Il tradimento
della fede da parte della donna ricordato nell'Ode I 33 è topico
nelle situazioni amorose dei poeti elegiaci i quali ricevono ferite da questa
attitudine dell'amante.
Invano le korivnqiai gunai'ke" nel primo stasimo della Medea di Euripide avevano
protestato contro questo tipo di giudizio malevolo comune dei poeti maschi: i
canti dei poeti antichi smetteranno di ripetere la storia della mia malafede
("ta;n ejma;n
uJmneu'sai ajpistosuvnan
", v. 422). Dopo il tradimento di Giasone a Medea ovviamente.
In effetti la considerazione malevola delle donne si trova
già nell'XI canto dell'Odissea quando Agamennone finito
nell'Ade dopo essere stato trucidato dalla suggerisce a Ulisse di stare molto
attennto anche quando sarà tornato a Itaca:" ejpei; oujkevti pista; gunaixivn" (v. 456), poiché non c'è
più credibilità per le donne.
Poi Esiodo nelle
Opere aveva scritto: chi si fida di una donna, si
fida dei ladri (v. 375). Perciò il fratello dell'autore, Perse, doveva stare
attento a non lasciarsi ingannare da una donna pugostovlo", dal deretano vezzoso, che mentre fa moine
seducenti mira al granaio (vv. 373-374).
Una femmina oraziana
che incarna il tradimento è l'etera Barine.
Nell'Ode II 8 Orazio afferma che
gli dèi non puniscono gli spergiuri in amore, come se il campo erotico fosse
estraneo alla religione e alla morale.
Sembra la trasposizione scherzosa di quello che Tucidide fa dire agli Ateniesi nel
dialogo con i Meli: riteniamo infatti che la divinità, secondo la nostra
opinione, e l'umanità in modo evidente, in ogni occasione,
per necessità di natura ("dia; panto;" uJpo; fuvsew" ajnagkaiva"") dove sia più forte,
comandi, V, 105, 2.
In amore, come in
guerra e in molti altri campi, i rapporti tra gli umani sono puri rapporti di
forza. Barine non viene punita per i suoi spergiuri, non diventa più brutta,
anzi.
Vediamo le prime due strofe saffiche.
"Ulla si iuris tibi peierati/poena, Barīne, nocuisset umquam,/dente si nigro fieres vel uno/turpior
ungui,/ /crederem:sed tu simul obligasti/perfidum votis
caput, enitescis/pulchrior multo iuvenumque prodis/publica cura " ( Ode, II, 8, vv.
5-8), Barìne, se la pena del giuramento violato ti avesse mai nociuto, se
diventassi una dal dente nero o più brutta per una sola unghia, ti crederei: ma
tu appena hai impegnato la tua vita perfida
con i voti, brilli molto più bella e vieni avanti, pubblico tormento per i
giovani.
-iuris peierati poena:"in
nessun'altra cosa come in amore si usa e si abusa a cuor leggero del
giuramento. Ma gli antichi, che erano attaccati con tutta l'anima a una credenza
che aveva tanta parte nella loro religione, nel diritto e nella vita comune,
corsero ai ripari per ingannar se stessi: in amore sì, poiché lo si vede ogni
giorno avvenire senza conseguenze, è lecito giurare falso senza pericolo, nel
resto no"[1].
Perfidum caput è il consueto[2] aggettivo che indica la rottura del foedus e obligare,
impegnare, è coerentemente un verbo del linguaggio giuridico. Enitescis costituisce l' ajprosdovkhton che contrasta con la punizione mancata dell'annerimento
dei denti in conseguenza dello spergiuro (dente
si nigro fieres vel uno/turpior ungui ", vv. 2-3, se diventassi più
brutta per la dentatura annerita o almeno per una sola unghia).
" Orazio,
negando che Barine abbia anche soltanto un tal neo, la glorifica perfetta:
menzognera sì ma perfetta. Noi non possiamo immaginare che le parole del poeta
carezzino, più che non feriscano, l'orecchio dell'ascoltatrice: donne di tal
fatta non possono soffrire che si rinfaccino loro difetti fisici, o, peggio,
l'età, ma sanno bene che mestiere fanno e non si dolgono se lo si ricorda loro
con i debiti riguardi"[3].
Il publica cura del v. 8 sovrappone la terminologia politica
a una situazione erotica. "Orazio rincara la dose: essa non solo non ha
sofferto della fede mancata, anzi a ogni giuramento falso divien più bella, ed
esce per le vie accompagnata da un corteo sempre maggiore di giovani: nel publica
cura si sente l'ironia, che però si rivolge molto più contro gli adoratori
che non contro la bella donna, la quale fa, e ha ragione, i suoi
interessi"[4].
Il tovpo" del giuramento amoroso tradìto.
Pasquali cita varie
testimonianze della sua affermazione per la quale solo in amore è lecito spergiurare.
aggiungo il Simposio
di Platone dove Pausania fa notare che i più pensano che gli stessi dèi
siano indulgenti verso gli spergiuri amorosi:"ajfrodivsion ga;r o{rkon ou[
fasin ei\nai"
(183b), infatti dicono che non c'è giuramento d'amore.
Seguo qualche altra indicazione dell'autore di Orazio lirico :" Tibullo non ne fa uso se non in quella sua Ars
amandi (I 4, 21) posta in bocca a Priapo" (p. 480). Vediamone due
distici:"Nec iurare time: Veneris periuria venti/irrita per terras et
freta summa ferunt.// Gratia magna Iovi; vetuit pater ipse valere,/iurasset cupide
quidquid ineptus amor " (I, 4, vv.
21-24), non aver paura di giurare: gli spergiuri di Venere i venti li
trascinano annullati per le terre e in cima ai flutti. Dobbiamo essere molto
grati a Giove; il padre ha personalmente vietato che avesse valore qualunque
giuramento avesse bramosamente fatto uno spropositato amore.
Del cattivo esempio dato dal padre onnipotente in fatto di
adultèri e tradimenti possiamo ricordare le Nuvole
di Aristofane.
Ma torniamo al cattivo maestro di
Aristofane.
Se
vuoi fare i tuoi comodi, continua l'Ingiusto,
vieni a scuola da me: ti insegnerò a parlare in modo da avere sempre ragione:
"se vieni sorpreso in adulterio-moico;" ga;r
h]n tuvch/" aJlou"- (1079), rispondi a quello
che non hai fatto niente di male-wJ" oujde;n
hjdivkhka"-: quindi devi imputarne la colpa a
Zeus,/ (1080)
anche lui è sottomesso all'amore e alle donne-kajkei'no" wJ" h[ttwn e[rwtov" ejsti kai; gunaikw'n (1081);
e allora tu che sei mortale, come potresti essere più forte- di un dio?
qeou' mei'zon ; "(1082).
Una
menzione ridicola del dongiovannismo di Zeus, e di Poseidone, si trova anche
negli (Uccelli del 414):
"bisogna
proclamare la guerra santa contro Zeus e impedire agli dèi/
di andare e
venire per la vostra terra a cazzo ritto
(toi`si qeoi`sin ajpeipei`n ejstukovsi, da stuvw, “ho un’erezione”, 557)
come una
volta quando scendevano a sedurre le Alcmene
le Alopi e
le Semele"(vv.556-559).
Pasquali fa ancora notare che "Ovidio imita questo passo di Tibullo nell' a. a. I 633
sgg"[5].
Vediamo qualche distici anche del magister Naso:"Iuppiter
ex alto periuria ridet amantum/et iubet Aeolios inrita ferre Notos.// Per Styga
Iunoni falsum iurare solebat/Iuppiter: exemplo nunc favet ipse suo " (Ars Amatoria ,I, 631-634), Giove
dall'alto sorride agli spergiuri degli amanti e ordina che i venti di Eolo li
portino via senza effetto. Sullo Stige Giove era solito giurare il falso a
Giunone: ora favorisce personalmente chi segue il suo esempio.
Ovidio, fa notare Pasquali nella nota citata sopra,
"aveva già adoperato il tovpo"
in forma un po' diversa in due passi degli Amores, assai somiglianti tra
loro: I 8, 85 nec, siquem falles, tu periurare timeto:/ commodat in lusus
numina surda Venus"[6] , e se ingannerai qualcuno tu non
esitare a spergiurare: per i giochi amorosi Venere rende sordi gli dèi.
L'altro passo chiede
indulgenza per gli spergiuri onesti:" Tu, dea, tu iubeas animi periuria
puri/Carpathium tepidos per mare ferre Notos " (Amores , II, 8, 19-20), tu, dea, tu ordina che gli spergiuri
di un animo puro li portino via i tiepidi venti del sud attraverso il mare
Carpatico. La dea naturalmente è Venere, il mare Carpatico è l'Egeo chiamato
così dall'isola di Carpato situata tra Creta e Rodi. Mare, isole e venti
meridionali, tiepidi evocano vacanze e sensualità.
Anche in Anna
Karenina c'è un "codice di norme", quello di Vrònskij, che
ammette lo spergiuro amoroso:" Le norme stabilivano senz'ombra di dubbio
che bisognava pagare un baro, ma non obbligavano a pagare un sarto; che agli
uomini non bisognava mentire, ma si poteva con le donne; che non bisognava
ingannare nessuno ma un marito si poteva ingannare; che non si potevano
perdonare le offese, ma che si poteva offendere, e così via"[7].
Torniamo all’ Ode
II 8 di Orazio:" Expedit matris cineres opertos/fallere et
toto taciturna noctis/signa cum caelo gelidaque divos/morte carentis[8].//Ridet hoc, inquam, Venus ipsa, rident/simplices Nymphae, ferus et
Cupido/ semper ardentis acuens sagittas/cote cruenta " (vv. 9-16), ti
giova ingannare le ceneri sepolte di tua madre e le silenti costellazioni della
notte con l'intero cielo e gli dèi immuni dal gelo della morte. Ride di questo,
lo affermo, la stessa Venere, ridono le Ninfe ingenue e il feroce Cupido che
aguzza sempre i dardi ardenti sulla cote cruenta.
matris cineres opertos (coperti
dalla tomba) fallere: il giuramento sulle ossa e le ceneri dei genitori
è particolarmente grave: lo usa Properzio per rendere indubitabile la sua
dedizione (gravitas) a Cinzia
fino alla morte e oltre:"ossa tibi iuro per matris et ossa
parentis/ si fallo, cinis heu sit mihi uterque gravis " (II, 20,
15-16), te lo giuro sulle ossa di mia madre, sulle ossa di mio padre, se ti
inganno siano opprimenti per me le ceneri di entrambi. Se venisse meno la
gravitas di Properzio interverrebbe negativamente quella della cenere. Ma forse
il poeta sa o teme di essere lui stesso gravis per Cinzia.-
"La scena della terza strofa, il giuramento per la
tomba della madre sotto il cielo stellato è romantica e atta a ispirare terrori
misteriosi. Orazio riprende qui uno spunto che aveva trattato nella sua
romantica giovinezza[9] (epod. XV 1):"nox erat et caelo fulgebat luna
sereno inter minora sidera, cum tu magnorum numen laesura deorum, in verba
iurabas mea",
era notte e la luna brillava nel cielo sereno tra gli astri minori, quando tu,
pronta a violare la potenza degli dèi grandi, giuravi sulle mie parole (vv.
1-4) Si tratta di Neera che giura, falsamente a Orazio "fore hunc amore
mutuum " (v. 10). Ma il Venosano saprà reagire eroicamente: "nec semel offensae cedet constantia formae/si certus
intrarit dolor " (vv. 15-16, un esametro e un dimetro giambico), e la
costanza non cederà alla bellezza una volta rivelatasi odiosa, se un dolore
certo sarà entrato nell’animo
Il non cedere è
caratteristico dell'eroe: lo stesso Orazio
definisce Achille incapace di cedere[10] .
E il rivale felicior , più fortunato
cui il poeta si rivolge con un quicumque es (v. 17), chiunque tu sia-
come il coro o un personaggio della tragedia greca a Zeus (Eschilo, Agamennone 160; Euripide, Troiane , 885) e come Enea a Mercurio (Eneide IV, 577)-,
presto piangerà anche lui l'amore passato da un'altra parte e il poeta a sua
volta riderà:" Heu heu! translatos alio maerebis amores/Ast ego
vicissim risero " (epod. XV vv. 23-24). L'ultimo distico applica all'amore l'idea
dell'orbis che ogni cosa porta in giro, in tutti i sensi.
-Ridet…rident : il poliptoto a cornice e inquam
rafforzano questo distacco sorridente dalla vicenda amorosa, ben diverso dagli
scoppi di gelosia e dalle maledizioni con le quali reagiscono ai tradimenti e
agli spergiuri Catullo e gli elegiaci.
Faccio l'esempio di
Properzio: nel primo libro (pubblicato attorno al 28 a. C.) l'amante geloso
ricorda a Cinzia, la quale lo fa soffrire con la sua leggerezza (levitas)
e la sua perfidia, che lo spergiuro può provocare la vendetta
divina:"desine iam revocare tuis periura verbis,/Cyntia, et oblitos
parce movere deos " (15, 25-26), smettila di tirare fuori di nuovo gli
spergiuri con le tue parole, Cinzia, evita di irritare l'oblio dei numi.
Nel secondo libro,
redatto tra il 28 e il 26, Properzio
sembra replicare all’ ode di Orazio citata sopra.
Sentiamo questa obiezione all’impunità dei tradimenti amorosi"non
semper placidus periuros ridet amantes/Iuppiter et surda neglegit aura
preces./vidistis toto sonitus percurrere caelo,/fulminaque aetheria desiluisse
domo?/non haec Pleiades faciunt neque aquosus Orion,/nec sic de nihilo fulminis
ira cadit;/periuras tunc ille solet punire puellas,/deceptus quoniam flevit et
ipse deus " ( Properzio, II, 16, 47-54), non sempre Giove ride calmo
degli amanti spergiuri e con orecchie sorde trascura le preghiere. Hai visto i
tuoni trascorrere per tutto il cielo e i fulmini saltati giù dalla dimora
eteria? Questi non sono effetti delle Pleiadi né del piovoso Orione, né così
cade dal niente l'ira del fulmine; allora quello suole punire le ragazze spergiure,
poiché anche lui stesso, un dio, pianse ingannato.
E' il ribaltamento del gioco sofistico che utilizzato dal
Discorso Ingiusto nelle Nuvole di
Aristofane e ripreso da orazio, poi da Ovidio. Anzi, secondo Pasquali
"l'ultimo verso par quasi una risposta alla elegia citata dal primo libro
di Tibullo ( I, 4, 21-24 citato sopra) pubblicato appunto in quello stesso
torno di tempo: come lì Giove perdonava, conscio di aver dato lui il cattivo
esempio, così qui punisce per dispetto degli inganni in cui egli è caduto"[11]. Properzio in un'altra elegia del medesimo libro fa dipendere
la malattia di Cinzia non tanto dal caldo canicolare quanto dal fatto che la
fanciulla non ha rispettato gli dèi:" venit enim tempus, quo torridus
aestuat aer,/ incipit et sicco fervĕre terra Cane./sed non tam ardoris culpa est
neque crimina caeli,/quam totiens sanctos non habuisse deos " (II, 28,
5-6), è venuto il tempo nel quale l'aria ribolle torrida, e la terra comincia a
bruciare per la Canicola
assetata. Ma la colpa non è tanto del caldo né delitto del cielo, quanto non
avere considerati santi gli dèi. Il tovpo" degli spergiuri si trova anche in un'altra elegia di Tibullo, quella contro il fanciullo
Maratho (I, 9). Il poeta all'inizio utilizza il motivo della sera numinis
vindicta , la punizione divina che tarda ma arriva contro gli spergiuri:" Ah miser, et siquis primo periuria
celat,/sera tamen tacitis Poena venit pedibus!" (vv. 3-4), ah
sciagurato, se qualcuno in un primo momento nasconde gli spergiuri, la
punizione arriva comunque anche se tardi con piedi silenziosi.
Appendice
Una confutazione generale all’impunità di tutte le
malefatte
la Giustizia di cui Zeus è garante arriva, prima o poi, ma sempre.
Lo afferma Solone dell'Elegia alle Muse :" pavntw" u{steron h\lqe
divkh"(fr. 13 W.,
v. 8), più tardi in ogni caso arriva giustizia.
Plutarco
nello scritto I ritardi della punizione divina cita un proverbio: “i mulini
degli dei macinano tardi” (550) La formulazione completa è che essi macinano
tardi, però macinano finemente. L’autore dei Moralia spiega tale lentezza con la volontà divina di dare un
esempio “per eliminare la violenza e il furore delle nostre vendette. Il dio
insegna a non aggredire chi ci ha offeso” (550 E).
Orazio
ricorda che “raro antecedentem
scelestum/deseruit pede Poena claudo” (Carm.,
III, 2, 31-32), raramente la Pena
dal piede zoppo lasciò davanti a sé il colpevole. Si pensi alla zoppia del
tiranno che dopo tutto si punisce da solo.
E Stazio, a proposito delle “ardite femmine spietate” dell’isola di
Lemno, le quali “tutti li maschi loro a morte dienno”[12] ricorda, attraverso il racconto di
Ipsipile, che “lentoque inrepunt agmine
Poenae” (Tebaide, V, 60), le punizioni che procedono in colonna, senza
fretta, quindi la “divum sera per aequor
iustitia” ( V, 359-360), la giustizia degli dèi che arriva tardi, ma arriva.
Ancora: in La tempesta
di Shakspeare, Ariele ricorda ai tre peccatori (You are three men of sin, III, 3) Alonso, Sebastiano e Antonio i
quali hanno spodestato da Milano il buon Prospero, che per il loro atto “The powers, delayng, not forgetting,
have-Incens’d the seas and shores”, le potenze che rimandano, non scordano,
hanno aizzato i mari e le rive.
Bologna 6 giugno 2021 ore 11, 55
giovanni ghiselli
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[1] G. Pasquali, Orazio lirico, p. 477.
[2]Cfr. perfide in Catullo 64, 133
già visto; più avanti lo troveremo in bocca a Didone in Eneide IV 305.
[3]G. Pasquali, Orazio lirico, p. 484.
[4]G. Pasquali, Orazio lirico, p. 485.
[5]G. Pasquali, Orazio lirico, p. 480, n. 2.
[6] G. Pasquali, Orazio lirico, p. 480, n. 2.
[7] L. Tolstoj, Anna Karenina, p. 310.
[8]
carentis=carentes.-
[9] Pasquali, op. cit., p. 485. Gli Epodi furono
pubblicati intorno al 30 a.
C.
[10] Odi , I, 6,
6.
[11] G. Pasquali, Orazio lirico, p. 481.
Già docente di latino e greco nei Licei Rambaldi di Imola, Minghetti e Galvani di Bologna, docente a contratto nelle università di Bologna, Bolzano-Bressanone e Urbino. Collaboratore di vari quotidiani tra cui "la Repubblica" e "il Fatto quotidiano", autore di traduzioni e commenti di classici (Edipo re, Antigone di Sofocle; Medea, Baccanti di Euripide; Omero, Storiografi greci, Satyricon) per diversi editori (Loffredo, Cappelli, Canova)
NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica
Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica
LE NUOVE DATE! Protagonisti della Storia Antica | Biblioteche Bologna - Tutte le date link per partecipare da casa: meet.google.com/yj...
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