mercoledì 23 giugno 2021

Shakespeare, "Riccardo III". Rilettura. VI

Aggiunta dopo una rilettura in vista dell’inizio del corso.
Fromm asserisce che la storia della cosiddetta civiltà è un documento di sadismo e distruttività. Come mai questa catena di genocidi non ha avuto un termine in millenni di storia?
Perché i crimini dei vinti vengono giustamente esecrati, mentre i delitti dei vincitori sono sistematicamente santificati e fatti passare come difese della civiltà, addirittura della vite umane. Questo mi dissero quando ero fanciullo e chiedevo quale fosse la ragione delle bombe atomiche sulle città giapponesi.
Se tutti i genocidi venissero maledetti, anche quelli dei vincitori, come accade nelle Troiane di Euripide dove Ecuba accusa i Greci distruttori di Troia e assassini pure dei bambini dicendo che i veri barbari sono loro, e dove Cassandra evidenzia le sciagure di tutti quelli che fanno le guerre, forse questo documento di sadismo e distruttività avrebbe termine.
I giuramenti che non vanno fatti. La storia come mattatoio
 
All’inizio del IV atto troviamo la madre di Riccardo, duchessa di York, la regina Elisabetta vedova di Edoardo IV e madre dei loro due figli  Edoardo  erede legittimo e Riccardo, il marchese di Dorset, figlio di primo letto della regina vedova e di John Grey, poi Anne che Riccardo il protagonista ha sposato ed è diventata duchessa di Gloucester e con lei la figlia di Clarence fatto ammazzare nella torre
La madre di Riccardo saluta Anne e la nipote Plantageneta (my nice Plantagenet, IV, 1, 1), la figlia di Clarence
Nello stemma del fondatore della dinastia Goffredo il Bello ( 1113-1151) conte d’Angiò e duca di Normandia era raffigurata una ginestra. Goffredo sposò Matilde figlia di Enrico I d’Inghilterra e il loro figlio sarà Enrico II re di Inghilterra nel 1154. I Plantagenti regnarono fino a Riccardo III morto nel 1485. Seguono i Tudor: Richmond figlio di Edmondo Tudor sconfigge Riccardo e sposa Elisabetta, figlia di Edoardo IV. Diviene Enrico VII padre di Enrico VIII e nonno di Elisabetta I.
Anne dice che è diretta alla torre per salutare i principini.
Poi entra Brakenbury il luogotenente della torre
Elisabetta gli domanda come stanno i suoi figli. Il luogotenente risponde right well, dear madam (IV, 1, 15) però aggiunge:  By your patience-I may not suffer yiou to visit them”, abbiate pazienza, non posso permettervi di visitali. Il re l’ha rigorosamente vietato ( 16-17)
Elisabetta sapeva che il re doveva essere suo figlio Edoardo, quale legittimo erede, e domanda: “chi sarebbe il re?”
Il luogotenente si corregge: I mean Lord Protector (19), intendo il Lord Protettore
La regina vedova e la madre di Riccardo, la nonna e la mamma dei bambini, dicono che vogliono vederli e ne hanno diritto.
Alla richiesta si associa Anne dicendo “sono secondo legge la loro zia e mi prendo la responsabilità”.
Ma il luogotenente dice”I am bound by oath; and therefore pardon me” (27), sono legato da un giuramento e perciò scusatemi.
Il giuramento non dovrebbe essere vincolante quando si giura di compiere un crimine.
 
Lo dice Cicerone ricordato poi da Dante.
L’Arpinate scrive che Agamennone non avrebbe dovuto tenere fede al voto fatto a Diana di consacrarle la creatura più bella nata nel suo regno in quell’anno: “promissum potius non faciendum quam tam taetrum facinus admittendum fuit” (De officiis, III, 95), non avrebbe dovuto fare la promessa piuttosto che commettere un delitto tanto ripugnante.
Dante scrive: “Non prendan li mortali voto a ciancia:/siate fedeli, e a ciò far non bieci,/come Ieptè alla sua prima mancia;/cui più si convenìa dicer ‘Mal feci’/che, servando, far peggio; e così stolto/ritrovar puoi il gran duca de’Greci,/onde pianse Ifigenia  il suo bel volto,/ e fe’ pianger di sé i folli e i savi/ch’udir parlar di così fatto colto” (Paradiso, V, 64-70)
Entrambi, per mantenere un voto sconsideratamente fatto, sacrificarono una figlia. Jeftè l’unica figlia che aveva.
 
Quindi entra Stanley conte di Derby.
Dice ad Anne che deve andare a Westmister per essere incoronata regina
Elisabetta capisce che per i suoi figli è finita e chiede che le slaccino il vestito perché è vicina a svenire. Il figlio di pimo letto Dorset la incoraggia
Ma la madre lo spinge a fuggire al di là del mare andando da Richmond.
Questo è  il conte di Tudor che sconfiggerà Riccardo III nel 1485 e diverrà re Enrico VII.
 Elisabetta prega il figlio di fuggire da quel mattatoio –slaughter house per non accrescere il numero dei morti  (43-44) .
Nel Macbeth, dopo l’assassinio del re Duncam, i due figli ne parlano. Sospettano già di Macbeth e Malcolm dice che andrà in Inghilterra, quindi Donalbain gli risponde: io in irlanda “where we are, there’s daggers in mens’s smile; the near in blood, the nearer bloody” (II, 3) qui dove siamo ci sono pugnali nei sorrisi degli uomini; il vicino nel sangue è il sanguinario più vicino.
 
La storia come mattatoio
 “Di questa sequela di crimini sfuggono le motivazioni nonché le ragioni della sua ininterrotta durata, sicché la storia nel suo complesso si configura, per dirla con Hegel, come un “mattatoio” di dimensioni planetarie[1] ovvero come un insondabile mysterium iniquitatis. A questo punto-possiamo osservare con Gramsci-“irrazionale” e “mostruoso” ci appare il “passato” in quanto tale: la storia nel suo complesso si configura come una “grottesca vicenda di mostri”, come “teratologia”[2][3]. 
 
Fromm assimila il genocidio di Cartagine perpetrato dai Romani ad altri scempi commessi dai vincitori nei confronti dell’umanità: “The history of civilization, from the destruction of Carhage and Jerusalem to the destruction of Dresden, Hiroshima, and the people, soil, and trees of Vietnam, is a tragic record of sadism and destructiveness” (The anatomy of human destructiveness, p. 192), la storia della “civiltà”  dalla distruzione di Cartagine e Gerusalemme, alla distruzione di Dresda, Hiroshima, e del popolo, del suolo, degli alberi del Vietnam, è un documento tragico di sadismo e distruttività. Aggiungerei i bombardamenti israeliano-palestinesi di questi giorni

giovanni ghiselli


[1] Hegel, Werke in zwanzig Bänden, a curadi E. Moldenhauer e K. M. Michel, Suhrkamp. Frankfurt a.. M. (1969-1979) vol. 12, p. 35.
[2] A. Gramsci, Quaderni dal carcere, edizione critica a cura di V. Gerratana, p. 1417.
[3] D. Losurdo, Stalin, p. 310.

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