NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 21 giugno 2021

Shakespeare, "Riccardo III". Rilettura. III

Aggiungo questo pensiero dopo la rilettura.
Le madri nelle tragedie, quelle scritte e quelle vissute, sono spesso nodi di dolore. Gli uomini che arrivano al potere non possono più farne a meno
L’Antigone di Brecht dice": chi beve il potere/beve acqua salsa, non può smettere, e seguita/per forza a bere". E’ uno degli arcana imperii.
Il potere fa gola a molti che lottano per sostituire quanti lo detengono e questi usano tutti i mezzi per conservarlo. “La Terra  è una foresta di belve” scriveva Foscolo  nelle Ultime lettere di Iacopo Ortis.
Non tutto il mondo ma quello del potere lo è.
Questo capitolo evidenzia l’imbestiarsi del tiranno che prevale sugli altri animali feroci finché la Giustizia lo martella e lo fa precipitare.
Il protagomista del  Macbeth  identifica il meccanismo del potere con una scala i cui gradini sono vite umane da calpestare:"That is a step/On which I must fall down, or else o'erleap / For in my way it lies- " (I, 4), questo è un gradino sul quale devo cadere oppure scavalcarlo poiché si trova sulla mia strada.  Il gradino è Malcolm, un figlio del re ucciso da Macbeth che deve uccidere anche il principe se vuole regnare. Ma anche lui, come Riccardo, cadrà
 
 Nella Torre di Londra dove Riccardo ha mandato due servi prezzolati perché ammazzino suo fratello duca di Clarence, questo prega il secondo sicario che ha qualche scrupolo: “a begging prince, what beggar pities not?” (I, 4, 258) quale mendicante non ha compassione di un principe mendico?
Questo sicario dubitoso prima dice che la sua coscienza si trova nella borsa del duca di Gloucester, cioè di Riccardo che lo paga (I, 4, 122),  poi dopo l’assassinio si pente e lascia tutto il compenso all’altro sicario il quale pugnala Clarence poi lo finisce annegandolo nella botte di malvasia che era nella torre
E il pentito:
take you the fee-pecus-, and tell him (a Riccardo) what I say
For I repent me-me poenitet- that the duke is slain (I, 4, 267-268), prendi tu il compenso e riferiscigli quello che dico, perché mi pento dell’uccisione del duca.
  
 Rodolphe il seduttore  di Emma Bovary  a un certo punto“Giudicò fuori luogo ogni pudore. Trattò l’amante senza il minimo riguardo. La ridusse alla più assoluta docilità, alla più convinta corruzione. Emma aveva per lui un attaccamento idiota, ribollente d’ammirazione: ne ricavava una gran voluttà, una beatitudine paralizzante: la sua anima si sprofondava in quell’ebbrezza, vi si annegava, vi si annullava, come il duca di Clarence nella botte di Malvasia”[1]. 
 
La madre come nodo di dolore.
La duchessa di York , madre di Riccardo, di Edoardo IV e di Clarence, quando viene a sapere della morte di Edoardo lamenta che gli è rimasto solo one false glass (II, 2, 53-54) ) uno specchio menzognero that grieves me when I see my shame in him, che mi addolora quando vedo la mia vergogna in lui. Parla di Riccardo del quale conosce i crimini e la perfidia
 
Quindi replica al lamento dei figli di Clarence e della vedova del re dicendo: “Alas, I am the mother of these griefes-gravis:-Their woes are parcell’d-particula- late latin particella-, mine is general” (Riccardo III, II, 2), ahimé, io sono la madre di questi lutti: i loro dolori sono suddivisi, il mio li comprende tutti. 
 
Simile nodo di dolore è Ecuba che  nelle Troiane di Seneca dice al nuntius il quale è incerto se debba dare le orrende notizie delle uccisioni di Polissena e Astianatte prima alla vecchia regina o alla vedova di Ettore:" quoscumque luctus fleveris, flebis meos:/ sua quemque tantum, me omnium clades premit;/mihi cuncta pereunt: quisquis est Hecubae est miser " (vv. 1061-1062), qualunque lutto piangerai, piangerai il mio: la propria rovina schiaccia ciascuno soltanto, me quella di tutti; tutti gli affetti miei sono morti; chiunque è un caro di Ecuba è infelice! 
 
La complicità di Buckingham con Riccardo. L’amicizia che rende identici.
Ricccardo chiama il complice duca di Buckingham my other self, un altro me stesso (II, 3, 151-152) concistoro dei miei segreti, mio oracolo, mio profeta, mio caro cugino
Cfr. Cicerone, De amicitia: Vero amico  infatti è chi è come un altro se stesso (verus amicus…est enim is, qui est tamquam alter idem (80).
Cfr. Sallustio, Bellum Catilinae, XX, 4: “Nam idem velle atque idem nolle, ea demum firma amicitia est ”, infatti volere e non volere le medesime cose costituisce precisamente la solida amicizia.
Curzio Rufo racconta che Alessandro Magno, dopo la battaglia di Isso (novembre 333) scusò le donne del re sconfitto Dario III le quali avevano scambiato il suo più caro amico Efestione con lui dicendo alla regina madre: “Non errasti…mater; nam et hic Alexander est” (Historiae Alexandri Magni, III, 12),  non hai sbagliato, made; difatti anche questo è Alessandro. 
 
Un cittadino dice che il Duca di Gloucester è pericolosissimo come i figli e i fratelli della regina Elisabetta e se costoro non governassero ma fossero governati "this sickly land might solace-solacium-solor- as before " (II, 3), questa terra malata potrebbe trovare ristoro come prima.
 
Non solo la terra ma pure il cielo viene ammorbato dal capo malato che è il mivasma,  la contaminazione, la  fonte dell’inquinamento
Cfr. quanto dice Tiresia a Edipo: “  Io ti ingiungo di attenerti /al bando che hai proclamato e dal giorno/d'oggi non devi rivolgere la parola né a questi né a me/poiché sei tu l'empio contaminatore di questa terra- wJ" o[nti gh`" th`sd  j  ajnosivw/ miavstori- (Sofocle, Edipo re, vv. 350-353).
 
Come tale si riconosce da subitol’Edipo di Seneca: “fecimus caelum nocens” (Oedipus, 36).
 
Altrettanto pensa il re di Danimarca Claudio lo zio di Amleto che ha assassinato il fratello: “Oh, my offence is rank, it smells to heaven” (Hamlet, III, 3), oh, il mio crimine è fetido, manda il puzzo fino al cielo.
La terra contaminata e desolata diventa tutta una tomba come la Scozia nel Macbeth :"poor country…it cannot be called our mother, but our grave; where nothing, but who knows nothing, is once seen to smile; where sighs, and groans, and shrieks that rend the air, are made, not marked " ( Macbeth, IV, 3), povera terra!…non può essere chiamata nostra madre ma nostra tomba; dove niente, se non chi niente conosce, si vede sorridere, dove sospiri e gemiti e grida che lacerano l'aria, sono emessi, ma nessuno ci fa caso. E'  il nobile Ross che parla.
La connessione organica tra il re o la regina e la sua terra viene messa in rilievo già da Omero e da Esiodo
 
La bestialità del re efferato o comunque non rectus.
 
Riccardo è chiamato the boar da Hastings, il ciambellano che dice: to fly the boar before the boar pursues lat sequor-, prosequor-were to incense the boar to follow us,  fuggire il cinghiale prima che il cinghiale insegua sarebbe aizzare il cinghiale a inseguirci (III, 2, 27-28).
 
Nel Primo Stasimo dell’ Edipo re di Sofocle, il colpevole ricercato, cioè Edipo  viene identificato con l'animale del sacrificio
Il Parnaso, sulla cui pendice occidentale sorge Delfi, ha inviato la parola profetica di scovare l'uomo oscuro il quale, imbestiatosi in toro tra rupi antri e selve, cerca di tenere lontani i vaticini che provengono dall'ombelico del mondo e lo seguono dappertutto incalzandolo come assilli implacabili.
:"Infatti va e viene sotto foresta/selvaggia e su per le grotte, proprio/il toro delle rupi (petrai'oς oJ tau'roς) inutile con inutile piede (mevleoς melevw/ podiv) bandito in solitudine (vv. 477-479).  
"quello di cui la profetica ripe di Delfi disse:-ha compiuto infamie su infamie con mani sporche di strage"(Edipo re, vv.463-466); ovvero l'animale del sacrificio,"il toro delle rupi"(v.478) destinato a divenire la "vittima massima"(cfr. Virgilio, Georgiche, II,146-147:"et maxima taurus/victima ).
Aristofane nella Parabasi delle Vespe (422) si pregia di non essersela presa con gente dappoco ma con i potenti e da subito  proprio con la bestia dalle  zanne aguzze (xusta;ς tw̃/  karcarovdonti,  1031).
E’ Cleone, il demagogo  che ha la voce di un torrente rovinoso e fetore di foca e coglioni immondi di Lamia[2] e culo di cammello (prwkto;n de; kamhvlou, 1035)
giovanni ghiselli
 
 


[1] Flaubert, Madame Bovary, parte seconda capitolo XII (p. 156) 
 [2] Mostro che si ciba di carne umana.

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