giovedì 10 giugno 2021

Eros- Eris Appendice II.

 


 

Elena che scatenò la guerra di Troia

 

Elena nell’Iliade e nell’Odissea.

 

Elena nel terzo canto dell’Iliade rappresenta al suo apparire la bellezza in sé

 

L’amore di Elena ha portato a Ilio la guerra e la morte con la bellezza.

  La sua avvenenza colpisce i  compagni di Priamo che per la vecchiaia avevano smesso la guerra ma erano ajgorhtai; esqloiv (III, 150) oratori abili, simili alle cicale che nel bosco stando su una pianta mandano voce di giglio (151).

Ebbene questi anziani, come la vedono,  dicono che non è nevmesi~[1],  (v. 156) non è motivo di sdegno che per una donna siffatta tanti uomini soffrano  a lungo dolori: terribilmente somiglia alle dèe immortali a vederla.

Tuttavia il prezzo di quella visione è troppo alto, quindi i vecchi aggiungono; “ma anche così, vada via sulle navi: non rimanga a Troia quale ph`ma (sciagura, danno v. 160) per noi e per i nostri figli.

Ma Priamo, più coraggioso[2] e più affascinato degli altri, la protegge: le chiede di sedersi vicino a lui, poiché non lei è colpevole ma gli dei sono colpevoli (qeoi; ai[tioi, v, 164): sono stati loro a muovere la funesta guerra dei Danai.

 

Nell’Iliade  Elena del resto è per lo più  una  pentita: “ fossì morta prima” (wJ~ pri;n w[fellon ojlevsqai , XXIV, 764) è il lamento che le sale dalle labbra durante il funerale di Ettore

 

La bellona, come tutte le donne, non perdona l’insuccesso. 

Nell’Iliade quelli di Paride, ma anche il proprio.

La figlia di Leda accusa se stessa davanti a Ettore, soprattutto per la scelta sbagliata che ha fatto: io ho avuto sciagure ma almeno fossi stata in seguito la moglie di un uomo migliore (ajndro;~ e[peit j w[fellon ajmeivnono~ ei\nai a[koiti~ , VI, 350) che conoscesse l’indignazione e le molte onte degli uomini.

Ma questo[3] non ha cuore saldo (frevne~ e[mpedoi, 352) né l’avrà in seguito[4].

Elena a tratti disprezza Paride, mentre stima Ettore e prova affetto per lui.

Nel compianto funebre dice che solo lui e Priamo, il suocero, eJkurov~ furono buoni con lei, mentre i cognati e le cognate e pure la suocera hJ eJkurhv, la rimbrottavano ( XXIV, 770).

Più avanti vedremo quali aspetti assume la maliarda in altre opere. Elena,  come una parola del vocabolario, e, al pari di  altri personaggi del mito,  assume significati diversi in diversi contesti.

 

Nel’Odissea  l’adultera Elena  ha riconquistato la sua rispettabilità, anzi la supremazia dovuta al fatto di essere figlia di Zeus e di avere imparentato anche Menelao con il dio supremo: il re di Sparta quale “gambro;" Diov"" ( Odissea, IV, v. 569), genero di Zeus, non morirà ma verrà mandato dagli dèi nella pianura Elisia, ai confini della terra dov'è il biondo Radamanto, dove la vita per gli uomini è facilissima: non c'è neve né inverno rigido, né pioggia, ma soffi di Zefiro che spirano dall'Oceano a rinfrescare gli uomini (vv. 563-568).

Nel IV canto dell’Odissea  Elena entra nella sala del banchetto scendendo dall'alto talamo profumato, simile ad Artemide dalla conocchia d'oro (vv.121-122).

La bellona è avvolta dall’aureola di quella venustà  che ha sempre posseduto e mai perduto, e per giunta accresciuta di una rinnovata rispettabilità che solo lei potrà permettersi, poco più avanti, di criticare. La figlia di Zeus quindi siede sul trono, servita, riverita e fornita, da un'ancella, di una conocchia d'oro con lana violetta poggiata in un cesto a rotelle, d'argento, con i bordi rifiniti d'oro, colmo di filo ben lavorato. Poi prende a parlare: riconosce Telemaco dalla somiglianza (invero non troppo logicamente con il figlio di Odisseo[5] invece che con Odisseo stesso, ma i belli, si sa, possono permettersi anche una certa carenza di logica)  e  critica se stessa chiamandosi kunw'pi" (v. 145), faccia di cagna, con signorile spezzatura[6], con sovrana nonchalance.

Tutto quello che fa e dice la regina è molto signorile:"Nell'Odissea  Elena, tornata frattanto col primo marito a Sparta, è descritta quale prototipo della gran signora, modello di eletta eleganza e di suprema compitezza e maestà rappresentativa. E' lei a dirigere la conversazione con l'ospite, che incomincia graziosamente col rilevare la sorprendente somiglianza di famiglia, prima ancora che Telemaco le sia presentato. Ciò rivela la sua magistrale superiorità in quell'arte[7]. La rocca, senza la quale è impensabile la virtuosa massaia, che le serve le collocano dinanzi quando viene a prender posto nella sala degli uomini, è d'argento, e il fuso d'oro[8]. L'uno e l'altra, per la gran signora, non sono più che attributi decorativi[9]"[10].

Menelao conferma l'impressione della moglie sulla somiglianza rendendola però logica.

Sul tema dell’antifemminismo alquanto diffuso da Esiodo in poi, sentiamo  intanto Cesare Pavese:"Quei filosofi che credono all'assoluto logico della verità, non hanno mai avuto a che discorrere a ferri corti con una donna"[11].

Ma Elena è così bella e signorile che può fare a meno della logica tanto più che il logos è molto più ampio e profondo della logica.

In questo IV canto dell’Odissea  Elena getta nel vino un farmaco  quale antidoto al dolore, all'ira, e oblio di tutti i mali (vv. 220-221). L'aveva avuto in Egitto la cui terra produce farmaci, molti buoni e molti tristi mescolati ("favrmaka, polla; me;n ejsqla; memigmevna, polla; de; lugrav", v. 230).

giovanni ghiselli

 

 



[1] Il pittore Zeusi (V-IV sec.) dopo averla dipinta per il tempio di Giunone non aspettò il giudizio della critica, ma scrisse sulla tela ouj nevmesi~.

[2] Non solo la guerra ma anche la bellezza può fare paura.

Leopardi, quando tratta di bellezza nello Zibaldone (pp. 3443-3444),  riporta questi della Canzone  XIV di Petrarca ( Rime , CXXVI, 53-55):

"Quante volte diss'io allor pien di spavento

Costei per fermo nacque in paradiso!".

 Quindi fa seguire un commento relativo alla paura suscitata dalla bellezza:" E' proprio dell'impressione che fa la bellezza...su quelli d'altro sesso che la veggono o l'ascoltano o l'avvicinano, lo spaventare, e questo si è quasi il principale e il più sensibile effetto ch'ella produce a prima giunta, o quello che più si distingue e si nota e risalta."   

 

[3] Paride.

[4] Nel III libro Afrodite aveva sottratto Paride alla furia di Menelao che stava per ucciderlo. Il perdente si era salvati dunque con una fuga vergognosa secondo la morale degli eroi i cui motti soo “non cedere” e “primeggiare sempre”

 

[5] ui|ї e[oike IV, 143

[6] Cfr. Anna Karenina, altra adultera.

[7]d 120 sgg. Cfr. specialmente le sue parole a vv. 138 ss.

[8] Nemmeno fosse il fuso di Ananche, l’asse dell’Universo.

[9]IV, 131.

[10]Jaeger, Paideia  1, p. 62.

[11]Il mestiere di vivere , 19 febbraio 1938.

2 commenti:

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  Il giorno seguente, 18 agosto, ci portarono a Miskolc. Ci fecero entrare in una grande taverna fredda e poco illuminata. L’ebbrezza ...