Aggiunte
fatte in seguito alla rilettura del 24 giugno
Pochissimi sono gli scrittori che osano svelare alle genti di che lacrime
grondi e di che sangue lo scettro dei regnatori.
I crimini di Riccardo non pongono fine
alla catena dei delitti.
Il vincitore Richmond viene santificato
(sarà EnricoVII dal 1485 al 1509) e suo figlio Enrico VIII glorificato come
padre di Elisabetta dal dramma (1513) di Shakespeare e Fletcher.
Ma
Enrico VIII che regnò dal 1509 al 1547 non
fu meno sanguinario di Riccardo. Fece uccidere (1535) l’umanista Tommaso Moro
autore di Utopia (1516) per il suo rifiuto di accettare l'Atto di Supremazia del re sulla Chiesa in
Inghilterra e di disconoscere il primato del Papa, poi fece ammazzare Edward Buckingham, figlio
di Henry complice e traditore di Riccardo che lo fece decapitare, e condannò a
mote Thomas Cromwell il suo primo ministro che lo aiutò a liberarsi di Anna
Bolena, fatta ammazzare anche lei dal re.
La figlia di Enrico VIII e Caterina d’Aragona
regnò dal 1553 al 1558 è ricordata come Bloody Mary siccome fece giustiziare molti oppositori al suo
disegno di restaurare il cattolicesimo romano. Tra le sue vittime Thomas Cranmer
il fondatore della Chiesa anglicana.
Questa sanguinaria era cugina di Carlo V
(imperatore dal 1519- al 1555) e moglie di suo figlio Filippo II.
Carlo V era figlio di Giovanna la Pazza, sorella di Caterina d’Aragona,
madre della sanguinaria Maria.
Legami di sangue e confraternita
delittuosa.
Richard in pomp, crowned (IV, 2) e la vanità degli orpelli.
Le donne vittime di Riccardo si compatiscono a
vicenda.
La duchessa di York dice I go to my grave (94) vado
alla mia tomba dove mi aspettano pace e riposo. Poi misura i suoi oltre ottanta
anni di vita con il metro del dolore e della gioia: “ each hour’s joy wrack’d with a week of teen” (IV, 1, 96), ogni ora
di gioia è stata rovinata con una settimana di pena.
Nel VII capitolo del romanzo di Tomasi di
Lampedusa, Il Gattopardo (Luglio
1883) , il principe don Fabrizio “faceva il bilancio consuntivo della sua vita,
voleva raggranellare fuori dall’immenso mucchio di cenere delle passività le
pagliuzze d’oro dei momenti felici: eccoli. Due settimane prima del suo
matrimonio, sei settimane dopo, mezz’ora in occasione della nascita di Paolo,
quando sentì l’orgoglio di aver prolungato di un rametto l’albero della casa
Salina” (p. 169).
E, già nel secondo capitolo (Agosto 1860):
“l’amore. Certo l’amore. Fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta. Lo sapeva
lui cos’era l’amore. ..e Tancredi poi, davanti al quale le donne sarebbero
cadute come pere cotte” (p. 49)
Ma torniamo a Shskespeare. Nella chiusura di
questa prima scena del IV atto del Riccardo
III, la regina vedova Elisabetta rivolge una preghiera alle pietre della
torre dove sono imprigionati i suoi figli:”Pity,
you ancient stones, those tender babes-whom
envy L. invidia- have immur’d L.im (=in , in; murus wall) within your
walls” (98-99), abbiate pietà, voi antiche pietre di questi teneri bambini
che l’invidia ha murato nelle vostre pareti.
L’invidia degli dèi di Erodoto qui è laicizzata
nell’invidia di chi brama il potere.
Si apre
la seconda scena: enter Richard in pomp, crowned,
entra Riccardo vestito sfarzosamente, incoronato e accompagnato da
diversi nobili: Buckingham il principale sodale nei delitti e altri, tutti suoi
complici.
Tomaso Montanari nella sua rubrica del venerdì
di Repubblica del 21 maggio commenta un olio su tela di Francisco Goya del 1815
che ritrae Ferdinando VII sul campo militare. Si trova nel Museo del Prado di Madrid.
Il re di Spagna è pure
lui in pomp.
“E’ il grande ballo in maschera del potere, che
già Blaise Pascal, in pieno secolo barocco, demistificava così: “I nostri
magistrati hanno ben capito questo mistero. Le loro toghe rosse, i loro
ermellini di cui s’ammantano come gatti villosi…e se i medici non avessero
palandrane e pantofole , e i dottori non avessero la berretta a quattro
pizzi…se quelli possedessero la vera giustizia e se i medici sapessero la vera
arte per guarire, non saprebbero che farsene di quelle berrette a quattro
pizzi”
Quindi Montanari cita Virginia Woolf che associa
l’abito vistoso alla guerra: “il loro costoso e presumibilmente non troppo
igienico splendore è stato in parte inventato per imprimere nello spettatore il
senso della maestà della funzione militare, in parte per indurre i giobvani,
facendo leva sulla loro vanità, a fare i soldati”.
Alcuni
autori considerano la sontuosa pompa militare addirittura un segno che preannuncia l’insuccesso.
Nell’Amphitruo di Plauto i Teleboi “ex oppido-legiones educunt suas nimi ‘
pulchris armis praeditas” ( vv. 217-218), tirano fuori dalla fortezza le
proprie truppe dotate di armi pur troppo belle. Ebbene, questi guerrieri dal cultus icercato verranno sconfitti dai
Tebani di Anfitrione
Nelle Historiae Alexandri Magni
di Curzio Rufo l’ateniese
Caridemo osa dire parole di critica a Dario III che perderà la guerra e
l’impero: questo esercito splendente di porpora e di oro, brillante nelle armi
può essere temibile solo per i tuoi vicini “finitimis
potest esse terribilis: nitet purpura auroque, fulget armis” (III, 2,
12).
Viceversa
Alessandro che sconfiggerà il grande re
, come giunse a Tarso, la capitale della
Cilicia volle fare un bagno nel fiume Cidno . Et tunc aestas erat (l’estate de 333) e il re accaldato si spogliò
fiero di mostrare ai suoi levi ac
parabili cultu corporis se esse contentum (III, 5, 2) che si accontentava
di una cura del corpo semplice e facilmente procurabile.
Tacito
ricorda che i veterani trasferiti dalla Siria in Armenia nell’esercito di
Corbulone erano nitidi et quaestuosi (Annales XIII, 35 ),
eleganti e avidi di guadagno. Corbulone congedò
quegli ignavi, arruolò nuovi soldati e diede l'esempio: ipse cultu levi, capite intecto, agmine, in laboribus frequens adesse, laudem strenuis,
solacium invalidis, exemplum omnibus ostendere, il comandante in persona
con abiti leggeri, a capo scoperto, era sempre presente nelle marce e nelle
fatiche, rendeva elogi ai valorosi, conforto agli infermi, ed era di esempio a
tutti.
Nel
mondo moderno si può pensare alle uniformi degli ufficiali dell'impero
asburgico in disfacimento, i quali"come incomprensibili adoratori di una
crudele e remota divinità, di cui essi erano a un tempo anche i variopinti e
fastosi animali da sacrificio, andavano su e giù per la città"[1].
Nei
Saggi di Pascal (III libro, capitolo
9) troviamo anche una citazione tratta da Quintiliano che consiglia la forma
più semplice come quella che meglio si addice e conviene ai soldati: “simpliciora militares decent” Institutio
oratoria, XI, 1, 32.
Concludo
citando Sofocle che denuncia la vanità degli orpelli del potere.
"La prepotenza fa crescere il tiranno, la prepotenza/se è
riempita invano di molti orpelli/che non sono opportuni e non convengono/salita
su fastigi altissimi/precipita nella necessità scoscesa/dove non si avvale di
valido piede./La gara benefica per la città,/prego dio di non/interromperla
mai;/dio non cesserò mai di averlo patrono" (Edipo re, vv. 873-882).
Bologna 24 maggio 2021 ore 9, 5
giovanni ghiselli
[1] Joseph
Roth, La marcia di Radetzky , pp.115
e 125).
Già docente di latino e greco nei Licei Rambaldi di Imola, Minghetti e Galvani di Bologna, docente a contratto nelle università di Bologna, Bolzano-Bressanone e Urbino. Collaboratore di vari quotidiani tra cui "la Repubblica" e "il Fatto quotidiano", autore di traduzioni e commenti di classici (Edipo re, Antigone di Sofocle; Medea, Baccanti di Euripide; Omero, Storiografi greci, Satyricon) per diversi editori (Loffredo, Cappelli, Canova)
NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica
Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica
LE NUOVE DATE! Protagonisti della Storia Antica | Biblioteche Bologna - Tutte le date link per partecipare da casa: meet.google.com/yj...
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento