“Questa sera - le dissi a bruciapelo - vorrei fare l’amore con te”.
Mi osservò in silenzio, poi sorrise e rispose: “ Lo sapevo. Può essere”.
Non ero sicuro che non fosse un may be formulare, magari un segno di cortesia come è talora l’ottativo greco; era un intercalare che avevo già sentito più di una volta da lei. Tatticamente discreto, non insistetti, abbassai pudicamente gli occhi che sprizzavano desiderio e rimisi in moto la nera Volkswagen.
Dopo pochi chilometri arrivammo a Hortobágy ed entrammo nell’osteria. Ci sedemmo tutti al tavolo grande, il solito, quello vicino alla stufa bianca e azzurra.
Päivi mi parlava di sé: io la ascoltavo e la guardavo ammirandola, rilanciando ogni argomento suo con una o più domande e alcune osservazioni.
Mi interessava ascoltare e osservare quella ragazza dai lunghi capelli rossi che donavano indicibilmente al suo seno, al suo eloquio e potenziavano il mio mentre li osservavo. Da allora le rosse mi attirano molto, quanto le brune dopo Helena, Kaisa e Ifigenia.
Per le bionde non ho in testa un paradigma mitico e mi piacciono meno intensamente. Non che siano da buttare via, per carità, ma i loro capelli non evocano l’erba del paradiso, della felicità.
Silvano e Bruno parlavano piuttosto tra loro che con le tedesche.
A un tratto ci osservarono, e Silvano disse: “guarda quei due come comunicano volentieri tra loro. Secondo me ci scappa un grande amore”.
Bruno confermò.
Tradussi l’ottimo auspicio a Päivi, quindi le domandai: “It signs well, does it not? [1] E lei: “Yes, of course, very well”.
Sono ancora grato a Silvano per quella osservazione benevola, che mi incoraggiò. Aveva capito la situazione osservata dal suo punto di vista che confermava il mio sguardo meno obiettivo per mancanza di prospettiva.
Né lui né Bruno erano solo “persone qualunque”, come aveva sentenziato Päivi. Bruno aveva individuato la degradazione della bellissima era di solidarietà culminata nei primissimi anni Settanta. Quella sera i due amici furono profeti delle mie nozze vicine. Avevano dato voce al destino che le benediceva.
Tante volte non ci rendiamo conto di quanto basti poco ad aiutare il prossimo. Non costa niente fare del bene: guardare chi incontriamo con un sorriso non artefatto, dire una parola buona, amichevole, incoraggiante.
Faccio altri due esempi. Il maximum è stato quello di Fulvio che contribuì a salvarmi la vita nel 1966, come ho già rammentato. Ora ne ricordo uno minore ma comunque importante e significativo, questo risale alla metà circa degli anni Cinquanta: ogni volta che pedalo su per una salita situata tra Pesaro e Cattolica, detta la Siligata, mi viene in mente l’evento che riferisco. Avrò avuto appena dieci anni, e pedalavo forse per la prima volta su quella strada.
Dovevo farlo di nascosto e potevo farlo da solo. I miei amici non ne avevano voglia, o la forza, o il coraggio. Io mi impegnavo ballando in piedi sui pedali di una biciclettina rossa, senza cambio. Era un’impresa eroica per un bambino della mia età. Ma non ne avevo coscienza. Ebbene, un uomo in canottiera, probabilmente veneto, si sporse dal finestrino di un camion che mi superava e mi gridò “Sei in gamba, bocia!”. Non so se lui ne avesse idea, ma queste poche parole sue, pauca sed bona dicta, mi hanno aiutato a prendere coscienza di me, di un mio talento e ne ho fatto tesoro. E sono ancora grato a quel signore profetico, chiunque egli fosse. Anche lui aveva dato voce al mio destino, al mio demone buono, forse a Dio stesso. Che Dio, chiunque egli sia, faccia del bene a quell’uomo, dovunque sia ora, un camionista che tanti decenni fa sulla salita della Siligata dove danzavo sui pedali mi ha incoraggiato e mi fatto del bene. Tanto bene che lo ricordo ancora dopo quasi settanta anni.
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1 Cfr. Shakespeare, Antonio e Cleopatra IV, 3. E’ un buon segno, non ti pare?
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