavlh e indossava un mantello ruvido savgo" perievkeito tw'n sterew'n (4, 1-4).

I Romani non approvavano il suo amore per Cleopatra e il fatto che riconobbe i gemelli avuti da lei. Ma Antonio era abile nel gloriarsi delle brutture ajll j ajgaqo;" w]n ejgkallwpivsasqai toi'" aijscroi'" (Vita,  36, 6)  diceva che la nobiltà di stirpe si propaga con molti figli. Così Eracle e il poprio progenitore Antone, figlio di Eracle, avevano dato libero corso alla natura mettendo al mondo tanti figli.

 

Antonio Dioniso

Plutarco racconta che Antonio entrò in Efeso preceduto da donne vestite come le Baccanti e da uomini e fanciulli abbigliati da Satiri e da Pan; la città era piena di edera, tirsi, zampogne e flauti e la gente acclamava Antonio come Dioniso che dà gioia e amabile. Per alcuni sarà stato tale, ma per i più era   j Wmhsth;~ kai;  jAgriwvnio~ (Vita di Antonio, 24, 4-5), Dioniso Crudivoro e Selvaggio. Ricordo che Dioniso è un dio ambiguo con aspetti molto diversi  nell’Iliade di Omero (V canto) nelle Baccanti di Euripide e nelle Rane di Aristofane.

 

Antonio tragicomico

Plutarco racconta alcune buffonate che i due amanti compivano divertendo gli Alessandrini i quali ridevano delle sue buffonate e  dicevano che Antonio con i Romani usava la maschera tragica e con loro quella comica ( levgonte~ wJ~ tw`/ tragikw`/ pro;~ tou;~  JRomaivou~ crh`tai proswvpw/, tw`/ de; kwmikw/` pro;~ aujtouv~,  29, 4).

 

Antonio comico

Vediamo allora un esempio di questa tendenza alla buffonata (bwmolociva)

 Il biografo fa un esempio degli scherzi dei due amanti: una volta Antonio pescando senza prendere nulla ajlieuvwn potev kai; dusagrw`n  era irritato: gli pesava l’insuccesso davanti a Cleopatra h[cqeto parouvsh" th`" Kleopavtra" (Vita di Antonio, 29, 5).

Allora ordinò a dei pescatori ejkevleuse tou;" aJliei`" di nuotare sott’acqua di nascosto e di attaccare all’amo dei pesci già pescati. Antonio tirò su due o tre volte quei pesci morti ma Cleopatra si accorse dell’inganno oujk e[laqe th;n Aijguptivan (6)

 Fingendo però di essere ammirata prospoioumevnh de; qaumavzein, invitò gli amici ad assistere alla pesca il giorno seguente. All’indomani salirono su delle barche e Antonio si mise a pescare. Cleopatra allora ordinò a uno dei suoi di nuotare sott’acqua prima degli altri e di attaccare all’amo un pesce salato del  Ponto Pontiko;n tavrico" (7)

Quando Antonio lo tirò su, scoppiarono le risa come era naturale e Cleopatra disse: “o grande comandante, lascia la canna da pesca a noi che regniamo su Faro e Canopo: la tua preda sono città, regni e continenti” ( Vita di Antonio, 7).

Mentre lo canzonava, trovò modo di lusingarlo.

Nell’Antonio e Cleopatra di Shakespeare è Carmiana che ricorda a Cleopatra questo scherzo: fu divertente quando faceste una scommessa sulla pesca; “ ’Twas merry

 When you wager’d on your angling: when your  diver

did hang a salt-fish on his hook, which he

 with fervency drew up” II, 5, 15-18) fu divertente quando faceste una scommessa sulla vostra pesca;  quando il vostro palombaro attaccò un pesce salato al suo amo ed egli lo tirò su con ardore.

 

La regina ricorda: “quella volta-o che tempi! I laughed him out of patience, and that night

 I laughed him into patience”,  io risi fino a fargli perdere la pazienza e la notte risi tanto da ridargliela, e la mattina dopo, prima della nona ora lo rimandai ubriaco al suo letto. 

 

Anche il biografo nota brutti segni poco prima della guerra con Ottaviano “Pesaro città colonizzata da Antonio, situata sull’Adriatico Peivsaura

 jAntwnivou povli"  klhrouciva wj/kismevnh para; to;n   jAdrivan,  fu ingoiata da una voragine che si spalancò nella terra (Vita di Antonio, 60, 2).

Poi una statua di Antonio presso Alba stillò sudore per molti giorni,  e, mentre lui stesso soggiornava a Patrasso, il tempio di Eracle fu colpito dai fulmini, quindi ad Atene il Dioniso della Gigantomachia situato sul muro meridionale dell’acropoli cadde nel teatro strappato dal vento (60, 3-4) 

Antonio diceva di essere parente di Eracle per la stirpe, e di Dioniso poiché ne imitava lo stile di vita, Si faceva chiamare Diovnuso" nevo" (Vita di Antonio, 60,  5).

Seguirono altri presagi con tristo annunzio di futuro danno.

 

Plutarco fa notare un’altra analogia tra Eracle e Antonio, quindi lo assimila a Paride: come Eracle fu schiavizzato da Onfale, la regina di Lidia che gli tolse la clava e la pelle leonina- to; rJovpalon kai; th;n leonth'n (Vita, 90, 3), così Cleopatra ammaliò, disarmò Antonio e lo persuase a rimanere ozioso divertendosi con lei sulle spiagge di Canòpo.

Alla fine come Paride (Iliade, III 380 sgg ) fuggito dalla battaglia ejk th`" mavch" ajpodrav" (ajpodidravskw) affondava nei seni di lei  eij" tou" ejkeivnh" kateduveto kovlpou" (90, 5)

 

 

Il topos dell’ occasione che va acciuffata siccome è calva di dietro

 

Nell’Antonio e Cleopatra  Menas dice –a parte-: “I’ll never follow thy pall’d -latino pallidus- fortune more - who seeks and will not take, when once ‘tis offer’d -latino offerre-- shall never find it more” (II 7, 81 - 83), non seguirò più la tua smunta fortuna: chi cerca e non prenderà una cosa quano gli viene offerta, non la troverà mai più.

 

 

Sesto Pompeo ha appena replicato all’amico pirata che gli ha proposto di uccidere i triumviri: “avresti dovuto farlo senza senza parlarmene. Accettare ora che me l’hai detto sarebbe scelleratezza, in te sarebbe stato rendermi un buon servizio.

‘Tis not my profit -latino profectus p.p. of proficere to make progress- that does lead mine honour; mine honour it (II, 7, 75-76), non è il mio profitto che guida il mio onore;  il mio onore viene proma.

 

Sesto Pompeo mette l’onore davanti al profitto dunque.

 

Simile è la risposta di Neottolemo a Odisseo che gli ha proposto di mentire a Filottete per impossessarsi delle sue armi. Il figlio schietto dello schietto Achille, svaluta il sumfevron (utile) e apprezza il kalovn (bello, e bello morale) contrapponendosi al fallace figlio di Laerte o di Sisifo che fosse  :" bouvlomai  d' , a[nax, kalw'"-drw'n ejxamartei'n ma'llon h]  nika'n kakw'" " (Sofocle, Filottete, vv. 94-95), preferisco, sire, fallire agendo con nobiltà che avere successo nella volgarità.

Una risposta ancora più nobile di quella non ignobile di Sesto Pompeo. Lucano giudica malevolmente Sesto Pompeo

Pompei ignava propago  (Pharsalia, VI, 589)

 

L’occasione fa offerte generose ma non sopporta indugi. E’ come una bella donna che ti si offre con magnifica provocazione: se esiti, va molto presto da un altro.

 

Pindaro associa l’occasione all’intelligenza: “a ogni cosa si accorda misura: e capire è  l’occasione ottima”- noh`sai de; kairo;" a[risto"- (Pindaro, Olimpica XIII, vv. 47-48).

 Oreste nell'Elettra di Sofocle, dove si tratta di vita o di morte, conclude il suo primo discorso affermando che l'occasione è sovrana :"kairo;" gavr, o{sper ajndravsin-mevgisto" e[rgou pantov" ejst j ejpistavth"" (vv. 75-76),  l'occasione infatti è appunto per gli uomini la più grande presidente di ogni agire.

  Isocrate[2] nel manifesto della sua scuola, Contro i sofisti [3] afferma che  difficile non è tanto acquisire la conoscenza dei procedimenti retorici, quanto non sbagliarsi sul momento opportuno per usarli:"tw'n kairw'n mh; diamartei'n"( 16).

Cicerone suggerisce di usare il vocabolo occasio per tradurre il greco eujkairiva che designa il tempus…actionis opportunum, il tempo opportuno di un'azione[4].  

Né bisogna dimenticare che l'occasione "è calva di dietro"[5].

Marlowe risale forse a Fedro (V, 8) che ricorda come gli antichi foggiarono l’immagine del Tempo un uomo calvus, comosa fronte, nudo occipitio. Tale immagine (effigies)  occasionem rerum significat brevem. 

 

 Nietzsche: “Forse il genio non è affatto così raro: sono rare le cinquecento mani che gli sono necessarie per dominare il kairov~, “il momento opportuno”, per afferrare per i capelli il caso!”[6].

 

Concludo con la Vita di Antonio di Plutarco

I triumviri volevano appacificarsi con Sesto Pompeo il quale occupava la Sicilia, saccheggiava l’Italia e aveva reso impraticabile alla navigazione il mare con molte navi a capo delle quali erano Mhna`" oJ peirathv" kai; Menekravth" (Vita di Antonio, 32, 1)

Si riunirono dunque a capo Miseno. Siamo nel 39 a. C.

Si accordarono e si scambiarono inviti a cena.  I triumvii salirono sulla nave ammiraglia di Sesto Pompeo e vennero accolti cordialmente. Durante il banchetto il pirata Menas si avvicinò a Pompeo e gli sussurrò la proposta di renderlo unico padrone di tutto l’impero romano.

Pompeo rispose: avresti dovuto farlo senza dirmelo pima: “ejpiorkei`n ga;r oujk ejmovn (32, 8), infatti non è da me spergiurare.

 

 

Cleopatra e Antonio peparano la loro rovina

 

Domizio Enobarbo, già pompeiano, perdonato da Cesare, poi si unì a Sesto Pompeo contro i triumviri. Ma nel 40 passò ad Antonio dal quale  defezionò durante la battaglia di Azio, come la vide perduta.

 

Enobarbo dunque nella tragedia di Shakespeare consiglia ad Antonio di non affrontare la battaglia decisiva per mare come è nei piani dell’amante di Cleopatra, soggetto a lei

Your ships are not well mann’d

your mariners are muleters, reapers, people

ingross’d by swift impress; in Caesar’s fleet

are those that often have ‘gainst Pompey fought:

their ships are yare, your heavy: no disgrace

Shall fall you for refusing him at sea

Being prepared for land”,  le vostre navi non sono ben fornite di uomini,

i vostri matìrinai sono mulattieri, mietitori, gente raccolta in fretta con leva forzata, , nella flotta di Cesare ci sono quelli che hanno combattuto spesso contro Pompeo: le loro navi sono leggere, le vostre pesanti: nessuna vergogna vi cadrà addosso per il rifiuto del mare essendo preparato per la terra

( Antonio e Cleopatra, III, 7- 34- 40).

 

Ma Antonio insiste: By sea, by sea. 

 

Anche Enobarbo insiste: con la battaglia navale Antonio rinuncerebbe alla sua specialità di comandante di fanti agguerriti e annullerebbe il vantaggio che ha sull’esercito di Ottaviano: “ 

Most worthy sir, you therein leave unexecuted

Your own renowned knowledge, quite forgo

The way which promises assurance , and

Give up yourself  merely to chance and  hazard

From firm security ( III, 7, 44-48),

mio degno signore, con ciò voi lasciate inerte la vostra rinomata perizia, rinunziate alla strada che promette certezza  e vi date in balia del caso e del rischio alllontanandovi da una salda sicurezza.

E Antonio: I’ll fight at sea

The way which promises assurance è la strada del proprio carattere dei propri talenti sulla quale ognuno di noi deve procedere metodicamente ( cfr. ojdov", strada appunto) dopo averli trovati e messi alla prova. Se funzionano bene, cambiare strada è la rovina.

La persona, uomo o donna che sia, la quale ti fa perdere la strada che è la tua, è il tuo demone cattivo.

Quando Giuliano si prepara ad attaccare Costanzo parla ai soldati che l’hanno proclamato Augusto nel 361 d. C.: quid agi oporteat bonis successibus  instruendi  (Ammiano Marcellino, XXI, 5, 6).

 

Sentiamo Pavese:"Quale mezzo migliore per una donna che vuole fottere un uomo, se non portarlo in un ambiente non suo, vestirlo in un modo ridicolo, esporlo a cose di cui è inesperto, e-quanto a lei-avere nel frattempo altro da fare, magari quelle cose stesse che l'uomo non sa fare? Non solo lo si fotte davanti al mondo, ma-importante per una donna che è l'animale più ragionevole che esista-ci si convince che va fottuto, si conserva la buona coscienza"[7].

Cleopatra e Antonio appunto

 

Ora sentiamo Plutarco

 

Enobarbo in un primo momento  aveva covinto Antonio a indurre Cleopatra a navigare da Efeso, dove si stava radunando l’armata,  all’Egitto: là avrebbe dovuto attendere con la sua ansia la fine della guerra ( kajkei` diakaradokei`n povlemon- (Vita di Antonio,  56, 3).

Se poprio si doveva combattere pe mare che almeno non ci fosse Cleopatra.

 

Ma ella aiutata da Canidio, un generale di Antonio, fece prevalere argomenti che raccomandavano la propria presenza, ossia la rovina di Antonio: e[dei ga;r eij" Kaivsara pavnta perielqei`n (56, 6)  era fatale infatti che tutto il potere passasse a Cesare (cioè a Ottaviano).

 

Quindi i due amanti andarono  a Samo dove passavano il tempo ejn eujpaqeviai" , nei godimenti. E mentre intorno a lro quasi tutta la terra abitata, risuonava di lamenti e di gemiti, questa sola isola per molti giorni echeggiava il suono dei flauti e delle cetre-kathulei`to kai; kateyavlleto (56, 8), i teatri erano pieni e si svolgenano i concorsi dei cori.

Quindi i due amanti andarono ad Atene dove si dedicarono di nuovo a divertimenti e spettacoli. Antonio era del tutto in balìa di Cleopatra e mandò un suo inviato a Roma perché scacciasse Ottavia da casa sua

La sorella di Ottaviano piangeva e i Romani ne avevano compassione, soprattutto quelli che avevano visto Cleopatra e l’avevano trovata meno giovane e meno bella di Ottavia (Vita di Antonio, 57)

Antonio dunque procratinava l’inizio della guerra lasciando a Ottaviano il tempo di prepsararsi e Cleopatra intanto agiva contro gli amici di Antonio facendo il vuoto intorno a lui.

Ottaviano faceva propaganda dicendo che Antonio sotto l’effetto di droghe non era più padrone di se stesso wJ"  j Antwvnio"  me;n ujpo; farmavkwn oujdJ auJtou` kratoivh (60, 1), sicché  e i Romani avrebbero combattuto contro gli eunuchi di Cleopatra, la sua parrucchiera Iras e la sua amica Carmione. Siamo oramai vicini alla guerra e sul conto Antonio ci furono anche i brutti segni di cui abbiamo già detto.

Ne aggiungo uno : la nave ammiraglia di Cleopatra si chiamava Antoniade  e su questa apparve un segno terribile shmei`on de; peri; aujth;n deino;n  ejfavnh (Vita, 60, 7) : delle rondini avevano fatto il nido sotto la poppa- celidovne" ga;r ujpo; th;n pruvnan ejneovtteusan, ma delle altre sopraggiunte scacciarono queste e ne uccisero i piccoli ( e[terai d j ejpelqou`sai kai; tauvta" ejxhvlasan kai; ta; neovttia dievfqeiran-60, 7) . Antonio dunque era già spacciato da Cleopatra, dal destino ma soprattutto da se stesso

 

Appendice

 

I due lati della rondine

 

La rondine evoca il ritorno della primavera ma anche il mito con la storia tragica di Procne, Filomela e Tereo

Maurizio Bettini dedica un capitolo (il IV "Turno e la rondine nera") del suo Le orecchie di Hermes alla rondine come uccello dal doppio significato. A una nigra hirundo viene paragonata Giuturna  mentre si sposta tra i nemici alla guida del carro e trascina il fratello Turno verso la morte cui è già consacrato:"Nigra velut magnas domini cum divitis aedes-pervolat et pennis alta atria lustrat hirundo-pabula parva legens nidisque loquacibus escam,-et nunc porticibus vacuis, nunc umida circum-stagna sonat: similis medios Iuturna per hostis-fertur" (Eneide, 12, 473 sgg.), come quando nera una rondine vola attraverso la grande casa di un uomo ricco e con le ali percorre gli alti atri raccogliendo piccoli alimenti e il cibo per il garrulo nido, e garrisce ora per i portici vuoti, ora intorno agli umidi stagni: similmente Giuturna si muove in mezzo ai nemici. Questa similitudine risulta "molto virgiliana…per una certa atmosfera sottilmente inquieta, ambigua, che la pervade tutta. La rondine è creatura lieta, si dice, porta la primavera e ama le case degli uomini[8]. Eppure, questo suo correre di rondine nigra attraverso l'edificio (aedes) e gli alta atria, il grido che risuona dalle vacuae porticus, suscitano in chi legge un imprecisabile senso di angoscia…quel nigra, trascurando il dato ornitologico, ha soprattutto la funzione di preannunziare il cupo destino che incombe su Turno… E poi  c'è nigra. La similitudine si apre con questo aggettivo, e il sostantivo hirundo compare solo alla fine del verso successivo, in una tensione lunghissima. Due interi versi in cui una macchia nera, indefinita, attraversa volando la casa dell'uomo ricco, fra le colonne del portico: e quando, finalmente, questa macchia-epiteto si riaggancia al suo sostantivo, hirundo, l'impressione di "nero" è già troppo profondamente marcata in chi legge. Scoprire che si tratta della rondine-l'amica degli uomini, si dice- è sollievo limitato(…)

 Ma l'esempio forse più interessante è costituito da una storia che si narrava di Alessandro Magno[9]. Il generale stava dormendo , "a mezzogiorno", quando una rondine cominciò a volteggiare sulla sua testa. Alessandro, ancora nel sonno, tentò di scacciarla con una mano, ma la rondine non voleva saperne di andarsene. Si allontanò solo quando il Macedone, destatosi, la colpì con forza- ma prima lasciò cadere su di lui i suoi escrementi[10]. Alessandro si spaventò molto del prodigio, e mandò a chiamare l'indovino Aristandro di Telmisso, che abilmente lo rassicurò. L'indovino volse il prodigio in bonam partem appellandosi al carattere di "amica dell'uomo" posseduto dalla rondine. Si tratta di uno dei tipici casi in cui, di fronte a una credenza di tipo bipolare, la dialettica fra dark side e bright side viene utilizzata per fini di carattere "contestuale": sfruttandone le intrinseche possibilità di manipolazione."[11]

 

Vediamo il testo di Arriano.

 Durante l’assedio di Alicarnasso. Mentre Alessandro riposava sul mezzogiorno una rondine svolazzava sulla sua testa truvzousan megavla (1, 25, 6) garrendo ripetutamente e si posava qua e là sul suo letto e cantava in modo più irrequieto del solito qorubwdevsteron h} kata; to; eijwqov~ a[/dousan (25, 7). L’eroe macedone non si svegliava e comunque cercava di scacciarla con la mano, ma la rondine si posò sulla sua testa e non se ne andò prima che quello si fosse svegliato del tutto (25, 8). L’indovino Aristandro gli disse che questo significava una macchinazione di amici che sarebbe stata scoperta. Infatti la rondine è un uccello familiare e benevolo suvntrofon kai; eu[noun  verso gli uomini e lavlon chiacchierone più degli altri uccelli. (25, 9).

giovanni ghiselli

 

La rondine è un segno non chiaro anche nel Macbeth dove Banquo giungendo al castello del protagonista già pronto al cupo delitto sostiene che la presenza di questo uccello significa amenità del luogo e amabilità dell'aria: l'alito del cielo qui sa di amore (I, 6). Invece si sta preparando un assassinio.

 

Il meccanismo del potere è una scala i cui gradini sono vite umane da calpestare. 

Shakespeare mostra di lacrime grondi e di che sangue. Pima di lui Erodoto, Euripide, Platone, Tito livio e tanti altri

 

Macbeth  di Shakespeare inciamperà nel meccanismo del potere che è una scala i cui gradini sono vite umane da calpestare:"That is a step/On which I must fall down, or else o'erleap / For in my way it lies-Lat base leg-lectus- " (I, 4), questo è un gradino sul quale devo cadere oppure scavalcarlo poiché si trova sulla mia strada.  Il gradino è Malcolm, un figlio del re ucciso.

Poi (III, 4): ci  sarà ancora sangue: blood will have blood, sangue vuole sangue. Così le Erinni nell’Orestea

Quindi: “I am in blood –stepped in, so far, that should I wade- latino vadum- no more,-returning were as tedious-taedium as go o’er” (Macbeth, III, 4) mi sono inoltrato nel sangue che, se non passassi il guado, il tornare indietro sarebbe pericoloso come l’andare avanti.   Cfr. il tiranno che taglia le teste: Trasibulo di Mileto e Periandro di Corinto in Erodoto, e i Tarquini in Tito Livio.

Erodoto poi Tito Livio raccontano che le prime vittime del tiranno sono le persone intelligenti e capaci

Periandro tiranno di Corinto, quando era ancora apprendista e la sua malvagità non si era  scatenata, accolse il suggerimento di Trasibulo tiranno di Mileto il quale:"oiJ uJpetivqeto (…) tou;" uJperovcou" tw'n ajstw'n foneuvein", gli consigliava di mettere a morte i cittadini che si distinguevano ( Storie , V, 92 h) . Il tiranno esperto aveva dato il consiglio criminale in maniera simbolica: mostrandosi a un araldo, mandato da Corinto a domandargli come si potesse governare la città nella maniera più sicura e bella, mentre recideva le spighe più alte di un campo di grano.

Periandro comprese e allora rivelò tutta la sua malvagità (" ejnqau'ta dh; pa'san kakovthta ejxevfaine").

 

  Tito Livio attribuisce lo stesso gesto di Trasibulo, con le stesse intenzioni, al re Tarquinio il quale indicò al figlio Sesto cosa fare degli abitanti di Gabi con un'analoga risposta senza parole:" rex velut deliberabundus in hortum aedium transit sequente nuntio filii; ibi inambulans tacitus summa papaverum capita dicitur baculo decussisse "(I, 54), il re quasi meditabondo passò nel giardino della reggia seguito dall'inviato del figlio; lì passeggiando in silenzio, si dice che troncasse con un bastone le teste dei papaveri[12]. 

Il falso sciocco: l’ossimoro vivente

Bruto, per salvarsi, aveva stabilito di non lasciare al re nulla da temere dall'animo suo, nulla da desiderare nella sua fortuna, e di trovare sicurezza nell'essere disprezzato:"Ergo ex industria factus ad imitationem stultitiae, cum se suaque praedae esse regi sineret, Bruti quoque haud abnuit cognomen " (I, 56, 8) pertanto fingendosi stolto apposta, lasciando se stesso e i suoi beni al re, non rifiutò neppure il soprannome di Bruto.

il Coro dell'Eracle di Euripide dopo la punizione del tiranno Lico afferma che l'oro, e il successo, spingono i mortali fuori dalla ragione tirandosi dietro un potere ingiusto:" oJ cruso;" a[ t j eujtuciva-frenw'n brotou;" ejxavgetai-duvnasin a[dikon ejfevlkwn" (vv. 774-776).

Lo afferma anche Platone  chiamando in causa Omero che ha rappresentato Tantalo, Sisifo e Tizio "ejn  j Aidou to;n ajei; crovnon timwroumevnou""(525e), puniti nell'Ade per sempre: questi erano appunto re e dinasti; mentre Tersite, e chiunque altro sia stato malvagio da privato cittadino ("ijdiwvth"") non ha avuto occasione di fare tanto male, e per questo si può considerare più fortunato dei potenti dai quali provengono "oiJ sfovdra ponhroiv" ( Repubblica, 526a) quelli malvagi assai.

giovanni ghiselli

 

 

 

 

Antonio subornato da Cleopatra affronta il giudizio della battaglia sbagliando tutto.

Plutarco prosegue ribadendo che Antonio era succube di Cleopatra –prosqhvkh th`" gunaikov", (Vita di Antonio, 62, 1) era diventato una specie di aggiunta, appendice della donna-  al punto che pur essendo di molto superiore nelle truppe di terra, tw`/ pezw`/ polu; diafevrwn, per assecondare Cleopatra voleva che fosse adoperata la forza nautica, anche se vedeva che nell’Ellade i comandanti delle navi per scarsità di equipaggi dovevano arruolare viandanti-oJdoipovrou"-, asinai,-ojnhlavta"- mietitori-qeristav"- ed efebi-ejfhvbou". Le navi comunque rimasero male equipaggiate

quelle di Ottaviano invece erano maneggevoli veloci e bene equipaggiite

Abbiamo già visto che nella tragedia di Shakepeare Enobarbo suggerisce ad Antonio di combattere una battaglia terrestre per la quale è già prepared, preparato. 

Diverse  parole di questo consiglio traducono quelle di Plutarco. Le ho citate nella parte precedente (XXV)  e le ripeto qui dopo averle riconosciute nel testo greco   

Your ships are not well mann’d

your mariners are muleters, reapers, people

ingross’d by swift impress; in Caesar’s fleet

are those that often have ‘gainst Pompey fought:

their ships are yare, your heavy: no disgrace

shall fall you for refusing him at sea

Being prepared for land” (III, 7, 34-40),  le vostre navi non sono ben fornite di uomini, i vostri matìrinai sono mulattieri, mietitori, gente raccolta in fretta con leva forzata; nella flotta di Cesare ci sono quelli che hanno combattuto spesso contro Pompeo: le loo navi sono leggere, le vostre pesanti.

 

Poco dopo entra un soldato e Antonio lo fa parlare.

Il soldier dice (III, 7, 60-66):

o noble empeor, do not fight by sea;

Trust not to rotten planks. Do you misdoubt

This sword and these my wounds? Let the Egyptians

And the Phoenicians go a-ducking: we

Have used to conquer, standing on the earth

And fighting foot-corresponding to Idg. type *pōd, with the variants *ped, *pod- Cf L. pēs, Gk pouv" (Aeolic pwv")[13]- o nobile generale, non combattete per mare; non affidatevi a tavole imputridite: potete dubitare di questa spada e di queste mie ferite? Lasciate che gli Egiziani e i Fenici vadano guazzare come oche: noi siamo abituati a vincere stando sul terreno, e combattendo piede a piede.  

 

Antonio esce dopo avere risposto solo “Well, well, away! Con lui  escono Cleopatra, Enobarbo. Quindi Canidio,  luogotenente generale  di Antonio,

risponde al soldato che l’azione bellica di Antonio non si sviluppa dal lato della sua forza: “so our leader ‘s led/ and we are women’s men” (68-69), così il nostro comandante è comandato e noi siamo uomini in mano a donne

Si ricorderà che in precedenza Canidio aveva sosenuto Cleopatra (Plutarco Vita di Antonio, 56, 6 citato sopra: XXV) ma poi para; ta; deinav, di fronte al pericolo, una metabolh; gnwvmh", un cambiamento di parere gli fece consigliare ad Antonio di mandare via Cleopatra-Kleopavtran me;n ajpopempein- , di ritirarsi in Tracia e in Macedonia e di combattere per terra-pezomacia/ kri`nai cfr. crisis-criterion decidere con un combattimento terrestre(63, 6-7). Lo stesso Antonio stava prendendo in considerazione l’esercito di terra perché vedeva che la flotta operava male. Tuttavia prevalse il parere di Cleopatra che la guerra venisse decisa con le navi: “oij mh;n ajll j ejxenivkhse Kleopavtra dia; tw`n vew`m kriqh`nai to;n povlemon” ( 63-6). La regina oltretutto era già orientata alla fuga e dispose le navi nella posizione dalla quale fosse più facile scappare qualora le cose si fossero messe male.

Siamo arrivati alla battaglia di Azio (2 settembre del 31). 

giovanni ghiselli

 

La battaglia di Azio. Antonio perde la guerra e anche la reputazione

Plutarco scrive che quando la battaglia navale  non era già  aggiudicata e stava ancora alla pari- ajkrivtou de; kai; koinh`" th`" naumaciva" sunestwvsh" (Vita di Antonio 66,5), si videro le sessanta navi di Cleopatra- aiJ Kleopavtra" eJxhvkonta nh`e"   che alzavano le vele per la ritirata, fuggivano attraverso i combattenti e aprendosi un varco tarach;n ejpoivoun, creavano confusione.

 

La confusione

Abbiamo detto più volte che la confusione è il male delle origini che si riaffaccia periodicamente e portando regresso.

Nei Cavalieri  (424 a. C) di Aristofane Cleone-Paflagone è chiamato “borborotavraxi” (v. 307),  mescola-fango; egli si comporta come i pescatori di anguille, i quali le acchiappano, solo se mettono sottosopra il fango: “kai; su; lambavnei", h]n th;n povlin taravtth/" (v. 867), anche tu arraffi, se scompigli la città,  gli fa il salsicciaio.

Alla fine la confusione però si ritorce contro chi la crea: Cleone morirà  nel 422 ad Anfipoli ucciso in battaglia come pure lo spartano Brasida, l’altro pestello della Grecia. Nella commedia,  il demagogo Paflagone perderà il potere.

Quello della confusione è un tema ricorrente nella Medea di Seneca. La navigazione ha unito, confondendo, parti che doveva restare separate e distinte. Così si sono  guastati i candida…saecula  (Medea, 329) dei padri. "Bene dissaepti foedera mundi/ traxit in unum Thessala pinus,/iussitque pati verbera pontum/partemque metus fieri nostri/mare sepositum" ( Medea, vv. 335-339), la nave tessala unificò le parti del cosmo ben  separate da un recinto di leggi, e ordinò che il ponto patisse le frustate dei remi e che il mare lontano divenisse parte della nostra paura.

 Il rischio è quello del ritorno al magma indifferenziato del caos. Infatti “il pretium huius cursus [14], il risultato del caos cosmico provocato dalla prima nave è Medea, emblema del caos etico "[15].

Il mondo pervius ha aperto la via alla "confusion delle persone"[16] .

 

Ma torniamo a Plutarco che punta l’obiettivo e la critica su Antonio il quale non si comportò da capo né da uomo non agendo in modo razionale ma si lasciò trascinare da quella donna come se fosse connaturato a lei e mosso con lei-w{sper sumpefukw;" kai; summetaferovmeno" –(66, 8). Infatti tradendo e abbandonando quelli che combattevano e morivano per lui seguiva la donna che l’aveva già rovinato e l’avrebbe fatto morire.

 

Ora passiamo a Shakespeare.  Per l'uomo moderno, Plutarco significa Shakespeare"[17], e viceversa.

Enobarbo annuncia la rovina, l’azzeramento totale, inguardabile:  “Naught, naught, all naught! I cannot behold no longer!

The Antoniad, the Eyptian admiral,

With all their sixty, fly and turn latino torno-as; tornus- the rudder:

To see ’t mine eyes are blasted ( III, 10, 1-4), niente, niente, tutto è niente. Io non posso guardare più a lungo. L’Antoniade, l’ammiraglia Egiziana, con tutte le sue sessanta, fugge e volta il timone, a vedere questo i miei occhi sono scoppiati.  

 

Quindi entra Scaro un altro amico di Antonio che dice: “we have kiss’d away-kingdoms and provinces” (7-8) abbiamo consumato in baci regni e province. Quindi racconta a Enobarbo la fuga di Cleopatra seguita dall’amante risucchiato da lei: “quell’oscena baldracca d’Egitto, che la colga la lebbra-whom leprosy- latino lepra, leprosus-o’ertake-  nel mezzo della battaglia, quando il vantaggio appariva pari come due gemelli, o piuttosto maggiore il nostro, punta da un tafano –like a cow in June!- come una vacca in giugno, alza le vele e scappa (III, 10, 10- 15).  Cfr. Iò nel Prometeo incatenato

 

La donna paragonata a una mucca spinta a correre dalla brezza o punta da un tafàno fa venire in mente la povera Iò del Prometeo incatenato di Eschilo.

 

Enobarbo conferma che ha visto anche lui quella scena ammalandosi di occhi.

Il racconto di Scaro prosegue  con Antonio che corre dietro a Cleopatra ossia alla  propria rovina come un’anatra rimbecillita like a doting mallard ( III, 10, 20) lasciando il combattimento giunto al culmine.

Antonio ha perso la faccia con i suoi: “I never saw an action of such shame; experience manhood, honour, ne’er before –did violated so itself (22-24) non ho mai visto un’azione di tale vergogna: esperienza, virilità, onore, mai pima si sono così violati da soli.

Lo riconosce poco più avanti lo stesso Antonio: “I have offended my reputation, /  a most unnoble swerving, il traviamento più ignobile (III, 11. 47-48)

 

Excursus sulla reputazine

Sentiamo anche Cassio nell’Otello di Shakespeare: “Reputation, reputation, reputation! O, I have lost my reputation! I have lost the immortal part of myself, and what remains is bestial. My reputation Iago, my reputation! (II, 3).  Iago risponde: “Reputation is an idle and most false imposition; oft got without merit and lost without deserving: you have lost not reputation at all, unless you repute yourself such a loser”, la reputazione è una vana e falsissima imposizione; spesso ottenuta senza merito e perduta senza demerito: tu non hai perso la reputazione a meno che tu stesso reputi di averla perduta.  

La reputazione scaduta contibuisce allo scadimento dell’identità talora perfino alla sua perdita

 

La tragedia di Seneca dà grande rilievo al terrore dell'identità minacciata, quindi alla difesa della stessa.

Ricordo Medea superest ( Seneca, Medea, 166).

Grande dolore dunque provoca il calo della reputazione, secondo l'importanza che ha la dovxa nella cosiddetta civiltà della vergogna.

 

Ricordo anche la Medea  di Euripide che non vuole essere considerata una donna ordinaria e debole, né mite, ma di indole diversa, violenta con i nemici (barei'an ejcqroi'" ) e benevola con gli amici; infatti la vita di tali persone  è piena di gloria (eujkleevstato" bivo"), vv. 807-810. Alcesti invece diviene

eujklehv" (v. 150) , gloriosa, per la sua benevolenza e per "il coraggio che si manifesta essenzialmente nel prestare aiuto, nell'aver cura, nel proteggere"[18]. Ecco  due vie diverse per giungere a una rinomanza rispettata.

 

Già Solone nell'Elegia alle Muse  chiede, quale bene supremo, oltre il benessere (o[lbon), la reputazione buona (dovxan e[cein ajgaqhvn):  "Splendide figlie della Memoria e di Zeus Olimpio,/Muse Pieridi, ascoltate la mia preghiera:/concedetemi il benessere da parte degli dei beati, e di avere una buona/reputazione da parte di tutti gli uomini sempre;/in modo che così possa essere dolce per gli amici e amaro per i nemici,/rispettato da gli uni, temibile a vedersi per gli altri" (vv. 1-6).

 

Questa alta considerazione di quanto pensano gli altri di noi, induce a ricordare la definizione data da E. R. Dodds alla società descritta da Omero quale "Civiltà di vergogna" . In essa "il bene supremo  non sta nel godimento di una coscienza tranquilla, ma nel possesso della timhv, la pubblica stima (...) La più potente forza morale nota all'uomo omerico non è il timor di Dio, è il rispetto dell'opinione pubblica, aijdwv": aijdevomai Trw'a"[19], dice Ettore nel momento risolutivo del suo destino, e va alla morte con gli occhi aperti"[20].

Il cedimento alla pressione del conformismo sociale è caratteristico della cultura della vergogna "ove tutto quel che espone l'uomo al disprezzo o al ridicolo dei suoi simili, tutto quel che gli fa "perdere la faccia" è sentito come insopportabile"[21].

Esiodo[22] si trova su  questa linea, quando consiglia di evitare la cattiva fama (fhvmh kakhv) che è leggera a sollevarsi ("kouvfh me;n ajei'rai", Opere , v. 761), ma è pesante da portare ed è difficile togliersela di dosso ("ajrgalevh de; fevrein, caleph; d& ajpoqevsqai", v. 762).

 La Fama   in Virgilio è la dea foeda  (Eneide  IV, 95) la dea oscena che infama Didone per l'amore con Enea:"Fama, malum qua non aliud velocius ullum:/mobilitate viget virisque adquirit eundo;/parva metu primo, mox sese attollit in auras/ingrediturque solo et caput inter nubila condit " (Eneide , IV, 174-177), la Fama di cui nessun altro male è più veloce: ha la sua forza nella mobilità e acquista potenza con l'andare; piccola per paura dapprima, presto si alza nell'aria[23] e avanza sulla terra e nasconde il capo tra le nubi.

Nella Tebaide di Stazio la Fama è la dea turbida ( II, 208), burrascosa, che scatena burrasche.

 Qualche aspetto di questa culture of shame  dunque arriva a Virgilio, mentre dal Critone  di Platone (44C e sgg.) vediamo che a Socrate non importa niente dell'opinione dei più. Per il maestro suscitatore di energie morali  quello che conta è la coscienza di non avere agito contro il valore autentico della Giustizia.

Critone sostiene che bisogna tenere conto della reputazione poiché la maggioranza è capace di compiere i più grandi mali, se uno viene calunniato. Al che Socrate risponde: magari fossero capaci i più ("oiJ polloiv", 44d)  di compiere grandi mali, purché sapessero fare grandi beni. Ma non sanno fare né l'una né l'altra cosa e operano a casaccio ("poiou'si de; tou'to o{ti a]n tuvcwsi").

La moralità è il valore più importante solo per chi è andato oltre la civiltà di vergogna poiché soltanto una persona siffatta sa che "non vi è profonda felicità senza morale profonda"[24]. Lo ripeto come sintesi di questo excursus.

 Senza morale profonda non c'è neppure la bellezza:"Le risposte estetiche sono risposte morali: kalon kagathon…La forma senza Anima diventa formalismo, conformismo, formalità, formule, formulari burocratici: forme senza lucentezza, senza la presenza del corpo. Sigle invece di parole, società anonime. E intanto la bellezza è segregata nel ghetto delle cose belle: musei, ministero della cultura, musica classica, la stanza buia della canonica: Afrodite imprigionata…La nostra salvezza è in Afrodite, e il primo modo di scoprire la dea, per noi, è nella malattia della sua assenza"[25].

 

p. s.

Civiltà di vergogna (Culture of shame) dunque e Civiltà di colpa (Culture of guilt) secondo Dodds.

Peggiore però è questa civiltà dell’ignoranza e del cretinismo.

La Sardegna da bianca, in seguito alle riaperture, è diventata rossa.

Come si possono chiedere le riaperture dopo questo segnale?

Per dare vitto e alloggio ai caduti in miseria si faccia una patrimoniale  non si mandino all’obitorio altri centomila italiani

 

 

Eterno amore e amicizia eterna

L’amicizia di Enobarbo e Antonio sopravvive a tutto come l’amore tra Antonio e Cleopatra

 

Canidio il luogotenente di Antonio annuncia a Enobarbo e Scaro : “Toward Peloponnesus are they fled” essi sono fuggiti verso il Peloponneso (III, 10, 31)

Enobarbo dubita che la fedeltà ad Antonio abbia più senso almeno dal punto di vista della ragione e dell’utile: “I ’ yet follow the wounded chance of Antony, though my reason- latino ratio-rationem-/ sits  in the wind against me” (III, 10, 36-38)  io seguirò ancora la fortuna ferita di Antonio , sebbene la mia ragione si trovi nel vento a me contrario.

 

Quando Cleopatra, che si trova nel suo palazzo di Alessandria con Carmiana e Iras gli domanda: “What shall we do, Enobarbo?  III, 13, 1, 1) egli risponde: Think, and die, meditare e morire

Poi la regina gli fa: “Is Antony or we in fault for this?”

Enobarbo risponde: “Antony only, that would make his will Lord of  his reason” (III, 13, 2-4) solo Antonio che ha voluto mettere il suo piacere al di sopra della ragione. Fece male a seguire Cleopatra che fuggiva: the itch of his affection should not then-have nick’d his captainship, il prurito dell’amore non avrebbe dovuto intaccare in quel momento la sua funzione di comando (III, 13, 7-8)

 

 Poi la ragione prevale ma rimangono i dubbi: “mine honesty and I begin to square latino quadrare, tornare bene, corrispondere.” (III, 13, 41), la mia onestà e io cominciamo a corrispondere.

 

“The loyalty well held to fool does make/our faith -latino fides , greco pivsti" - mere latino merus - folly: yet he that can endure /to follow with allegiance a fall’d lord/does conquer- latino conquīrere- him that did his master conquer,/and earns a place latino platĕa, greco plateiva, via larga-  i’ the story” (III, 13, 42-46)  , la lealtà fedelmente tenuta ai folli, rende la nostra fedeltà pura follia: eppure colui che ha la costanza di seguire fedelmente un signore caduto, vince quello che ha vinto il suo signore e guadagna un posto nella storia.

 

  Bisogna mantenere la fede o no?

Machiavelli ritiene che il principe, soprattutto giunto al potere da poco, non sia tenuto a mantenere la fede

 

 “Et hassi ad intendere questo, che uno principe, e massime uno principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose per le quali li uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro umanità, contro alla relligione…Debbe, adunque, avere uno principe gran cura che non li esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità, e paia, a vederlo et udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto relligione”[26].

Riccardo III di Shakespeare è il “principe che ha letto Il Principe. La politica è per lui pura pratica, un’arte il cui fine è governare. Un’arte amorale come quella di costruire i ponti o come una lezione di scherma. Le passioni umane sono argilla, e anche gli uomini sono un’argilla di cui si può fare quel che si vuole.”[27].

 Riccardo espone il suo metodo: Io  commetto il torto e sono il primo a recriminare. Quindi mi incitano a vendicarmi: “ But then I sigh, and, with a piece of Scripture,-Tell them that God bids us do good for evil:-  And thus I clothe my naked villainy-With odd old ends stol’n forth of Holy Writ-And seem a saint, when most I play the devil” (I, 3, 334-339),  ma allora io sospiro, e, con un brano della Scrittura, dico loro che Dio ci ordina di rendere bene per male: e così rivesto la mia nuda scelleratezza con occasionali vecchi scampoli della Sacra Scrittura, e sembro un santo quando più faccio il diavolo.   

Tacito segnala la perversione della fides tra i Germani i quali, dopo avere perso tutto ai dadi (alea), con un ultimo lancio mettono in gioco la libertà personale, quindi, se perdono, mantengono la parola data e subiscono la schiavitù. Ebbene in questo caso ciò che loro chiamano fides è una forma di ostinazione in un vizio riprovevole: “ea est in re prava pervicacia”(Germania, 24, 2).

 

 

Nella Montagna incantata di T. Mann, Claudia Chauchat parla con Hans Castorp che è innamorato di lei e la corteggia. Il giovane chiede alla donna: “ Ci consideri pedanti, noi tedeschi…nous autres allemands?” E Claudia risponde “ nous causons de votre cousin. Mais c’est vrai, siete un poco burgeois.  Vouz aimez l’ordre mieux que la libertè, toute l’Europe le sait ” (V capitolo, Notte di Valpurga, p. 494, Mondadori, 2010), noi parliamo di vostro cugino, ma è vero, siete un poco borghesi  amate l’ordine più della libertà, lo sa tutta l’Europa. Il cugino di Hans è Joachim,  un militare tubercoloso che morirà nel sanatoio.

Hans replica a Claudia di cui è innamorato dicendo: “Ce que toute l’Europe nomme la libertè , est peut- être une chose assez pèdante et assez burgeoise en comparaison de notre besoin d’ordre-c’est ça!”, ciò che tutta l’Europa chiama libertà è forse qualcosa di piuttosto pedante e borghese, se la si confronta con il nostro bisogno dim ordine: è così.

 

  Torniamo a Enobarbo di Shakespeare

Quando vede che Cleopatra nel trattare la resa con Tireo, il  messo di Ottaviano, calunnia Antonio con il dire che il proprio onore fu preso con la forza, Enobarbo dice a parte: “Sir, sir, thou art so leaky-that we must leave thee to thy sinking, for thy dearest quit thee” (III, 13, 63-65), signore, signore, siete così perdente che dobbiamo lasciarvi al vostro naufragio, poiché l’essere a voi più caro vi abbandona. Poco più avanti dice a se stesso che è meglio giocare con un cucciolo di leone che con uno vecchio e morente (III, 13, 93-94).

 

La furia si associa al terrore, all’ impotenza, all’ infantilismo.

 

Alla fine del III atto Enobarbo che ha osservato la furia di Antonio, la associa al terrore della caduta dopo la sconfitta : “to be furious /is to be frighted out of fear” (Antonio e Cleopatra, III, 13, 195-196)  essere infuriato è essere spaventato al di là della paura.  

 

Anche secondo E. Fromm l’ira deriva dallo spavento:“we see a man who shouts and has a red face. We describe his behavior as ‘being angry’. If we ask why he is angry, the answer may be ‘because he is frightened’ ‘Why is he frightened?’ ‘Because he suffers from a deep sense of impotence’. ‘Why is this so?’ ‘Because he has never dissolved the ties to mother and is emotionally still a little child’[28], noi vediamo un uomo che grida e ha la faccia rossa. Descriviamo il suo comportamento dicendo che è arrabbiato. Se noi domandiamo perché è arrabbiato, la risposta può essere, perché è spaventato. Perché è spaventato? Perché soffre di un profondo senso di impotenza. Perché è così? Perché non ha mai reciso i legami con la madre ed è ancora emotivamente un bambino.

 

Enobarbo torna nella seconda scena del IV atto. Antonio gli domanda se sia disposto a combattere e lui risponde ambiguamente Take all! (7), prenda tutto (chi vince)  ma più benevolmente si può intendere “tutto per tutto” o “a tutti i costi” all’incirca come a detto Draghi  «Whatever it takes».

Quando poi Antonio passa dalla furia alla querimonia definendosi a mangled shadow greco skovto"-(IV, 2, 27),  un’ombra mutilata, Enobarbo gli rinfaccia il dolore che procura a chi gli sta vicino: “Look, they weep-and I, an ass, am onion- eyed: for shame-trasform us not to women (34-36), guardate essi piangono, e io ,da asino, sono come uno che ha la cipolla sotto gli occhi: per evitare la vergogna, non trasformateci in donne.

Forse questo consentire il pianto alle donne e proibirlo agli uomini dipende da Tacito: “feminis lugere honestum est, viris meminisse” (Germania, 27, 2)

Alla fine della sesta scena del IV atto Antonio domanda a un soldato chi ancora  è  andato via da lui, e il milite risponde: one ever near thee (IV, 6, 7) uno che vi è sempre stato vicino: Enobarbo , He is with Caesar, egli è con Cesare

Tuttavia tra i due l’affetto non è sparito come non sparisce l’amore tra Antonio e Cleopatra.

 Quando Eros lo informa che Enobarbo se ne è andato senza portare via i suoi scrigni e i suoi tesori,  Antonio gli ordina: Go Eros, send his treasur after; do it, vai Eros e mandagli i suoi tesori; fallio. Non trattenere uno iota, te lo ordino. Scrivigli cortesi addìi e saluti. Digli che gli auguro di non trovare più motivi per cambiare padrone. O, my fortunes have-corrupted honest men! (IV, 5, 12-16), oh le mie sventure hanno corrotto gli uomini onesti!

 

Anche l'Antonio di Plutarco si comporta con benevolenza-eujgnwmovnw"- verso l'amico che lo ha tradito e nonostante il parere di Cleopatra para; th;n Kleopavtra" gnwvmhn (Vita di Antonio, 63, 3).

Enobarbo h[dh purevttwn, già febbricitante,  era salito su una piccola barca e passato a Ottaviano.

Antonio pur molto dispiaciuto, barevw" ejnegkwvn, gi mandò comunque tutti i suoi bagagli con gli amici e i servi-o{mw" pa`san aujtw`/ th;n ajposkeuh;n meta; tw`n fivlwn kai; tw`n qerapovntwn ajpevpemye-

 

Domizio Enobarbo come alterato per l’evidenza della sua infedeltà e tradimento-w{sper ejpi; tw`/ mh; laqei`n th;n ajpistivan kai; prodosivan metabalovmeno" - morì subito dopo- eujqu;" ejteleuvthsen-(63, 4-5)

 

Pure l'Enobarbo di Shakespeare si pente

"I am alone the villain of the earth , /and fell I am so most", io sono solo lo scellerato della terra e sento con tutta la forza di esserlo. Quindi riconosce la generosità di Antonio, lo benedice e gli promette a distanza  "non combatterò contro di te! No, andrò a cercare una fossa dove morire. (IV, 6, 30 ss.)

 Infine prega la benedetta luna the blessed moon di essere testimone del suo pentimento (IV, 9, 7).

Poi, sempre rivolto alla sovrana signora della malinconia vera, le chiede: "trhow my heart against the flint and hardness of my fault", getta Il mio cuore contro la durezza di selce della mia colpa ed esso, inaridito dal dolore, si frantumerà in polvere, ponendo termine a tutti i ripugnanti pensieri. Infine si rivolge all'amico: "Oh Antonio, più nobile di quanto è infame il mio tradimento, forgive me in thine own particular, but let the world rank me in register a master-leaver and a fugitive: o Antony, Antony!  (IV, 9, 15-23), perdonami per tuo proprio conto, ma lascia che il mondo mi classifichi nel registro dei traditori e disertori. O Antony, O Antony. Quindi muore. Tra i due rimane un'amicizia celeste.

  

 

Antonio  sconfitto e fuorviato  diventa misantropo come Timone di Atene

Avere un  metodo significa percorrere la propria strada -ojdov"-. Metodicamente appunto

Dopo la battaglia di Azio irrimediabilmente perduta, Antonio, dentro il palazzo di Cleopatra,  dice ai suoi: hark! The land bids me tread no more upon it; /it is ashamed to bear me. Friends, come hither:/ I am so lated- alllied L. lassus (for *lad-tus)-  in the world that I/have lost my way. I have a ship/laden with gold, take that, divide it; fly/and make your pace with Caesar (III, 11, 1-6), ascoltate! La terra mi ordina di non calpestarla più a lungo; essa ha vergogna di portarmi. Amici venite qua: sono rimasto così in ritardo nel mondo  che ho perso la mia strada. Ho un vascello carico d’oro, prendetelo e dividetelo; fuggite e fate la pace con Cesare.

Rimanere in ritardo rispetto ai giri del mondo e del cielo significa la discrepanza della persona rispetto alla natura: è questo che provoca il cozzo della tragedia.

Nella Fedra di Seneca la nutrice rinfaccia a Ippolito di essere uno truculentus et silvester ( v. 462), truce e selvatico, in quanto passa una gioventù senza Venere, una dea che colma i vuoti della razza umana. Se la escludi, il mondo rimane senza vita: “Excedat agedum rebus humanis Venus/ quae supplet ac restituit exhaustum genus:/ orbis iacebit squalido turpis situ, /vacuum sine ullis piscibus stabit mare/alesque caelo derit et silvis fera/solis et aer pervius ventis erit (v. 469-473), poni che Venere si allontani dalle faccende umane, lei che cmpleta e restaura la stirpe consunta: il mondo giacerà schifoso in un ripugnante squallore, il mare rimarrà senza il guizzare dei pesci, mancherà l’uccello al cielo e la fiera ai boschi, l’aria sarebbe percorsa soltanto dai vènti.

La conclusione è: “ Proinde vitae sequere naturam ducem:/urbem frequenta , civium coetus cole” (v. 481-482), allora segui la guida della natura, frequenta la città, coltiva le riunioni dei cittadini.

Ippolito si è sviato dalla natura attraverso un eccesso: quello di rifiutare il modo delle donne, delle feste, della gioia; Antonio attraverso la strada opposta dopo che ha perso quelle del potere e dell’amore

Il figlio di Teseo è arrivato alla misoginia come si vede con chiarezza nell’Ippolito di Euripide; Antonio ha trascurato il suo ruolo politico e militare per affogare nei banchetti e nella lussuria.  Entrambi devono pagare il conto del loro fuorviarsi.

 

Antonio, il guerriero e gaudente, il nuovo Eracle e nuovo Dioniso, diventa misantropo come Timone e Cnemone

Torniamo ora a Plutarco il quale racconta che Antonio abusò di una grande sollitudine ( Vita di Antonio, 69, 1).  Quindi cadde in un eccesso opposto al precedente: lasciata la città e i passatempi con gli amici-th;n povlin ejklipw;n kai; ta;"  meta; tw`n fivlwn diatribav" (69, 6), si ritirò in una abitazione sul mare e là fuggiva il consorzio umano. Era diventato dunque un misantropo, tanto che diceva di volere imitare Timone, in quanto come lui era stato trattato con ingratitudine dagli amici-uJpo; tw`n fivlwn ajcaristhqeiv" (69, 7)  e per questo diffidava di tutti gli uomini e li aveva in odio.

Plutarco  racconta che Tivmwn oJ misavnqrwpo~ imbattutosi un giorno in Acibiade  che tornava dall’assemblea popolare soddisfatto per un successo, non lo scansò come era solito fare con gli altri, ma anzi gli andò incontro, gli strinse la destra e gli disse: “fai bene ragazzo a crescere in potenza: mevga ga;r au[xei  kako;n a{pasi touvtoi~, così accresci di molto il male a tutti questi ( Vita di Alcibiade , 16)

Shakespeare ha scritto un  dramma su Timone d'Atene (1607).

 Il protagonista diventato misantropo per l’ingratitudine umana dice: All’s obliquy;-there is nothing level in our cursed –natures-but direct villainy. Therefore be abhorred-all feasts, societies, and throngs of men-His semblable latino similis-yea himself, Timon disdains- latino dedignari -Destruction fang-,allied to latin pangere- mankind. IV, 3, 18-24), tutto è storto, non cè niente di dritto nelle nostre nature maledette, ma è la malvagità  che va dritta. Perciò siano aborrite tutte le feste, le compagnie, e le folle di uomini. Timone disprezza il suo simile, anzi se stesso, che la distruzione azzanni l’umanità.

Quale corruttore principale viene indicato l’oro, giallo, prezioso, scintillante, agli occhi dei più. Invero un po’  di quella roba ribalta tutto: “  will make black white, foul fair, wrong right- latino rectus-, base  noble, old young, coward valiant (Timone di Atene IV, 3, 29-30), farà diventare nero il bianco, brutto il bello, ingiusto il giusto, vile il nobile, vecchio il giovane, vile il prode. E viceversa, 

 

 E ancora: This yellow slave-will knit and break religions- questo schiavo giallo unirà e spezzerà religioni, bless the accursed, benedirà I maledetti, make the hoar leprosy adored, farà adorare la lebbra canuta, place thieves, darà posti ai ladri and give them title, knee and approbation with senators on the bench, darà loro titoli nobiliari   e li metterà nei banchi del senato riveriti e applauditi.

That makes the wappened widow wed again/ she, whom the spital house and ulcerous sores/ would cast the gorge at, this embalms and spices/to the april day again. Come, damned earth, /thou common whore of mankind, that putt odds/among the rot of nations, I will make thee/do thy right nature” , questa roba fa risposare la vedova stantia,  una da far vomitare un ospedale di ulcerosi doloranti, ma questa cosa la aromatizza e  imbalsama  fino a riportarla all’aprile. Vieni fuori, terra dannata,  tu comune bagascia del genere umano che semini discordia tra la marmaglia delle nazioni, ti farò agire secondo la tua vera natura    (Timone di Atene, IV, 3, 35-45).

K. Marx, commenta Shakespeare scrivendo che nel denaro il grande drammaturgo inglese rileva:"la divinità visibile, la trasformazione di tutte le caratteristiche umane e naturali nel loro contrario, la confusione universale e l'universale rovesciamento delle cose"[29].

 

Timone d’Atene dunque si presenta ad Alcibiade dicendogli: “I am Misanthropos, and hate mankind” (II, 3, 53), io sono misantropo e odio l’umanità

 

Corso di giugno XX La sconfitta di Antonio ne provoca la follia

L’insuccesso irrimediabile è spesso associato alla follia. Quando la realtà non è più sopportabile viene negata dalla pazzia che cerca di prolungare la vita.  

 

Antonio manda al vincitore della battaglia decisiva l’ambasciatore Eufronio perché gli porti la sua sottomissione con la richiesta di poter rimanere in Egitto o almeno “to let him breathe between the heavens and earth, a private man in Athens” (III, 12, 14-15) di lasciarlo respirare tra il cielo e la terra come privato cittadino in Atene.

 

Ottaviano risponde di non avere orecchi per la sua richiesta. Quanto a Cleopatra che gli ha mandato la preghiera di conservare la corona dei Tolomei con l’offerta della propria sottomissione, la donna dovrà scacciare dall’Egitto Antonio her all-disgraced friend (22)-, il suo amante del tutto screditato, se vorrà che le sue richieste non rimangano inascoltate.

Plutarco scrive che l’ambasciatore mandato a Ottaviano, Eufronio che era pure oj tw`n paivdwn didavskalo" (72, 2), maestro dei loro figli, riferì a Ottaviano che  Cleopatra chiedeva il regno d’Egitto per i propri figli , e Antonio soltanto  di vivere come privato cittadino-ijdiwvth" (72, 2) in Atene, se non poteva rimanere in Egitto.

Cesare non accolse le richieste di Antonio, mentre a Cleopatra rispose che non avrebbe mancato di ottenere  niente di quanto era ragionevole chiedere  se avesse ucciso o scacciato Antonio (Vita, 73, 1)

 

Torniamo a Shakespeare. Antonio reagisce con il misero orgoglio di un tempo che fu: ordina a Eufronio di tornare da Ottaviano per dirgli che la battaglia l’ha vinta grazie ai suoi ministri che avrebbero avuto successo anche se fossero stati comandati da un bambino.

Quindi: “lo sfido a lasciare da parte il suo vantaggio e a misurarsi con me già in declino, spada contro spada, noi soli-sword against sword-ourselves alone” (III, 13, 27-28)

Enobarbo in un a parte associa questa folle proposta agli insuccessi di Antonio.

I see men’s judgements  are-a parcel of their fortunes”- 31-32- vedo che i senni degli uomini fanno parte della loro fortuna . Antonio sogna, conoscendo la situazione, che la potenza di Cesare risponderà al suo vuoto.

Caesar, thou hast subdued-his judgment too” (35-36), Cesare, tu hai soggiogato anche il suo giudizio.

Antonio si è lasciato prima sottomettere da Cleopatra, poi sconfiggere da Ottaviano.

 

 Poco dopo entra Tireo mandato da Ottaviano e suggerisce a Cleopatra di affermare che lei non ha mai amato  Antonio ma ha subito violenza da lui. Cleopatra non lo nega e manda a dire al padrone del mondo I kiss his conquering hand (75), io bacio la mano che ha vinto.

La donna  difficilmente perdona l’insuccesso dell’uomo.

 

Cfr Il Gabbiano (1895) di Cechov quando Kostantin dice che le donne non perdonano l’insuccesso. Poi si uccide.

 

Quindi esplode la rabbia di Antonio il quale urla a Cleopatra “Ah, you kite! (III, 13, 89), avvoltoio!, e ricorda pateticamente la sua epoca d’oro, quando aveva successo e gli obbedivano i re,  accorrendo come fanciulli al suono della sua voce.

 Infine l’ultimo squillo del misero e folle orgoglio dell’uomo malamente caduto: I am Antony yet ” (93), io sono ancora Antonio! Lo abbiamo già accostato al Medea superest di Seneca (Medea, 166).

La donna abbandonata però non ucciderà se stessa ma i figli avuti da Giasone che l’ha gettata nella disperazione e nella follia.

 

Anche nella Vita di Plutarco troviamo questa proposta di monomachia fatta dal vinto al vincitore.  La sfida viene lanciata due volte.
La prima alla vigilia della battaglia di Azio: “
ajntikompavzwn  jAntwvnio" aujto;n me;n eij" monomacivan proujkalei`to kaivper w]n presbuvtero"” (62, 4) rispondendo con spacconate Antonio lo sfidava a duello, sebbene fosse più avanti con l’età (Ottaviano era del 63 a. C., Antonio dell’82)

La seconda volta Antonio ripetè la sfida dopo l’ambasceria di Eufronio: “pavlin d ‘Antwvnio" e[pempe monomach`sai prokalouvmeno" e Ottaviano rispose ad Antonio che aveva a disposizione molte vie per morire (ajpokrinamevnou  d’ ejkeivnou polla;" ojdou;"   jAntwnivw/ parei`nai qanavtou,  75, 1)

La sconfitta, il fallimento se non lasciano aperta nessuna via per rimediare, portano dunque alla follia e alla morte

 

 

Antonio, acciecato dall’insuccesso,  si degrada ulteriormente.

Dopo avere rivendicato la propria identità, come fanno quanti temono  di averla perduta, Antonio ordina di frustare Tireo , l’ambasciatore che gli ha riferito la volontà di Ottaviano

Moon and stars!

Whip him (III, 13, 96), luna e stelle, frustatelo!

 

Se sia lecito violare un ambasciatore discutono il podestà e il conte Attilio  durante un banchetto nel palazzotto di don Rodrigo. Il podestà sostiene : “il messaggiero è di sua natura inviolabile, per diritto delle genti, jure gentium”. Quindi fa l’esempio dei fetiales “che gli antichi romani mandavano a intimar le sfide agli altri popoli” e non vennero mai bastonati”.

Ma “lo spensierato d’Attilio” ribatte che “un messo il quale ardisce di porre in mano a un cavaliere una sfida, senza avergliene chiesta licenza, è un temerario , violabile, violabilissimo, bastonabile, bastonabilissimo” (I promessi sposi, capitolo V). Urlavano entrambi e nom mancavano altre “voci discordi che cercavano a vicenda di soverchiarsi. Come succede in molte trasmissioni televisive. 

 

Nel dramma di Shakespeare in effetti Tireo era entrato in scena subito dopo essere stato annunciato da un messo, e Cleopatra aveva  detto: “What, no more ceremony? (III, 13, 22), e che, senza cerimonie?.

 

Antonio dunque ribadisce che l’importuno deve essere frustato fino a farlo piangere. Lo sconfitto  è irritato anche per la confidenza che Tireo si è preso con Cleopatra e l’impertinenza che ha avuto nel proporre un baciamano alla regina (Antonio e Cleopatra, III, 13, 81-82).

 

Plutarco racconta che Ottaviano mandò insieme con gli ambasciatori anche Quvrson uno dei suoi liberti, un uomo intelligente capace di parlare in modo persuasivo come si può fare con una donna altera e straordinariamente superba per la sua bellezza (73, 2)

Thyrso, siccome si intratteneva con la regina più a lungo degli altri e riceveva particolari onori kai; timwvmeno" diaferovntw", procurò dei sospetti ad Antonio ujpovnoian tw`/   jAntwnivw/ parevsce  (73, 3) che lo fece prendere e frustare (ejmastivgwsen). Quindi lo rimandò a Cesare scrivendogli che il liberto lo aveva irritato con la sua insolenza mentre egli  era già facilmente irritabile per i  guai- eujparovxunton ujpo; kakw`n o[nta (4).

L’insuccesso oscura tutta la vita di Antonio.

 

Torniamo a Shakespeare  che ordina ai servi di portare via Tireo, e di riportarlo dopo le frustate-“being -L. fore ; Gk. fuvein-whipp’d Cf. L. vibrare--bring him again

Dopo che i servi furono di scena usciti con Tireo, Antonio fa una scenata a Cleopatra degradandosi ancora.

 

Le dice: “you were half blasted ere I knew you” (III, 13, 105), eri gà mezzo appassita prima  che ti conoscessi. Io dunque ho lasciato il mio guanciale intatto a Roma –Have I my pillow left unpress’d in Rome – e rinunciato ad avere una discendenza legittima -by a gem-L. gemma- of women- da una gemma tra le donne per essere ingannato da una che presta attenzione ai servi?

E continua: “sei sempre stata incostante, ma quando ci incalliamo nel nostro vizio , oh miseria- the gods seel – L. cilium, eye-lid-our eyes- gli dei ci acciecano. L’acciecamento mentale è l’ a[th dei Greci, quell’offuscamento della ragione che impedisce di vedere gli errori che commettiamo in tempo per evitarli .

Dopo averci acciecati gli dèi ci fanno adorare i nostri errori-make us-adore our errors-e ridono mentre noi avanziamo pomposamente verso il nostro rovinoso caos-laugh at while we strut –to our confusion (III, 13, 113- 115)

 

Breve excursus sull’ a[th

Nell'Iliade  c'è un discorso esortativo del maestro all'alunno con l'impiego del paradigma: si tratta di Fenice che nel IX canto prega Achille di accettare i doni di Agamennone, di domare il cuore magnanimo (v. 496) e smettere l'ira (v. 517), facendogli l'esempio (negativo) di Meleagro, il quale, irato contro la madre Altea che l'aveva maledetto, non voleva difendere gli Etoli, che pure lo supplicavano offrendogli dei doni, dai Cureti i quali assalivano Calidone.

Il giovane ostinato intervenne solo quando i nemici arrivarono a scuotere il talamo (v. 588) dove egli giaceva con la sposa, la bella Cleopatra; allora ella lo pregò ed egli intervenne in battaglia salvando gli Etoli che però non gli diedero più i doni preziosi e belli (vv. 598-599).

 

 Anche qui dunque c'è l'uso del paradigma. "In nessun altro luogo dell'Iliade  Omero è, in così alto grado come qui, maestro e guida della tragedia, come lo chiama Platone[30] ( ...) Dall'esempio di Meleagro si stacca l'idea religiosa dell'Ate, che è di tanto peso per il poeta dell'Iliade  quale ci sta dinanzi compiuta. Sullo sfondo dell'allegoria, moralmente commovente, delle litài , delle preghiere, e della pervicacia del cuore umano, quest'idea brilla come un lampo minaccioso da cupe nubi"[31].

Le Preghiere ("Litaiv", Iliade , IX, 502) racconta Fenice, sono figlie di Zeus, zoppe, rugose e losche d'occhi;  seguono Ate che è  gagliarda, veloce e percorre la terra danneggiando gli uomini; esse pongono riparo se vengono richieste; ma se uno le rifiuta, le Litài  chiedono a Zeus che l'Ate lo insegua ed egli paghi il fio. Ate insomma è una smisurata forza irrazionale contro la quale spesso la volontà e l'educazione umana sono impotenti. 

 Un vero e proprio trofeo di Ate ( "[ Ata" tropai'on", Eschilo, I sette a Tebe , v. 956) si trova sulle porte di Tebe sulle quali urtavano i fratelli figli di Edipo  ammazzandosi a vicenda, poi, impadronitosi dei due, il demone cessò ("duoi'n krathvsa" e[lhxe daivmwn", v. 960).

Fine excursus

 

Quindi Antonio aggiunge un’ulteiore volgarità : “ I found you as a morsel-latino morsus- cold upon /dead Caesar’s trencher” , vi ho trovata come un boccone freddo sul tagliere di Cesare morto, nay, you were a fragment of Cneius Pompey’ s, 8III, 13, 116-117)anzi eravate un avanzo di Pompeo. Senza contare le lussurie inaudite, ossia non registrate dalla fama

volgare.

In conclusione: “though you can guess what temperance should be,-you knew not what it is” (III, 13,121-122), sebbene tu possa supporre che cosa sia la temperanza, non sai che cosa davvero è.

 

 

Antonio vuole tentare una riscossa.

Ma i segni sono pessimi.

Un servo riporta da Antonio Tireo che è stato frustato forte e ha chiesto grazia

Antonio gli dice di tornare da Cesare a raccontargli come è statoi accolto. Aggiunge che Ottaviano lo fa arrabbiare- he makes me angry (III, 13, 143) in un momento in cui è facilissimo farlo: “ when my good stars that were former guides-have empty their orbs and shot their fires-inti the abyss of hell (144-147) quando le mie buone stelle che erano un tempo la mia guida hanno lasciato vuote le loro orbite e hanno lanciato I loro fuochi nell’abisso dell’inferno.

Se Ottaviano vorrà pareggiare i conti, potrà far frustare Ipparco, il liberto di Antonio che si trova nelle sue mani

.

now I will set my teeth-and send to darkness all that stop me. Come, let’s have one other gaudy -latino gaudium, gaudere; greco ghqevw- night:  call to me-all my sad captains, fill our bowls –latino bulla-once more:-let’s  mock the midnight bell” (III, 13, 181-185), ora voglio serrare I denti e mandare nelle tenebre tutti quelli che cercano di fermarmi. Su, prendiamoci un’altra notte gioiosa: chiamatemi tutti I miei tristi capitani, riempiamo le nostre coppe ancora una volta: e scherniamo la campana della mezzanotte. 

Cleopatra replica: It is my birh-day:-I had thought to have held it poor, but since my lord-is Antony again, I will be Cleopatra” (185-187), è il mio compleanno: avevo pensato di passarlo tristemente , ma dal momento che il mio signore è di nuovo Antonio, io voglio essere Cleopatra. Torna il nesso già indicato con Medea superest.

Antonio conferma la sua decisione disperata senza escludere del resto la speranza: “come on my queen-greco gunhv-:-there is sap in ’t yet. The next time I do fight-i’ll make death love me, for I will contend-even with his pestilent scythe (III, 13, 191-194), venite mia regina: c’è ancora della vita in questo. Nel prossimo combattimento mi faròò amare dalla morte, perché io lotterò persino con la sua falce avvelenata

Nella mezzanotte fra il 31 luglio e il primo agosto del 30 ci furono i segni della fine ultima di Antonio.

Si racconta che improvvisamente si udirono suoni armoniosi di vari strumenti e il clamore di una folla-kai; boh;n o[clou- con grida e danze da satiri, come fosse una schiera dionisiaca che procedeva non senza turbolenza-w{sper qiavsou tino;" oujk ajqoruvbw" ejxelauvnonto" - e sembrava che avanzasse attraverso il centro della città in direzione della porta esterna, quella rivolta dalla parte dei nemici-ejpi; th;n puvlhn e[xw th;n tetrammevnhn pro;" tou;" polemivou" –.

Là giunto, il  tumulto arrivato al massimo, cessò. Kai; tauvth/ to; qovrubon ejkpesei`n plei`ston genovmenon- A chi esaminava il segno pareva che abbandonasse Antonio il dio con il quale egli aveva continuato a identificarsi e a conformarsi (Plutarco, Vita di Antonio, 75, 4-6)

Si ricorderanno altri brutti presagi per Antonio, pecedentemente segnalati tanto da Plutarco quanto da Shakespeare.   

 

Le rondini annidate nelle vele. Segno non buono

 

Nel IV atto dell’ Antonio e Cleopatra Shakespeare riprende quello delle rondini  che nella Vita di Plutarco si trova a 60, 7 citato sopra.

L’antoniano Scaro  dunque dice  tra sé: “Swallows have built-in Cleopatra’s sails their nests- latino nidus-: the augurers- say they know not, they cannot tell, look grimly-and dare not speak their knowledge. Antony-is valiant, and dejected, and by starts-his fretted fortunes give him hope, and fear-of what he has, and has not” (Antonio e Cleopatra, IV, 12, 4-9), delle rondini hanno costruito i loro nidi sulle vele di Cleopatra: gli àuguri dicono di non sapee, non possono parlare, hanno un aspetto torvo e non osano dire quello che sanno. Antonio è animoso e pure scoraggiato, e a sbalzi le sue logorate fortune gli danno speranza e timore di quello che ha e non ha.  

Le vele (sails) di Cleopatra sono state già menzionate come purpuree (purple)  da Enobarbo,  (II, 6, 198), quindi da Cleopatra stessa come timorose (fearful sails, III, 11, 55). Ora presentano il segno cattivo del lato infausto della rondine.

 Del resto la porpora è fin da Omero associata alla morte

 

Breve excursus sul nesso porpora-morte

Nel V dell’Iliade purpurea è la morte che prese il troiano Ipsenore colpito da Euripilo: “e[llabe porfuvreo~ qavnato~  kai; moi'ra krataihv  (v. 839, lo prese la morte purpurea e la moira possente.

 

Questo verso viene ripetuto da Giuliano quando, il 6 novembre del 354 viene nominato Cesare dal cugino Costanzo. In quella circontanza risplendeva nel fulgore della porpora imperiale (imperatorii muricis fulgore), i soldati lo avevano acclamato battendo gli scudi sul ginocchio, e, salito sul cocchio imperiale, procedeva verso la reggia (Ammiano Marcellino, Storie, XV, 8). Morirà nove anni dopo combattendo contro i Persiani.

 

Dario III a capo dell' esercito persiano schierato contro Alessandro spiccava per il suo sfarzo: "purpurae tunicae medium album intextum erat"[32], la tunica di porpora era intessuta d'argento nel mezzo. Ebbene, era già consacrato alla morte.

 

Anche il Cristo tribolato, già destinato alla morte, presentato da Pilato, è vestito di porpora: "Exiit ergo Iesus foras, portans spineam coronam et purpureum vestimentum. Et dicit eis - Ecce homo!" ( N. T. Giovanni, 19, 5) .

 

Un forte valore simbolico ha anche il tappeto di porpora che Clitemestra fa dispiegare dinanzi ad Agamennone prima di assassinarlo; esso rappresenta il mondo di lussi e di sfarzi di cui Clitemestra si compiace, ma ha al tempo stesso un valore quasi magico, preludendo alla rete in cui al momento del delitto Agamennone resterà impigliato.

 

Credo di avere riconosciuto un’eco del tappeto rosso nel film di Chaplin The great dictator (1940): Napoloni-Mussolini, in visita da Hynkel-Hitler, non è disposto a scendere dal treno se non gli distendono davanti un tappeto: “I never get out without a carpet”.

 

 

Donne e soldati non perdonano l’insuccesso.

Antonio, l’uomo abbandonato, si capovolge da comandante a farmakov".

I brutti segni non mentivano. Antonio si mette in vedetta dove si erge un pino ed esclama:

All is lost!

This foul Egyptian has betrayed me:

my fleet hath yelded to the foe, and yonder

they cast their caps up and carouse together

like friends long lost” (Antonio e Cleopatra, IV, 12, 9-13)

Tutto è perduto! Questa lurida egiziana mi ha tradito:

la mia flotta ha ceduto al nemico, e laggiù essi lanciano i cappelli in aria e brindano insieme come amici smarriti da lungo tempo.

 

Antonio continua a esecrare Cleopatra addebitandogli la propria rovina

Triple-turned whore! IV, 12,  13, 14, puttana tre vole incostante!

Interessante la nota del dizionario etimologico di W. Skeat: “Allied to Polish kurwa… L. cārus, loving.

 

Plutarco racconta che Antonio dispose la fanteria sui colli e osservava le sue navi che avanzavano verso quelle di Ottaviano e vide che i marinai come giunsero vicino a quelli di Cesare tai`" kwvpai" hjspavsanto, li salutarono con i remi e quelli risposero al saluto. Le due flotte, unitesi e divenute una sola, drizzarono le prue verso la città (Vita, 76, 2).

 

Abbiamo detto più volte che le donne non perdonano l’insuccesso; qui vediamo che nemmeno i combattenti e i sottoposti in genere perdonano l’insuccesso del capo che da persona autorevole, rispettata e spesso anche amata si capovolge in farmakov".

Come Edipo nell’ Edipo re di Sofocle. 

Anche la cavalleria abbandonò subito Antonio e passò al nemico, mentre i fanti rimasti con lui vennero sconfitti. Antonio si ritirò in città gridando che era stato consegnato a tradimento  da Cleopatra a quelli che lui aveva combattuto per amore di lei (76, 3).

Antonio prende l’atteggiamento che di solito viene attribuito alla donna abbandonata: Arianna, Medea, Didone e altre.

Sentiamo Arianna di Catullo: La figlia di Minosse, piantata in asso da Teseo mentre dormiva nell'isola di Dia, al risveglio si dispera, corre come una puledra e impreca contro il perfido amante:"Sicine me patriis avectam, perfide, ab aris,/ perfide, deserto liquisti in litore, Theseu?/Sicine discedens neglecto numine divum/inmemor a! devota domum periuria portas? " (64, vv. 132-135)  è così che tu, traditore, condottami via dal focolare paterno, mi hai abbandonata in una spiaggia deserta, Teseo, traditore? E' così che tu, fuggendo dopo avere disprezzato il potere dei numi, dimentico ah! porti a casa i tuoi maledetti spergiuri?

 Vediamo che la ragazza si trova "in litore " (v. 133) vicino al mare, come Antonio

 

 

La stanchezza del sole

Antonio è stanco del sole: “O sun thy uprise shall I see no more  (IV, 12, 18). O sole io non ti vedrò più sorgere. Il sole si trova spesso tra gli ultimi pensieri delle persone già vicine alla morte. Macbeth nell’ultimo atto dice. “I gin to be aweary of the sun” (Macbeth V, 5), io comincio a essere stanco del sole

 

Anche il sole può essere stanco.

Leggiamo i primi cinque versi dell’Oedipus di Seneca :"Iam nocte Titan dubius expulsa redit,/et nube moestum squalida exoritur iubar, /lumenque flamma triste luctifica gerens/prospiciet avida peste solatas domos,/stragemque, quam nox fecit, ostendet dies " (vv. 1-5), già, cacciata la notte, torna un Titano incerto, e il suo splendore spunta cupo da una nuvola sporca, e, portando una luce afflitta con fiamma luttuosa, osserverà le case desolate dall'avida peste, e la strage che la notte ha compiuto la farà vedere il giorno.

Il sole incerto dallo splendore cupo (moestum iubar), la luce afflitta (lumen triste) e la fiamma luttuosa (flamma luctifica) significa il capovolgimento della natura. La luce che vivifica e rallegra è capovolta a fiaccola mortuaria che mette in mostra una strage.

 

Antonio è già vicino al suicidio: “Fortune and Antony part here, evene here-do we shake hands (IV, 12, 19-20) la fortuna e Antonio qui si separano e proprio qui ci stringiamo la mano. Poi riprende l’invettiva contro la vera zingara- right gipsy- che lo ha tascinato to the very heart of loss (28-29)  nel cuore stesso della rovina.

Quindi entra in scena Cleopatra e Antonio la riempie di insulti: la più grande macchia di tutto il suo sesso, la più simile a un mostro -the greatest spot-of all thy sex: most monster like ( IV, 12, 34-35) e le augura che la paziente Ottavia ari il suo volto con unghie già pronte- patient Octavia plough thy visage up-with her prepared nails  (IV, 12, 38-39)

 

Cleopatra esce e Antonio seguita a imprecare: the witch shall die:-to the young Roman  boy she hath sold me, and I fall-under this plot. She dies for it” (IV, 12, 47-49), la strega morrà: mi ha venduto al fanciullo romano, e io cado sotto il suo complotto. Per questo deve morire.

 

Nella scena seguente Cleopatra chiede aiuto al suo seguito guidato da Carmiana: Help me, my women! O he is more mad-than Telamon for his shield” (IV, 13, 1-2) aiutatemi domme mie! Oh egli è più pazzo di Aiace per il suo scudo. La pazzia di Aiace viene menzionata anche  in Pene d'amore perdute  :  Berowne in preda a un amore as mad as Aiax (IV, 3, 7) pazzo come Aiace, cerca di resistergli per non finire ammazzato al pari di una pecora-

 

 

La mentita morte di Cleopatra

 

Carmiana suggerisce a Cleopatra di mandare ad Antonio la notizia falsa che la regina è morta.

Cleopatra dà retta all’ancella amica e ordina: “To the monument!-Mardian go tell him i have slain myself;-say that the last i spoke was “Antony” –and word it, prithee, piteously: hence, Mardiam,- and bring me how he takes my death. To the monument! (Antonio e Cleopatra, IV, 13, 4-10)  Al Mausoleo! Mardiano  vai a dirgli che mi sono uccisa; digli che la mia ultima parola è stata Antonio, e, ti prego , usa parole commoventi; vai Mardiano e riferiscimi come accoglie la notizia della mia morte. Al Mausoleo!

Plutarco scrive soltanto che Cleopatra temendo l’ ira e la  follia di lui-hj de; th;n ojrgh;n aujtou` fobhqei`sa kai; th;n ajpovnoian - si rifugiò nel mausoleo, fece abbassare le saracinesche, poi mandò da Antonio dei messi ad annunciare che era morta- “pro;" d j  jAntwvnion e[pemye tou;" ajpaggelou`nta" o[ti tevqnhke” (76, 4)

 

 Antonio vuole raggiungere Cleopatra creduta morta

Parla con il servitore e amico Eros e gli ricorda la forma cangiante delle nuvole che sono il corteo dell’oscuro vespero.

Ebbene il comandante sconfitto, l’amante che si sente tradito dice: “here I am Antony,-yet cannot hold this visible shape” (IV, 14, 13-14) eccomi sono qui Antonio, eppure non posso mantenere questa forma visibile.

E’ il tema ricorrente della vita umana come ombra che trascorre sulla terra al pari di quella proiettata dalle mutevoli nuvole.

 

Pulvis et umbra sumus”, polvere e ombra siamo, scrive Orazio (Odi, IV, 7, v. 16). Amleto dice che l’uomo è quintessenza di polvere. 

Nel Seicento questa idea va di moda, tanto che  Calderòn de la Barca intitola il suo capolavoro (del 1635) La vita è sogno, e, nel corso del dramma (I, 2), scrive:" il delitto maggiore dell'uomo è essere nato", mentre Prospero in La tempesta [33] afferma:"Noi siamo fatti con la materia dei sogni, e la nostra breve vita è circondata dal sonno"(IV, 1, 156-158). Quindi il duca si avvia con la mente alla sua Milano "dove un pensiero su tre, sarà la tomba" (V, 1). Nel Macbeth il protagonista afferma:"Life's but a walking shadow " (V, 5), la vita non è che un'ombra che cammina.

Mattia Pascal/Adriano Meis passeggiando per Roma riflette sulla propria ombra: “Uscii di casa, come un matto. Mi ritrovai dopo un pezzo per via Flaminia, vicino a Ponte Molle. Che ero andato a far lì? Mi guardai attorno;poi gli occhi mi s’affissarono su l’ombra del mio corpo, e rimasi un tratto a contemplarla; infine alzai un piede rabbiosamente su essa. Ma io no, non potevo calpestarla, l’ombra mia. Chi era più ombra di noi due? Io o lei? Due ombre! Là, là per terra; e ciascuno poteva passarci sopra: schiacciarmi la testa, schiacciarmi il cuore: e io, zitto, l’ombra, zitta. L’ombra d’un morto: ecco la mia vita…Ma sì! Così era! Il simbolo, lo spettro della mia vita era quell’ombra: ero io, là per terra, esposto alla mercè dei piedi altrui. Ecco quello che restava di Mattia Pascal, morto alla Stìa: la sua ombra per le vie di Roma”[34].

Concludo con Proust:"Ci si accanisce a cercare i rottami inconsistenti d'un sogno, e intanto la nostra vita con la creatura amata continua: la nostra vita, distratta dinanzi a cose di cui ignoriamo l'importanza per noi, attenta a quelle che forse non ne hanno, succube di esseri senza nessun rapporto reale con noi, piena di oblii, di lacune, di ansietà vane; la nostra vita simile a un sogno" (La prigioniera, p. 147)

 

Quindi entra Mardiano. Antonio lo aggredisce ribadendo che Cleopatra lo ha tradito e aggiungendo che sarà messa a morte

L’eunuco però gli dà la notizia falsa della morte della regina le cui ultime parole sono state: “Antony! Most noble Antony!” (IV, 14, 29).

Antonio allora dice a Eros che il proprio compito è finito, poi congeda Mardiano e  aggiunge no more soldier (42) non sono più un soldato. La perdita dell’identità, del proprio ruolo, fa chiudere il sipario della vita che è una recita.

 

Eros esce e Antonio decide di morire per raggiungere Cleopatra e chiederle piangendo di essere perdonato and weep my pardon (45)

Ogni indugio è tortura since the torch is out (46) dal nomento che la torcia è spenta.

Cfr. “out , out, -brief L. brevis, GK. bracuv"- candle!” di Macbeth (V, 5), spengiti, spengiti, breve candela!

 

Anche Nella Vita di Plutarco, Antonio crede alla morte di Cleopatra e dice: a se stesso: “tiv e[ti mevllei", jAntwvnie; th;n movnhn hj tuvch kai; loiph;n ajfhv/rhke tou` filoyucei`n provfasin”, che cosa aspetti ancora Antonio? La sorte ti ha tolto l’unico e ultimo pretesto per amare la vita.

Quindi si toglie la corazza, il segno visibile, la divisa del suo ruolo di soldato, quindi rivolge parole all’ombra di Cleopatra:  “non soffro per essere privato di te che tosto raggiungerò ma perché io , comandante tanto grande, mi sono rivelato inferiore a una donna per forza d’animo-oj thlikou`to" aujtokravtwr eujyuciva/ pefwvramai leipovmeno"” (76, 6).

 

Tra gli amanti non manca quasi mai la competizione: spesso Eros si associa a Eris. :"Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido;/Attice, crede mihi, militat omnis amans "(Amores, I, 9, 1-2), è un soldato ogni amante; anche Cupido ha il suo campo di guerra; Attico, credimi, ogni amante è un soldato.

 

   Anche nel grande amore di Anna Karenina  e Vronskij a un certo punto entra la cattiva Eris, ossia lo spirito della competizione distruttiva dovuta al fatto che lui era in allarme per la propria autonomia minacciata dall'amante; ella a sua volta:" sentì che, a fianco dell'amore che li univa, fra loro si era insediato un certo malvagio spirito di dissidio e che lei non poteva scacciarlo dal cuore di lui, né, ancor meno, dal proprio"[35]. Perfino le espressioni di approvazione diventano sospette e allarmanti quando l'amore, in uno solo dei due, è in fase calante:" C'era qualcosa di offensivo nel fatto che egli avesse detto:"Questo sì che va bene", come si dice ai bambini quando smettono di fare i capricci; e ancor più offensivo era quel contrasto fra il tono di colpa che aveva lei e quello sicuro di sé di lui: e per un istante Anna sentì sollevarsi dentro di sé il desiderio di lotta; ma, fatto uno sforzo su se stessa, lo soffocò e accolse Vrònskij con la stessa allegria di prima" (p. 746). Tuttavia la simulazione non regge:" anche sapendo che si rovinava, non poté non fargli vedere quanto lui avesse torto, non poteva sottomettersi" (p. 747),

Capita spesso, quasi sempre purtroppo, che gli amanti diventino nemici.  Cfr. Catullo: Odi et amo (85, 1)

Torniamo a Shakespeare dove Antonio dice di volere raggiungere Cleopatra: I come my queen, stay for me-where the souls couch on flowers, we ‘ll hand in hand, -and with our sprightly port make the ghosts gaze:-Dido and her Aeneas shall want troops-and all the haunt be ours (IV, 14, 50-54), vengo mia regina, aspettami dove le anime giacciono sui fiori. noi ci terremo per mano, e con il nostro portamento fulgente ci faremo ammirare dagli spiriti e Didone e il suo Enea rimsarranno senza corteo e tutto il ritrovo sarà nostro

Poi chiama Eros per chiedergli di aiutarlo a uccidersi

 

 

Mimesi e catarsi nella Poetica di Aristotele e nelle tragedie di Shakespeare Antonio e Cleopatra-Amleto

Antonio si cura l’anima ferendosi il corpo: tw`/ pavqei mavqo" .

 

Antonio ricorda a Eros che aveva giurato di aiutarlo a morire when the exigent -from the stem of pres. pt. of   exigere L. ex- and agere -should come, quando la necessità fosse giunta-which now is come indeed e ora è giunta davvero: do ’t;  the time is come, fallo il momento è giunto (IV, 14, 62-63 e 67).

La necessità spinge Antonio fuori dalla vita e niente è più forte della necessità.

Il potere assoluto dell'  jjjjAnavgkh  viene apertamente affermato da Euripide nell'Alcesti.  Nel terzo Stasimo della tragedia, il Coro eleva un inno alla Necessità vista come la divinità massima, quella che vincola e subordina tutti, compresi gli dèi:

"Io attraverso le Muse/mi lanciai nelle altezze, e/ho toccato moltissimi ragionamenti (pleivstwn aJyavmeno" lovgwn),/ma non ho trovato niente più forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson oujde;n  jAnavgka"-hu|ron oujdev ti favrmakon)/nelle tavolette tracie che scrisse la voce di/Orfeo, né tra quanti rimedi/diede agli Asclepiadi Febo/dopo averli ricavati dalle erbe come antidoti/per i mortali afflitti dalle malattie"(vv. 962-972).

Da questi versi si vede che la Necessità è più forte del lovgo" , della poesia, dell'arte medica.

E ancora: la Necessità non è meno forte di Zeus: “kai; ga;r Zeu;~  o{ti neuvsh/-su;n soi; tou'to teleuta'/” (Alcesti,  978-979), e infatti qualunque cosa Zeus approvi, con te lo porta a compimento, canta il coro dei vecchi di Fere.

Nella Prefazione al romanzo Notre-Dame de Paris, Victor Hugo scrive che “rovistando all’interno di Notre-Dame…trovò in un recesso oscuro di una delle torri, questa parola incisa a mano sul muro:

 ANAGKH

Ebbene, conclude la prefazione: “Proprio su quella parola si è fatto questo libro.

Marzo 1831”

Eros chiede di non ordinargli di ucciderlo, ma Antonio insiste con un’espressione molto densa ed efficace: “come then, for with a wound I must be cured-Lat. cura-  (78), vieni dunque perché io devo essere curato con una ferita.

La ferita come cura può essere accostata al tw`/ pavqei mavqo" di Eschilo (Agamennone, 177).

 

Nella Vita  di Plutarco leggiamo che Antonio aveva un servo fedele-oijkevth" pistov"- chiamato Eros cui aveva chiesto da tempo di ucciderlo se glielo avesse chiesto. Arrivato a questo punto  gli ricordò la promessa che lo avrebbe fatto. Eros sguainò la spada, la sollevò come per colpirlo-ajnevsce wJ" paivswn ejkei`non-, ma, appena Antonio volse la faccia, ejauto;n ajpevkteine- Eros uccise se stesso.

Antonio disse: “bravo Eros, non potendolo fare tu, insegni a me che cosa devo fare. E colpitosi al ventre, si lasciò cadere in un piccolo letto (Plutarco, Vita di Antonio,  56, 7-9).

 

Shakespeare fa parlare Eros il quale prova a rifiutarsi di ammazzare l’amico. Antonio gli ricorda la promessa che gli fece quando lo rese libero-when I did make thee free (IV, 14, 81)

Allora l’amico gli chiede. “distogliete da me quel nobile volto, dove è distesa la venerazione di tutto il mondo

Poi Eros dice - my sword is drawn - la mia spada è sguainata

Il dramma richiede appunto la dammatizzazione dell’episodio con il dialogo.

 

Aristotele nella Poetica scrive : "la tragedia è dunque imitazione di azione seria e compiuta (mivmhsi~ pravxew~ spoudaiva~ kai; teleiva~ che, con una certa estensione e con parola ornata hJdusmevnw/ lovgw/……di attori che agiscono e non attraverso un racconto-drwvntwn kai; ouj  dij ajpaggeliva", per mezzo di pietà e terrore, compie la purificazione da tali affezioni"(di j ejlevou kai; fovbou peraivnousa th;n tw'n toiouvtwn paqhmavtwn kavqarsin, 1449b, 24- 28).

 

In questo episodio dell’Antonio e Cleopatra non manca nemmeno la catarsi con la morte volontaria dei due amanti che uccidendosi si sottraggono alla schiavitù.

 

Catarsi e mimesi si trovano teorizzati anche  da Amleto

Non molto diversamente l’Amleto di Shakespeare che dice: “I have heard-that guilty creatures, sitting at a play,-have, by the very cunning of the scene,-been struck so to the soul that presently-they have proclaim’d their malefactions” (Hamlet, II, 2), io ho udito che delle persone colpevoli, davanti a un dramma, sono state colpite, dall’abilità della scena, fin dentro l’anima, in maniera tale che hanno confessato subito i loro misfatti.  

  

Più avanti anche la teoria della mimesi è espressa  dal principe di Danimarca che definisce “the purpose of playing”,  lo scopo dell’arte drammatica, “ whose end, both at the first and now, was and is, to hold as ‘twere, the mirror up to nature” ( Hamlet, III, 2),  il cui fine, all’inizio come ora, è sempre stato quello di reggere, per così dire, lo specchio alla natura.

 

Ma torniamo a Shakespeare

Eros dopo avere salutato per sempre l’amico, aggiunge queste ultime parole: “thus I do escape the sorrow –of Antony’s death” (IV, 14, 94) così sfuggo al dolore della morte di Antonio, quindi si uccide

Antonio lo ammira : “thrice-noble than myself! (95), tre volte più nobile di me! Quindi segue l’insegnamento coraggioso, esemplare- the brave instruction- appreso dalla regina e dal liberto.  Vuole morire anche lui: correre verso la morte come verso il letto di un’amante. A Eros  in particolare Antonio riconosce il ruolo di suo maestro: “Eros,- thy master dies thy scholar; to do thus I learn’ d of thee.

  Eros, il tuo padrone muore tuo discepolo, a fare così ho imparato da te. 

Si lascia cadere sulla spada (falling on his sword)

Ma non muore subito

how! , not dead?-the guard, ho! O! dispatch me! (IV, 14, 101-103),

Come, non sono morto! Oh guardie oh, finitemi!

giovanni ghiselli  

 

Corso di giugno  XXVII. L’agonia di Antonio

Entrano in scena le guardie. Antonio dice: “I have done my work ill, friends” ( Shakespeare, Antonio e Cleopatra, IV, 14, 105), ho compiuto male il mio lavoro, amici. Intende il  suicidio ma non solo quello.

 

 Didone invece, prima di suicidarsi, riconosce a se stessa delle capacità realizzative che l'avrebbero anche resa felice se non avesse incontrato Enea “Vixi et quem dederat cursum Fortuna peregi,/et nunc magna mei sub terras ibit imago " ( Eneide, IV, vv. 652-654), ho vissuto e compiuto il percorso che la Fortuna mi aveva assegnato, e ora, grande. l'ombra della mia persona andrà sotto terra.

"Urbem praeclaram statui, mea moenia vidi,/ulta virum poenas inimico a fratre recepi:/felix, heu nimium felix, si litora tantum/numquam Dardaniae tetigissent nostra  carinae " (vv. 655-658), ho fondato una città splendida, ho visto mura mie, vendicato il marito, ho punito il fratello nemico: oh troppo felice, se solo le le navi della Dardania non avessero mai toccato le  nostre coste!

 

Quindi Antonio ferito chiede alle guardie di portare a termine il lavoro da lui iniziato infliggendosi una ferita che non lo ha ucciso

Tutti i presenti recalcitrano e Antonio ripete la richiesta aggiungendo l’elemento patetico dell’amore: Let him that loves me strike me dead (107), chi mi ama mi colpisca a morte.

Ma le guardie si rifiutano ed escono.

 

Plutarco racconta che il colpo infertosi da Antonio non era tale da provocare una morte istantanea-h\n  d’ oujk eujquqavnato" hj plhghv (Vita, 76, 10)

Perciò pregò i presenti di finirlo-ejdei`to tw`n parovntwn ejpisfavttein aujtovn”. Ma quelli fuggivano dalla stanza mentre il ferito gridava e si dibatteva. Antonio non è più capace di soddisfare nessun suo desiderio, neppure quello della morte.  Continuò così finché giunse Diomhvdh" oj grammateuv" (76, 11) Diomede il segretario mandato da Cleopatra che come sappiamo non era morta, né ferita

Plutarco aggiunge solo che Antonio saputo che Cleopatra era viva ordinò ai servi di sollevarlo kai; dia; ceirw`n posekomivsqh tai`" quvrai" tou`

 oijkhvmato" , e fu portato a braccia alle porte dell’edificio.

Shakespeare  attribuisce delle parole a Diomede subentrato alle guardie.  Alla domanda di Antonio “dov’è?”, il segretario risponde “Lock’ d in her monument” (IV, 14, 120), chiusa nel suo mausoleo. Diomede adduce delle scuse per la mentita morte della sua padrona: ella si è inventata il proprio decesso perché temeva l’ira (rage 123, latino rabies) di Antonio e chiede scusa anche di essere giunto toppo tardi.

 In effetti abbiamo visto Antonio  infuriato nei confronti della zingara (gipsy IV, 12, 28) nel momento in cui le attribuiva la colpa della rovina nella quale era caduto

 

Excursus sull’ira

Nei testi classici l’ira viene spesso attribuita agli uomini di potere

Edipo è  in preda all'ira quando minaccia Tiresia: non tralascerò nulla, irato come sono ( "wJ" ojrgh'" e[cw", Sofocle,  Edipo re , 345) e pure  quando uccide Laio (" paivw dij ojrgh'"", colpisco con ira, v. 807).

 "L'ira appare tratto distintivo di ogni figura di tiranno venga rappresentata sulla scena; essa trova una particolare evidenza nell'Antigone  e nell'Edipo re  sofoclei. Sia Creonte fin dall'inizio, sia Edipo, da quando incomincia a sospettare un complotto contro il suo potere (è dunque in questo caso il principio della degenerazione che trasforma il buon re paterno del prologo in una figura tirannica), appaiono soggetti all'ira, incapaci perciò di un dialogo rispettoso dell'interlocutore e di una decisione meditata. "Taci, prima di riempirmi d'ira con le tue parole" (Antigone , v. 280), esclama Creonte, quasi ad interrompere il resoconto col quale la guardia lo sta informando del clandestino seppellimento di Polinice. E, a conclusione quasi della scena, nuovamente lo redarguisce:"Non ti rendi conto di parlare di nuovo in modo irritante? (Antigone , v. 316)"[36].

 L'ira di Edipo continuerà a colpire i  nemici anche dopo la morte: nell' Edipo a Colono Ismene dice al padre che un giorno il suo cadavere sarà un grave peso (bavro" , v. 409) per i Cadmei, quindi la ragazza precisa: "th'" sh'" uJp ' ojrgh'", soi'" o{tan stw'sin tavfoi" " (v. 411), a causa della tua ira, quando staranno presso la tua tomba. Lo ha fatto sapere Apollo delfico (v. 413).

 L'ira per i Latini è una forma di pazzia.  Orazio sentenzia:"ira furor brevis est " (Epist.  I, 2, 62), l'ira è una breve follia.

Seneca considera l'ira un' insania  e un sintomo di impotenza:" iram dixerunt brevem insaniam; aeque enim impotens sui est ", dissero che l'ira è una breve pazzia; infatti è incapace di dominarsi, proprio come quella (De ira , I, 1). Inoltre non è naturale l'ira poiché essa desidera infliggere pene (poenae appetens est , I, 6) mentre la natura dell'uomo non vuole questo:"ergo non est naturalis ira ", I, 6).

L'ira non ha alcuna utilità:"nihil habet in se utile" (9). Nell'ira per giunta non c'è niente di grande né di nobile, neppure quando appare impetuosa e sprezzante degli dèi e degli uomini:"Nihil ergo in ira, ne cum videtur quidem vehemens et deos hominesque despiciens, magnum, nihil nobile est " (21).

Cfr. la figura di Capaneo  nei Sette a Tebe di Eschilo, nell’Antigone di Sofocle e nell’Inferno di Dante.

Euripide, nelle Supplici lo riabilita attraverso la moglie Evadne.

 

"Perché proprio questo caratterizza il monarca, poter fare ciò che vuole senza essere soggetto ad alcun controllo"[37].

La nutrice della Medea  di Euripide mette in rilievo la sfrenatezza derivata dalla prepotenza  cui ella contrappone l'uguaglianza:"Deina; turavnnwn lhvmata kai; pw"-ojlig j ajrcovmenoi, polla; kratou'nte",-calepw'" ojrga;" metabavllousin.-To; ga;r eijqivsqai zh'n ejp j i[soisin-krei'sson" (vv. 119-123), terribile è l'animo dei tiranni e poiché di rado come che sia sono subordinati, e il più delle volte comandano, difficilmente elaborano le ire. Infatti essere abituati a vivere in condizione di uguaglianza,

 è meglio

 

Nel Thyestes  di Seneca, Megera aizza l'ombra di Tantalo perché scateni l'ira tra i suoi discendenti e si crei la compiuta peccaminosità:"Nihil sit, ira quod vetitum putet:/fratrem expavescat frater, et gnatum parens/gnatusque patrem; liberi pereant male/peius tamen nascantur; immineat viro/infesta coniux; bella trans pontum vehant;/effusus omnes irriget terras cruor,/supraque magnos gentium exultet duces/libido victrix; impia stuprum in domo/levissimum sit fratris; et fas et fides/iusque omne pereat. Non sit a vestris malis/immune coelum" (vv.39-49), non ci sia niente che l'ira consideri vietato: il fratello tema il fratello, il padre il figlio, il figlio il padre; i figli muoiano male e nascano anche peggio; la moglie ostile minacci il marito; portino guerre di là dal mare; il sangue sparso bagni tutte le terre, e la libidine vincitrice salti sopra ai grandi capi dei popoli; nell'empia famiglia l'incesto del fratello sia un lievissimo fallo; e le leggi divine, la lealtà, ogni diritto umano perisca. Nemmeno il cielo sia esente dai vostri mali.   

Concludo questo excursus con la Medea di Seneca: nel cuore della nipote del Sole c'è un conflitto tra ira e pietas:"Ira pietatem fugat,/iramque pietas- cede pietati, dolor!" ( Medea, vv. 943-944), l'ira scaccia l'amore materno, l'amore l'ira- dolore cedi all'amore!  Ma il dolor è un tormento alleato dell'ira e la pietas soccombe:"osculis pereant patris;/periere matris. Rursus increscit dolor,/et fervet odium. Repetit invitam manum/antiqua Erinnys. Ira, qua ducis, sequor"( vv. 950-953), muoiano per i baci de padre;  sono già morti per quelli della madre. Di nuovo mi cresce dentro il tormento e ribolle l'odio. L'antica Erinni mi riprende la  mano riluttante. Ira, dove mi conduci, ti seguo. Ira è dux sceleris.

"L'espressione ira, qua ducis, sequor (v. 953) è probabilmente 'ricalcata' su Ovidio, Heroides 12, 209 (il finale dell'epistola di Medea a Giasone, che si chiude con la prefigurazione della tragedia imminente): Quo feret ira, sequar!, "Dove l'ira mi porterà, la seguirò".

Vedi anche, in Seneca, Agamemnon, vv. 141-142 (è Clitennestra che parla): quocumque me ira, quo dolor, quo spes feret,/hoc ire pergam, " dove mi porterà il furore, il dolore, la speranza, là seguiterò a dirigermi". Medea, e i personaggi senecani in genere, invertono i dettami dello Stoicismo; spesso il riecheggiamento 'invertito' delle formule stoiche è marcato da richiami espliciti che sottolineano il contrasto"[38].

 

Torniamo a Shakespeare e per oggi concludiamo

Diomede chiama le guardie che rientrano. Antonio chiede di essere portato dov’è Cleopatra. Sono quattro o cinque che compatiscono il loro capo ma Antonio parla loro con la fierezza del guerriero indomito: fate che il crudele destino non si compiaccia del vostro dolore, date il benvenuto al fato che viene per punirci: lo puniremo noi mostrando di non curarcene. Sollevatemi : io spesso ho condotto voi, portate me ora, buoni amici e abbiate i miei ringraziamenti per tutto- Take me up:-I have led you oft: carry me now, good friends,-and have my thanks for all  (IV, XIV, 138-140. Fine della XIV scena.

 

 

 

Amore e morte

La morte di Antonio con Cleopatra e con Dioniso. Ut pictura poēsis.

 

Cleopatra da una finestra vede il corpo ferito di Antonio trasportato dalle  guardie di lui. Chiede aiuto perché venga sollevato dentro il mausoleo  e invoca le tenebre dopo che il sole abbia bruciato the great sphere la grande sfera del suo percorso

Antonio si dà animo e dice che il trionfo vero non è quello di Cesare, bensì quello di Antonio che ha trionfato su se stesso-Antony has triumphed on itself (IV, 15, 15)

Cleopatra promette che la scena del trionfo superbo di Cesare non sarà mai adornato dalla sua persona.

Se   knife, drugs, serpents-L. serpentem acc. of serpens- coltello, veleni e serpi hanno edge, sting, or operation, il filo, la puntura o l’effetto, sono salva I am safe- L. salvum acc. of salvus- da quelle umiliazioni (Antonio e Cleopatra, IV, 15, 25-27)  e gli occhi pudichi di Ottavia non avranno l’onore di sollevare obiezioni, di trattenermi – demuring me-L. demorari- (28-30)

 

Salvo sarà anche il loro amore. In questa parte della tragedia assistiamo alla classica associazione dell’amore con la morte-

In Amore e Morte  di Leopardi il principio e la fine del nostro esistere sono quanto di meglio c'è nell'universo  mondo: due fratelli, due fanciulli bellissimi che vengono in soccorso dei mortali:

"Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte/ingenerò la sorte./ Cose quaggiù sì belle/ altre il mondo non ha, non han le stelle./ Nasce dall'uno il bene,/nasce il piacer maggiore/che per lo mar dell'essere si trova;/l'altra ogni gran dolore,/ogni gran male annulla./Bellissima fanciulla,/dolce a veder, non quale/la si dipinge la codarda gente,/gode il fanciullo Amore/accompagnar sovente;/e sorvolano insiem la via mortale,/primi conforti d'ogni saggio core" (vv. 10-16).

L'affratellamento amore/morte più famoso è quello del canto di Leopardi, ma il nesso è già reperibile in Saffo:"teqnavkhn d j  ajdovlw" qevlw" (96D., v. 1) sinceramente vorrei essere morta.  In questo frammento tra l'altro ci sono corone di rose e viole ( i[wn kai; brovdwn): è lo "strano" accostamento floreale che si ritrova nel poeta di Recanati[39] 

Vediamo la prima parte di quest'ode, fin dove è intellegibile: "Vorrei davvero essere morta./Ella mi lasciava, piangendo/ molto e questo mi disse:/"ahimé come terribilmente soffriamo,/Saffo, certo contro voglia ti lascio"./Io allora le rispondevo con queste parole:/"vai, sii felice e ricordati/di me: sai infatti quanto mi prendevo cura di te./Se no, io voglio/ ricordarti/di quante cose belle e delicate abbiamo gioito:/infatti vicina a me ti cingesti/il capo con molte corone/di viole, di rose/e di crochi insieme,/e molti serti intrecciati fatti di fiori/ponesti intorno/ al collo delicato/e tutto il corpo ungesti/con unguento regale".

Cleopatra e i suoi amici sollevano il corpo di Antonio per farlo morire dove è vissuto. La regina anzi spera di rianimarlo con i suoi baci.

Antonio però dice: “I am dying, Egypt, dying:-give me some wine, Lat. vinum- and let me speak a little” ( Antonio e Cleopatra, IV, 15, 41-42), sto morendo Egiziana, dammi del vino e lasciami parlare un poco

 

Veniamo a Plutarco (Vita di Antonio, 77)

Antonio si era fatto portare davanti alle porte del mausoleo. Cleopatra non le aprì, ma affacciatasi a una finestra calò funi e corde  con le quali Antonio venne legato poi ella stessa lo tirava su aiutata da due donne, le sole da lei ammesse con sè nel mausoleo-ajnei`lken aujth; kai; duvo gunai`ke" , a}" movna" ejdevxato meq  j auJth`" eij" to;n tavfon (2-3). Una sarà senz’altro l’amica Carmione, l’altrs Iras. Chi vide la scena del sollevamento di quel carico sostiene che non ci fu nulla di più pietoso-oujde;n oijktrovteron genevsqai. Antonio era cosparso di sangue  e agonizzante mentre veniva issato e intanto tendeva le mani verso di lei-ojrevgwn cei`ra" eij" ejkeivnhn (4) . L’operazione non era facile per una donna, ma Cleopatra tirava su la corda faticosamente stringendola con entrambe le mani e contratta nel volto-katateinomevnh tw`/ proswvpw/ -mentre quelli di sotto la incoraggiavano e partecipavano alla sua angoscia.

Quando Cleopatra finalmente ebbe Antonio accanto a sé, lo chiamava signore, marito e imperatore- “despovthn ejkavlei kai; a[ndra kai; aujtokravtora  (5) e quasi si era dimenticata dei propri mali per compassione di quelli di lui-kai; mikrou` dei`n ejpilevlhsto tw`n aujth`" kakw`n oi[ktw/ tw`n ejkeivnou (6)

Rispetto alla descrizione invero non pespicua di Shakespeare qui si vede la mano dello scrittore pittore (cfr. Orazio, Ars poetica, 361 “ut pictura poesis”).

Lo stesso Plutarco paragona la propria opera di biografo a quella dei pittori:

“Noi infatti non scriviamo storie, ma vite, né del resto nelle azioni più famose è sempre insita una manifestazione di virtù o di vizio, ma spesso un'azione breve e una parola e una battuta danno un'immagine del carattere più che battaglie con innumerevoli morti e schieramenti di eserciti enormi e assedi di città.

Come dunque i pittori-w{sper ou\n oiJ zw/vgrafoi- colgono le somiglianze dal volto e dalle espressioni relative allo sguardo nelle quali si mostra il carattere, mentre delle parti restanti si prendono pochissima cura, così a noi si deve concedere di penetrare più nei segni dell'anima, e attraverso questi rappresentare la vita di ciascuno, lasciando ad altri le grandezze e le contese  ( Introduzione alle Vite di Alessandro e Cesare, I. 2-3)

 

Torniamo alla Vita di Antonio il quale chiese del vino, sia per la sete, sia sperando di morire più in fretta (77, 7). Oppure, piuttosto,  in punto di morte volle ribadire il suo legame con Dioniso.

 

 

La morte di Antonio. Amor fati

 

Plutarco prosegue riferendo le ultime parole di Antonio che dopo avere bevuto (piwvn, Vita, 76, 7) esortò Cleopatra a salvarsi se poteva esserci salvezza senza disonore (a]n h| mh; met j aijscuvnh"). Poteva  fidarsi solo di Proculeio fra gli amici di Ottaviano.

Nel dramma di Shakespeare non c’è la narrazione semplice – aJplh' dihvghsi"- ma  il racconto procede dia; mimhvsew", per imitazione che l’autore fa dei personaggi i quali si scambiano battute alterne ta; ajmoibai'a .

Un modesto suggerimento per l'esame di maturità

 

Mimèsi diegèsi e forma mista secondo Platone.

 

Può essere utile dirlo durante l’esame di maturità a un esaminatore preparato. Altrimenti risparmiatelo

 

Il dramma contiene più personaggi che parlano: è, spiega Socrate al fratello di Platone Adimanto, la specie di poesia e mitologia che toglie le parole intercalate dal poeta ai discorsi diretti lasciando solo le alterne battute (ta; ajmoibai'a) dei personaggi e dunque  si esprime dia; mimhvsew~, per imitazione

 

Se non appaiono i personaggi parlanti, abbiamo una narrazione semplice senza mimesi (a[neu mimhvsew~ aJplh' dihvghsi~ ), questa forma che si presenta –di jajpaggevliva" aujtou` tou` poihtou`- attraverso il racconto del poeta stesso,  si trova soprattutto nei ditirambi , specifica Socrate; se invece cè solo mimesi con le battute dei personaggi, abbiamo la tragedia e la commedia;  infine c’è la forma mista che si trova nell’ l’epica e in molti altri luoghi: questa impiega entambi i mezzi: la mimesi e il racconto del poeta stesso (Repubblica 394 b- c).

giovanni ghiselli

 

Vediamo dunque le battute che Shakespeare attribuisce ai due amanti

Cleopatra vuole imprecare contro la  falsa donna di casa, la meretrice fortuna provocandola fino a farle spezzare la sua ruota

Antonio le suggerisce di ottenere da Cesare onore e salvezza

Ma Cleopatra risponde: “They do not go together (IV, 15, 47): loro non vanno insieme

Antonio ribatte di non fidarsi di nessuno di quelli che stanno attorno a Cesare tranne Proculeio.

Cleopatra replica: “My resolution and my hands I’ll trust;-none about Caesar (49-50) , mi fiderò della mia risoluzione e delle mie mani, di nessuno intorno a Cesare.

 

 Le ultime richieste di Antonio morente  a Cleopatra:  non lamentarti e non addolorarti del miserevole cambiamento giunto alla fine della vita, ma  conforta i tuoi pensieri nutrendoli con le precedenti fortuna nelle quali ho passato la vita-in feeding them with those my former fortunes –wherein I lived  the greatest prince o’ the world,-the noblest, (Shakespeare, Antonio e Cleopatra, IV, 15, 53-55) io che sono stato il più grande principe del mondo, il più nobile, e ora  muoio non  bassamente-not basely-, né mi tolgo con vigliaccheria l’elmo davanti a un concittadino. Now my spirit is going-I can no more ( 58-59),  ora il mio spirito se ne va: non ce la faccio più.

Cfr. Ugo Foscolo“Facciamo tesoro di sentimenti cari e soavi i quali ci ridestino per tutti gli anni, che ancora forse tristi e perseguitati ci avanzano, la memoria che non siamo sempre vissuti nel dolore” Ultime lettere di Jacopo Ortis, 26 ottobre 1797

 

Si può attribuire anche ad Antonio quanto T. S. Eliot dice di Otello:"Quel che Otello mi sembra faccia nel tenere questo discorso è darsi animo. Egli tenta di sfuggire alla realtà, ha cessato di pensare a Dsdemona, e sta pensando a se stesso. L'umiltà è, di tutte le virtù, la più difficile a conseguire: nulla è più duro a morire del desiderio di pensar bene di se stessi. Otello riesce a mutarsi in personaggio patetico, adottando un'attitudine estetica piuttosto che morale, drammatizzandosi di contro all'ambiente. Egli seduce lo spettatore, ma il motivo umano è primariamente sedurre se stesso" [40].

Otello vuole essere ricordato come uno che servì lo Stato, uno che amò saviamente ma non troppo bene, uno non geloso ma divenuto dissennato per istigazione, uno che come l'indiano ignorante buttò via la perla più preziosa della tribù, uno che una volta ad Aleppo punì un cane circonciso il quale batteva un veneziano e calunniava la repubblica. (V, 2, 337-355).

E’ il  “darsi animo”, l'atteggiamento che Eliot individua nello stoicismo romano, rappresentato da Seneca, in Shakespeare e in Nietzsche:"Nietzsche è il più cospicuo esempio moderno del darsi animo. L'attitudine stoica è il rovescio dell'umiltà cristiana"[41].

 

T. S. Eliot trova delle analogie tra i personaggi di Seneca e quelli di Shakespeare  precisamente in questo loro arroccarsi  nella proprio individualità:"Nell'Inghilterra elisabettiana si hanno condizioni in apparenza affatto diverse da quelle di Roma imperiale. Ma era un'epoca di dissoluzione e di caos; e in tale epoca, qualsiasi attitudine emotiva che sembri dare all'uomo alcunché di stabile, anche se è soltanto l'attitudine di "io sono solo me stesso", è avidamente assunta. Ho appena bisogno di segnalare...quanto prontamente, in un'epoca come l'elisabettiana, l'attitudine senechiana dell'orgoglio, l'attitudine montaigniana dello scetticismo, e l'attitudine machiavellica del cinismo giunsero a una specie di fusione nell'individualismo elisabettiano. Questo individualismo, questo vizio d'orgoglio, fu, necessariamente, sfruttato molto a causa delle sue possibilità drammatiche...Antonio dice "Sono ancora Antonio [42]" e la Duchessa "Sono ancora Duchessa di Amalfi "[43]; avrebbe sia l'uno che l'altro detto questo se Medea non avesse detto Medea superest ?"[44].

Questa battuta di Medea ha un’eco anche in Il rosso e il nero di Stendhal: la giovinetta Mathilde de La Mole, innamorata di Julien Sorel è combattuta da dubbi atroci , come la Medea delle Argonautiche, e pensa: “ Quali non saranno le sue pretese, se un giorno avrà il diritto di esercitare intero il suo potere su di me? Ebbene, dirò come Medea: in mezzo a tanti pericoli, mi resto Io!

Subito dopo viene ricordato il “darsi animo” di Medea: “In quegli ultimi momenti di dubbio atroce scesero in campo dei sentimenti di orgoglio femminile. “Tutto deve essere straordinario nel destino di una ragazza come me” esclamò Matilde, snervata dal suo ragionare. L’orgoglio, che le avevano instillato fin dalla nascita, si mise in lotta contro la virtù”[45].

Cfr. Seneca: Vaco, Lucili, vaco et ubicumque  sum, ibi meus sum (Ep. 62, 1), sono libero, Lucilio, sono libero e dovunque io sia, appartengo a me stesso.

“In questa rapina rerum omnium  (Marc . 10, 4), che ingigantisce su scala cosmica l'instabilità della condizione politica, resta come unico punto fermo, come unico bene inalienabile il possesso della propria anima” afferma  Traina[46]. Infatti Medea in tutta la tragedia rivendica il suum esse  del De brevitate vitae[47] . Avendo davanti agli occhi questa visione d'insieme bisogna moderare il dolore: dovete farlo soprattutto voi donne “quae immoderate fertis” (Ad Marciam, 10, 7) che lo portate in maniera smodata.

giovanni ghiselli

Plutarco racconta senza farne un dialogo, con semplice narrazione dunque, che Antonio chiese a Cleopatra mh; qrhnei`n ejpi; tai`" ujstavtai" metabolai`" (Vita di Antonio, 77, 7) di non piangere sugli ultimi cambiamenti, ma di considerarlo beato per le cose belle avute in sorte (ajlla; makarivzein w|n e[tuce kalw`n): egli era stato il più illustre degli uomini, aveva esercitato un potere grandissimo e ora era  vinto in modo non ignobile- kai; nu`n oujk ajgennw`" krathqeiv"- da Romano a opera di un Romano.

 

Per conservare la propria dignità nella sconfitta bisogna comportarsi in modo non ignobile: significa accettare la series causarum , cioè il destino.

Manifestare amor fati: “ il necessario non mi ferisce; amor fati è la mia intima natura”[48] , das ist  meine innerste Natur.

Del resto ogni persona secondo Nietzsche coincide con il suo destino: "Il fatalismo turco contiene l'errore fondamentale di contrapporre fra loro l'uomo e il fato come due cose separate…In verità ogni uomo è egli stesso una parte di fato…Tu stesso, povero uomo pauroso, sei la Moira incoercibile che troneggia anche sugli dèi"[49].

 Cfr. h\qo~ ajnqrwvpw/ daivmwn[50] di Eraclito, il carattere è il  destino dell’uomo.

Mentre Antonio muore, la Cleopatra di Shakespeare gli rivolge le ultime parole d’amore: “nobilissimo tra gli uomini noblest of men, vuoi dunque morire? Non ti curi di me? Dovrò restare in questo mondo ottuso che nella tua assenza non è migliore di un porcile? (…) l’eccezionalità ora è sparita e non rimane nulla di non ordinario sotto la visitante luna (IV, 15, 59- 68).  Il non ordinario infastidisce le persone ordinarie,  suscita spesso il loro odio, mentre attira le persone stra-ordinarie  

 

 

 

Smontature del potere. Un segreto del Palazzo

Il pianto di Ottaviano misto di ipocrisia e di paura della propria morte

 

Shakespeare

Alla fine del IV atto Cleopatra definisce se stessa  niente altro che una donna dominata dalle stesse povere passioni di una ragazza che munge il latte e compie le più umili mansioni as the maid that milks and does the meanest chares (Antonio e Cleopatra, IV 72-73). Queste parole rientrano in un topos molto diffuso nelle tragedie in genere e particolarmente in quelle di Shakespearre

 

Nel Riccardo II   (1595) si legge che la Morte tiene la corte nella corona cava (within the hollow crown) che cinge le tempie mortali di un re e là siede beffarda schernendo il suo stato con un ghigno alla sua pompa and grinning at his pomp.

La regalità viene smontata anche in The tempest, quanto il nostromo (boatswain) dice che le onde che ruggiscono e sballottano la nave senza curarsi del re di Napoli: “what cares these roarers for the name of King?”,

Poi il nostromo intima al re Alonso e al gentiluomo Gonzalo: “To cabin: silence trouble-lat. turba-  us not!” (I, 1)

 Do un altro esempio tratto da Euripide

Nelle Troiane, Ecuba constata che il polu;~ o[gko~ ,  il grande vanto degli antenati era oujdevn, niente, era un gonfiore che si è dissolto.

“O grande vanto umiliato

Degli avi, come davvero eri un nulla!” (vv. 108-109)

 

All’ininizio del V atto entra nel campo di Cesare Dercetas, una guardia del corpo di Antonio con la spada del suo capo e la notizia della morte di lui: “Antony is dead” (V, 1, 12)

Nella Vita di Antonio Plutarco ci fa conoscere altri particolari: Derceteo prese la spada di Antonio, la nascose, e, andato di corsa da Cesare, per pimo annunziò la morte di Antonio kai; to; xivfo" e[deixen hj/magmevnon (78, 2), e mostrò la spada insanguinata. A proposito di  ut pictura poesis, il sangue aggiunge colore alla scena.

Segue un altro topos presente nelle tragedie che Shakespeare trae da Plutarco: il compianto del nemico morto e il suo elogio funebre da parte del vincitore che comunque lo ha fatto morire.

Il biografo scrive che Ottaviano si ritirò in un angolo della tenda e pianse l’uomo che era stato suo parente, collega nel governo e compagno di molte battaglie e imprese (78, 2-3).

  Si ricorderà che Antonio dopo la sconfitta aveva chiesto a Ottaviano soltanto  di vivere come privato cittadino-ijdiwvth" (Vita, 72, 2) in Atene, se non poteva rimanere in Egitto.

Cesare non accolse questa richiesta, mentre a Cleopatra rispose che non avrebbe mancato di ottenere  niente di quanto era ragionevole chiedere  se avesse ucciso o scacciato Antonio (Vita, 73, 1).

 

Del resto anche dopo questo pianto da coccodrillo, Ottaviano lesse agli amici le lettere scambiate con Antonio per mostrare come lui stesso scrivesse parole ragionevoli e giuste, mentre Antonio era sempre fortikov", volgare e uJperhvfano"  tracotante (78, 3-4).

 

Nella tragedia di Shakespeare l’encomio di Ottaviano, la laudatio funebris del nemico vinto è più sonora: “The breaking of so great a thing should make –a greater crack (V, 1, 14-15), l’infrangersi  di un uomo tanto grande avrebbe dovuto produrre un più grande fratuono; la morte di Antonio non è un solo destino; nel suo nome era racchiusa la metà del mondo.

A questo punto anche il Dercetas di Shakespeare mostra la spada dicendo che l’ha tratta dalla ferita e aggiunge: behold it stain’d-with his most noble blood” (25-26),  guardate, è macchiata del suo noblissimo sangue.

Ma siamo già dentro il collegio degli ipocriti che fingono di essere tristi.

La guardia del corpo ha aspettato di capire che aria tirava.

Ottaviano tira fuori di nuovo le lacrime, questa volta in pubblico: “it is tidings-to wash the eyes of kings (V, 1, 27-28) si tratta di notizie tali da bagnare gli occhi dei re. Seguono parole di Agrippa e Mecenate: il primo nota che i pregi di Antonio prevalevano sui difetti, il secondo che le sue colpe e le sue glorie si bilanciavano.

 

 

Segreti del Palazzo, segreti del potere. Arcana domus, arcana  imperii.

Tacito e Shakespeare

 

Altro tema storico, letterario e politico da utilizzabile a scuola da docenti e discenti.

 

Ottaviano avuta notizia del suicidio di Antonio ripete l’ arcanum imperii, il segreto del potere gà rivelato da Tacito: “we cold not stall together- in the whole world (Antonio e Cleopatra, V, 1, 39-40) non potevamo fermarci insieme nell’intero mondo.

Ossia il potere non è condivisibile pacificamente.

Un segreto del Palazzo, (arcana domus) è rivelato da Tacito all'inizio degli Annales, quando Tiberio sta succedendo ad Augusto (14 d. C.) :"eam condicionem esse imperandi ut non aliter ratio constet quam si uni reddatur " (I, 6), questa è la condizione dell'impero che i conti tornano bene se si rendono a uno solo.

Qualche decennio più tardi, nel 55,  Britannico viene fatto avvelenare da Nerone. Il figlio di Claudio e Messalina rimase senza voce né respiro e Nerone disse che si trattava di epilessia. Ma tutti capiscono e si spaventano. Tra il popolo molti giudicarono il delitto con indulgenza: “plerique etiam hominum ignoscebant antiquas fratrum discordias et insociabile regnum aestimantes” (Annales, XIII, 17), considerando antiche discordie tra fratelli e il fatto che il re non può avere un socio.

 

Si pensi all'antica discordia tra  Eteocle e Polinice: "sociisque comes discordia regnis" (Stazio, Tebaide, I, 130), la discordia compagna dei regni condivisi. Quindi romolo e Remo-

 

Alla morte di Nerone si rivelò un altro arcanum imperii: "posse principem alibi quam Romae fieri " (Historiae , I, 4), l'imperatore poteva essere creato anche fuori da Roma.

Poco dopo a Vespasiano, vicino allo scontro finale con Vitellio, si svelò un' altra norma  :"imperium cupientibus nihil medium inter summa aut praecipitia" (Historiae, II, 74), per chi aspira al potere non c'è via di mezzo tra la vetta e il precipizio.  

giovanni ghiselli

 

Ottaviano chiede  il permesso di piangere ancora, addirittura ad Antonio -chiamandolo fratello mio –my brother, compagno nell’impero my mate in empire-, amico e commilitone sul fronte di guerra-friend and companion in front of war- braccio del mio stesso corpo-the arm of mine own body e cuore in cui il mio alimentava i suoi pensieri

Sono state le nostre stelle irreconciliabili a dividere così la nostra uguaglianza(V, 1, 42-46) .

Da una parte c’è l’ipocrisia e la retorica delle celebrazioni volute dal potere ma non manca la paura che prende ciascuno di noi quando vediamo che una vita simile  e quasi parallela alla nostra finisce, tanto che si tratti di un amico quanto di un nemico. Il sopravvissuto viene preso dal terrore della propria morte.

 

 

Il successo dipende in gran parte dalla reputazione

 

Potenza della  fama.

 

La Fama (cfr. for,  fhmiv) è  quanto si dice.

Secondo Seneca la diceria comune è spesso fuorviante:"nulla res nos maioribus malis implicat quam quod ad rumorem componimur " (De vita beata , 1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori che il fatto di regolarci secondo il "si dice".

 Bisogna cercare di vivere ragionando "ad rationem ", ivece che imitando  "ad similitudinem " , come fanno i più.

 

 La dovxa e la fama acquisite con le prime vittorie contribuiscono al successo finale quanto le azioni. Il vincitore assume un’ingannevole aria di invincibilità eterna. Oiu invece arrivano le Idi diu Marzo o  Warerloo

 

Nell’ultimo atto dell’Antonio e Cleopatra di Shakespeare,  un Egiziano mandato dalla regina va da Ottaviano a chiedergli  quali siano i suoi intendimenti .

Il vincitore promette gentilezza e onore per la regina: “for Caesar cannot live-to be ungentle ( V, 1, 59-60), perché Cesare non può vivere ed essere scortese. In realtà sotto questa maschera c’è l’uomo crudele che ha decretato la morte di Antonio, e ora vuole la totale sottomissione di Cleopatra.

 

 Ottaviano ordina  a Proculeio di andare in Egitto a blandire Cleopatra con promesse di benevolenza perché la donna non si uccida sottraendosi al  trionfo del vincitore: “for her life in Rome-would be eternal in our triumph  (V, 1, 65-66) perché la sua presenza viva in Roma rimarrebbe eterna nel mio trionfo.

Plutarco scrive che Ottaviano mandò Proculeio in Egitto  ordinandogli di fare il possibile per impossessarsi di Cleopatra viva-keleuvsa" h]n duvnhtai mavlista th`" Kleopavtra" zwvsh" krath`sai: poiché temeva per i suoi tesori e riteneva che quella avrebbe dato una grande spinta alla gloria-pro;" dovxan- del suo trionfo (Vita di Antonio, 78, 4-5).

La gloria di questi comandanti vincitori dipende in gran parte dall’opinione degli altri, dalla reputazione che acquisiscono.

Anche le  vittorie successive al successo iniziale sono dovute  almeno in parte dalla fama che questo  ha suscitato sul conto del vincitore.

 Alessandro Magno dichiara apertamente l’importanza della fama, di quanto si dice, e anche  Dario III.

      Dopo la scoperta della seconda congiura: quella “dei paggi” (primavera 327 a. C in Sogdiana, Uzbekistan) Alessandro afferma che ricevere il nome di figlio di Giove aiuta a vincere le guerre: “Famā  enim bella constant, et saepe etiam, quod falso creditum est, veri vicem obtinuit” ( Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni VIII, 8, 15), Le guerre sono fatte di quello che si fa sapere (attraverso la propaganda), e spesso anche quanto si è creduto per sbaglio, ha fatto le veci della verità.

 Cfr. III, 8, 7 dove Dario, prima della battaglia di Isso (333 a. C.)  dice “famā bella stare”.

Come nelle Eumenidi di Eschilo, le parti in conflitto hanno un pensiero comune.

Dopo la conquista della rupe di Aorno (326) Alessandro magnae victoriae speciem fecit (Curzio, VIII, 11, 24), creò l’apparenza di una grande vittoria con sacrifici e cerimonie in onore degli dèi.

Nelle Storie di Livio il console Claudio Nerone, in rapida marcia contro Asdrubale, che verrà sconfitto poco dopo, sul fiume Metauro (tra Fano e Senigallia, 207 a. C.) arringa brevemente i soldati dicendo: “Famam bella conficere, et parva momenta in spem metumque impellere animos” (27, 45), quanto si dice decide le guerre, e circostanze anche piccole spingono gli animi alla speranza e alla paura.  

Si può chiarire il  valore pratico, oltre che estetico, della parola attraverso l'espressione di Tucidide ta; e[rga tw'n pracqevntwn (I, 22, 2), le azioni tra i fatti. L'altra componente dei fatti sono le parole dette dai capi della guerra: sul modo di riferirle Tucidide dichiara le intenzioni e il metodo nella prima parte del capitolo metodologico (I, 22, 1).

 

 

 Tolstoj smonta Napoleone facendone una marionetta del destino     

Tolstoj spiega i successi di Napoleone che era "un uomo senza convinzioni, senza consuetudini, senza tradizioni, senza nome, e che non è neppure francese" come necessari perché  potesse compiersi "il movimento di carattere militare dei popoli europei da occidente a oriente"[51].

Poi doveva esserci il movimento inverso, allora "improvvisamente, al posto di quei casi  e di quella genialità , che in modo così progressivo lo hanno guidato finora, con una serie ininterrotta di successi, verso lo scopo prestabilito, si profilano una quantità incalcolabile di casi  contrari, dal raffreddore di Borodino al gelo e alla scintilla che incendia Mosca; e invece della genialità , appaiono una stupidità e una viltà senza ragioni"[52].

 

“Napoleone è uno dei soggetti classici di biografia in quanto reputato personaggio sicuramente ‘decisivo’, eppure per il Tolstoj di Guerra e pace è quasi una marionetta perché la storia è fatta dalla somma degli infiniti e contraddittori voleri delle masse”[53].

Non credo tanto delle masse quanto piuttosto delle “astuzie della ragione”, della “vecchia talpa”, insomma del destino, o della Storia che ci usa per i suoi fini

 

 

 

Corso di giugno  XXXII

Un’altra smontatura del potere. Shakespeare, Euripide e Seneca

 

La seconda sena del V atto si apre con Cleopatra che parla a Carmiana e Iras la parrucchiera . La regina dice parole che smontano di nuovo il potere: ‘Tis poltry to be Caesar;-not being Fortune, he’ s but Fortune’s knave,-a minister of her will-(V, 2,  2-4), è una miseria essere Cesare;  non essendo egli la Fortuna, è solo il servo della fortuna, un ministro del suo volere. Cosa grande è invece compiere l’atto che pone termine a tutti gli altri atti e arresta il cambiamento, che addormenta e non assaggia più quel letame che nutre Cesare e il mendicante.

 

Nella tragedia Ecuba di Euripide (del 424) la vecchia regina di Troia dà questo avvertimento ad Agamennone, il comandante dell’esercito vincitore:

“non c'è tra i mortali chi sia libero Oujk e[sti qnhtw'n o{sti" e[st j ejleuvqero",:/infatti si è schiavi delle ricchezze oppure della sorte-h] crhmavtwn ga;r dou'lov" ejstin h] tuvch", -/o la folla della città o le leggi scritte h] plh'qo" aujto;n povleo" h] novmwn grafaiv- /  impediscono di usare l’orientamento del proprio giudizio"(vv. 864-865).

 Sono versi chiave.

Chi comanda-aveva gà detto Ecuba- non deve comandare quello che non si deve-ouj tou;" kratou'nta" crh; kratei'n a{ mh; crewvn (Ecuba, 282), e chi ha successo- eujtucou'nta"- non deve credere che gli andrà sempre bene.

Ecuba  procede facendo l’esempio di se stessa: che era una regina cui un solo giorno ha tolto ogni forma di benessere-to;n pavnta  dj o[lbon h|mar e{n m’ ajfeivleto (285).

Del resto l’Agamennone delle Troiane di Seneca sa che i successi sono effimeri e che noi mortali siamo tutti in balia della sorte:

Al culmine della sua carriera di a[nax l’Atride mostra di avere coscienza della probabile caduta ovinosa per chi è salito in alto:"Violenta nemo imperia continuit diu,/moderata durant; quoque Fortuna altius/evexit ac levavit humanas opes,/hoc se magis supprimere felicem decet/variosque casus tremere metuentem deos/nimium faventes. Magna momento obrui/ vincendo didici. Troia nos tumidos facit/nimium ac feroces? Stamus hoc Danai loco,/unde illa cecidit " (Troiane, vv. 258-266), nessuno ha conservato a lungo il potere con la violenza, quello moderato dura; e quanto più la Fortuna ha levato in alto la potenza umana, tanto più il fortunato fa bene a trattenersi e paventare le varie cadute temendo gli dèi che lo favoriscono troppo. Vincendo ho imparato che i grandi regni vengono sepolti in un attimo. Troia ci rende troppo superbi e spietati? Noi Danai stiamo in piedi nel luogo dal quale quella è caduta. 

Troviamo un locus analogo nel primo coro dell'Agamennone di Seneca quando le donne di Micene notano che la Fortuna/ fallax (vv. 57-58) inganna con grandi beni collocandoli troppo alti in praecipiti dubioque (v. 58), in luogo scosceso e insicuro.  Infatti le cime sono maggiormente esposte alle intemperie, ai colpi della Fortuna, e predisposte alle cadute rispetto alle posizioni medie:"quidquid in altum Fortuna tulit,/ruitura levat./Modicis rebus longius aevum est;/felix mediae quisquis turbae/sorte quietus…" (Agamennone, vv. 101-104), tutto ciò che la Fortuna ha portato in alto, per atterrarlo lo solleva. E' più lunga la vita per le creature modeste: fortunato chiunque sia della folla mediana contento della sua sorte.

Cfr. la teoria della classe media nell’Oreste di Euripide.

giovanni ghiselli

 

La logica della casta e il decorum (prevpon) della maestà. Cleopatra e Nerone

 

Ottaviano dunque mandò Proculeio da Cleopatra, ma ella non volle mettersi nelle sue mani e aprirgli l’ingresso . Sicché si parlarono attraverso le porte che lasciavano passare la voce. Così poterono dialogare: lei chiedendo il regno per i figli, l’altro esortandola a farsi coraggio e ad affidarsi del tutto a Cesare -hJ me;n aijtoumevnh toi`" paisi; th;n basileivan, oj de; qarrei`n kai; pavnta pisteuvein Kaivsari keleuvwn.-(Plutarco, vita, 78, 6).

Cleopatra cerca la continuità del potere e Ottaviano non poteva esaudirla per  la logica delle caste che Orwell chiarisce in questo modo: “a ruling group is a ruling group so long as it can nominate its successors”, una classe dirigente rimane tale tanto a lungo quanto può nominare u suoi successori (1984, parte seconda, 9, capitolo I). L’ultimo successore della dinastia Giulio Claudia sarà Nerone morto suicida nel 68 d. C.

Cleopatra è l’ultima della stirpe dei Tolomei che regnò sull’Egitto dalla morte di Alessandro Magno (323 a. C.) a questa della regina d’Egitto (30 a. C.)

Ora sentiamo. Shakespeare

Proculeio continua a parlare da fuori e domanda a Cleopatra quali favori voglia da Ottaviano. Cleopatra risponde regalmente: “you must tell him-that majestiy, to keep decorum, must –no less beg that kingdom- (V, 2, 16-18) devi dirgli che la maestà per mantenere quanto le si addice, non può mendicare meno di un regno.

Ho tradotto decorum, un prestito da latino non modificato, tenendo conto del decet in esso  contenuto.  Il suicidio di Cleopatra ormai prossimo mi fa di nuovo pensare a quello di Nerone quando seppe che il senato l’aveva dichiarato nemico pubblico e lo cercava ut puniatur more maiorum[54] (Svetonio, Neronis Vita,  49).

Allora l’imperatore, atterrito, afferrò due pugnali, ma poi li ripose, e disse che non era ancora giunta l’ora fatale. Quindi chiese a Sporo- un castrato che aveva sposato, di aiutarlo e disse: “Vivo deformiter, turpiter , ouj prevpei Nevrwni, ouj prevpei-nhvfein dei' ejn toi'~ toiouvtoi~, a[ge e[geire seautovn, vivo in maniera turpe e sconcia. Non si addice, non si addice a Nerone. Bisogna essere svegli in circostanze del genere, su svegliati!

Automitopoiesi.

Poi citò un verso dell’Iliade (V, 535)

{Ippwn m j wjkupovdwn ajmfi; ktuvpo~ ou[ata bavllei, di cavalli dai piedi veloci, mi percuote le orecchie il rumore (parla Nestore).

Infine si cacciò il ferro in gola iuvante Epafrodito a libellis (49) addetto alle suppliche.

 Si pensi al film Ludwig di Visconti

Proculeio chiede di poter riferire a Ottaviano che Cleopatra è disposta a una dolce sottomissione-sweet dependency-(V. 2, 26)

Cleopatra accetta e si qualifica his fortune’s vassal 829) vassalla della sua fortuna, una che ha imparato a doctrine of obedience (31) una lezione di obbedienza. Ma sta prendendo tempo.

Proculeio crede di assicurarla dicendo I know your plight is pitied- of him that caused it (34-35) so che il tuo stato ha la compassione di colui che l’ha causato. Ma alla regina abituata a sedurre e a comandare non può andare bene la compassione e una pietas sul tipo di quella spietata di Enea per Didone.

Quindi Proculeio sale nel mausoleo attraverso una scala appoggiata a una finestra e Carmiana esclama: O Cleopatra! Thou art taken, queen!,Oh  Cleopatra, siete presa regina!

Plutarco racconta che Proculeio klivmako" prosteqeivsh" (Vita di Antonio, 79, 2) appoggiata una scala, entrò attraverso la finestra –dia; th`" qurivdo" eijsh`lqen-, la stessa per la quale le donne avevano tirato su Antonio. Intanto Cleopatra stava trattando, attraverso un’altra finestra, con Cornelio Gallo mandato da Ottaviano e anche lui arrivato alle porte del Mausoleo. Verrà nominato da Augusto praefectus Aegypti poi, caduto in disgrazia, nel 26 si suiciderà. Fu anche poeta elegiaco e tra i protettori di Virgilio che lo ricorda nella X ecloga[55]. Cornelio Gallo è stato il primo poeta elegiaco latino: il  mediatore fra il  neoterismo e l’elegia augustea

 

Cleopatra si volse e vide Proculeio, quindi una delle due donne rinchiuse insieme con la loro regina gridò: “tavlaina Kleopavtra, zwgrei` (79, 3), povera Cleopatra, è presa viva!

 

Cleopatra e Proculeio.

Perché cito Plutarco e Shalespeare nelle loro lingue

 

Proculeio nel dramma di Shakespeare ferma Cleopatra che aveva già sguainato un pugnato una spada per uccidersi e le dice: “fermatevi degna signora, fermatevi, do not yourself such wrong , who are in this relieved latino relĕvo- but not betray’d –to deliver up, from L. trado-.” (V, 2, 40-41), non fate un tal torto a  voi stessa che in questa circostanza siete risollevata non tradita.

Ma Cleopatra si sente tradita anche dalla morte

Proculeio sbandiera la generosità (bounty, latino bonitas) del suo padrone che sarebbe oscurata dal suicidio della regina

Cleopatra invoca la morte poi risponde a Proculeio. Gli dice: “I will eat latino edo, greco e[dw-no meat, non mangerò , I’ll not drink, sir, non berrò, signore, I’ll not sleep neither, nemmeno domirò. Non apparirò con le ali tarpate pinion’d –latino pinna , penna e ala- e non verrò insultata  una sola volta-nor once be chastised-latino castigo- dal casto sguardo dell’ottusa Ottavia.

Non vuole subire l’urlante plebaglia della Roma che biasima of censuring latino censura- censēre- Rome.

Rather a ditch in Egypt-be gentle grave unto me!, piuttosto una fossa in Egitto sia la mia gentile tomba.

Cleopatra sa che “la tomba ai mortali di tutto è confine”[1]  come canterà la traviata  Violetta Valery e sa pure  che noi poveri mortali lottiamo soltanto per la nostra sepoltura  tantum de funere pugnamus [2] .

Altre sepolture del suo corpo, comunque in Egitto, immagina Cleopatra: ponetemi piuttosto del tutto nuda sulla melma del Nilo e lasciate che le zanzare mi gonfino fino a rendermi orrenda blow me into abhorring- altino ab-horrēre (V, 2, 58-60)

Lultima, estrema possibilità è che le alte piramidi le facciano da forca-gibbet (61) e che lei penda incatenata di lassù.

Ricorderete: Io fei giubbetto a me delle mie case Dante, Inferno, XIII, 151), mi impiccai nella mia casa detto da un  fiorentino anonimo

Quindi Proculeio dice a Cleopatra: voi estendete questi pensieri dorrore oltre quello che potrete provocare in Cesare (V, 2, 61-63)

Ora sentiamo il racconto di Plutarco dove Proculeio trattiene Cleopatra con entrambe le mani-tai`" cersi;n ajmfotevrai" e le dice: fai torto, o Cleopatra a te stessa e a Cesare-ajdikei`" w\ Kleopavtra kai; seauth;n kai; Kaivsara Vita di Antonio, 79, 4) togliendogli una grande dimostrazione della bontà sua-megavlhn ajfairoumevnh crhstovthto" ejpivdeixin aujtou`, mentre calunni il più mite dei comandanti come se sfosse infido e implacabile.

Ottaviano  darà nei fatti una grande dimostrazione della sua bontà facendo uccidere i figli di Cleopatra, compreso Cesarione avuto da Cesare.

Del resto il primo a non fidarsi di Cleopatra era lo stesso Proculeio: le portò via larma e le scosse la veste mh; kruvptoi favrmakon,  temendo che  nascondesse qualche veleno (Vita, 79, 6).

 

Una brevissima spiegazione sul perché cito spesso alcune parole nella lingua degli autori.

Intanto perché mi piace farlo.

 

Poi perché spero di insegnare qualche rudimento di greco, latino e inglese.

Le lingue infatti dovrebbero essere insegnate attraverso i grandi autori citando, possibilmente a memoria ossia non leggendole, le loro frasi belle e chiare le quali sono memorabili, si ricordano in quanto colpiscono la sfera emotiva. Voglio inoltre nostrare la grande quantità di parole neolatine nella pur germanica lingua inglese 3.

 

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[1] F. M. Piave, La traviata, (III, 4)

[2] Cfr. Lucano, Pharsalia, VI, 811.

[3] Il compianto Tullio De Mauro fece notare  che l’inglese è una “lingua d’origine germanica profondamente latinizzata”: al 75% del suo vocabolario è latina e neolatina. In Italia il prevalere del fiorentino antico sugli altri dialetti è stato in gran parte determinato dalla sua prossimità al latino.

Storia linguistica dell’Italia repubblicana dal 1846 ai nostri giorni . Laterza, 1914, p. 39.

 

Corso di giugno XXV. Cleopatra ricorda e rimpiange l’amante inimitabile

 Cleopatra seppe da Dolabella, il quale aveva una certa simpatia per lei, che  che Ottaviano aveva deciso di inviarla a Roma con i figli dopo tre giorni-ejkeivnhn meta; tw`n tevknwn ajpostevllein eij"  JRwmhn trivthn hjmevran e[gnwken (Plutarco, Vita di Antonio, 84, 2)

La regina esautorata chiede il permesso di portare libagioni sulla tomba di Antonio. Recatasi là dice parole di amore al compagno che l’ha preceduta nella morte. Lo prega di non lasciare viva la sua compagna e di non permettere che attraverso la propria persona trionfino su di lui ajll j ejntau`qa me kruvyon meta; seautou` kai; sunvqayon ma nascondimi e seppelliscimi qui con te, perché tra i miei innumerevoli mali nessuno è così grande e terribile come questo breve spazio di tempo che ho vissuto senza di te-oujde;n ou{tw mevga kai; deinovn ejstin, wJ" oj bracu;" ou|to" crovno" a]n sou` cwri;" e[zhka” (84, 7).

 

Quindi Cleopatra, incoronata  di fiori e abbracciata la tomba, ordinò che le si preparasse il bagno-ejkevleusen auJth`/ loutro;n genevsqai (85, 1). Intanto si lava, come abbiamo visto fare ad Alcesti. Così siamo passati  a Shakespeare. Torniamo un poco indietro

Entra Dolabella e congeda  Proculeio dicendogli che Cleopatra rimane sotto la propria custodia. Mentre Proculeio esce, Cleopatra gi chiede di riferire a Ottaviano che lei vorrebbe morire: “Say, I would die (V, 2, 70)

Quindi racconta a Dolabella di avere sognato Antonio e ne fa un elogio più totale e molto più sentito di un’apoteosi: His face was as the heaven; and therein stuck –a sun and moon, which kept their course  and lighted –the little O of the earth (79-81), la sua faccia era come il cielo e lì c’erano infissi un sole e una luna che tenevano il loro corso e illuminavano il piccolo O della terra.

 Un’ espressione di questo genere si trova nel prologo dell’ Enrico V dove this wooden O indica il palcoscenico del teatro o l’intero teatro ligneo The Globe dove si rappresentavano i drammi di Shakespeare.

Cleopatra nel rimpiangere Antonio ne ricorda la grandezza, la generosità la forza e la gioia di vivere: le sue gambe cavalcavano l’Oceano, il suo braccio alzato era il cimiero del mondo, la sua voce era armoniosa come tutte le intonate sfere per gli amici, ma se voleva dominare e scuotere il mondo, era simile al tuono che rimbomba. Quanto alla sua generosità-bounty- non c’era inverno in essa: un autunno era che si accresceva con i raccolti,  le sue gioie erano come delfini; esse mostravano la schiena al di sopra dell’elemento in cui vivevano (V, 2, 82-90).

Dolabella dice di condividere il dolore di Cleopatra la quale gli domanda se sappia che cosa Ottaviano intenda fare di lei.

Dolabella con riluttanza ammette quello che Cleopatra sospetta: il vincitore la condurrà nel proprio trionfo (V, 2, 110)

 

 

La femminilità di razza di Cleopatra

Cleopatra è imbruttita ma non ha perduto il suo fascino

L’ipocrisia e la perfidia del pincipe

Questo post si trova intero nel mio blog

Plutarco racconta che Antillo, figlio di Antonio e di Fulvia fu tradito dal suo precettore, quindi venne ucciso (81, 1).  Cesarione di cui si diceva fosse figlio di Giulio Cesare venne ammazzato dopo la morte di Cleopatra. Altri figli della regina vennero utilizzati da Ottaviano perché Cleopatra non si uccidesse.

 La regina si era ferita battendosi il petto durante i funerali di Antonio, poi  la piaga si era infettata. Le venne la febbre. Smise di mangiare per farla finita. Ma Ottaviano la fece desistere con il ricatto dei figli (Vita di Antonio 82).

Quindi l’erede unico di Cesare andò a trovarla per confortala. La trovò stesa in un giaciglio modesto- ejn stibavdi tapeinw`" (83, 1). Entrambi devono recitare per raggiungere ciascuno il suo scopo. Cleopatra si alzò vestita con una sola tunica  e con la testa e il viso terribilmente devastati-deinw`" me;n ejxhgriwmevnh kefalh;n kai; provswpon. Si vedeva che il corpo soffriva quanto l’anima, hj mevntoi cavri" ejkeivnh kai; to; th`" w{ra" ijtamo;n ouj katevsbeto pantavpasin (83, 3)  tuttavia quel suo famoso fascino e il vigore della sua grazia non erano del tutto spenti, ma pure in quello stato tralucevano in qualche modo da dentro –ajlla; kaivper diakeimevnh" endoqe;n poqen ejxevlampe” e apparivano insieme nei movimenti espressivi del volto-kai; sunepefaivneto toi`" kinhvmasi tou` proswvpou (83, 4). Evidentemente la vera bellezza, quella che resiste al tempo, all’indebolimento somatico, alle malattie, perfino allo sfregio, ha una sorgente nell’anima.

Una ripetizione dovuta al fascino di Cleopatra

Riferisco di nuovo alcune parole attribuite da Shakespeare a Enobarbo sul fascino di Cleopatra la cui bellezza pure non era incomparabile 

Con la sua femminilità di razza Cleopatra sapeva rendere affascinante tutto quanto faceva:

“una volta la vidi saltare quaranta passi nella pubblica via,

 and having lost her breath, she spoke, and panted,

that she did make defect perfection,

 and, breathless, power breathe forth ( Antonio e Cleopatra, II, 2, 233 - 237) e rimasta senza fiato parlava ansimando in modo da trasformare un difetto in cosa perfetta, e senza fiato, esalava potere seduttivo.

 

Su questo Plutarco aveva  scrtto che la la sua bellezza in sé -auJto; to;

kavllo"- non era proprio incomparabile-ouj pavnu dusparavblhton.-dus-parabavllw- getto di fianco, paragono- né tale da stordire quelli che la vedevano-oujd j oi|on ejkplh'xai tou;" ijdovnta"- ma la sua compagnia aveva una presa dalla quale non si poteva fuggire-ajfh;n  (a[ptw)  d j ei\cen hJ sundiaivthsi" a[fukton (Plutarco, Vita di Antonio, 27).

 

Toniamo al capitolo 83 della Vita di Antonio con le ultime mosse di Cleopatra. Ella prima accennò a giustificarsi, attribuendo le proprie azioni alla necessità e alla paura di Antonio-eij" ajnavgkhn kai; fovbon  jAntwnivou ta; pepragmevna trepouvsh"-(83, 4), ma Ottaviano ribatteva punto per punto, quindi lei cambiò metodo e tosto si rivolse alle preghiere e alla supplica tacu; pro;" oi\kton meqhrmovsato kai; devhsin.

 Cleopatra recita prima la parte dell’amante pentita poi quella della donna desolata. Il suo repertorio di donna e di attrice è vasto. Ora vuole dare anche l’impressione di essere molto attaccata alla vita. Pobabilmente perché questa parte le riesca bene deve pensare ai propri figli.

Quindi prese la lista delle sue ricchezze che consegnò al vincitore.

A questo punto però Seleuco, uno dei suoi amministratori, la accusò di nasconderne una parte. Cleopatra balzò su dal letto kai; tw`n tricwn` aujtou` labomevnh, e afferratolo par i capelli, gli diede molti ceffoni al servo fellone.(83, 5).

Ottaviano sorrideva, manifestando evidentemente superiorità e noncuranza sovrana. Anche lui aveva coscienza che la nostra vita è una recita.

 Poco prima di morire si avvide del buco nel cielo di carta del teatrino e 

domandò agli amici "ecquid iis videretur mimum vitae commode transegisse" (99), se a loro sembrasse che avesse recitato bene la farsa della vita, quindi chiese loro, in greco, degli applausi con la solita clausula delle commedie:" eij de; ti - e[coi kalw'" to; paivgnion, krovton dovte", se è andato un po’ bene questo scherzo, applaudite (Svetonio Augusti Vita, 99)

Cleopatra quindi parla a Ottaviano chiedendogli se non trovi terribile deinovn che mentre lui, il padrone del mondo va a trovarla pur così malmessa, i suoi servi la accusano-oij de; dou`loiv mou kathgorou`sin.

 Ho messo da parte qualche ornamento femminile, nemmeno per me ma per fare un piccolo dono a Ottavia e (Vita di Antonio, 83, 6).

 

La servitù qui attribuita al cortigiano è un’attitudine e una categoria dello spirito. Può appartenere agli schiavi come pure ai prìncipi.

 

Nel mondo carnevalesco e rovesciato degli schiavi plautini[56] al posto del valore forte della fides troviamo quello della perfidia , la “santa” protettrice dei servi:" Perfidiae laudes gratiasque habemus merito magnas" (Asinaria, v. 545), abbiamo ragione di elogiare e ringraziare assai la mala Fede, dice lo schiavo Libano allo schiavo Leonida.

Cleopatra aggiunge che spera in una intercessione di Ottavia e Livia per trovare Ottaviano, fratello e marito, più benevolo e più clemente

Ottaviano si rallegrò credendo assolutamente che Cleopatra desiderasse vivere-pantavpasin aujth;n filoyucei`n oijovmeno" (83, 7). Quindi promise di trattarla bene e se ne andò credendo di averla ingannata mentre era lui piuttosto a essere stato ingannato-ejxhpathkevnai me;n oijovmeno", ejxhpathmevno" de; ma`llon.

L’inganno e la perfidia trasudano anche dai luoghi del potere.   

Breve excursus: l’ipocrisia e la perfidia del principe

Riccardo III, è “ il principe che ha letto Il Principe. La politica è per lui pura pratica, un’arte il cui fine è governare. Un’arte amorale come quella di costruire i ponti o come una lezione di scherma. Le passioni umane sono argilla, e anche gli uomini sono un’argilla di cui si può fare quel che si vuole.”[57]

Riccardo viene aizzato dai suoi alleati a vendicarsi dei suoi nemici: “ But then I sigh, and, with a piece of Scripture,-Tell them that God bids us do good for evil:-  And thus I clothe my naked villainy-With odd old ends stol’n forth of Holy Writ-And seem a saint, when most I play the devil” (I, 3),  ma allora io sospiro, e, con un brano della Scrittura, dico loro che Dio ci ordina di rendere bene per male: e così rivesto la mia nuda scelleratezza con occasionali vecchi scampoli della Sacra Scrittura, e sembro un santo quando più faccio il diavolo. 

Riferisco un motto di Lisandro il comandante della flotta spartana che concluse la guerra del Peloponneso sconfiggendo gli Ateniesi: egli se la rideva di quanti stimavano che i discendenti di Eracle dovessero sdegnare di vincere con il tradimento e raccomandava sempre:" o{pou ga;r hJ leonth' mh; ejfiknei'tai prosraptevon ejkei' th;n ajlwpekhvn" dove di fatto non giunge la pelle del leone, bisogna cucirle sopra quella della volpe" (Plutarco, Vita di Lisandro, 7, 6).

La perfidia plus quam punica[58] di Annibale e quella italica di Machiavelli hanno avuto dei maestri greci. 

Nel XVIII capitolo di Il Principe, Machiavelli ricorda  "come Achille e molti altri di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li costudissi". E ne deduce:"Il che non vuol dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia et uno mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l'una e l'altra natura; e l'una sanza l'altra non è durabile. Sendo dunque uno principe necessitato sapere usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe et il lione; perché il lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi. Bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può, per tanto, uno signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere".

 

  La constatazione del sangue umano che scorre nella corte viene denunciata da Donalbain, un figlio del re vecchio assassinato dal  nuovo re, da Macbeth :"qui dove siamo ci sono pugnali nei sorrisi degli uomini: il vicino per sangue è il più vicino all'essere sanguinario ( the near in blood, the nearer bloody, Macbeth 2, 3).

Torniamo al dramma Antonio e Cleopatra di Shakespeare

Cleopatra chiama Seleuco e lo presenta come my treasurer  (V, 2, 141) , il mio tesoriere. Poi gli chiede di dire a Ottaviano che la regina non ha serbato nulla per sé: speak the truth, Seleucus (V, 2, 144) di’ la verità, Seleuco. Il tesoriere  non obbedisce e nega che la regina dica il vero.

Ottaviano giustifica Cleopatra la quale lamenta il fatto che gli uomini seguono la fortuna del voncitore. “mine will now be yours, i  miei ora saranno vostri (151) 

Nell’Oreste di Euripide il messo che riferisce a Elettra come si è svolta l’assemblea degli Argivi, fa una considerazione del genere a proposito degli araldi.

“E dopo questo si alza:

Taltibio che con tuo padre razziava i Frigi.

E parlò, lui sempre sottoposto ai potenti,

in modo ambiguo, da una parte ammirando il padre tuo

però senza approvare tuo fratello, intrecciando

 discorsi belli e malvagi: che aveva stabilito usanze

non belle verso i genitori; e occhiate sempre

sorridenti lanciava agli amici di Egisto.

Infatti tale genìa è siffatta: su chi ha successo

saltano sempre gli araldi. Questo è loro amico:

chi ha potere sulla città e si trova tra le autorità (vv. 887-897)

 

Cleopatra aggiunge che l’ingratitudine di quel Seleuco la rende furiosa

Quindi lo riempie di insulti: slave, soulless villain, dog! -O rarely base! (V, 2, 157-158), schiavo, infame senza anima, cane! Mostro di bassezza!

Poi si giustifica con Ottaviano dicendo “  ho tenuto per sé soltanto alcuni gingilli donneschi, mentre ho messo da parte  qualche dono più nobile riservato a Livia e Ottavia per indurle a pensarmi  some nobler token I have kept apart –for Livia and Octavia, to induce –their meditation (168-170) Quindi  ingiunge a Seleuco di andarsene non senza  rinfacciargli la sua disumanità: wert thou a man-thou wouldst have mercy of me-(174-175), se tu fossi un uomo avresti pietà di me. Avere compassione dei caduti è la quintessenza dell’umanità.

 Infine Ottaviano lo congeda stampato fin qui 26 aprile 2021

 

 

Ultimo scambio di battute tra Cleopatra e Ottaviano nell’Antonio e Cleopatra

L’ereditarietà della colpa. Il disprezzo del lavoro mercantile

 

Cleopatra dice: si deve sapere che noi, le persone più grandi della storia umana, siamo mal giudicati per cose fatte male da altri-be it known thate we, the greatest, are miss-thought/ for things that other do,  e quando cadiamo rispondiamo con il nostro nome di quanto hanno meritato altri, and when we fall,-we answer other merits L. meritum-merere in our name,  e  quindi siamo degni di compassione, and therefore to be pitied” (V, 2, 276-279)

Ancora una negazione della felicità di chi raggiunge o eredita il potere nel cui ambito vige, secondo Cleopatra, la legge della ereditarietà della colpa chiarita per la propria stirpe da Eteocle nei Sette a Tebe di Eschilo.

Un problema grande nell’uomo greco è quello della ereditarietà delle colpe dei padri. Sentiamone alcune espressioni: Eteocle nei Sette a Tebe non è personalmente colpevole ma deve pagare per :"la trasgressione antica/dalla rapida pena/che rimane fino alla terza generazione:/quando Laio faceva violenza/ad Apollo che diceva tre volte,/negli oracoli Pitici dell'ombelico/del mondo, di salvare la città/morendo senza prole;/ma quello vinto dalla sua dissennatezza/generò il destino per sé,/Edipo parricida,/quello che osò seminare/il sacro solco della madre, dal quale nacque/radice insanguinata,/e fu la pazzia a unire/gli sposi dementi"(vv.742-757).

Il Coro dell ’Antigone  di Sofocle  nel commo del IV episodio deplora la catastrofe della ragazza con queste parole: "Avanzando verso l'estremità dell'audacia,/hai urtato , contro l'eccelso trono della Giustizia,/creatura, con grave caduta,/ del resto sconti una colpa del padre" (vv. 853-856).

Ora leggiamone un’interpretazione, a sua volta parecchio problematica, di Pasolini:“Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è la predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri. Non importa se i figli sono buoni, innocenti, pii: se i loro padri hanno peccato, essi devono essere puniti. E’ il coro-un coro democratico- che si dichiara depositario di tale verità: e la enuncia senza introdurla e senza illustrarla, tanto gli pare naturale”

Pasolini trova una ragione nella legge  della tragica predestinazione a ereditare le colpe: i giovani del 1975 sono figli di padri colpevoli, padri “che si son resi responsabili, prima, del fascismo, poi di un regime clerico-fascista, fintamente democratico, e, infine, hanno accettato la nuova forma del potere, il potere dei consumi, ultima delle rovine, rovina delle rovine”. I figli dunque sono puniti. “Ma sono figli “puniti” per le nostre colpe, cioè per le colpe dei padri. E’ giusto? Era questa, in realtà, per un lettore moderno, la domanda senza risposta, del motivo dominante del teatro greco. Ebbene sì, è giusto. Il lettore moderno ha vissuto infatti un’esperienza che gli rende finalmente, e tragicamente, comprensibile l’affermazione-che pareva così ciecamente irrazionale e crudele-del coro democratico dell’antica Atene: che i figli cioè devono pagare le colpe dei padri. Infatti i figli che non si liberano delle colpe dei padri sono infelici: e non c’è segno più decisivo e imperdonabile di colpevolezza che l’infelicità”.

E le colpe dei padri? Esse sono la complicità col vecchio fascismo e l’accettazione del nuovo fascismo. Perché tali colpe?

“Perché c’è-ed eccoci al punto-un’idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: l’idea cioè che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della classe dominante. In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo: credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese [59].

 

Ottaviano risponde a Cleopatra che non intende sottrarle nulla di quanto ella ha dichiarato e si è meritata e prende le proprie distanze dalla figura del mercante che l’antica aristocrazia disprezzava e magari anche la moderna lo fa, soprattutto se è di origine mercantile.

Caesar ’s no merchant, to make prize with you-of things that merchants sold” (V, 2, 183-184), Cesare non è un mercante da contrattare  con  voi un prezzo delle cose vendute dai mercanti.

 

Il disprezzo del mercante risale all’Odissea.  

 Odisseo si offende poiché il Feace Eurialo gli ha detto che non sembra un atleta bensì un ajrco;" nautavwn oi{ te prhkth're" e[asi (Odissea, VIII, 162) capo di marinai che sono mercanti ed è ejpivskopo" kerdevwn aJrpalevwn, ispettore di guadagni rapaci (163-164).

Cfr. la lex Claudia de senatoribus ( del 218 a. C.) proposta dal tribuno della plebe Quinto Claudio e approvata. Prescriveva che nessun senatore potesse avere una nave con una capacità superiore alle 300 anfore.

 Id satis habitum ad fructus ex  agris vectandos, quaestus omnis patribus indecōrus visus” tale carico si ritenne impiegato per il trasporto dei prodotti agricoli, ogni profitto ritenuto indecoroso per i senatori (Livio, XXI, 63)

La legge aveva avuto l’appoggio del senatore Caio Flaminio il quale allora ebbe la malevolenza del patriziato e il favore della plebe che lo elesse console per la seconda volta. Venne eletto senza che si fossero presi gli auspìci. Morirà nel 217 sconfitto da Annibale al Trasimeno

 

Dante nell’elogio di San Francesco scrive:

“Né li gravò viltà di cor le ciglia

Per esser fi’ di Pietro Bernardone,

né per parer dispetto a maraviglia” (Paradiso, XI, 88-90)

Il padre di Francesco di Assisi era un mercante appunto.

Parini nell'ode Alla Musa  considera estraneo alla poesia  "il mercadante che con ciglio asciutto/fugge i figli e la moglie ovunque il chiama/dura avarizia nel remoto flutto"  (vv. 1-3).

Leopardi nel canto Il pensiero dominante  condanna la sua età "superba,/ che di vote speranze si nutrica,/vaga di ciance, e di virtù nemica;/stolta, che l'util chiede,/e inutile la vita/quindi più sempre divenir non vede"(vv. 59-64).

Ancora più duramente si esprime nei confronti del lucro  il poeta di Recanati nella Palinodia al Marchese Gino Capponi :" anzi coverte/fien di stragi l'Europa e l'altra riva/dell'atlantico mar...sempre che spinga/contrarie in campo le fraterne schiere/di pepe o di cannella o d'altro aroma/fatale cagione, o di melate canne,/o cagion qual si sia ch'ad auro torni"(vv. 61-67).

 

 

La dignità nella morte di Cleopatra e di Polissena

Il cesto di fichi per Cleopatra e quello di fragole nel Riccardo III

Uscito Ottaviano, Cleopatra commenta le promesse di lui con Iras e Carmiana: egli mi raggira, ragazze, mi raggira con parole perché non agisca nobilmente verso me stessa “he words latino verbum- me that I should not be noble to myself (V, 2, 191-192).

Il carattere nobile rimane tale anche nel momento supremo della morte.

Cfr. la morte di Polissena nell’Ecuba di Euripide

La principessa troiana dice a Odisseo che non deve temere di venire importunato da suppliche. Ti seguirò per via della necessità, poi sono io che voglio morire qanei'n te crhv/zomai (347).

Se non lo volessi, continua Polissena, kakh; fanou'mai kai; filovyuco" gunhv (348) apparirò quale donna vile e attaccata alla vita. Vengo da una condizione principesca, una ragazza h|/  path;r h\n a[nax-Frugw'n ajpavntwn (349-350) il cui padre era il signoe di tutti i Frigi e dovevo sposare un re. Avevo molti pretendenti. Ero i[sh qeoi'si plh;n to; katqanei'n movnon (356), simile alle dèe a parte che sarei dovuta morire, nu'n  d j eijmi; douvlh, ora sono una schiava. Basta questo nome, cui non sono avvezza, a farmi amare il morire. Ora posso essere comprata per denaro da padroni crudeli, io, la sorella di Ettore e di molti altri eroi, addetta alla necessità di fare il pane,- prosqei;"  d j ajnavgkhn sitopoiovn ejn dovmoi", 362, di spazzare la casa- saivrein te dw'ma- e stare al telaio  363.

Uno schiavo comprato da qualche parte dou'lo" wjnhtov"  povqen  insozzerà il mio letto- levch de; tajma; cranei' , che una volta era considerato degno di principi. No di certo-Ouj dh't j (367)

Mando fuori dagli occhi una luce libera attribuendo il mio corpo all’Ade (367).

Polissena quindi chiede alla madre di non impedirle quanto ha deciso: mhde;n ejmpodwvn gevnh/ (372), anzi di condividere la sua volontà: morire è meglio che subire turpitudini immeritate (374). Chi non è abituato ad assaggiare i mali li porta sul collo con sofferenza e si sente più fortunato morendo.

 

Torniamo a Shakespeare.

Carmiana dice che il giorno luminoso è finito: we are for the dark (V, 2, 194) siamo pronte per il buio.

Poi rientra Dolabella e conferma che Ottaviano intende inviare la regina a Roma (V, 2, 200-202)

Lo abbiamo già visto nella Vita di Plutarco (84, 2)

Cleopatra rivolta a Iras le dice che cosa si aspetta da quella deportazione: “thou, an Egyptian puppet-dimin. of L. pupa-, shalt be shown-in Rome, as well as I (207-208) tu, quale una marionetta egiziana sarai messa in mostra come me, e saremo alzate alla vista di tutti da volgari schiavi  and forced to drink their vapour- e costrette ad aspirare le loro emanazioni .

Piuttosto che vedersi vilipesa da littori e istrioni i quali rappresenteranno Antonio come ubriaco e che dover assistere a qualche giovanotto mentre,  travestito da becera Cleopatra squeaking Cleopatra , avvilisce la sua grandezza raffigurandola in the posture of a whore (V, 2, 214-219), nell’atteggiamento di una puttana, la donna regale, la donna non comune decide di uccidersi.

Prima di morire però chiede a Charmian e alle altre anncelle  di adornarla dalla regina che  siccome vuole tornare sul Cidno a incontrare Marco Antonio : “I am again for Cydnus-to meet Mark Antony” (V, 2,  227-228)

Comunque ha deciso: “My resolution is placed, and I haved nothing of woman in me: now from head to foot I am a marble-constant; now the fleeting moon non planet of mine” (V, 2, 238-241), la mia risoluzione è presa e io non ho nulla di femminile in me, adesso sono salda come il marmo dalla testa ai piedi,  adesso la luna incostante non è il mio pianeta.

Cfr. Lady Macbeth che vuole defemminilizzarsi quando invoca gli spiriti che apportano pensieri di morte:"unsex me here", snaturatemi il sesso ora, e riempitemi dalla testa ai piedi della crudeltà più orrenda (of direst cruelty). Il sangue di cui gronda la tragedia, nel suo corpo deve  addensarsi e chiudere ogni via di accesso al rimorso ( Macbeth, I, 5).

Cfr. pure la Medea di Seneca la quale pensa di incenerire l'istmo di Corinto e di assumere la ferocia massima negando la propria femminilità:" pelle femineos metus/et inhospitalem Caucasum mente indue./ " (vv. 42-44, scaccia le paure femminili e indossa mentalmente il Caucaso inospitale, dice a se stessa.

 

Lady Macbeth e Medea vogliono uccidere altre persone, Cleopatra  solo la schiava che diventerebbe dopo la vittoria di Ottaviano,  e lo fa con regalità: the stroke of death is as a lover's pinch (V, 2, 294), il tocco della morte è come il pizzicotto di un amante.

 

Plutarco racconta che Cleopatra dopo avere incoronato di fiori e abbracciato la tomba di Antonio  ejkevleusen auJth`/ loutro;n genevsqai (Vita di Antonio, 85, 1) ordinò che le si preparasse un bagno. Dopo essersi lavata e accomodata a tavola, fece un pranzo splendido.

Vuole riassestarsi per  incontrare Antonio.

 

Intanto era arrivato un uomo dalla campagna con un cesto- kai; ti" h|ken ajp j ajgrou` kivsthn tina; komivzwn (85, 2).

 

Le guardie gli domandarono che cosa contenesse ed egli scoperchiatolo e tolte le foglie, mostrò il recipiente pieno di fichi- suvkwn ejpivplewn to;

ajggei`on edeixe (85, 3).

 

Nel dramma di Shakespeare una guardia  annuncia il contadino: “Here is a rural- L. rur-stem of rus- fellow-that will not be denied your higness’ presence-he brings you figs.-latino ficus- (V, 2, 233-234), qui c’è un campagnolo che non vuole gli si neghi la presenza di vostra altezza, egli vi porta dei fichi.


Il cestino con la frutta che sembra un dono, prefigura la morte.

Nel Riccardo III anticipa di poco una condanna capitale.

   Nella Torre siede l’intero consiglio della corona  che   aspetta Riccardo il Lord Potettore il quale ha già deciso di condannare a morte il ciambellano lord Hastings che ha cercato di non cedere al complotto ordito per esautorare il legittimo successore al trono,  figlio del defunto Edoardo IV e nipote di Riccardo.

Il quale aveva già risposto “Chop off his head”, tagliargli la testa , alla domanda di Buckingham  :”Now, my lord, what shall we do if we perceive Lord Hastings will not yeld to our complots?” allora, signore, che cosa dobbiamo fare se ci rendiamo conto che Lord Hastings non cede ai nostri complotti? (III, 1, 191-193)

Entra dunque Il duca di Gloucester e Lord Potettore del nipote erede al trono. Sono tutti trepidi temendo ciascuno per  sé ma il più allarmato è Hastings che si è opposto al colpo di Stato.

Riccardo non si scopre subito, anzi assume un tono svagato prima di decretare la condanna del ciambellano: “My Lord of Ely, when I was last in Holborn-I saw good strawberries in your garden there;-I do beseech, send for some of them” III, 4, 31-33)

Poche battute dopo, nonostante Hastings abbia cercato di fare ammenda, Riccardo grida infuiato: Off with his hear!” (III, 4, 76), gli si tagli la testa!

 

Jan Kott commenta: “Shakespeare non sapeva la geografia. Per lui la Boemia si trova in riva al mare. Anche Firenze per Shakespeare è un porto di  mare. Ignorava anche la storia. Cleopatra si fa slacciare il busto da un’ancella. Shakespeare non aveva mai visto il mare , né una battaglia, né le montagne” Ma conosceva le leggi e gli usi del potere . “Questo è un capitolo del Principe di Machiavelli fatto dramma: la grande scena del colpo di Stato. Ma questa scena è rappresentata da uomini vivi, ed è in questo che sta la superiorità di Shakespeare. Uomini che sanno di essere mortali e che mercanteggiando cercano  di strappare alla storia spietata un briciolo di rispetto per se stessi, le apparenze del coraggio, le apparenze della decenza. Non ci riusciranno: la storia prima ne farà degli stracci, poi taglierà loro la testa”[60].    

 

 

il corteggiamento di Cleopatra al serpente.

L'invidia degli dèi.  Amore e morte

 

Uscita la guardia, Cleopatra commenta: " what poor an instrument-may do a noble deed! he brings me liberty" (V, 2, 235-236), che misero strumento può compiere un'azione nobile! Egli mi porta la libertà.

 

Nobiltà e libertà sono associate alla morte quando questa ci sottrae alla perdita dell'identità che è insopportabile se una persona ne ha  una propria, non gregaria. Si pensi a Dante che è morto terminata la Commedia oppure a Fausto Coppi che, punto da una zanzara, si è lasciato morire appena ha smesso di correre in bicicletta.

 

Segue la negazione della femminilità già citata sopra  , e accostata a quelle di Medea e di lady Macbeth: “and I have nothing of woman in me” (Antonio e Cleopatra, V, 238-239). E’ più facile rinunciare alla propria femminilità, un’identità collettiva, che a quella della nobiltà, identità molto più rara

La guardia esce ed entra il contadino cui Cleopatra domanda: “Hast thou the pretty worm- latino vermis- of Nilus there-that kills and pains not? (243)  hai tu lì il grazioso serpente del Nilo che uccide senza fare male?

Cleopatra invero riprende la sua femminilità con il serpente quasi corteggiandolo come un amante. Poco più avanti dirà la battuta già citata: the stroke of death is as a lover's pinch (V, 2, 294), il tocco della morte è come il pizzicotto di un amante.

Poi arriva a mostrare un sentimento da nutrice per l'aspide dicendo a Carmiana: "Peace, peace! dost thou not see my baby at my breast-that sucks latino sugere, sucus- the nurse asleep?" (V, 2, 317-320), silenzio, silenzio!, non vedi che ho Il mio bambino al petto vhe succhia fino a fare addormentare la balia?

Invero Cleopatra è troppo femminile per poter negare la femminilità che fa parte della sua identità profonda non meno della propria regalità

Il contadino conferma che il morso del serpente uccide. Però deve avere notato che Cleopatra corteggia il serpente come il suo prossimo e ultimo amante perché, congedato da Cleopatra, la saluta dicendo: "I wish you all joy of the worm" (260), vi auguro ogni gioia con il serpente.

Chi ama la vita e ama l'amore non smette mai di corteggiare, non può farne a meno.

 

Nel suo ultimo romanzo Svevo scrive. "Ne ho cinquantasette degli anni e sono sicuro che (…) la mia ultima occhiata dal mio letto di morte sarà l'espressione del mio desiderio per la mia infermiera, se questa non sarà mia moglie e se mia moglie avrà permesso che sia bella!" (La coscienza di Zeno, Preambolo)

 

Plutarco scrive che quando il contadino  ebbe scoperto i fichi, le guardie ne ammirarono to; kavllo" kai; to; mevgeqo" (85, 3) la grandezza e la grossezza e furono invitati a prenderne, sicché cadde ogni diffidenza verso di lui. La bellezza, anche quella dei fichi, apre molte porte.

Dopo il pranzo, Cleopatra sigillò una tavoletta scritta da lei e la mandò a Ottaviano. Gli chiedeva di farla seppellire con Antonio su;n  jAntwnivw/

qavyai- (85, 5).

La tendenza a corteggiare sempre non esclude la fedeltà alla persona del tutto congeniale.

 Torniamo a Shakespeare.

Rientra Iras con un manto e una corona . Cleopatra se ne fa adornare perchè sente Antonio che la chiama: "I hear him mock-the luck of Caesar (284-285), lo sento schernire la fortuna di Cesare, la fortuna "which the gods give men-to excuse their after wrath" (285-286)  che gli dèi concedono agli uomini per giustificare la loro ira futura. Sento un'eco proveniente da Erodoto che avverte sull'invidia degli dèi nei confronti degli uomini dai successi eccessivi.

Quello (Solone)  allora disse:"O Creso, tu fai domande sulle vicende umane a me che so che il divino è tutto invidioso e perturbatore. to; qei`on pa`n ejo;n fqonero;n kai; taracw`de"- (Erodoto, Storie, I, 32, 1).

Volendo nobilitare "l'invidia degli dèi" avvalendoci di parti dell'opera, vediamo che essa  scatta nei confronti degli uomini di potere che, superando la giusta misura umana, si inorgogliscono e peccano di u{bri", o fanno errori politici, o sbagli militari: come Creso appunto, come Policrate tiranno di Samo, come Serse cui lo zio Artabano dice che il fulmine si abbatte sugli edifici e gli alberi più alti, poiché il dio  tende a troncare tutto ciò che è pominente "filevei ga;r oJ qeo;" ta; uJperevconta pavnta kolouvein", VII, 10).

 

Quindi Cleopatra saluta e bacia le ancelle amiche Carmiana e Iras  che cade morta.

Quindi la battuta splendida con l'associazione tra il tocco della morte e il pizzicotto di un amante which hurts and is desired (Antonio e Cleopatra, V, 2, 295) che fa male ed è desiderato.

E' l'associazione amore e morte diffusa in letteratura antica e moderna

Sentiamo H. Hesse:"Amore e voluttà gli parevano l'unica cosa che potesse davvero scaldare la vita, e darle un valore (…) L'amore delle donne, il gioco dei sessi stava per lui in cima a tutto e il fondo della sua frequente tendenza alla malinconia e al disgusto aveva origine nell'esperienza di quanto sia instabile e fugace la voluttà (…) Morte e voluttà erano una cosa sola"

 

 

La morte di Cleopatra. Un poco di metodologia storiografica

 

Siamo arrivati alla morte di Cleopatra. Partiamo da Shakespeare. La regina si rammarica del fatto che Iras sia morta pima di lei. Teme di apparire vile al riccioluto Antonio ( the curled Antony, V. 2, 300):  quando Iras lo avrà raggiunto, lui domanderà di Cleopatra e darà a lei quel bacio che era pronto per l’amante arrivata in cielo. Ma la regina si è fatta precedere dalla parrucchiera ed è in ritardo.  Quindi invita l’aspide a venire da lei e se lo applica al petto. Gli chiede: “with thy sharp teeth this knot intrinsicate –of life at once untie” (303-304) con i tuoi denti aguzzi sciogli in un colpo solo questo intricato nodo della vita.

Cfr. il nodo di Gordio. Alessandro disse: “Nihil interest quomŏdo solvantur” (Curzio Rufo, III, 1, 18) e tagliò con un colpo tutte le cinghie.

 

La funzione di sciogliere gli intrighi rivelando le verità nascoste viene attribuita da Cordelia, la figlia buona di Re Lear, al tempo:" Time shall unfold what plaited cunning hides", il tempo spiegherà ciò che l' attorcigliata astuzia nasconde (I, 1).

 Il tempo ha la funzione benefica di salvare l’umanità quando questa giunge sull’orlo del baratro

Ancora nel Re Lear il duca di Albania aspetta una salvezza dal tempo auspicandone la fretta: “Se il cielo non manda subito i suoi spiriti a frenare queste colpe orrende, sarà per forza necessario che l’umanità vada a caccia di se stessa, come i mostri del mare like monsters of the deep (IV, 2).

Il serpente è arrivato nel momento opportuno per  salvare la dignità di Cleopatra.

La regina gli fa fretta: “poor venenous fool, be angry and dispatch”, (304-305), povero sciocco velenoso, irritati e fai presto. Se l’aspide potesse parlare, Cleopatra lo udirebbe chiamare the great Cesare- ass unpolicied (306-307) un asino grossolano.

Quindi la battuta già citata sul serpente assimilato a un bambino che succhia fino a fare addormentare la nutrice.

Infine la regina prende un altro aspide e se lo applica al braccio. Inizia la frase: “what should I stay (311)  perché dovrei restare… ma non la finisce perché muore

La  completa  Carmiana: “in this vile world? In questo mondo spregevole?

Quindi l’amica la saluta e ne fa l’elgio funebre con queste parole: “now boast thee, death, in thy possession lies –a lass unparalle’ d” (514-515), ora vantati morte, in tuo potere giace una ragazza senza pari.

unparalle’ d : sembra che Shakespeare voglia giustificare Plutarco di non avere dedicato a Cleopatra una vita parallela-

Plutarco racconta che l’aspide fu portato con i fichi nascosto sotto le foglie secondo l’ordine di Cleopatra che non voleva vederlo, ma tolti i fichi lo vide e disse “eri qui dunque” (86, 3). E denudato il braccio lo offrì al morso. Altri dicono che il serpente era custodito in un orcio e che Cleopatra lo povocò e lo irritò con un fuso d’oro finché questo saltò fuori e le morse il baccio. Ma nessuno conosce la verità- to; d’ ajlhqe;" oujdei;" oi\den (86, 4)

C’è una terza versione secondo la quale Cleiopatra teneva del veleno in uno spillone cavo nascosto tra i capelli.

Come si vede Plutarco non usa il dialogo e non sceglie fra tre versioni della morte di Cleopatra. Questo di riferire tutte le fonti disponibili, pure quelle poco verosimili è un metodo seguito anche da altri storiografi.

Ne faccio quattro esempi.

A proposito della diceria secondo la quale le ragazze indigene con penne di uccello spalmate di pece traevano pagliuzze d’oro da un lago situato in un’isola posta davanti alla costa africana Erodoto scrive : “tau'ta  eij mh; e[sti ajlhqevw~ oujk oi\da, ta; de; levgetai gravfw” (I, 195, 2), queste cose non so se sono vere, ma quello che si dice lo scrivo.

E per quanto  riguarda un’intesa tra i Persiani e gli Argivi: “ejgw; de; ojfeivlw levgein tav legovmena, peivqesqaiv ge me;n ouj pantavpasin ojfeivlw” (VII, 152, 3), io sono tenuto a dire le parole dette, a credere a tutte invece non sono tenuto.

  

In modo simile  Curzio Rufo:“Equidem plura transcribo quam credo: nam nec adfirmare sustineo, de quibus dubito, nec subducere, quae accepi” (9, 1, 34), per conto mio riporto più notizie di quelle cui presto fede: infatti non me la sento di confermare notizie delle quali non sono sicuro, né di sottrarre quelle che ho ricevuto.

Quindi, a proposito  del cadavere di Alessandro che giaceva nel sarcofago da sei giorni, trascurato, e, nonostante il caldo estivo, il corpo non era degenerato, Curzio scrive: “ Traditum magis quam creditum refero (10, 10, 12).

 

Arriano a proposito della morte di Alessandro Magno riporta una notizia alla quale non crede, della quale anzi afferma che dovrebbero vergognarsi quanti l’hanno scritta.

Si racconta dunque che il condottiero macedone,  sentendosi morire, voleva gettarsi nell’Eufrate per sparire accreditando la fama di una sua assunzione in cielo in quanto nato da un dio. Glielo impedì Rossane ed egli le disse che lo privava della gloria di essere nato dio. Ebbene lo storiografo di Nicomedia precisa che ha riportato queste notizie wJ" mh; ajgnoei'n dovxaimi perché non sembri che io le ignori, più che per il fatto che esse sembrino pista; ej" ajfhvghsin, (7, 27, 3) credibili a raccontarle.

 

Concludo citando Tacito

Ut conquirere fabulosa et fictis oblectare legentium animos procul

gravitate coepti operis crediderim, ita vulgatis traditisque

demere fidem non ausim. die, quo Bedriaci certabatur, avem

invisitata specie apud Regium Lepidum celebri luco conse-

disse incolae memorant, nec deinde coetu hominum aut cir-

cumvolitantium alitum territam pulsamve, donec Otho se ipse

interficeret; tum ablatam ex oculis: et tempora reputantibus

initium finemque miraculi cum Othonis exitu competisse. (Historiae, II, 50)

Come reputerei lontano dalla serietà dell’opera iniziata  andare in cerca di miti e dilettare le anime dei lettori con delle invenzioni, così non oserei togliere credito a tradizioni diffuse. Nel giorno in cui si combatteva a Bedriaco, gli abitanti ricordano che un uccello di aspetto mai visto si posò in un frequentato bosco sacro presso Reggio Emilia, e che non venne spaventato né scacciato di lì dalla grande quantità delle persone né degli uccelli che svolazzavano intorno, finché Otone non si fu ucciso; allora scomparve alla vista; e per chi tiene conto dei tempi, il principio e la fine del prodigio coincide con la fine di Otone.

Sono fatti dell’aprile del ’69.

 

 

Corso di giugno XXXI. La nobiltà nella morte di Cleopatra e delle sue ancelle Carmiana e Iras.

 

Morta Cleopatra,  entrano correndo delle guardie

Carmiana chiede loro di parlare piano, di non svegliare la regina. La prima guardia inizia a dire. “Caesar hath sent”…, Cesare ha mandato…

E Carmiana conclude: “too slow a  messengger” (V, 2, 320), un messaggero troppo lento. Quindi pure lei si applica una aspide (in greco e in latino il genere è femminile lo conservo in italiano come fa Foscolo con “arbore amica”, Sepolcri, 39 )

La prima guardia chiede alla seconda di avvicinarsi. “all’s not well: Caesar’s beguiled” (321), non va tutto bene: Cesare è stato ingannato.

Per il servo contano solo gli interessi del potere.

La morte di una persona in sé non conta niente.

 

La pima guardia  dunque si rivolge a Carmiana morente e le rivolge la domanda "Charmian, is this well done?",  e l'amica di Cleopatra ribatte : "It is well done, and fitting for a princess-Descended of so many royal kings. Ah, soldier! (V, 2, 324-327)", è ben fatto e si confà a una sovrana discesa da tanti nobili re. Ah soldato!

 

"Shakespeare è inoltre maestro del linguaggio drammatico, intendendo come tale il linguaggio che suggerisce, anzi impone attraverso la parola scritta, il gesto o il tono che non possono non accompagnarla se detta: oppure l'espressione disadorna, priva di valori poetici-e quindi lirici-in sé e per sé, ma che si carica di significazione poetica in forza della situazione in cui si trova inserita (…) valga,  ora, l'ultima parola , "Ah soldier!, che Charmin morente getta sprezzantemente in faccia alla guardia , quando, di fronte al cadavere di Cleopatra, che uccidendosi, si è sottratta all'umiliazione di adornare il trionfo del vincitore a Roma, il romano le rivolge l'ottusa domanda is this well done?": "It is well done, and fitting for a princess-Descended of so many royal kings. Ah, soldier!, risponde Charmian con il suo ultimo fiato, e la parola non ha certo alcun valore poetico-lirico- in sé e per sé- ma inserita in quella situazione, acquista un significato d'inaudita violenza: "Che cosa puoi capire , tu-"soldato!"  degli alti sensi della mia regale signora?"; e dei suoi stessi , in realtà, in quanto nel medesimo istante, poiché della sua "regale signora" ha seguito l'esempio, muore.

E ancora, in The Merchant of Venice, l'elementare "I am not well" (IV, 1, 96) non mi sento bene di Shylock sconfitto, quando chiede al tribunale il permesso di allontanarsi.

E infine l'ineffabile "Do you love me?" (III, 1, 67) Mi vuoi bene? di Miranda a Ferdinand in The Tempest, dove la più vieta delle frasi d'amore sembra pronunciata per la prima volta nella storia dell'umanità" (Carlo Izzo, Storia della letteratura inglese, I volume, pp. 407-408). Ho fatto questa lunga citazione per gratitudine verso il miglior maestro trovato all'Università quando ero studente. Eppure ho continuato con il greco e latino perché, seppure insegnati non bene, mi piacevano di più e costituivano il mio destino.

 

Vediamo adesso la medesima situazione descritta da Plutarco che ha insegnato a Shakespeare le battute che Shakespeare ha insegnato a Carlo Izzo, Calro Izzo a me, e io a voi che mi leggete. Così non muoiono le civiltà.

 

Veniamo dunque alla Vita di Antonio. Plutarco descrive lo stato delle due donne ancelle e amiche di Cleopatra: Iras stava morendo ai piedi della regina già morta, mentre Carmione h[dh sfallomevnh kai; karhbarou`sa , già barcollante e con la testa appesantita, accomodava il diadema sulla testa di lei-katekovsmei to; diadhma to; peri; th;n kefalh;n aujth`"- (85, 7) . Questo gesto mostra la nobiltà dell'ancella di gran lunga superiore a quella di Ottaviano.

 

Concludo le vicende di Cleopatra con le parole di Carmiana nella biografia di Plutarco

Quando uno le dice con ira. eijpovnto" dev tino" ojrgh`/-   "kala; tau'ta Cavrmion ;" è bello questo? , Carmiana  risponde  "kavllista me;n ou\n kai; prevponta th'/ tosouvtwn ajpogovnw/ basilevwn" ( 85, 8), è bellissimo e si confà a una donna che discende da re tanto grandi. Non disse altro ma cadde lì presso il letto- ajll j aujtou` para; th;n klivnhn e[pese. . Credo sia doveroso questo omaggio a Carmiana, un'ancella che aveva imparato lo stile della regalità dalla sua regina

 

Nell'Elena  si trova l'espressione "per gli schiavi nobili" ( gennaivoisi douvloi~, v. 1641) che lascia  un’eco in Terenzio: propterea quod servibas liberaliter (Andria, v. 38), poiché facevi lo schiavo con animo libero.

Viceversa molti sedicenti o presunti personaggi  nobili o importanti, o vincenti, ricchi e famosi sono dei servi. Nelle tragedie e nella realtà.

 

 

Appendice

John Middleton Murry (in Shakespeare, trad. it. Einaudi, 1953) rileva la regalità di Cleopatra e quella di Antonio nell' Antonio e Cleopatra di Shakespeare. Cleopatra ricorda regalmente la regalità di Antonio vivo, come lo vede morto: "Cleopatra stessa rimane soffusa di uno splendore di tramonto e la sua dignità nella morte viene rivestita della maestà dei cieli. La disposizione delle parole è magica: dà valore e rilievo a quella definizione della poesia data dal Coleridge: "le parole migliori nel miglior ordine" prose: words in their best order; poetry: the best words in the best order"Quest'ordine  è tale che ogni rilievo confluisce in quella parola "regale" (p. 351)

 

La dignità e nobiltà nella morte

Antigone e Aiace di Sofocle e pure Polissena nell'Ecuba di Euripide  Soltanto nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere, afferma  Polissena quando antepone una morte dignitosa a una vita senza onore: to; ga;r zh'n mh; kalw'~ mevga~ povno~, (Euripide, Ecuba , v. 378),  vivere senza bellezza è un grande tormento.

 

Il culto della bellezza nella vita e nella morte non manca in Sofocle: Antigone dice a Ismene: ma lascia che io e la pazzia che spira da me/soffriamo questa prova tremenda: io non soffrirò/nulla di così grave da non morire nobilmente"peivsomai ga;r ouj - tosou`ton oujden w{ste mh; ouj kalw`~ qanei`n ( Antigone, vv. 95-97).

 

 Aiace   risponde al corifeo ajll j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai-- to;n eujgenh' crhv" ma il nobile deve o vivere con stile, o con stile morire (Sofocle, Aiace vv.479-480).

 

La dignità nell’insuccesso

Neottolemo, il figlio schietto dello schietto Achille, dice al subdolo Odisseo del Filottete :"

bouvlomai d j, d' , a[nax, kalw'" - drw'n ejxamartei'n ma'llon h]  nika'n kakw'" " (vv. 94-95), preferisco, sire, fallire agendo con nobiltà che avere successo nella volgarità.

L’essenza della regalità è qualche cosa che rende l’uomo più uomo, cioè più buono. Nel Mercante di Venezia, Porzia dice che la clemenza adorna il monarca sul trono meglio della sua corona poiché lo scettro è l’emblema del potere terreno e in esso risiedono il timore e la paura che ispirano i re, but mercy is above the sceptred sway, ma la misericordia è al di sopra del potere scettrato. Essa ha il suo trono nel cuore dei re ed è un attributo del Dio stesso, it is an attribute to God himself (IV, 1, 188-197).

 

In questa essenza della regalità vi è l’idea della comunione fra gli uomini.

 

Antonio e Cleopatra immortalano la loro regalità perseverando nella loro diversità dai politici usuali.

 Viene in mente il Vangelo di Matteo: “et eritis odio omnibus propter nomen meum; qui autem perseveraverit usque in finem, hic salvus erit”, oJ de; ujpomeivna" eij" tevlo" ou|to" swqhvsetai (N. T. 10, 22).



[1] Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia repubblicana dal 1946 ai nostri giorni, Laterza, 2014, p. 39

[2] 436-338 a. C.

[3] Del 390.

[4] De officiis, I, 142.

[5] C. Marlowe, L'ebreo di Malta, V, 2.

[6] Di là dal bene e dal male, Che cosa è aristocratico?, 274.

[7]C. Pavese, Il mestiere di vivere , 26 aprile, 1936.

[8] Cfr. soprattutto Eliano, La natura degli animali, I, 52; D. W. Thompson, A Glossary of Greek Birds, Oxford, London 1936, pp. 314 sgg.

[9] Arriano, L'anabasi di Alessandro, I, 25, 6, sgg.

[10] Si narrava che lo stesso incidente fosse capitato a Gorgia. Il quale se la cavò, però, senza allarmarsi e con molto spirito, esclamando "non son cose da farsi, queste, Filomela!" (Plutarco, Questioni conviviali, 8, 7, 2).

Il particolare degli escrementi non è raccontato da Arriano (n.d. r)

[11] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 126 sgg..

[12] Il tiranno è invidioso. Infatti L'Invidia personificata da Ovidio "exurit herbas et summa papavera carpit" (Metamorfosi, II, 792), dissecca le erbe e stacca le cime dei papaveri.

[13] Walter W. Skeat, Etymological Dictionary of the English Language, Oxford at Clarendon Impression of .1984, fist impression 1882.,

[14] Cfr. Medea di Seneca, vv. 360-361 (n.d.r.)

[15]G. Biondi, Il mito argonautico nella Medea. Lo stile 'filosofico' del drammatico Seneca, "Dioniso" 1981, p. 428-429 e 435. G. Biondi, ibid., p. 435.

[16] “Sempre la confusion delle persone/principio fu del mal della cittade” ( Paradiso , XVI, 67-68).

[17]Mazzarino, op. cit., p. 138. L'autore continua così:"significa Robespierre e Verginaud e Danton; solo uno storico di razza (sia pure uno storico moralista, storico dell' ethos  di grandi individui) poteva trasmetterci l'eredità classica, in quanto eredità di tradizione storica, in maniera così rilevante e decisiva.

[18] M. Cacciari, L'arcipelago, p. 53.

[19]Iliade, XXII, 105, e VI, 442, mi vergogno davanti ai Troiani.

[20] I greci e l'irrazionale , p. 30.

[21] I greci e l'irrazionale , p. 31.

[22] VIII-VII sec. a. C. 

[23] Questa descrizione di Virgilio ricorda quella che Omero fa di  [Eri" a[moton memaui'a, la Discordia violentemente infuriata, che dapprima si leva piccola ma poi cammina sulla terra arrivando al cielo con il capo (Iliade , IV, 440 sgg.). 

[24]R. Musil, L'uomo senza qualità , p. 846.

[25] J. Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del cuore , p. 102.

[26] Machiavelli, Il principe, XVIII, 5.

[27] Jan Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, p.  42.

[28] The anatomy of human destructiveness, p. 67.

[29] Manoscritti economico-filosofici del 1844, p. 154.

[30]Platone Repubblica  595c: " e[oike me;n ga;r tw'n kalw'n aJpavntwn touvtwn tw'n tragikw'n prw'to" didavskalov" te kai; hJgemw;n genevsqai", sembra infatti essere il primo maestro e la guida di tutti questi bravi poeti tragici.

[31]Jaeger, Paideia  1, pp. 70-71.

[32] Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, 3, 3, 17.

[33] Del 1612.

[34] L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal, pp. 234-325.

[35]L. Tolstoj, Anna Karenina (del 1877) , p. 711.

[36]D. Lanza, op. cit, , p. 50.

[37]D. Lanza, Il tiranno e il suo pubblico , p. 43.

[38] G. B. Conte, op. cit., p. 358.

[39] Uk sabato del villaggio, 4.

[40] T. S. Eliot, Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S. Eliot. Opere, p. 798.

[41] Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S. Eliot, Opere, p. 799.

[42] "I am Antony yet ", Antonio e Cleopatra (del 1606-1607) , III, 13.

[43]Da La duchessa di Amalfi (del 1614) , di J. Webster  (1580-1625).

[44]Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S. Eliot Opere , p. 800..

[45] Stendhal, Il rosso e il nero (del  1830) in Stendhal  Romanzi e racconti, vol. I, , trad. it. Sansoni, Firenze, 1956,   p. 594

[46]Lo stile "drammatico" del filosofo Seneca , p. 13.

[47] Composto tra il 49 e il 52 : “Ille illius cultor est, hic illius: suus nemo est”, 2, 4,  quello è dedito al culto di quello, questo di quello, nessuno appartiene a se stesso.

[48] F. Nietzsche, Ecce homo, il caso Wagner, 4

[49]Nietzsche, Umano troppo umano , vol. II, parte seconda, Il viandante e la sua ombra, 61...

[50] Fr. 91 Diano.

 

[51]Tolstoj, Guerra e pace , p. 1697.

[52] Guerra e pace , p. 1701.

[53] L. Canfora, Noi e gli antichi, p. 43.

[54] Significava che il collo veniva inserito in una forca e il corpo veniva battuto a morte con le verghe

[55] Dove Cornelio Gallo cerca di sfuggire alla sofferenza amorosa, che Licoride gli infligge , col proposito di percorrere  le montagne dell'Arcadia  a caccia di aspri cinghiali mescolato alle Ninfe :"Interea mixtis lustrabo Maenala Nymphis,/aut acris venabor apros "(vv. 55-56).

[56] Plauto visse tra il 255 ca e il 184 a. C.

[57] Jan Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, p.  42.

[58] Tito Livio, Storie,  XXI, 4.

[59] P. P. Pasolini, Lettere luterane, I giovani infelici, pp. 5-12.

[60] Shakespeare nostro contemporaneo, passim

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