Il labirinto, II parte ripubblictaata dopo essere sta riveduta corretta e ampliata
Il metodo comparativo, l’impossibilità di seguire settariamente una sola via, quella dogmatica dei luogi comuni, ha un valore non solo culturale ma anche politico e, aggiungo, pacifista.
Tale unitaria methodos si muove in un labirinto, in un andirivieni che cerca di trovare una concordia anche nella discordia, un’analogia di fondo pur nelle differenze. Tutta la letteratura è imparentata con se stessa.
Il senso storico e quello letterario di T. S. Eliot impongono una visione d’insieme: "with a feeling that the whole of the literature of Europe from Homer and within it the whole of the literature of is own country has a simultaneous existence and composes a simultaneous order"[1], con la sensazione che tutta la letteratura europea da Omero, e, all'interno di essa, tutta la letteratura del proprio paese, ha un'esistenza simultanea e compone un ordine simultaneo.
Accolgo suggerimenti dal libro di Massimo Cacciari La mente inquieta. Saggio sull’umanesimo (AZETA FASTPRESS, Bologna, 2007)
Pico della Mirandola (1463-1494)
Pico nella Oratio de hominis dignitate (1486) cerca, come Eraclito, il logos comune che armonizzi tutti gli opposti. “Il movimento è, insomma, quello stesso della filosofia: tutto scrutando essa lacera-analizza, vi titanica, l’Uno nei molti, ma poi raccoglie (è il senso stesso del termine logos!) vi Phebea, i molti nell’Uno (Massimo Cacciari, La mente inquieta, saggio sull’Umanesimo, p. 78).
Si deve scrivere “dimostrando l’essenziale analogicità che vive nel profondo, nell’essenza di ogni tradizione e delle diverse scuole, una volta che esse vengano emendate ‘dall’accidente’dei loro errori” (p. 78).
L’Oratio vede l’essere umano come infinite possibilità “Frequentare tutti i maestri, esaminare tutte le posizioni, conoscere tutte le scuole”, apprezzare l’ ‘egregio’ che ciascuna contiene-soltanto così Pico costruisce la propria via” (Cacciari, La mente inquieta, p. 81).
“L’essere possibile dell’uomo si apre di fronte alle diverse voci che ne hanno segnato la storia; è chiamato a raccoglierle, a leggerle, e insieme a decidersi in esse (…) Le Conclusiones[2] (…) intendono fornire la prova della realizzabilità di una tale prospettiva. La forma è quella di un labirinto in cui le diverse dottrine si dispongono secondo affinità e differenze, intorno a nuclei tematici che si rincorrono con andamento carsico da un capitolo all’altro (…) Non solo dai ‘molti’ deve emergere la “conclusio secundum opinionem propriam”, opinione che sempre si conferma satis diversa dal comune modo di parlare di filosofi e teologi; paradossale, estranea al sentimento comune, appare anche la disposizione stessa che quei ‘molti’ assumono” (p. 81).
Attraverso la comparazione si può arrivare alla propria originalità.
Il paradosso infatti va oltre l’opinione comune (para; dovxan). Se non si studiasse “paradossalmente” quale senso e quale verso avrebbero la ricerca?
Oltre Platone, Pico va a caccia, “affrontando altre ‘in-audite’ e inquietanti voci (…) perché la magia dopo Platone e Zoroastro caldeo?” (Cacciari Op. cit., p.82
Nel paradosso pichiano “Magia è potere , mögen, è virtus capace di attuare, portare ad atto, energeiai, tutto ciò che in cielo e in terra si trova allo stato potenziale, seminaliter. Proprio le Conclusiones magicae rappresentano a mio avviso il centro filosofico dell’opera” (p. 82)
“E’ la Cabala, infine, nel suo aspetto ‘artistico’ a porre in campo la magia più potente: “nessuna operazione di magia può avere efficacia alcuna, se non sia connessa all’opus cabalae” (p. 83).
La cabala rivela quella dimensione dello spirito in cui si supera la limitatezza dei distinti saperi. “A questo fine mira il labirinto della Conclusiones” di Pico (p. 84)
L’uomo è un miracolo perché è capace di questo. Ma anche del suo opposto. “L’uomo può pervenire alla potenza dell’arte cabalistica, come all’impotenza del bruto” (84).
“Tutti i tre fondamenti possibili : feritas, humanitas, divinitas, insistono nel profondo del suo ‘seme’ (…) La libertà con cui creiamo (…) non potrà mai liberarsi dalla complexio di quella origine”.
Nell’Oratio “si agita l’anelito a oltrepassarsi, a conquistare una ‘misura’ che ci assicuri fuori dal pericolo di smarrirci nel pessimo, magari dopo avere capito il bene (…) Ed è vera anthropine sophia[3] perché appartiene all’uomo soltanto farsi pessimo, così come, all’opposto, tendere a maritarsi all’immortale energeia che nel cosmo si esprime” (p. 84)
“Oratio e Conclusiones sembrano invocare l’aiuto dell’intera Sapienza per soccorre alla finitezza dell’esserci ‘gettato’ nel possibile, per superare la discordia che in noi permane” (p. 84).
“L’interpretazione del pensiero dell’Oratio in chiave ‘pluralistica’ sembra assai superficiale, Piuttosto si dovrebbe parlare di sincretismo, di appresentare in tutta la sua universalità la consona secta dei veri sapienti. Sincretismo nient’affato eclettico, poiché in esso si esprime un orientantamento preciso. L’impossibilità di definire settariamente una sola via, a esclusione di tutte le altre, per raggiungere la verità, e, insieme, l’idea di verità non come ‘sostanza’ da contemplare e neppure come ordine del discorso, ma sapere che si invera nel potere, nella capacità operativa, magica, di quell’essere straordinario che è l’uomo” (p. 86)
La sapientia , sostiene Seneca "res tradit, non verba"[4] insegna ad agire, non solo a parlare. E in un'altra Epistula: "Sic ista ediscamus ut quae fuerint verba sint opera" (108, 35), cerchiamo di apprendere la filosofia in modo che quelle che furono parole diventino azioni.
Infatti "Soltanto il pensiero vissuto ha valore"[5].
Le azione si preparano con il pensiero e con la parola. Ciò che è verbale deve diventare reale in termini di comunicazione produttiva :"aveva visto che la sua esperienza era reale. Era irradiata da lui e l'aveva mutato, aveva attirato verso di lui un'altra creatura umana. Il suo isolamento era infranto."[6].
Le invenzioni, le rivoluzioni puramente verbali, lasciano il tempo che trovano. Si pensi al movimento letterario della neoavanguardia dei primi anni Sessanta. Presentava e propugnava “lo sperimentalismo assoluto, letterario fino all’illeggibilità e all’inservibilità”[7].
Pico della Mirandola nell’Oratio mostra “il tentativo , di grande mole davvero[8], di combinare l’immagine neoplatonica dell’uomo, depurata da ogni verbosa laudatio, con quelle stesse problematiche che nell’Alberti si erano tragice delineate” (p. 74).
“Mirabile l’uomo. Magnum miraculum” (…) “e questo miracolo è veramente tremendo.” (p. 75)
Nessuna cosa è più tremenda dell’uomo (koujde;n ajn-qrwvpou deinovteron pevlei, come canta il primo stasimo dell’Antigone di Sofocle, 332-333).
L’uomo buono è apprendista per tutta la vita.
“Semper homo bonus tiro est ", l'uomo onesto fa tirocinio per tutta la vita, ha scritto Marziale[9] (12, 51, 2).
“Anche l’anima di Pico è sempre “in tirocinio, in prova”, come quella dell’Alberti, come lo sarà (…) quella di Montaigne. Amicizie stellari tutte, dove le dissonanze partecipano necessariamente di una stessa armonia (p. 76)
“Nel mezzo, in un leonardesco vortice più che al centro della natura, è stato posto un essente nullis angustiis cohercitus, la cui felicitas la suprema liberalitas divina ha fatto consistere nell’id esse quod velit. L’uomo, unico essente creato al fine di ricrearsi”: unica natura “alla ricerca di una continua rinascita” (Maria Zambrano).
Questo fine comporta il rovesciamento dell’impostazione etica classica, fondata su un’idea della natura dell’uomo che si è chiamati a portare in atto; ‘divieni ciò che sei’ era ‘l’imperativo’ ; ora esso suona invece: ‘divieni ciò che vuoi, che scegli di essere, o che senti di dovere’ ” (p. 75)
Diventa quello che sei è la somma del pensiero educativo di Pindaro: “gevnoio oi|o~ ejssiv" ( Pitica II, v. 72).
Ma la libertà è un dono tremendo: “ciò che vogliamo è vario, multiforme e cangiante. Due facce dell’universale vicissitudo. L’uomo è, sì, capax Dei, come lo considera il platonismo, capace di ‘indiarsi’ (…) e tuttavia nella sua essenza altri semi, altri germi di vita rimangono incustoditi e possono in ogni istante ridurlo a strisciare a terra come un bruto[10] (…) L’esserci umano è un puramente possibile; libertà in lui non significa che pura apertura all’essere possibile. Non ha certa sede come gli altri enti, è aoikos, diremmo, come L’Eros platonico; non possiede un volto proprio né una figura definita” (Cacciari, Op. cit., p. 75)
Nel Simposio di Platone, Diotima spiega a Socrate che Eros è figlio di Poros e Penìa. penvia=poverà, indigenza. Ha preso dalla madre la povertà: innanzitutto è pevnh" ajeiv povero sempre, e tutt’altro che delicato e bello kai; pollou` dei` aJpalo;" te kai; kalov" , come credono i più.
E’ piuttosto duro, ispido, scalzo e senza casa (ajlla; sklhro;" kai; aujcmhro;" kai; ajnupovdhto" kai; a[oiko") e dorme all’aperto, davani alle porte o in mezzo alle strade. In lui prevale la parte materna ed è ajei; ejndeiva suvnoiko" uno che coabita sempre con l’indigenza.
Invece per quanto gli deriva dal padre Poros (povro"= espediente, accorgimento, risorsa, capacità di arrangiarsi) è insidioso nei confronti di quanti sono belli e buoni, eJpivboulo" ejsti toi`" kaloi`" kai; toi`" ajgaqoi`" dal momento che è coraggioso e temerario e impetuoso-ajndrei`o" w]n kai; i[th" kai; suvntono", formidabile cacciatore, sempre intento a intrecciare intrighi qhreuth;" deinov", ajei; tivna" plevkwn mhcanav", e bramoso sempre di intelligenza e pieno di risorse, kai; fronhvsew" ejpiqumhth;" kai; povrimo", intento a filosofare per tutta la vita, gormidabile incantatore, mago e sofista, filosofw`n dia; panto;" tou` bivou, deino;" govh" kai; farmakeu;" kai; sofisteghv" (Simposio, 203, c-d)
Sembra che Diotima abbia ritratto Socrate.
Su Socrate sofista ha scritto molto Aristofane, soprattutto nelle Nuvole e non ha taciuto Leopardi: “E Socrate stesso, l'amico del vero, il bello e casto parlatore, l'odiator de' calamistri[11] e de' fuchi[12] e d'ogni ornamento ascitizio[13] e d'ogni affettazione, che altro era ne' suoi concetti se non un sofista niente meno di quelli da lui derisi?” (Zibaldone, 3474).
Bologna 7 giugno 2021 ore 17, 58
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Tradition and the Individual Talent (del 1919),
[2] Conclusiones nongentae del 1486 come l’Oratio.
[3] Cfr. Platone, Apologia di Socrate, 20d.
[4]Seneca, Epist. ad Luc. , 88, 32.
[5] H. Hesse, Demian (del 1919), p. 116.
[6] H. Hesse, Klein e Wagner (del 1920), p. 132.
[7] Pasolini, in Saggi sulla Letteratura e sull’arte, p. 2614.
[8] Cfr. :"tantae molis erat Romanam condere gentem "(Eneide, I, 33) ndr
[9] 40ca- 104 d. C.
[10] Uomini e donne “veluti pecora quae natura prona atque ventri oboedientia finxit " che la natura foggiò chini a terra e al servizio del ventre (Sallustio, De coniuratione Catilinae , 1). n.dr.
[11] Da calamistrum, “ferro per arricciare i capelli” (ndr).
[12] Da fucus, “tintura rossa” (ndr).
[13]
Da ascisco, “annetto” (ndr).
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