mercoledì 30 giugno 2021

Shakespeare, "Riccardo III". Rilettura. XX. Un nuovo corteggiamento

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Riccardo corteggia la vecchia ex regina Elisabetta per sposarne la  figlia, la giovane Elisabetta
 
Elogi della semplicità (Euripide,  Orazio, Nietzsche)
Aggiunta del 30 giugno 2021.
Capitolo con una divagazione del resto documentata e rivolta contro gli sproloqui della gente che, vaga di ciance, parla in continuazione senza dire mai alcunché di significativo e accrescitivo.
 
La madre di Riccardo esce. Accenna a uscire anche Elisabetta ma Riccardo la ferma dicendo che deve palarle.
La cognata gli risponde che non ha altri figli maschi che lui possa trucidare. Quanto alle figlie “they shall be praying nuns, not weeping queens” (I, 4, 202) esse saranno monache oranti, non regine piangenti, quindi non devi mirare a ucciderle.
A questo punto inizia il cortggiamento indiretto in stile stilnovistico: “voi avete una figlia di nome Elisabetta virtuous and fair, royal and gracious (205) virtuosa e bella, regale e gentile”.
Ragazzavirtuosa come poi nella Ricerca di Proust, in tanta letteratura e nella testa di molti uomini significa prima di tutto “che non fa sesso”. Quindi amabile e addirittura sposabile
La madre per ora non abbocca: “deve morire per questo?” Aggiunge che per salvarle la vita corromperà i suoi costumi e la coprirà d’infamia. Sembra un paradosso. Dirà che non è figlia di Edoardo dato che i figli del re sono stati ammazzati.
Riccardo risponde: “at their birth good stars were opposite” 216, alla loro nascita erano opposte le stelle buone. Si improvvisa astrologo.
No, to their lives ill friends were contrary (217), no, alle loro vite erano contrari  malvagi amci, ribatte Elisabetta.
A questo ossimoro Riccardo, il genio del male che in questo momento si finge stupido quindi è un ossimoro vivente, risponde da fatalista dicendo
all unavoided is the doom of destiny” 218  del tutto inevitabile è il decreto del destino. E’ stata la forza ineluttabile della ncessità dunque ad armare le mani assassine.
 
Nel terzo stasimo dell’Alcesti di Euripide, il coro commenta i fatti dicendo kreivsswn oujde;n j Anavgkaς hu\ron (965-966), niente ho trovato più forte della Necessità. Cfr anche Eschilo, Agamennone :"to; mevllon h{xei" (v. 1240), il futuro verrà. Lo dice Cassandra.
 
Elisabetta risponde che il destino di morte dei figli è stato decretato da chi è stato  rinnegato dalla grazia. Il disgraziato assassino
Riccardo nega di avere ucciso i nipoti.
Elisabetta fa un gioco di parole tra cousins- cugini e nipoti- e cozen’d, spogliati di tutto. Poi continua: se la mano assassina fu quella dei sicari, fu la mente di Riccardo a guidarla.
Pensate alle tante stragi le cui menti rimangono nascoste, spesso protette. I segreti di Stato servono anche a questo.
Segue una metafora degna di quelle di Eschilo: no doubt the murd’ rous knife was dull and blunt (227) il pugnale omicida era senza dubbio ottuso e smussato-till it was whetted on thy stone-hard herat ( 228)  finché non venne affilato sul tuo cuore di pietra dura.
L’abitudine al dolore doma anche quello più selvaggio, altrimenti ti caverei gli occhi.
Segue una serie di metafore marine: e io in un così disperato golfo di morte, simile a un misero vascello che ha perso le vele e le sartie  mi fracasserei sul tuo petto di scoglio.
Faccio  l’ esempio di una sequenza polimetaforica dei Persiani  di Eschilo dove l’u{bri~ è congiunta  all' a[th  :" u{bri" ga;r ejxanqou's j ejkavrpwse stavcun--a[th", o{qen pagklauvton ejxama'/ qevro"" ( vv.821-822) la prepotenza infatti fiorendo dà per frutto una spiga di/ acciecamento, da dove falcia una messe tutta di lacrime.
 
Nelle Rane di Aristofane il personaggio Euripide critica la sovraccarica poesia di Eschilo  dicendo che il tragediografo rivale, arrivato a metà dramma, faceva dire dodici parole grosse come buoi (rJhvmat j boveia dwvdeka 924) con tanto di sopracciglio e cimiero, spauracchi incomprensibili agli spettatori mormorwpa; a[gnwta toi'ς qewmevnoiς  (Mormwv è la strega, lo spauracchio ).
Il personaggio Eschilo risponde dicendi oi[moi tavlaς (926), povero me!
Shakespere è ottimo ma non utilizza sempre la forza della sintesi, esemplare in  Sofocle  e in Orazio
Sentiamo Nietzsche
Shakespeare paragonato con Sofocle, è come una miniera piena di un'immensità di oro, piombo e ciottoli, mentre quello non è soltanto oro, ma oro anche lavorato nel modo più nobile, tale da far quasi dimenticare il suo valore come metallo1..
I versi di Sofocle si distinguono per la loro densità: ognuno di essi potrebbe essere commentato con un libro.
“La poesia fonda la sua potenza sulla compressione. Poeta in tedesco si dice Dichter, colui che rende le cose dicht (spesse, dense, compatte). L’immagine poetica comprime in un’istantanea un momento particolare caratteristico di un insieme più vasto, catturandone la profondità, la complessità, il senso e l’importanza”2.
Per quanto riguarda Orazio di cui ho già citato esto brevis, aggiungo
simplex munditiis, semplice nell'eleganza a proposito di Pirra (Orazio, Ode I, 5, 5).
Nell’Ars poetica Orazio suggerisce: “ carmen reprehendite quod non/ multa dies et multa litura coercuit atque/ praesectum decies non castigavit ad unguem” (vv. 292-294), biasimate la poesia che né un lungo tempo né molte cancellature hanno rifinito né dopo averlo sfrondato una decina di volte non ha corretto fino alla perfezione.  
 Infine Nietzsche "Non ho mai provato, fino ad oggi, in nessun poeta, lo stesso rapimento artistico che mi dette, fin dal principio, un'ode di Orazio. In certe lingue quel che lì è raggiunto non lo si può neppure volere. Questo mosaico di parole in cui ogni parola come risonanza, come posizione, come concetto fa erompere la sua forza a destra, a sinistra e sulla totalità, questo minimum nell'estensione e nel numero dei segni, questo maximum , in tal modo realizzato, nell'energia dei segni-tutto ciò è romano e, se mi si vuol credere, nobile par excellence . Tutto il resto della poesia diventa in paragone qualcosa di troppo popolare-nent'altro che loquacità sentimentale"3  

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1]Umano, troppo umano II vol. , parte prima Opinioni e sentenze diverse, 162.
 [2] Hilman, La forza del carattere, p. 70.
 [3] Crepuscolo degli idoli, Quel che debbo agli antichi, 1.

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