venerdì 11 giugno 2021

La vacanza sciistica a Moena nel marzo del 1981. 18

Il dialogo alla Malga Panna

Gianni. Tu ora stai preparando due esami di teatro non facili. Da me, quanto meno, ricevi un metodo, una disciplina e un ritmo di studio. Poi, quanto più si allarga la tua umanità, tanto più impàri e mi restituisci moltiplicato. Quei due non ci hanno offerto il loro amore, è vero, però nemmeno noi glielo abbiamo chiesto. Io almeno non l'ho fatto.

Ifigenia. Io nemmeno. Anche in quello che dici tu c'è del vero. E tu pure, sicuramente hai un'anima non ordinaria. Io probabilmente ti amo ancora. Però l'anno prossimo, anzi, subito dopo gli esami, andrò a cercare lavoro, a vivere, in una grande città dove nascono le idee, dove si crea cultura, dove si dà e si prende, si fa e si disfa il potere: a Roma, o a Milano. E voglio andarci senza te. Per imparare a cavarmela da sola, o forse piuttosto per avere l'opportunità di incontrare un altro maestro geniale, uno che mi aiuti a crescere nel campo attoriale. Tu mi hai spinta a pensare, a studiare; mi hai donato la vita tua e  hai chiarito la mia a me stessa: te ne sono, te ne sarò grata sempre; ma presto avrò bisogno di imparare delle cose che tu non puoi insegnarmi. Io sento la necessità di recitare, come tu senti il bisogno di scrivere. Perciò è meglio se ci lasciamo presto, o anche subito".  

Le stavo seduto di fronte e avevo il fuoco sul fianco destro, piuttosto vicino: sudavo, mi bruciavano gli occhi, mi tremavano le mani al pensiero della fine anticipata e non catastrofica del nostro rapporto. Per fortuna non era destino. Ma allora non lo sapevo: dovevo mettercela tutta per arrivare con lei fino al momento in cui avrei sentito la necessità di cominciare a scrivere.  

Ad un tratto un pezzo di fuliggine o qualcosa del genere mi entrò nell'occhio destro: il più miope, il più debole, e già aspreggiato sia dal fumo, sia dalla lente a contatto che portavo da diverse ore. 

Cominciai a lacrimare.

"Scusa – dissi – mi è entrato un pezzo di non so che roba in un occhio".

Ifigenia mi accarezzò. La cameriera grassotta ci osservava dal banco con i suoi piccoli occhi, affondati nella carne copiosa, e protetti dalle scintille. Dovevo fare pietà anche a lei.  Ifigenia disse: "Che tragedia!".

"Perché tragedia? – domandai – Se non vuoi più stare con me, lasciami anche subito".

 "Non è così semplice - rispose - Nonostante tutto, io credo di amarti; o, quanto meno, mi sento ancora legata a te". 

Il pezzo di roba uscì dall'occhio straziato che provò sollievo; asciugai la guancia lacrimosa e, recuperato un poco di coraggio, dissi:" Io sono sicuro di amarti poiché ho plasmato il tuo spirito e mi sono lasciato potenziare, raddrizzare, nel mio, debole e sghembo, dalla tua forza di ragazza esemplarmente bella. I tarli, è vero, ancora purtroppo ci sono, ma quale logica ci sarebbe nel lasciarci, prima che i sentimenti positivi siano esauriti e sia compiuta l'opera di educazione reciproca? Pensa a quante cose buone possiamo mettere insieme noi due. Aspettiamo di non avere altro da costruire in comune, arriviamo almeno a superare i tuoi esami per i quali sto studiando anche io, tanto che finora non ho trovato il momento opportuno per cominciare la mia, la nostra creazione secondo lo spirito. Non potrò più sopportare me stesso se non riuscirò a dimostrarti di sapere scrivere un capolavoro ispirato da te e degno di me. Dammi questa possibilità di redenzione e riscatto: vedrai che gli errori miei e tuoi, le nostre pene, delusioni e sconfitte, troveranno una giustificazione estetica e morale, nella bellezza e nell’educazione voglio dire, e noi ci innamoreremo di nuovo l'una dell'altro, come quando tu credevi in una vita felice con me, e ci credevo quasi anche io. Poi è successo qualcosa: un salto retrogrado nell'abisso degli antichi terrori, cioé delle nostre famiglie. Quasi un riflesso condizionato. Ma ora ne parliamo: ne stiamo prendendo coscienza. Perché dobbiamo lasciarci, mentre la vicendevole educazione non è compiuta, e la mia opera non è nemmeno avviata?"

Tirai il fiato. Ce l'avevo messa tutta, non potevo aggiungere altro. La guardai attentamente cercando di piacerle, di essere espressivo e non stralunato nonostante soffrissi ancora lo strazio della cornea colpita dalle faville ardenti.

La studiavo: era bella, cupamente bella; il suo volto veniva acceso e infuocato mpiuttosto che illuminato con chiarezza dai guizzi delle fiamme. "Se perdo una donna di questo formato - pensai - dove ne trovo un'altra che non me la faccia rimpiangere per tutta la vita?".

Finalmente disse la sua sentenza: "Va bene. Possiamo restare insieme. Non so quanto. Io adesso devo pensare agli esami. Dopo si vedrà. Lasciamo fare al destino".

"Manco male", pensai, un'espressione quasi apotropaica, raccolta da allievi e colleghi della scuola media di Carmignano.

"Certo – risposi – come abbiamo fatto sempre, con la coscienza di essere cari agli dei, favoriti da loro e dai nostri caratteri, mai discordi con il volere del fato. Adesso andiamo a dormire, ché è tardi".

Ci alzammo, pagai il conto alla grossa signorina e tornammo alla Campagnola. Non mi sembrò il caso di fare alcun'altra proposta. Sicché ognuno andò direttamente in camera sua.


Bologna 11 giugno 2021 ore 10, 34


giovanni ghiselli


p. s.


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