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Tempo e Bellezza - Tempo educato dai Tempi, Bellezza che forma il Tempo”.
La conferenza si terrà online in data 27 marzo 2021, ore 11.00–12.30.
Prima parte del mio percorso
La giovinezza come tempo della bellezza
La giovinezza corrisponde all’unica felicità possibile nella vita umana secondo alcuni poeti
Sentiamo Mimnermo (VII –VI secolo)
"Quale vita (bivo~), quale piacere (terpnovn), senza l'aurea Afrodite?
Vorrei essere morto, una volta che non mi importi più di questi beni,
l'amore furtivo e i dolci doni e il letto (eujnhv[1]):
che sono i soli fiori fugaci di giovinezza
per gli uomini e per le donne; poi quando sia giunta penosa
la vecchiaia che rende l'uomo turpe (aijscrovn) e insieme cattivo (kakovn),
sempre cattivi affanni (kakai; mevrimnai) lo consumano nell'animo,
e non prova piacere neppure alla vista dei raggi del sole,
ma è odioso (ejcqrov~) ai ragazzi, spregevole (ajtivmasto~) per le donne;
così penosa rese la vecchiaia un dio". (distici elegiaci)
La vita degli uomini secondo Orazio è una recita divisa in quattro atti con quattro ruoli diversi. L’ultimo è quello del vecchio:"difficilis, querulus, laudator temporis acti/se puero, castigator censorque minorum" (Orazio, Ars poetica[2] vv. 173-174), difficile, lamentoso, elogiatore del tempo trascorso da ragazzo, critico e censore dei giovani.
Sentiamo anche Shakespeare:" All the world's a stage-
And all the men and women merely players" (As you like it [3], II, 7), tutto il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e le donne non sono che attori.
They have their exits and their entrances
And one man in his time plays many parts,
His acts being seven ages
Gli uomini, continua il malinconico Jaques, hanno le loro uscite e le loro entrate. Una stessa persona, nella sua vita, rappresenta sette parti, poiché sette età costituiscono gli atti".
L’ 'ultima scena, che chiude questa storia strana e piena di eventi, è seconda fanciullezza e mero oblio, senza denti, senza vista, senza gusto, senza niente-sans teeth, sans eyes, sans taste, sans everything" (II; 7, 139-167)
Euripide
Viceversa, la giovinezza (aj neovta") è bellissima tanto nella prosperità quanto nella povertà: “a{ kallivsta me;n ejn o[lbw/, -kallivsta d j ejn peniva/”, cantano i vecchi coreuti nell’Eracle di Euripide ( secondo stasimo, vv. 647-648) .
E poco più avanti: “ Se gli dèi avessero intelligenza e sapienza (xuvnesi"-kai; sofiva) secondo i criteri umani donerebbero una doppia giovinezza (divdumon h{ban) come segno evidente di virtù a quanti la posseggono, ed essi, una volta morti, di nuovo nella luce del sole (eij" aujga" pavlin aJlivou), percorrerebbero una seconda corsa, mentre la gente ignobile avrebbe una sola possibilità di vita (Euripide, Eracle, vv.661-669).
L’età giovanile può essere caratterizzata dall’incoscienza pure fino all’animalità ma la carenza di logica non inficia la bellezza né la letizia del giovane: La baccante è lieta come puledra che, insieme con la madre al pascolo, muove a salti l'agile piede "hJdomevna d j a[ra, pw'lo" o{pw" a{ma matevri- forbavdi, kw'lon a[gei tacuvpoun skirthvmati" (Euripide, Baccanti, parodo vv.166-167). La baccante se non è più giovane ringiovanisce.
Secondo Marziale, una volta passata la giovinezza, la persona buona, priva di rimorsi, può godere del frutto del suo passato e accrescere lo spazio della propria esistenza: “ampliat aetatis spatium sibi vir bonus: hoc est/vivere bis, vita posse priore frui” (X 23, 7-8). C’è un nesso tra l’uomo buono e l’ampiezza della parte bella vita, tra bellezza e bontà.
Leopardi considera i Greci “intendentissimi del bello”[4], ed evidenzia il fatto che la bellezza è associata alla bontà nella kalokajgaqiva greca.
Quello dei Greci era : “un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello” (Leopardi, Operette morali, Detti memorabili di Filippo Ottonieri ).
La bellezza è comunque molto spesso associata al tempo della prima gioventù. I parti possono sciuparla
Il parto può causare una perdita di bellezza: nell’Hercules Oetaeus pseudosenecano, Deianira, vedendo la fulgida bellezza della giovanissima Iole, lamenta l’oscurarsi della propria con queste parole: “Quidquid in nobis fuit olim petitum, cecidit et partu labat” (vv. 388-389), tutto quello che una volta in noi era desiderato, è caduto e con il parto vacilla.
Le matrone romane potevano arrivare a vergognarsi di avere partorito e allattato i figli poiché dopo non potevano più essere eccitanti con un bel seno. Lo ricavo da Properzio che esorta l'amante alla rixa amorosa nella luce:"necdum inclinatae prohibent te ludere mammae:/viderit haec, si quam iam peperisse pudet " (II, 15, 20-21), non ancora le mammelle cadenti ti impediscono tali giochi: badi a questo una se si vergogna di avere già partorito.
La vecchiaia sciupa la bellezza pesando come un macigno sulla vita dell’uomo
Nel secondo stasimo dell’Eracle di Euripide già citato sopra, c’è un biasimo vecchiaia che grava sul capo dei vecchi compagni d'armi di Anfitrione come un carico più pesante delle rupi dell'Etna ("to; de; gh'ra" a[cqo"-baruvteron Ai[tna" skopevlwn-ejpi; krati; kei'tai" (Eracle, vv. 638-640).
Callimaco vorrebbe spogliarsi delle vecchiaia che gli pesa addosso quanto l’isola tricuspide sul maledetto Encelado[5] (Aitia fr. 1, vv. 35-36).
Tempo e Bellezza II
Seconda parte del percorso
L’orrore della vecchiaia
Sofocle
Il Terzo stasimo dell’ Edipo a Colono (1211-1248 ) è il canto della sapienza silenica.
Una vita troppo lunga che supera il limite non è desiderabile. Il tempo della vecchiaia cancella ogni bene.
Sofocle nel suo ultimo dramma fa cantare al coro:"
“M¾ fànai tÕn ¤panta ni-
k´ lÒgon· tÕ d', ™peˆ fanÍ,
bÁnai ke‹qen Óqen per ¼-
kei, polÝ deÚteron, æj t£cista.
`Wj eât' ¨n tÕ nšon parÍ
koÚfaj ¢frosÚnaj fšron,
t…j pl£gcqh polÝ mÒcqoj œ-
xw; t…j oÙ kam£twn œni;
fÒnoi, st£seij, œrij, m£cai
kaˆ fqÒnoj· tÒ te kat£mempton ™pilšlogce
pÚmaton ¢kratj ¢prosÒmilon
gÁraj ¥filon, †na prÒpanta
kak¦ kakîn xunoike‹”.
Non essere nati supera/ tutte le condizioni, poi, una volta apparsi,/ tornare al più presto là/ donde si venne,/ è certo il secondo bene./ Poiché quando uno ha oltrepassato la gioventù/ che porta follie leggere, /quale travagliosa disfatta resta fuori?/ Quale degli affanni non c'è?/uccisioni, discordie, contesa, battaglie,/ e invidia; e sopraggiunge estrema/ la spregiata vecchiaia impotente,/ asociale, priva di amici /dove convivono tutti i mali dei mali"(vv.1224-1238).
Per quanto riguarda l’estremo male costituito dalla vecchiaia, Leopardi nel canto Il tramonto della luna (1836) scrive:
“D’intelletti immortali
Degno trovato, estremo cfr. pÚmaton
Di tutti i mali, ritrovar gli eterni
La vecchiezza, ove fosse
Incolume il desio, la speme estinta,
secche le fonti del piacer, le pene
maggiori sempre, e non più dato il bene” (vv. 44-50)
Viceversa: la bellezza della vecchiaia.
Creare bellezza nella vecchiaia
Nell'Eracle , Euripide attraverso "il cantuccio" del coro fa questa sua dichiarazione d'amore alla bellezza e alla poesia:"non cesserò mai di unire le Grazie alle Muse, dolcissimo connubio- ouj pauvsomai ta;" Cavrita"-tai'" Mouvsai" sugkatameignuv", hjdivstan suzugivan- . Che io non viva senza la Poesia ma sia sempre tra le corone- mh; zw/hn met j ajmousiva", aijei; d j ejn stefavnoisin ei[hn- . Ancora vecchio l'aedo fa risuonare la Memoria"(II stasimo, vv. 673-679).
Svevo: la libertà che ci dona la vecchiaia quando non si deve dimostrare più niente a nessuno e si è liberi
Nel racconto Corto viaggio sentimentale, Svevo rappresenta un uomo anziano, il signor Aghios, che pensa alla libertà negata dal matrimonio:"Venticinque anni prima il signor Aghios s'era scelta la consorte. Quale gioia quando, vincendo ogni difficoltà, egli era arrivato a dirla sua, trovando naturale che, in compenso, egli appartenesse a lei. Egli era stato felicissimo. Oh! tanto! Nella grande libertà del viaggio egli tuttavia pensò che se venticinque anni prima, invece che sentire il bisogno di sposarsi, egli avesse sentito l'istinto del malfattore e l'avesse soddisfatto con un omicidio, certo a quest'ora, a forza di amnistie, egli sarebbe stato del tutto libero, magari di viaggiare"[6].
Il protagonista di Senilità, Emilio Brentani, è un trentacinquenne dall'anima stanca, mentre la vecchiaia anagrafica di altri personaggi è, come nota Magris in L'anello di Clarisse (p.198):" libertà dall'obbligo di attestare a se stessi e agli altri il proprio valore, la propria capacità e vitalità".
Terza parte del percorso
Bellezza nel tempo della morte
Morire nella bellezza è cosa migliore che vivere nella bruttezza
Soltanto nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere,
afferma Polissena quando antepone una morte dignitosa a
una vita senza onore:"to; ga;r zh'n mh; kalw'~ mevga~ povno~, ( Euripide, Ecuba ,
v. 378), vivere senza bellezza è un grande tormento".
Il coro commenta queste parole dicendo che nascere da
persone nobili lascia un forte e chiaro segno-carakthvr-, ma il
nome della nobiltà diventa più grande per chi se ne fa degno
(380-381). In questi giorni i Greci ostili al governo di destra manifestano con dei cartelli che recano la scritta ponavw.
Nelle Troiane di Euripide Cassandra sostiene che deve evitare la guerra chi ha senno, ma se si giunge a farla, una corona non vergognosa è morire nella bellezza (kalw`~ ojlevsqai, v. 402) per la città.
Il kalovn giustifica esteticamente tanto la vita quanto la morte
Il culto della bellezza nella vita e nella morte non manca in Sofocle: Antigone dice a Ismene: ma lascia che io e la pazzia che spira da me/soffriamo questa prova tremenda: io non soffrirò/nulla di così grave da non morire nobilmente"peivsomai ga;r ouj-tosou`ton oujden w{ste mh; ouj kalw`~ qanei`n ( Antigone, vv. 95-97).
L’ Aiace di Sofocle manifesta al corifeo il proprio proposito suicida ( Aiace, vv.479-480):"ajll j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai/ to;n eujgenh' crhv" ma il nobile deve o vivere con stile, o con stile morire.
Il cultus prima di morire.
Nell’Alcesti di Euripide un’ancella racconta la cura che si prese dell’ordine e della bellezza del proprio corpo la regina morente
"Quando si accorse che il giorno fatale
era giunto, ha lavato il corpo candido con acque
correnti, e dopo avere tirato fuori dalle casse di cedro
un vestito e gli ornamenti-ejsqh`ta kovsmon t j, si preparò convenientemente eujprepw`" hjskhvsato,
poi stando in piedi davanti alla dèa del focolare pregò"(158-162).
Alcesti non ha perduto fiducia negli dèi, né il rispetto di se stessa, della popria bellezza, nemmeno in punto di morte.
"Poi si è accostata a tutti gli altari che sono nella casa
di Admeto, li ha incoronati e ha pregato
staccando il fogliame dai ramoscelli di mirto,
senza lacrime (a[klauto~), senza gemiti (ajstevnakto~), né l'imminente
disgrazia cambiava la bella natura del suo incarnato"(170-174).
La bellezza e la dignità della morte vengono anteposte alla degradazione della vita da Cleopatra, l'ultima dei Tolomei: lo capisce Carmione la quale risponde con il suo ultimo fiato al soldato che, vedendo il cadavere della regina, le ha domandato : "kala; tau'ta Cavrmion ;" è bello questo?. Ebbene l'ancella e amica di Cleopatra replica "kavllista me;n ou\n kai; prevponta th'/ tosouvtwn ajpogovnw/ basilevwn" (Plutarco, Vita di Antonio, 85, 8), è bellissimo e si confà a una donna che discende da re tanto grandi.
Lo stesso personaggio (Charmian) dell'Antonio e Cleopatra di Shakespeare, all'ottuso guardiano (First Guard) che le ha posto la medesima domanda retorica (Charmian, is this well done?) , ribatte : "It is well done, and fitting for a princess-Descended of so many royal kings. Ah, soldier! (V, 2, 324-327)", è ben fatto e adatto a una sovrana discesa da tanti nobili re. Ah soldato!
Tempo e Bellezza. Quarta parte. Euripide, Ovidio, Seneca,
O. Wilde
Bellezza e virtù. Il tempo della bellezza è fugace. La virtù dura più a lungo.
"Non certo per i miei farmaci[7] ti odia lo sposo/ ma per il fatto che non sei adatta a vivere con lui./E' un filtro amoroso anche questo: non la bellezza, o donna,/ ma le virtù danno gioia ai nostri compagni di letto." (ouj to; kavllo", w\ guvnai-ajll j ajretai; tevrpousi tou;" xuneunevta" Euripide, Andromaca, vv. 205-208 ). Parla Andromaca dando consigli a Ermione
Lo stesso consiglio dà Ovidio nei Medicamina faciei (1 d. C.) : l'aspetto piace se anche il carattere è attraente (ingenio facies conciliante placet, v. 44), sicché il poeta raccomanda la tutela morum (v. 43), la cura del comportamento:"Certus amor morum est, formam populabitur aetas,/ et placitus rugis vultus aratus erit " (45-46), sicuro è l'amore del costume, la bellezza verrà devastata dall'età, e il volto piacente sarà solcato da rughe.
Nella Fedra di Seneca il secondo coro ricorda a Ippolito la precarietà della bellezza, un bene grande ma effimero:"Anceps forma bonum mortalibus,/exigui donum breve temporis,/ut velox celeri pede labĕris!/Non sic prata novo vere decentia/aestatis calidae despoliat vapor(…) ut fulgor, teneris qui radiat genis,/momento rapitur, nullaque non dies/formosi spolium corporis abstulit./Res est forma fugax: qui sapiens bono/confīdat fragili? Dum licet, utĕre./Tempus te tacitum subrǔet, horaque/semper praeteritā deterior subit" (vv. 761-765 e 770-776), la bellezza è un bene bifronte per i mortali, breve dono di un tempo corto, come scivoli via con piede veloce! Non così l'afa della torrida estate spoglia i prati dai bei colori all'inizio della primavera (…) come il fulgore che splende nelle tenere guance viene rapito in un attimo, e non c'è giorno che non abbia tolto qualche spoglia a un bel corpo. La bellezza è roba fugace: quale saggio potrebbe fidarsi di un bene fragile? Finché è possibile fanne uso. Il tempo ti demolirà in silenzio, e subentra sempre un'ora più brutta di quella passata.
Lord Henry elogia la bellezza del giovane Dorian Gray :" Avete un viso meraviglioso, Gray. Non abbiatevene a male. E’ così. E la bellezza è una specie di genio-in verità più grande del genio, perché non ha bisogno di spiegazione. E' una delle cose grandi del mondo, come la luce solare, o la primavera, o il riflesso nell'acqua cupa di quella conchiglia d'argento che chiamiamo luna. Non è una cosa che si possa discutere. Ha un divino diritto alla regalità. Quelli che la possiedono sono prìncipi"[8].
Segue però la deplorazione della caducità di ogni bellezza" Sì, gli dèi furono benigni con voi, Gray. Ma gli dèi, dopo breve tempo rivogliono i loro doni. Avete soltanto pochi anni per vivere veramente. Quando la vostra gioventù se ne sarà andata, avrete perduto anche la vostra bellezza, e vi renderete conto d'un tratto che non ci sono più vittorie per voi (...) Perché la vostra gioventù durerà un tempo così breve-così breve! Gli umili fiori di prato avvizziscono, ma rifioriranno ancora. Quest'altro giugno l'acacia sarà d'oro, come è ora (...) Ma noi non torniamo mai alla nostra giovinezza. L'onda di gioia che pulsa in noi a vent'anni, si fa tarda. Le membra non ci ubbidiscono più, i sensi si consumano. Diventiamo ripugnanti fantocci, perseguitati dal ricordo delle passioni di cui abbiamo avuto timore e delle squisite tentazioni alle quali non avemmo il coraggio di cedere. Gioventù! Gioventù! Non c'è nulla al mondo che valga la giovinezza!" ( p. 32).
In Narciso e Boccadoro di H. Hesse, il navigato e scaltrito vagabondo Vittore dice a Boccadoro ancora molto giovane e bello: “ vedi, piccolo Boccadoro, a te può darsi che vada bene, sei giovane, bello e hai un aspetto così innocente, che è un ottimo biglietto d’alloggio. Piaci alle donne, e gli uomini pensano: “o Dio, costui è innocuo, costui non fa male a nessuno!”
Ma guarda, fratellino, che si diventa vecchi, che sulla faccia da bambino cresce la barba e si formano le rughe, che i pantaloni si lacerano, e all’improvviso ci si accorge di essere ospiti brutti e sgraditi, e invece della giovinezza e dell’innocenza non parla più dagli occhi che la fame: allora uno deve essersi indurito ed avere imparato qualcosa dal mondo, altrimenti ben presto giace sul letamaio e i cani gli orinano addosso”. (Capitolo IX)
giovanni ghiselli
Tempo e Bellezza. Quinta parte
Difese del tempo della vecchiaia. Il beneficio del tempo.
Solone, Euripide, Aristofane, Cicerone, Leopardi
I versi forse più famosi di Solone sono quelli con i quali il legislatore ateniese replica a Mimnermo, il quale aveva auspicato che a sessant'anni lo cogliesse il destino di morte, senza malattie e affanni dolorosi (fr. 6 D.).
Ebbene il Solone insorge "contro la raffinata stanchezza pessimistica che vuol già fare punto a sessant'anni"[9], e risponde:
"Ma se ora finalmente vuoi darmi retta, togli questo verso,/
e non essere invidioso, per il fatto che ho pensato meglio di te,/
e cambialo, arguto cantore, e canta così:
ottantenne mi colga il destino di morte.
Né incompianta mi giunga la morte, ma ai cari
io lasci morendo dolori e gemiti.
Invecchio imparando sempre molte cose " (ghravskw d j aijei; polla; didaskovmeno") fr.22 D.
La vecchiaia può essere anche piacevole e sana
Nell’Alcesti di Euripide, Ferete, il padre di Admeto, rimprovera il figlio che gli ha rinfacciato di non avere voluto morire per lui, lasciando che lo facesse la giovane moglie. Sentiamolo:
“caivrei" oJrw`n fw`": patevra d j ouj caivrein dokei`";
h\ me;n polu;n ge to;n kavtw lovgizomai
crovnon, to; de; zh`n smikrovn ajll j o{mw" glukuv (691-693),
tu godi nel vedere la luce; credi che il padre non ne goda?
Certo considero lungo il tempo di laggiù,
e quello di vivere breve, ma dolce tuttavia.
Nelle Rane di Aristofane:" govnu pavlletai gerovntwn"(v.345), il ginocchio dei vecchi balza. Infatti questi sono gli iniziati, oiJ memuhmevnoi(vvv.158 e v.318), distinti dai peccatori la cui vita è schifosa sempre e dovunque. La vecchiaia non è pesante per quelli dalla vita ben vissuta.
Cicerone nel De senectute (del 44 a. C.) compone l'elogio più articolato della vecchiaia, facendo dire a Catone ottantatreenne:"in moribus est culpa, non in aetate "(3), il difetto sta nei costumi, non nell'età; e la pena deriva dai sensi di colpa dovuti a una vita mal vissuta:"quia coscientia bene actae vitae multorumque benefactorum recordatio iucundissima est "(3), poiché la coscienza di una vita impiegata bene e il ricordo di molte buone azioni fatte sono fonti di dolcissima gioia.
Vengono portati esempi di vecchiaie vigorose e produttive: Platone che morì a ottant'anni "scribens ", scrivendo ancora, Isocrate che a novantatré anni compose il Panatenaico, poi visse altri cinque anni, quindi viene ricordato il suo maestro Gorgia che compì centosette anni, studiando e lavorando, tanto che disse:"Nihil habeo quod accusem senectutem "(5) non ho niente da rimproverare alla vecchiaia.
Insomma, secondo Cicerone, c'è una montatura negativa nei confronti della senectus. Gli indebolimenti, almeno quelli mentali, sono dovuti alla mancanza di esercizio."At memoria minuitur ", ma la memoria diminuisce; ebbene a questa obiezione-luogo comune degli imbecilli, l'autore risponde:"credo, nisi eam exerceas, aut etiam si sis natura tardior ", lo credo, se non la si esercita, o anche se sei piuttosto stupido di natura.
L’Arpinate fa anche l'esempio di Sofocle che"ad summam senectutem tragoedias fecit ", compose tragedie fino alla vecchiaia estrema, e anzi si difese dall'accusa di demenza senile contestatagli da un figlio che voleva venisse interdetto, leggendo l'Edipo a Colono scritta da poco, ai giudici che naturalmente lo assolsero a pieni voti (7).
Più avanti (8) il De senectute ricorda anche Solone "qui se cotidie aliquid addiscentem dicit senem fieri ", che dice di diventare vecchio imparando ogni giorno qualche cosa di più; non solo, ma a Pisistrato che gli domandò in che cosa confidasse per opporsi a lui con tanta audacia, il vecchio legislatore rispose "senectute ", nella vecchiaia (20).
I piaceri che scemano poi sono quelli volgari del corpo: “epularum aut ludorum aut scortorum voluptates” , dei banchetti o dei giochi o delle prostitute (14) certo non paragonabili a quelli dello spirito che invece crescono. Quanto alle solite accuse rivolte ai vecchi che sarebbero bisbetici (morosi ), ansiosi (anxii), iracundi , difficiles, avari, questi sono difetti dei caratteri, non della vecchiaia:"sed haec morum vitia sunt, non senectutis "(18).
Una calunnia conto i vecchi si trova nella Retorica (1389b) Aristotele il quale sparlando, a proposito e a sproposito dei vecchi, dice che sono fivlautoi ma'llon h] dei', egoisti più del dovuto e che questa è una forma di mikroyuciva, meschinità: kai; pro;~ to; sumfevron zw'sin, ajll j ouj pro;~ to; kalovn, vivono per l’utile e non per il bello, proprio per il fatto che sono egoisti: l’utile infatti è un bene individuale, mentre il bello è un bene assoluto (to; de; kalo;n aJplw'~).
Ma torniamo al De senectute. Nel campo della commedia, continua Cicerone, basta guardare i due fratelli degli Adelphoe di Terenzio:"quanta in altero diritas, in altero comitas! ", quanta durezza nell'uno (Demea), affabilità nell'altro (Micione)! Anche la vicinanza della morte non è terrificante, infatti"omnia quae secundum naturam fiunt sunt habenda in bonis", tutto quello che avviene secondo natura deve essere considerato tra i beni (19).
E noi uomini:"in hoc sumus sapientes, quod naturam optimam ducem tamquam deum sequimur eique paremus ", in questo siamo saggi che seguiamo la natura ottima guida come un dio, e le obbediamo, aveva già detto il personaggio Catone nel prologo del De senectute (2).
J. Hilman è d’accordo con Cicerone: “I fatti dimostrano che, invecchiando, io rivelo più carattere, non più morte”[10].
Leopardi associa alla corruzione il disprezzo subito dai vecchi.
Cfr. anche Leopardi, Zibaldone (3520-3521) :"Quando il genere umano era appresso a poco incorrotto, o certo proclive ed abituato generalmente alla virtù (...) allora i vecchi, come più ricchi d'esperienza e più saggi, erano più venerabili e venerati, più stimabili e stimati, ed anche in molte parti più utili ai loro simili e compagni ed al corpo della società, che non i giovani e quelli dell'altre età".
Il tempo che porta invecchiamento è pure il migliore dei maestri.
Prometeo giunge a dire: “con parola schietta (lovgw/ aJplw`/) odio tutti gli dèi/quanti, dopo avere ricevuto del bene, mi maltrattano ingiustamente”(vv. 975-976). E confida nel tempo che invecchiando insegna proprio tutto (“ajll j ejkdidavskei pavnq j oJ ghravskwn crovno" " (Prometeo incatenato, v. 981).
Questo verso traspone il notissimo pentametro di Solone ("invecchio imparando sempre molte cose”) in termini cosmici.
L’attesa del beneficio del tempo è topica.
Nel De ira Seneca consiglia di prendere tempo per combattere la tendenza a questa forma di brevis insania :"Dandum semper est tempus: veritatem dies aperit " (II, 22), bisogna sempre concedersi del tempo: i giorni svelano la verità. E ancora: "Maximum remedium irae mora est" (II, 29), massimo rimedio dell'ira è il differire.
Quindi: “Si vis vincere iram, non potest te illa. Incipis vincere, si absconditur, si illi exitus non datur. Signa illius obruamus et illam quantum fieri potest occultam secretamque teneamus” (III, 13)
Prendere tempo è funzionale allo sbollimento dell’ira.
Il tempo dell’intervallo scolastico è funzionale all’apprendimento, ci ricorda Quintiliano.
E' comunque necessario concedere qualche intervallo a tutti:"Danda est tamen omnibus aliqua remissio"[11].
Il tempo rivela l’uomo giusto
Nell’ Edipo re di Sofocle, Creonte afferma che il tempo rivela l’uomo giusto ( crovno" divkaion a[ndra deivknusin, v. 614).
Quindi il Coro dei vecchi tebani lo approva:" Ha detto bene per chi si guarda dal cadere signore/: infatti i veloci a capire non sono sicuri" ( fronei`n ga;r oij tacei`" oujk ajsfalei`" vv. 616-617).
Il tempo come rivelatore viene invocato pure da Cordelia, la figlia buona di Re Lear :" Time shall unfold what plaited[12] cunning hides", il tempo spiegherà ciò che l' attorcigliata astuzia nasconde (I, 1).
Altrettanto in La tragedia spagnola [13] dove Isabella, la moglie di Hieronimo (quello che "è pazzo di nuovo"[14] ), dice al marito:"l'assassinio non può essere nascosto: il tempo è autore insieme della verità e della giustizia, e il tempo porterà alla luce questo tradimento" (II, 6).
Bologna 27 marzo 2021 ore 9, 36
giovanni ghiselli
[1] Cfr. Euripide Medea e Alcesti dove è il mobile più importante della casa.
[2] Composta tra il 18 e il 13 a. C.
[3] 1599-1600.
[4] Zibaldone 2546
[5] Pindaro (Pitica I, 15-28) ed Eschilo (Prometeo incatenato 351-372) indicano Tifone quale gigante ribelle sepolto sotto l’Etna,
[6]In Italo Svevo, I Racconti, Rizzoli, Milano, 1988, p.438.
[7] Con i favrmaka (v.205) e il fivltron (v. 207) Andromaca allude ai filtri e alle droghe delle maghe del mito e della letteratura: Circe, Calipso, Medea.
[8] Il ritratto di Dorian Gray (del 1891) , in O. Wilde, Opere , p. 31.
[9] JaegerPaideia , I vol., p.279
[10] La forza del carattere, p. 27.
[11] Quintiliano, Inst., I, 3, 8.
[12] L'astuzia è , come l'incesto, contorta.
[13] di Thomas Kyd (del 1585)
[14] Hieronymo's mad again ( T. S. Eliot, The waste land, v. 437)
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