Conferenza del 12 giugno parte IV
Il labirinto di Creta.
Pasife, Minosse, il Minotauro, Teseo, Arianna, Dedalo.
D’Annunzio, Virgilio, Ovidio.
D’Annunzio rappresenta una Fedra che prima rivendica la nobiltà delle sue origini: “ Ho l’animo possente.
Io sono una Titanide. Mia madre/
nacque dal Sole e dall’Oceanina;/
e per ciò sono anch’io piena di raggi/
e di flutti, sono piena di chiarori e di gorghi”.
Poi però “L’orrore della materna infamia la riafferra, l’orrore del congiungimento bestiale. E il bianco toro condotto dal boaro alla falsa giovenca ella vede, e la lussuria nefanda, e il generato mostro bovino e umano, e il labirinto vorace, in baleni di delirio"
“Ecco, ecco, il toro si precipita
all’inganno, ansa, sbuffa
dall’orribili froge, fiuta, lambe,
lorda…figlia del Sole,
figlia del Sole, fatta
come l’armento, sottomessa all’urto
obbrobrioso, piena
del mostro immondo! Labirinto cieco
ove si sazia di cruento pascolo
il mio fratello, il mio fratello informe!”
Freme e sussulta ella in tutta la sua carne, come sentendo nelle sue ossa la calda midolla della colpa. Chiama la sorella delusa, con la voce che s’arroca nell’odio dell’ospite perfido.
“Ariadne, Ariadne, e tu sorridi
Al rubatore Teseo.
Con l’atuzia cretese egli lo coglie
Con la spada cretese egli lo scanna.
Tratto lo vedo per mille vie,
carname ambiguo”[1].
Teseo usa entrambe le figlie di Pasife e Minosse, Fedra e Arianna.
Con l’aiuto di Arianna uccide il Minotauro, terzo figlio di Pasife e mostruoso fratellastro delle due Minoidi. Più tardi sposerà Fedra che però costerà cara al seduttore: provocherà una tragedia, raccontata da Euripide, innamorandosi di Ippolito il figlio di Teseo e dell’Amazone Ippolita.
Teseo uccideva i mostri e seduceva le donne
Ovidio racconta la storia del Minotauro mostro biforme nato dall’accoppiamento di Pasife figlia del sole con un toro. La donna entrò in una falsa vacca di legno e s’ingravidò. La novitas monstri biformis, il mostro mai visto prima gettò infamia sull’adultera e su tutta la stirpe. Minosse ordina che quell’obbrobrio venga nascosto e rinchiuso in un edificio dai molti giri e dalle cieche muraglie-multiplicique domo caecisque includere tectis (Metamorfosi, VIII, 158).
Dedalo celeberrimo per il talento architettonico costruisce quet’opera, ne confonde i segni e trae in errore lo sguardo con il tortuoso andirivieni delle vie discordi
Virgilio ricorda con un’ e{kfrasi" il labirinto di Creta quando Enea si reca dalla Sibilla cumana
“Dedalo, come si narra, fuggendo i minoici regni,
con rapide penne osando affidarsi al cielo,
attraverso uno strano cammino volò verso le gelide Orse
e infine si posò leggero sopra la calcidica rocca[2].
Restituito a queste terre, per prima cosa, Febo, a te consacrò
il remeggio delle ali e fondò l'enorme santuario .
Sui battenti la morte di Androgeo[3]; poi i Cecropidi condannati
a pagare il fio (sciagura!) tutti gli anni sette e sette
corpi di figli; è lì l'urna, già tratte le sorti.
Di là, elevata sul mare, corrisponde la terra di Cnosso:
qui l’inumano amore del toro e postasi sotto furtivamente
Pasife e la razza mista e la prole bimembre
hic crudelis amor tauri suppostaque furto
Pasiphaë mixtumque genus prolesque biformis
il Minotauro c'è, ricordo di una Venere infame;
Minotaurus inest, Veneris monumenta nefandae
qui la famosa fatica del palazzo e l' inestricabile errare
hic labor ille domus et inextricabilis error
ma di fatto, commiserato il grande amore della fanciulla regale,
Dedalo stesso distrìca gli inganni e le tortuosità del palazzo
guidando le cieche impronte con un filo (Eneide, VI, 14-30)
Torniamo a Ovidio che il mio essere a[topo"[4] mi fa preferire a Virgilio.
Dedalo dunque costruisce un labirinto modellato sul fiume frigio Meandro il quale ambiguo lapsu refluitque fluitque ( Metamorfosi, VIII, 163) con fluire variabile scorre avanti e indietro et nunc ad fontes, nunc ad mare versus apertum-incertas exercet aquas, ita Daedalus implet –innumeras errore vias vixque ipse reverti-ad limen potuit: tanta est fallacia tecti (165-168), ora verso la sorgente, ora volto al mare aperto mette in movimento le acque irregolari, così Dedalo riempie le innumerevoli vie di giri tortuosi e a malapena poté egli stesso tornare alla soglia, tanto grande è l’inganno dell’edificio.
Dopo che vi ebbe rinchiuso la doppia figura del toro e del giovane- postquam geminam tauri iuvenisque figuram-clausit e che il terzo sorteggio reclamato ogni nove anni tertia sors annis repetita novenis ebbe vinto il mostro, pasciuto due volte col sangue dell’Attica- bis pastum mostrum pastum sanguine Actaeo , e come con l’aiuto della ragazza, raggomitolato il filo –filo relecto- venne trovata la difficile porta- ianua difficilis est inventa- mai rinvenuta da allora, il figlio di Egeo tosto rapita la Minoide-rapta Minoide- spiegò le vele per Dia, poi il crudele abbandonò su quella spiaggia la compagna. Questa infine venne soccorsa da Bacco e indiata.
Dedalo intanto preso a odiare l’esilio cretese clausus erat pelago (185) era chiuso dal mare
Allora decise di fuggire volando: “omnia possideat, non possidet aëra Minos” 187, possiada anche tutto il resto, non possiede il cielo Minosse.
“Dixit et ignotas animum dimittit in artes-naturamque novat” (188-189), disse e lascia andare il suo genio a un’arte mai appresa e rinnova la natura.
Il labirinto è una prigione, è un isolamento dell’anima che torna sempre solo in se stessa, si chiude dentro di sé, e per uscirne ci vuole un’arte nuova. Non senza un aiuto.
Bologna 8 giugno 2021 ore 9, 45
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Fedra (del 1909), atto I.
[2] Cuma era una colonia fondata da cittadini di Calcide, principale città dell’Eubea.
[3] Figlio di Minosse ucciso dagli Ateniesi (i Cecropidi dal fondatore della città)
[4] Nel prologo del Fedro di Platone, Socrate dice a Fedro che se non credesse al mito di Borea che rapì Orizia figlia del re Eretteo, come non ci credono oiJ sofoiv, non sarebbe l’uomo strano (a[topo~), fuori posto che è (229c). Potrei dire, facendo il sapiente sofizovmeno~, che un colpo di vento di Borea gettò Orizia giù dalle rupi o dall’Areopago. È un’interpretazione ingegnosa, ma chi la fa, poi deve raddrizzare gli Ippocentauri, la Chimera, e Gorgoni e Pegasi e tutte le stranezze della natura. E per questo ci vuole molto tempo libero: ejmoi; de; pro; ~ aujta; oujdamw`~ scolhv (229e).
Io non sono ancora in grado di conoscere me stesso kata; to; Delfiko;n gravmma, perciò mi sembra ridicolo geloi`on dhv moi faivnetai indagare cose che mi sono estranee - ta; ajllovtria skopei`n. Dunque dico addio a tali questioni, esamino me stesso skopw` ejmautovn, per vedere se per caso io non sia una bestia più intricata e più invasa da brame di Tifone o se sono un essere vivente (zw`/on) più mite e semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di superbia fumosa (Fedro, 230a)
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