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lunedì 7 giugno 2021

Eros-Eris. Parte VII. La discordia della regina con l’amore sentito quale colpa

La storia di Didone seconda parte
  
All'inizio del libro IV Didone è già immersa nella sua passione tormentosa e il nuovo punto di partenza del dramma è la sofferenza della donna colpita e vulnerata saucia (v. 1) da amore. La metafora della ferita volnus (v. 2) per significare l'amore proviene dalla poesia greca, specialmente da quella alessandrina, ed è spesso associata con l'immagine del figlio di Afrodite,  che ferisce con le sue frecce.
Da una freccia di Eros , è ferita Medea nella scena dell'innamoramento nel poema di Apollonio Rodio
Il fanciullo inviato dalla madre a colpire Medea lanciò una freccia apportatrice di pene (poluvstonon ijovn, Argonautiche,  III 279  ) dopo essere giunto invisibile eppure violento, come si scaglia sulle giovani vacche l’assillo oi\stro" che i pastori usano chiamare tafano-muvwpa- 8277-278)
L'aggettivo (saucia ) ha una sua tradizione di pathos erotico, da Ennio, già citato, a Catullo cui Virgilio allude :"multiplices animo volvebat saucia curas ", 64, 250, volgeva ferita nell'animo molti pensieri affannosi.
 Si tratta, naturalmente, di Arianna abbandonata da Teseo.
Citiamo di nuovo Lucrezio:"idque petit corpus, mens unde est saucia amore "  (IV, 1048), ed essa (la voluntas eicere , il desiderio di eiaculare dove si indirizza la dira libido , la brama funesta)  cerca quel corpo da cui la mente è ferita d'amore.
Per quanto riguarda igni  ( et caeco carpitur igni v. 2 il soggetto è regina del primo verso), il poeta passa facilmente dalla metafora della ferita, a quella, ancora più diffusa, del fuoco.
E' notevole che Apollonio Rodio nella scena dell'innamoramento  unisca già le due immagini: la freccia scagliata da Eros alla giovinetta bruciava sotto il cuore simile a fiamma bevlo" d ’ ejnedaiveto kouvrh/-nevrqen  ujpo; kradivh/ flogi; ei[kelon (Argonautiche, III 286-287).
 
"Multa viri virtus animo multusque recursat/gentis honos haerent infixi pectore voltus/verbaque nec placidam membris dat cura quietem" (vv. 3-5), il gran valore dell'eroe e la grande gloria della stirpe le ricorrono al pensiero, le sembianze e le parole le stanno ficcate nel cuore e l'affanno non concede alle membra un riposo tranquillo.
Didone è stata colpita dalla forte,  intensa espressività degli occhi (voltus è il volto che guarda)  e delle parole (verba).
 
Le due parti più significative del viso  sono la bocca, os,  e gli occhi, oculi. Nel voltus determinanti sono gli occhi. "Possiamo quindi ritenere che, quando dicono vultus, i Romani concentrino il senso della faccia non nella parte bassa del viso, come nel caso di os, ma in quella alta.
Alla faccia/bocca, sembra dunque contrapporsi una faccia/occhi"[1].
La bocca del resto emette le parole, anche queste funzionali alla seduzione.
 
I primi versi del quarto canto, prefigurano la catastrofe finale, presentando l'amore come tormento: le sembianze e le parole di Enea, invece di procurare gioia alla regina, sono infissi nel petto come dardi dolorosi e la regina di Cartagine, al contrario del profugo troiano, non trova riposo. Diverso, sproporzionato è dunque l'investimento, e questa è la prima causa che crea dolore negli amanti, tragicamente in uno dei due. Gli strumenti seduttivi di Enea, oltre la virtus evidenziata dal racconto e connessa pure etimologicamente al vir che ne è dotato[2], sono l'aspetto bello (voltus, non per niente Enea è figlio e protetto di Venere che lo ha pure imbellito[3]) e le parole (verba). Sono gli eterni mezzi del seduttore; gli stessi che usa Odisseo, anche lui infatti abbellito dalla sua dea che è Atena[4].

L'amore è dolore, affanno ed è anche colpa: subito dopo la regina, parlando con la fida sorella Anna, celebra l'eccezionalità dell'ospite troiano e aggiunge  che se non le fossero venuta in odio i letti e la fiaccole nuziali (si non pertaesum animi taedaeque fuisset, v. 18) forse solo per l'ospite troiano avrebbe potuto soccombere alla colpa:"huic uni forsan potui succumbere culpae " (v. 19). 
 
 Le vedove in Roma, pur essendo loro concesso dalla legge un nuovo matrimonio, ritenevano degno d'onore mantenersi univirae, cioè donne che avevano avuto un solo marito. Questo naturalmente secondo gli antiqui mores al cui ripristino Virgilio vuole contribuire.
Il fatto che, uomini e donne,  si accontentino di un solo coniuge corrisponde al costume antico dei Romani secondo quanto racconta Valerio Massimo:"Quae uno contentae matrimonio fuerant, corona pudicitiae honorabantur. Existimabant enim eum praecipue matronae sincera fide incorruptum esse animum , qui, depositae virginitatis cubile egredi nesciret, multorum matrimoniorum experientiam quasi legitimae cuiusdam intemperantiae signum esse credentes. Repudium inter uxorem et virum a condita urbe usque ad centesimum et quinquagesimum annum nullum fuit " (Factorum et dictorum memorabilium, II, 1, 3), quelle che si erano accontentate di un solo matrimonio venivano onorate con la corona della pudicizia. Consideravano infatti che fosse in particolare puro per schietta fedeltà l'animo di una matrona che non sapesse uscire dal letto dove aveva lasciato la verginità, poiché credevano che l'esperienza di molti matrimoni fosse segno di una per così dire legittima sfrenatezza. Non ci fu nessun divorzio tra moglie e marito dalla fondazione di Roma per centocinquant'anni.
Anche per gli uomini romani unum matrimonium è motivo di lode: Tacito fa l'elogio funebre di Germanico, morto avvelenato in Siria da Pisone nel 19 d. C. ,  riportando l'opinione di chi lo anteponeva ad Alessandro Magno: avevano in comune il bell'aspetto, la stirpe nobile, la morte precoce tra genti straniere dovuta a insidie familiari, "sed hunc mitem erga amicos, modicum voluptatum, uno matrimonio, certis liberis egisse " (Annales , II, 73), ma questo era stato gentile con gli amici, temperante nei piaceri, sposato con una sola donna, con figli legittimi.  
 
Si può notare che da Virgilio non viene altrettanto incolpato l'amore omosessuale: Niso ardeva per il bell'Eurialo "amore pio " (Eneide , V, 296) di un amore santo.
 
Poco dopo Didone confida alla sorella che dopo la morte di Sicheo solo Enea ha scosso i suoi sensi e ha colpito l'animo in modo da farlo vacillare:"Adgnosco veteris vestigia flammae " (v. 23), riconosco i segni dell'antica fiamma. 
Se ne ricorderà Seneca nella Medea  la cui nutrice vedendo la furia della moglie tradita dice:"irae novimus veteris notae " (v. 394), conosco i segni dell'antica ira, poi Dante che ne dò una traduzione letterale nel Purgatorio  ("conosco i segni dell'antica fiamma", XXX, 48). Ogni autore conosce la tradizione e se ne avvale come base aggiungendo del suo. Così l'edificio cresce.
Dare retta a un impulso amoroso viene vissuto dalla regina come  una violazione del pudore, (Pudor , v. 27) considerato al pari di una divinità.
 
Valerio Massimo nel proemio del VI libro invoca la Pudicitia:"virorum pariter ac feminarum praecipuum firmamentum ", solido fondamento nello stesso tempo per donne e uomini. Ella appunto è stata onorata come una dea:"Tu enim prisca religione consecratos Vestae focos incolis, tu Capitolinae Iunonis pulvinaribus incubas[5]", tu infatti abiti i focolari consacrati a Vesta dall'antico culto, tu giaci sui cuscini di Giunone Capitolina.    
Non era più questo il sentimento comune nell’età imperiale e nemmeno in quella precedente.
 Seneca nel III libro del De Beneficiis sostiene che la frequenza e la diffusione dei peccatori leva l'infamia a ogni peccato, dall'ingratitudine all'adulterio:" Numquid iam ulla repudio erubescit, postquam inlustres quaedam ac nobiles feminae non consulum numero sed maritorum annos suos computant et exeunt matrimonii causa, nubunt repudii? " (III, 16, 2), oramai forse qualcuna arrossisce per un ripudio, dopo che  alcune donne famose e nobili contano i loro anni non con il numero dei consoli ma con quello dei mariti ed escono di casa per sposarsi, si maritano per divorziare?
Subito dopo il filosofo aggiunge:"Numquid iam ullus adulterii pudor est, postquam eo ventum est, ut nulla virum habeat, nisi ut adulterum inrītet? Argumentum est deformitatis pudicitia " (III, 16, 3), c'è forse più un poco di vergogna dell'adulterio, dopo che si è arrivati al punto che nessuna donna ha il marito, se non per stimolare l'amante? La pudicizia è indizio di bruttezza..
 
L’esempio partiva dalle donne dell’alta società già nell’ultima età repubblicana: si pensi alla Sempronia di Sallustio complice di Catilina. Era una donna colta: “litteris Graecis, Latinis docta, psallere saltare elegantius quam necesse est probae, multa alia, quae instrumenta luxuriae sunt. Sed ei cariora semper omnia quam decus atque pudicitia fuit" ( Bellum Catilinae , 25) sapeva di lettere greche e latine, suonare e danzare più raffinatamente di quanto convenga a una donna onesta e molte altre arti che sono strumenti di lussuria. Ma  tutto le fu sempre più caro del decoro e della pudicizia.
 
Sentiamo qualche parola dei Greci su  aijdwv" pudore, rispetto, senso di vergogna.
Aijdwv" è  considerato già da Esiodo uno dei pilastri del vivere umano e civile (l'altro è Nevmesi", la riprovazione, lo sdegno): quando se ne andranno dalla terra  non ci sarà più scampo dal male (Opere, 200-201).
La vergogna, ossia la riservatezza e il ritegno contaddistinguono il giovane beneducato da quello petulante e sfacciato  nelle Nuvole  di Aristofane dove il discorso giusto prescrive al ragazzo di essere "th'" aijdou'"...ta[galm& "(v. 995), l'immagine del ritegno. Al tempo dell'ajrcaiva paideiva (961, l'educazione antica) infatti la castità (swfrosuvnh, 962) era tenuta in gran conto: nessuno modulando mollemente la voce andava verso l'amante facendo con gli occhi il lenone a se stesso (980).
Nel mito di Prometeo del Protagora  di Platone (322b): senza aijdw'" e divkh, "virtù altrettanto morali quanto politiche", distribuite a tutti non esisterebbero le città:"Hermes è incaricato di portarle agli uomini; ma, nella distribuzione, deve fare l'opposto di quello che aveva fatto Prometeo: non dare a ciascuno una capacità differente, ma le stesse a tutti egualmente e indistintamente"[6]. 
 
Virgilio dunque dà voce agli scrupoli sessuali che trattengono la regina, mentre la sorella Anna con la voce del buon senso le consiglia di non opporsi anche a un amore gradito ("placitone etiam pugnabis amori? ", v. 38) e dunque naturale;  tuttavia tale modo reale e razionale di vedere eros viene smontato dal poeta
Simile a quello di Anna è il consiglio della nutrice di Fedra che, con ragioni del resto assai diverse da quelle di Didone, lotta contro la propria passione nell'Ippolito di Euripide :" ouj lovgwn eujschmovnwn-dei' s j, ajlla; tajndrov"", vv. 490-491, tu non hai bisogno di discorsi speciosi, dice l’anziana alla giovane innamorata, ma di quell'uomo.
Le proposte delle nutrici spesso sono più convincenti di quelle degli accigliati catoniani:"nutrīcum et paedagogorum rettulēre mox in adulescentiam mores "[7], ben presto i ragazzi riproducono nella giovinezza i costumi di nutrici e pedagoghi.  
Bologna 7 giugno 2021 ore 19, 31
giovanni ghiselli
 


[1] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 328.
[2] Appellata est enim ex viro virtus: viri autem propria maxime est fortitudo, cuius munera duo sunt maxima: mortis dolorisque contemptio " (Cicerone , Tusc., 2, 43), la virtù infatti deriva da vir ed è soprattutto propria dell'uomo la fortezza i cui principali compiti sono due: il disprezzo della morte e del dolore. Enea disprezzerà sì la morte e il dolore, ma quelli dell'amante Didone.  
[3] Eneide I, 588-593.
[4] Odissea, VI, 232-235)
[5] Factorum et dictorum memorabilium libri , VI, 1.
[6]J. P. Vernant, Mito e pensiero presso i Greci , p. 299. 
[7] Seneca, De ira , II, 21.

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