| Pale di s. Martino al tramonto | Allorché
fummo sazi di baci e carezze, ci rivestimmo. Il sole intanto
si era avvicinato alle montagne: molto più lunghe e fredde cadevano
le ombre dai dossi rotondi e dalle rocce appuntite.
Bisognava
tornare verso la seggiovia prima che chiudessero le piste
e fermassero gli impianti, lasciandoci in mezzo alla neve tutta
la notte, quando sarebbe stato non piacevole bello e festoso, ma
raccapricciante, forse anche letale rimanere distesi sotto il cielo,
sia pure abbracciati e vestiti, guardando le stelle. Eravamo
ancora contenti, anzi quasi felici. Ifigenia disse che l'amore
fatto all'aperto era un segno di ritrovata intesa dopo due anni
di smarrimento e confusione. Mentre tornavamo in paese con l'ultima
corsa della cabina che pullulava di inservienti rubizzi e giulivi,
osservavo il sole declinare tra le rupi aguzze: sembrava uno
splendido uccello di fuoco calato sul nido di pietra dove aveva appoggiato
gli artigli, mentre raccoglieva le ali e piegava il collo, arrotondando
la forma dalle piume vermiglie. "Lì
non si scorgono del sole le rapide membra; in tal modo nel serrato
segreto dell'armonia si è resa compatta la sfera circolare tripudiante
della beata unicità" (30); al
tramonto non ometto mai di osservare e pegare l’immagine visibile della Mente
dell’Universo (31). Pensai a quante orazioni gli avevo rivolto dovunque
l'avessi visto andare
a dormire, quando si annidava tra i monti dopo un volo in mezzo
alla sua luce, o si tuffava come pesce nel mare, oppure si stendeva,
come un vagabondo, in un giaciglio di foglie tra gli alberi
delle colline, o scendeva su grandi pianure, in mezzo a corone
di rondini e di nubi purpuree. Dovunque gli avevo rivolto preghiere,
sempre esaudite se buone, poi gli avevo reso i ringraziamenti
pieni riconoscenza amorosa, e lo feci
anche quel giorno
di marzo, poiché con la sua fiamma vivace aveva ravvivato
la fiaccola nostra, già vacillante, languida e vicina a morire.
Ero riconoscente pure a Ifigenia, siccome aveva assecondato
i progetti del dio che da noi si aspettava le cose egregie
cui ci aveva predestinati ab aeterno. Io
avrei scritto un capolavoro,
lei sarebbe diventata una grande attrice e ci saremmo amati
per sempre. Glielo dissi e le feci piacere. Così, confidando in
destini buoni, tornammo alla Campagnola e cenammo. Note 30 Cfr. Empedocle, Poema fisico, fr.30
Diels-Kranz. 31 “Nulla
sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che’l sole. Lo sole tutte le cose col suo calore unifica”
(Dante, Convivio, III, 12). |
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