NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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giovedì 3 giugno 2021

La vacanza sciistica a Moena nel marzo del 1981. 13

Pensieri di un cervello stanco eppure lucido

 

Mi fermai su un dosso  per osservare il torrente che scorre circa un chilometro sotto. Notai un piccolo ponte di legno che una volta non c'era. Vi giunsero alcuni bambini che cominciarono a giocare: gettavano palle di neve e pezzi di ghiaccio nell'acqua corrente che li trascinava verso l'Avisio; gridavano con voci liete  alcune parole che di lassù non potevo capire.

Allora mi sorprese il ricordo del pomeriggio di un agosto remoto. Mi trovavo sullo stesso sentiero, e osservavo dall'alto lo scorrere eterno del rio San Pellegrino. Quand'ecco che sul greto vidi arrivare un gruppetto di bambini della mia età che subito dopo si misero a giocare con l'acqua, con dei rami e con i sassi. Mentre li guardavo, mi accorsi che uno di loro era Gianluca, un mio amico dell'anno prima. Insieme eravamo scesi giù per i prati con una slitta di legno, avevamo seguito le partite di bocce, e avevamo parlato

non solo bene dei nostri parenti  in un giorno di pioggia, riparati sotto un castagno dalle foglie grandi, lucide, scure, simili a ombrelli. Mi piaceva passare il tempo con lui. Quell'estate però, poteva essere l’anno 1955, sebbene fosse già la fine di agosto, non lo avevo ancora incontrato. Come lo vidi, provai gioia. Cominciai a chiamarlo, ma non mi sentiva. Mi diedi ad agitare le braccia, mentre gridavo il suo nome con tutta la mia esile e acuta voce di bimbo. Ero troppo lontano, troppo in alto, e Gianluca non guardava in su siccome tutto  impegnato a giocare con gli altri e con i ciottoli del greto. Dopo  alcuni tentativi, fui certo che  di lì non potevo attirare la sua attenzione; allora mi precipitai giù per il pendìo. Correvo, saltavo, mi rotolavo: mi graffiai, mi sbucciai, mi ammaccai in più punti.  Finché arrivai nel fondo. Desideravo tanto parlare con quell'unico amico, e conoscerne altri. Ma quando fui giunto, non c'era più nessuno. Mi trovai solo, a fissare l’acqua che con la corrente lamentosa tormentava le pietre. Girai per tutta la zona, poi per l'intero paese cercandoli: invano. Ne fui addolorato: dovetti passare in solitudine anche quel pomeriggio e  gli altri che rimanevano.

"Sono stato molto solo a Moena", pensavo il sei marzo del 1981 ricordando l'episodio antico. "In quelle estati lontane, tra questi monti, si prefigurava la mia vita adulta". Volli riprovare a percorrere l'erto pendio per avvicinarmi ai bambini, per ascoltarli e raccogliere segni del volere divino attraverso le loro voci, casuali, eppure forse profetiche. Mentre scendevo, continuavo a guardarli. Ebbene, quando fui a metà, i fanciulli

andarono via di corsa. Allora mi dissi: "Che cosa significa questo?"

"La mia tendenza a giungere tardi".

Mi vennero in mente alcuni versi di un poeta magiaro , Juhàsz Gjula, morto suicida nel  1937:

"Perché tardi son giunto.

So già il peso della mia sorte,

la segreta tristezza e perché non v'è speranza,

perché è pallido l'arcobaleno sul cielo del mio destino

e presto viene la notte. Perché tardi son giunto...

Perciò nessun dizionario mi dà nuovi verbi... perché tardi son

giunto

Perciò non ebbi nella schiera delle fanciulle

un cuore a me devoto... Perché tardi son giunto"

Juhàsz si era ammazzato con il veronal, diceva il manuale di storia della letteratura ungherese, in quanto non era riuscito a rompere il cerchio della solitudine.

"Devo farlo anche io?" Mi domandai. "No", mi risposi. "Dal mio arrivare tardi posso trarre un senso positivo. Significa, è vero, restare solo, dolorosamente,  ma questo mi porta anche a riflettere sulla mia stranezza, sulle mie sofferenze, fino a farne mezzi di crescita personale e di solidarietà umana. Se negli anni Cinquanta a Moena non fossi stato tanto solo, non mi sarei abituato fino da allora a indagare me stesso, ed ora non avrei coscienza di me: sarei un'altra persona, e non credo migliore.

Più tardi, con le donne, il mio giungere tardi si è ripetuto. Helena era incinta di un altro. Päivi abortì, poi disse che non voleva vedermi. Ifigenia, se l'avessi incontrata con qualche mese di anticipo, forse avrebbe cambiato la mia vita solitaria. Aveva detto che quando mi vide la prima volta, nel novembre del '75 , le ero piaciuto assai, ma lei allora era fidanzata. Poi si era sposata e lo era ancora quando il nostro amore  funzionava meravigliosamente. D'altra parte, se mi fossi ammogliato con lei, o se Päivi avesse fatto nascere la nostra bambina, non sarei andato avanti con tutte le forze che ho su questa strada mia che mi porta a educare i giovani  parlando e scrivendo, siccome avrei dovuto affrontare problemi più pratici. Il  ritardare dunque, lo stare in solitudine a riflettere, a fantasticare, a ricordare, sono parti essenziali del mio destino e del mio carattere: mi sono state indispensabili per comprendere e valorizzare il meglio di me. Di una vita privata, famigliare, non sono mai stato capace né desideroso. Anche per questo sono comunista.

Comunque per intervalla solitudinis , grazie a Dio, non mi sono mancate le donne le quali se mi amavano avevano certo il loro perché. Perciò non suicidio, ma accettazione del fato dove è insita una giustizia profonda eppure perscrutabile. Ifigenia, certamente non è la pessima della ghirlanda, e con i problemi di cui mi onera, mi fa scoprire nuovi burroni di solitudine e di sofferenza, però mi apre anche sublimi varchi di luce sopra la testa. Adesso sono inquieto come una tartaruga rovesciata [1] poiché anche io, al pari di quella creatura, non ho trovato la mia posizione naturale”  

Terminato questo pensiero, camminando lungo il torrente, ero arrivato a recuperare l'automobile.

 

Bologna 3 giugno 2021 ore 17, 54

giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] Cfr.Seneca, Ep., 121, 8

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