John Bannister as Gloucester and John Pinder as Sir Richard Ratcliffe |
Poi si fa coraggio dicendo che se non splende il sole non è un brutto segno riservato a se stesso: lo stesso cielo accigliato con me guarda con occhio triste anche lui , Richmond the self-same heaven –that frowns on me looks sadly upon him (287-288).
Riccardo non è ancora rassegnato alla sconfitta e prova a interpretare i segni in maniera non male augurante.
Alessandro giovanissimo si fece profeta di se stesso, dando, non prendendo gli auspici sul suo destino.
Nella biografia di Plutarco "Volendo poi consultare il dio sulla spedizione andò a Delfi e poiché per caso erano giorni nefasti, nei quali non è in uso dare oracoli, dapprima mandava a chiamare la sacerdotessa".-
Poiché quella si rifiutava e metteva avanti la norma, egli stesso, salito, la trascinava a forza nel tempio, ed ella come vinta dalla risolutezza disse:"sei invincibile, figliolo” (Vita 13, 6) .
Così pure Cesare "Ne religione quidem ulla a quoquam incepto absterritus umquam vel retardatus est. Cum immolanti aufugisset hostia, profectionem adversus Scipionem et Iubam non distulit. Prolapsus etiam in egressu navis, verso ad melius omine, Teneo te, inquit, Africa "(Svetonio, Caesaris Vita , 59), non si lasciò distogliere da qualsiasi impresa neppure da alcuno scrupolo religioso. Sebbene gli fosse sfuggita una vittima mentre sacrificava, non rimandò la spedizione contri Scipione e Giuba. Scivolato per giunta nell'uscira dalla nave, girato al positivo il presagio, disse:"Ti tengo, Africa!".
Riccardo dispone le truppe assecondato da Norfolk.
Quindi si fa altro coraggio
Dice che la coscienza è una parola usata dai codardi e inventata in origine per fare paura ai forti: Conscience is but a word-lat. verbum- that cowards-lat. cauda probabily named from the bob-tailed hare, lepre dalla coda tagliata- use, devis’d a first to keep the strong—straggovς- tightly twisted, strettamente intrecciato (complesso)- in awe- timore e soggezione – [acoς pena- (V, 3, 310-311).
La coscienza dunque come strumento di potere, al pari della religio.
La religione contribuisce spesso a formare la coscienza.
E' la ragione già svelata da Crizia, sofista e tiranno sanguinario, (460-403 a. C.) nel dramma satiresco Sisifo che contiene la teoria razionalistica dell'utilità politica della religione la quale è un'invenzione geniale e valida a frenare i male intenzionati con la paura dei castighi poiché le leggi non bastavano a inceppare i malvagi quando agivano di nascosto:"mi sembra che prima un uomo accorto e saggio di mente, inventò per i mortali il terrore (devo") degli dei, affinché per i malvagi ci fosse uno spauracchio ("ti dei'ma") anche se fanno o parlano o pensano qualche cosa furtivamente ("lavqra/")[1].
Il re Numa che decise di infondere il timore degli dèi (“deorum metum iniciendum ratus est ” (Livio, I, 19, 4), cosa efficacissima per la massa ignorante e rozza di quei tempi.
Lo storico greco Polibio che visse a Roma nel circolo degli Scipioni (II sec. a. C.) fa queste osservazioni (VI, 56):" a me sembra che la superstizione (deisidaimoniva), biasimata presso altri popoli, tenga insieme lo Stato romano. Essa venne istituita pensando alla natura del volgo. In una nazione formata da soli sapienti, sarebbe inutile ricorrere a tali mezzi, ma la moltitudine soggiace a sfrenata avidità, a ira violenta e bisogna trattarla con tali apparati e misteriosi timori. Il terrore degli dèi viene esagerato e drammatizzato nella vita pubblica e privata".
L'XI capitolo del I libro dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1517) di Machiavelli verte sulla religione dei Romani: tra questi il re Numa "trovando un popolo ferocissimo, e volendolo ridurre nelle obedienze civili con le arti della pace, si volse alla religione come cosa del tutto necessaria a volere mantenere una civiltà e la constituì in modo che per più secoli non fu mai tanto timore di Dio quanto in quella republica il che facilitò qualunque impresa che il Senato o quelli grandi uomini romani disegnassero fare...E vedesi, chi considera bene le istorie romane, quanto serviva la religione a comandare gli eserciti, ad animire la Plebe, a mantenere gli uomini buoni a fare vergognare i rei. Talché se si avesse a disputare a quale principe Roma fusse più obligata o a Romolo o a Numa credo più tosto Numa otterrebbe il primo grado: perché dove è religione facilmente si possono introdurre l'armi e dove sono l'armi e non religione con difficultà si può introdurre quella...E veramente mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non ricorresse a Dio, perché altrimenti non sarebbero accettate". Quindi Machiavelli tra i legislatori che "ricorrono a Dio" nomina Licurgo e Solone. Infine tira le somme:"Considerato adunque tutto, conchiudo che la religione introdotta da Numa fu intra le prime cagioni della felicità di quella città, perché quella causò buoni ordini, i buoni ordini fanno buona fortuna, e dalla buona fortuna nacquero i felici successi delle imprese. E come la osservanza del culto divino è cagione della grandezza delle repubbliche, così il dispregio di quello è cagione della rovina di esse. Perché dove manca il timore di Dio, conviene o che quel regno rovini o che sia sostenuto dal timore d'uno principe che sopperisca a' defetti della religione".
In effetti uno dei grandi errori dei capi dell’Unione Sovietica è stato il tentativo di sopprimere la religione in un popolo tradizionalmente pio.
Riccardo continua a darsi animo dicendo: our strong arms be our coscience, swords our law- (312). Le nostre forti armi siano la nostra coscienza, le spade la nostra legge.
Ognuno si riempie la coscienza, e pure buona parte dell’inconscio, anche con le esperienze della propria vita. Letture comprese. Questo corso che sto definendo e inizierò il 29 ha arricchito la mia coscienza.
Riccardo aggiunge un’affemazione di amor fati e segue il destino: “avanziamo, coraggiosamente uniti “if not to Heaven, then hand in hand to hell!” (314), se non verso il cielo, allora mano nella mano, verso l’inferno.
giovanni ghiselli
[1] Sono parole di un frammento (25 D. K.) del dramma satiresco, una quarantina di versi tramandati da Sesto Empirico, filosofo scettico della seconda metà del II secolo d. C.
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