Il Satyricon quale “libro veramente pagano”
Nietzsche considera segno positivo di paganesimo la non conoscenza del peccato:"Si prenda in mano un libro veramente pagano, per esempio Petronio, in cui in fondo non si fa, non si dice, non si vuole e non si giudica niente che non sia, secondo un criterio cristianamente ipocrita, peccato, anzi peccato mortale. E tuttavia, che senso di benessere nell'aria più pura, nella superiore spiritualità dell'andatura più veloce, nella forza liberata e traboccante, sicura del proprio avvenire! In tutto il Nuovo Testamento non si trova una sola bouffonerie: ma con ciò è un libro confutato…Paragonato a quel libro, il Nuovo Testamento rimane un sintomo di una cultura decadente e della corruzione- e come tale ha operato, come fermento della putrefazione"[1].
Quindi il filosofo anti-cristiano rincara faziosamente la dose:"Vediamo che cosa fa "il vero cristiano" di tutto ciò che non si raccomanda al suo istinto: l'insudiciamento e la denigrazione della bellezza, dello splendore, della ricchezza, dell'orgoglio, della sicurezza di sé, della conoscenza, della potenza-insomma dell' intera cultura: il suo intento è quello di togliere la buona coscienza…Si legga Petronio immediatamente dopo il Nuovo Testamento: come si respira, come si spazza via da sé quella maledetta aria da baciapile!"[2].
“E infine chi si sentirebbe autorizzato a tentare la traduzione tedesca di Petronio, che-più di qualunque altro grande musicista-è stato il maestro del “presto” nelle invenzioni, nelle trovate, nelle espressioni!-Che cosa può importarci alla fin fine di tutte le paludi di questo mondo ammalato, perverso, ed anche del mondo “antico”, se possediamo al pari di lui i piedi di vento, il movimento e il respiro del vento, lo scherno liberatore di un vento che ogni cosa guarisce, perché obbliga ogni cosa a correre!”[3].
Quanto al mondo malato, Nietzsche si intendeva di malattia e dello stare male. In una lettera a Paul Rée scrive: “La consegna è sempre questa: “Sopporta! Rinuncia!”[4] Ahimé viene a noia anche la pazienza. Ci vuole pazienza ad avere pazienza”[5].
La religiosità dei Greci
"Ciò che fa stupire nella religiosità degli antichi Greci è la copiosa abbondanza del senso di riconoscenza che emana da essa.:-un tipo di uomo veramente nobile è colui che sta innanzi alla natura ed alla vita in questo atteggiamento!- In seguito, quando in Grecia la plebe ebbe il sopravvento, anche nella religione incominciò a farsi strada il timore; stava preparandosi il cristianesimo"[6].
Per il “senso di riconoscenza” si pensi all’Ode di Saffo con la preghiera ad Afrodite
" Immortale Afrodite dal trono variopinto,
figlia di Zeus tessitrice di inganni, ti prego
non domarmi il cuore con affanni
né angosce, o signora,
ma vieni qua, se mai anche l'altra volta
udendo la mia voce da lontano
mi desti ascolto, e, lasciata la casa d'oro
del padre, giungesti
aggiogato il carro; passeri belli
ti portavano veloci sopra nera terra
fitte roteando le ali dal cielo
nel mezzo dell'aria.
Subito giunsero, e tu, o beata,
sorridendo nel volto immortale
chiedesti che cosa soffrissi di nuovo e perché
di nuovo chiamassi
e che cosa più di tutto volevo che mi toccasse
nel folle cuore:"chi debbo ancora persuadere per te,
in modo da condurlo di nuovo al tuo amore? chi ti fa
torto o Saffo?
E infatti se fugge, presto inseguirà,
se non accetta doni, anzi li farà,
e se non ama, presto amerà
anche se non vuole.
Vieni da me anche ora, liberami dai tormentosi
affanni, e quanto il mio cuore
desidera compiere, compilo, e tu stessa
sii alleata".
“Ciò che non è greco nel Cristianesimo. I Greci vedevano sopra di sé gli dèi omerici non come padroni, e se stessi sotto di loro non come servi, al modo degli Ebrei. Essi vedevano per così dire solo l’immagine riflessa degli esemplari più riusciti della loro stessa casta, cioè un ideale, non un opposto alla loro natura. Ci si sente reciprocamente imparentati, c’è un interesse scambievole, una specie di simmachia (…) mentre i popoli italici hanno invece una vera religione da contadini, con una costante paura di potenze malvagie e capricciose e di spiriti maligni. Dove gli dei olimpici arretravano, anche la vita era più fosca e piena di paura”[7].
Contro l’esternazione del dolore.
“Fin dalla sua origine la fede cristiana è un olocausto: è il sacrificio di ogni libetà, di ogni fierezza, di ogni certezza che lo spirito umano possa raggiungere di se stesso; ed è nello stesso tempo, asservimento, disprezzo di se stessi, mutilazione di sé. C’è un fondo di crudeltà, di religiosità fenicia in questa fede che viene imposta ad una coscienza ormai esausta, priva di identità e consunta dai vizi” Con tale religiosità “tutta la grande sofferenza nascosta si ribella contro il gusto aristocratico che sembra negare la sofferenza”[8]. Devo dire che un fondo di cultura fenicia si trova anche nell’alfabeto dei Greci.
L'autore di Il Gattopardo considera le lamentele poco aristocratiche:"Questi nobili poi hanno il pudore dei propri guai: ne ho visto uno, sciagurato, che aveva deciso di uccidersi l'indomani e che sembrava sorridente e brioso come un ragazzo alla vigilia della Prima Comunione; mentre voi, don Pietrino, lo so, se siete costretto a bere uno dei vostri decotti di senna fate echeggiare il paese dei vostri lamenti. L'ira e la beffa sono signorili; l'elegia, la querimonia, no. Anzi voglio darvi una ricetta: se incontrate un 'signore' lamentoso e querulo guardate il suo albero genealogico: vi troverete presto un ramo secco" (p. 135).
“ La persona di nobili costumi, uomo o donna che sia, non si lascia volentieri cadere sulla sedia come se fosse completamente esausta; evita, laddove tutti cercan di star comodi, per esempio in treno, di appoggiare la schiena; si direbbe che non si stanca quando a corte sta in piedi per ore (…) a un discorso provocatorio, risponde con compostezza e chiarezza di spirito, non come se fosse spaventata, schiacciata, svergognata, alla maniera del plebeo (…) La civiltà aristocratica respira potenza”[9].
In All'ombra delle fanciulle in fiore, Proust scrive di Saint Loup che aveva il pregio della naturalezza, e di “un'eleganza disinvolta, senza nulla di pretenzioso e compassato, senza rigidità, e senza appretto”. Questo è una sostanza chimica che dà lucentezza e tono alle stoffe
Viveva nel lusso ma "in modo negligente e libero, senza puzzare di soldi, senza darsi arie di importanza; il fascino di quella naturalezza lo ritrovava perfino nell’incapacità che Saint Loup aveva conservata (…) d’impedire al proprio viso di riflettere un’emozione" né cercava di impedire al suo viso di riflettere un'emozione.
Si vedeva in quel giovane l'agilità ereditaria dei grandi cacciatori, il loro disprezzo per la ricchezza. A loro i soldi servivano solo per festeggiare gli amici. "Vi sentivo soprattutto la certezza o l'illusione che avevano avuto quei grandi signori di essere “più degli altri” e grazie alla quale non avevano potuto lasciare in legato a Saint-Loup quel desiderio di mostrare che “si vale quanto gli altri”, quella paura di sembrare troppo premurosi che rende così rigida e goffa la più sincera amabilità plebea"(p. 334 e p. 337).
In fondo è lo stile di Petronio, il pobabile autore del Satyricon. Così Petronio elegantiae arbiter , maestro di buon gusto alla corte di Nerone, viene descritto da Tacito: “habebaturque non ganeo et profligator, ut plerique sua haurientium, sed erudito luxu. Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur" (Annales , XVI, 18), ed era considerato non un dissoluto o un dissipatore, come i più tra quelli che sperperano le proprie fortune, ma uomo dalla voluttà raffinata. Le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità.
Se il lamentarsi è un segno di volgarità, il lamento provocato dal dolore può essere anche scusato. Personalmente trovo abominevole lamentarsi del caldo che favorisce la vita.
Nell'Elettra di Sofocle (v.1172) il coro suggerisce alla protagonista che crede di avere perduto il fratello :" mh; livan stevne", non piangere troppo; sei nata da padre mortale, e Oreste pure era mortale.
Pascersi di lacrime è una voluttà depravata, significa non riconoscere la giustizia divina.
“Et fit infelicis animi prava voluptas dolor” (Seneca, Ad Marciam de consolatione, I, 7)
Soprattutto sconveniente è lacrimare in pubblico: nell'Antigone (vv.1247-1249) il nunzio spera che Euridice, appreso il suicidio del figlio, sparga lacrime sotto il suo tetto, non pubblicamente:" mi nutro della speranza/
che, venuta a sapere la pena del figlio, non riterrà degni/
i lamenti in faccia alla città, ma sotto il tetto, all'interno ("ajll j uJpo; stevgh" e[sw"/proporrà alle ancelle di piangere il lutto domestico (vv. 1246-1249) .
Anche nell'Andromaca di Euripide, la nutrice di Ermione consiglia alla ragazza affranta di entrare nel palazzo per non dare spettacolo del suo terrore (vv. 876-878).
Alcesti , l'ottima moglie, moribonda "si è accostata a tutti gli altari che sono nella casa/di Admeto, li ha incoronati e ha pregato/staccando il fogliame dai ramoscelli di mirto,/senza lacrime, senza gemiti, [aklausto" ajstevnakto"", (vv. 170-173).
Platone, come Leopardi, non trova perfetto Achille, senza però che i suoi difetti glielo rendano simpatico come al Recanatese. Il filosofo ateniese ne prescrive la correzione delle lamentele del Pelide in una generale ejpanovrqwsi" dei poeti e delle loro mende educative. Platone vorrebbe cancellare, tra l'altro, i versi pronunciati da Achille quando nell'Ade rimpiange la vita, la vita comunque. Egli osa dire che, pur di essere vivo, sarebbe disposto a servire ("qhteuevmen"[10]) un altro, anche un uomo povero. Questa brama della vita a tutti i costi dovrebbe venire cancellata poiché insegna a preferire il servaggio alla morte.
Vengono altrettanto biasimati e considerati indegni di lettura i pianti e i lamenti del figlio di Tetide, dovunque si trovino rappresentati[11].
Tacito nella Germania (27, 1) fa distinzione tra il pianto dei maschi e quello delle femmine:"Feminis lugere honestum est, viris meminisse ", per le donne è bello piangere, per gli uomini ricordare.
Ancora a proposito dell'ostensione del dolore Nietzsche scrive:"A che cosa rimanda il fatto che la nostra cultura non solo è tollerante verso le estrinsecazioni del dolore, verso le lacrime, i lamenti, i rimproveri, il gesticolare del furore o dell'umiliazione, ma le approva e le annovera tra le più nobili delle cose inevitabili? Invece lo spirito dell'antica filosofia le riguardava con disprezzo e non annetteva loro assolutamente alcuna necessità. Ci si rammenti come Platone-cioè uno dei filosofi non certo meno umani-parla del Filottete della scena tragica. Che alla nostra moderna cultura manchi “la filosofia?” Apparterremmo forse noi tutti e ciascuno in particolare, secondo quanto stimavano quegli antichi filosofi, alla “plebe”?"[12].
Bologna 5 gennaio 2022
giovanni ghiselli
Sempre1308629
[1] Scelta di frammenti postumi, 1887-1888, autunno 1887 Libro primo 9 (143)
[2] Scelta di frammenti postumi, 1887-1888, autunno 1887, 10 (69). Che cosa è cattivo? Tutto quanto scaturisce da fiacchezza, da invidia, da vendetta. Si prenda in mano Petronio dopo il Nuovo Testamento: ci si sente subito rimessi in piedi per la vicinanza di una spiritualità sana, tracotante, sicura di sé e malvagia. La festa è paganesimo per eccellenza (Frammenti postumi 1887-1888, p. 347).
Pagano è dire di sì a ciò che è naturale, il senso dell'innocenza in ciò che è naturale, essere con la natura. Gusto classico è volontà di semplificazione, di rafforzamento, di rendere visibile la felicità;la volontà di terribilità, il coraggio della nudità psicologica” (frammenti postumi novembre 1887, 30 ).
“La sessualità, la sete di dominio, il piacere dell’illusione e dell’inganno, la grande e lieta riconoscenza per la vita e i suoi stati tipici-ciò è essenziale nel culto pagano e ha la buona coscienza dalla sua parte. L’innaturalità (già nell’antichità greca) lotta contro l’elemento pagano, sotto forma di morale, di dialettica” (frammenti postumi novembre 1887, 35).
[3] Di là dal bene e dal male, Lo spirito libero, 28.
[4] Cfr. Sustine et abstine, Aulo Gellio, XVII, 19, 6 da Epittetto ajnevcou, ajpevcou.
[5] Basilea, 14 dicembre 1878.
[6] Di là dal bene e dal male, L’essenza religiosa, 49
[7] Umano troppo umano I, 3 (La vita religiosa), 114
[8] Di là dal bene e dal male. L’essenza religiosa, 46
[9] Aurora, III, 201
[10]Odissea , XI, 489.
[11]Repubblica , 388b.
[12] Aurora, III, 157
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