Aggiunta dopo una rilettura in vista dell’inizio del
corso.
Fromm asserisce che la storia della cosiddetta civiltà
è un documento di sadismo e distruttività. Come mai questa catena di genocidi
non ha avuto un termine in millenni di storia?
Perché i crimini dei vinti vengono giustamente
esecrati, mentre i delitti dei vincitori sono sistematicamente santificati e
fatti passare come difese della civiltà, addirittura della vite umane. Questo
mi dissero quando ero fanciullo e chiedevo quale fosse la ragione delle bombe
atomiche sulle città giapponesi.
Se tutti i genocidi venissero maledetti, anche quelli
dei vincitori, come accade nelle Troiane di
Euripide dove Ecuba accusa i Greci distruttori di Troia e assassini pure dei
bambini dicendo che i veri barbari sono loro, e dove Cassandra evidenzia le sciagure
di tutti quelli che fanno le guerre, forse questo documento di sadismo e
distruttività avrebbe termine.
I giuramenti che non vanno
fatti. La storia come mattatoio
All’inizio
del IV atto troviamo la madre di Riccardo, duchessa di York, la regina
Elisabetta vedova di Edoardo IV e madre dei loro due figli Edoardo erede legittimo e Riccardo, il marchese di
Dorset, figlio di primo letto della regina vedova e di John Grey, poi Anne che
Riccardo il protagonista ha sposato ed è diventata duchessa di Gloucester e con
lei la figlia di Clarence fatto ammazzare nella torre
La
madre di Riccardo saluta Anne e la nipote Plantageneta (my nice Plantagenet, IV, 1, 1), la figlia di Clarence
Nello
stemma del fondatore della dinastia Goffredo il Bello ( 1113-1151) conte
d’Angiò e duca di Normandia era raffigurata una ginestra. Goffredo sposò
Matilde figlia di Enrico I d’Inghilterra e il loro figlio sarà Enrico II re di
Inghilterra nel 1154. I Plantagenti regnarono fino a Riccardo III morto nel
1485. Seguono i Tudor: Richmond figlio di Edmondo Tudor sconfigge Riccardo e
sposa Elisabetta, figlia di Edoardo IV. Diviene Enrico VII padre di Enrico VIII
e nonno di Elisabetta I.
Anne
dice che è diretta alla torre per salutare i principini.
Poi
entra Brakenbury il luogotenente della torre
Elisabetta
gli domanda come stanno i suoi figli. Il luogotenente risponde right well, dear madam (IV, 1, 15) però
aggiunge: “By your patience-I may not suffer yiou to visit them”, abbiate
pazienza, non posso permettervi di visitali. Il re l’ha rigorosamente vietato (
16-17)
Elisabetta
sapeva che il re doveva essere suo figlio Edoardo, quale legittimo erede, e
domanda: “chi sarebbe il re?”
Il
luogotenente si corregge: I mean Lord
Protector (19), intendo il Lord Protettore
La
regina vedova e la madre di Riccardo, la nonna e la mamma dei bambini, dicono
che vogliono vederli e ne hanno diritto.
Alla
richiesta si associa Anne dicendo “sono secondo legge la loro zia e mi prendo
la responsabilità”.
Ma
il luogotenente dice”I am bound by oath;
and therefore pardon me” (27), sono legato da un giuramento e perciò
scusatemi.
Il
giuramento non dovrebbe essere vincolante quando si giura di compiere un
crimine.
Lo
dice Cicerone ricordato poi da
Dante.
L’Arpinate
scrive che Agamennone non avrebbe dovuto tenere fede al voto fatto a Diana di
consacrarle la creatura più bella nata nel suo regno in quell’anno: “promissum potius non faciendum quam tam
taetrum facinus admittendum fuit” (De
officiis, III, 95), non avrebbe dovuto fare la promessa piuttosto che
commettere un delitto tanto ripugnante.
Dante scrive: “Non prendan li mortali voto a ciancia:/siate fedeli, e a ciò
far non bieci,/come Ieptè alla sua prima mancia;/cui più si convenìa dicer ‘Mal
feci’/che, servando, far peggio; e così stolto/ritrovar puoi il gran duca de’Greci,/onde
pianse Ifigenia il suo bel volto,/ e fe’
pianger di sé i folli e i savi/ch’udir parlar di così fatto colto” (Paradiso, V, 64-70)
Entrambi,
per mantenere un voto sconsideratamente fatto, sacrificarono una figlia. Jeftè
l’unica figlia che aveva.
Quindi
entra Stanley conte di Derby.
Dice
ad Anne che deve andare a Westmister per essere incoronata regina
Elisabetta
capisce che per i suoi figli è finita e chiede che le slaccino il vestito
perché è vicina a svenire. Il figlio di pimo letto Dorset la incoraggia
Ma
la madre lo spinge a fuggire al di là del mare andando da Richmond.
Questo
è il conte di Tudor che sconfiggerà
Riccardo III nel 1485 e diverrà re Enrico VII.
Elisabetta prega il figlio di fuggire da quel
mattatoio –slaughter house per non
accrescere il numero dei morti (43-44) .
Nel
Macbeth, dopo l’assassinio del re Duncam, i due figli ne parlano. Sospettano già
di Macbeth e Malcolm dice che andrà in Inghilterra, quindi Donalbain gli risponde:
io in irlanda “where we are, there’s
daggers in mens’s smile; the near in blood, the nearer bloody” (II, 3) qui
dove siamo ci sono pugnali nei sorrisi degli uomini; il vicino nel sangue è il
sanguinario più vicino.
La
storia come mattatoio
“Di questa sequela di crimini sfuggono le
motivazioni nonché le ragioni della sua ininterrotta durata, sicché la storia
nel suo complesso si configura, per dirla con Hegel, come un “mattatoio” di
dimensioni planetarie[1]
ovvero come un insondabile mysterium
iniquitatis. A questo punto-possiamo osservare con Gramsci-“irrazionale” e
“mostruoso” ci appare il “passato” in quanto tale: la storia nel suo complesso
si configura come una “grottesca vicenda di mostri”, come “teratologia”[2]”
[3].
Fromm assimila il genocidio
di Cartagine perpetrato dai Romani ad altri scempi commessi dai vincitori nei confronti
dell’umanità: “The history of
civilization, from the destruction of Carhage and Jerusalem to the destruction
of Dresden, Hiroshima, and the people, soil, and trees of Vietnam, is a tragic
record of sadism and destructiveness” (The
anatomy of human destructiveness,
p. 192), la storia della “civiltà” dalla
distruzione di Cartagine e Gerusalemme, alla distruzione di Dresda, Hiroshima,
e del popolo, del suolo, degli alberi del Vietnam, è un documento tragico di
sadismo e distruttività. Aggiungerei i bombardamenti israeliano-palestinesi di
questi giorni
Già docente di latino e greco nei Licei Rambaldi di Imola, Minghetti e Galvani di Bologna, docente a contratto nelle università di Bologna, Bolzano-Bressanone e Urbino. Collaboratore di vari quotidiani tra cui "la Repubblica" e "il Fatto quotidiano", autore di traduzioni e commenti di classici (Edipo re, Antigone di Sofocle; Medea, Baccanti di Euripide; Omero, Storiografi greci, Satyricon) per diversi editori (Loffredo, Cappelli, Canova)
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