Nel quotidiano “la Repubblica” di ieri, sabato 13 marzo, Michele Serra dal quale traggo spunti, talora concordando, talvolta, come oggi, polemizzando, scrive a proposito degli effetti avversi conseguiti alla somministrazione del vaccino sospetto: “Il rischio zero non esiste”.
Socrate arriva addirittura a dire che il rischio di fatto è bello “kalo;" ga;r oj kivnduno"” (Fedone, 114d).
Questo è il contesto nel dialogo platonico: può essere rischioso credere nell’immortalità dell’anima, però il rischio è bello kalo;" ga;r oj kivnduno". Dopo avere bevuto la cicuta non resterò tra voi ma partirò andando verso certe felicità dei beati (ajll j oijchvsomai ajpiw;n eij" makavrwn dhv tina" eujdaimoniva", Fedone 115d,). Fate capire a Critone che quando sarò morto, non sarò io a essere sepolto. Dunque: bisogna essere esatti nell’uso del linguaggio poiché non parlare bene non solo è una stonatura ma fa anche male all’anima
"euj ga;r i[sqi (…) a[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev", ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (Fedone, 115 e) sappi bene (…) ottimo Critone che parlare male non è solo una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime.
Invito chi mi legge e legge i giornali a porre l’attenzione sul significato vero (e[tumo"), preciso del significato delle parole, di ogni singola parola e suggerisco di togliere ogni credibilità a chi parla o scrive su un argomento del quale non si intende.
Ieri mi è arrivata la richiesta di commentare un libro su Spinoza. Ho declinato l’offerta perché non conosco questo filosofo. Il rischio di scrivere o dire fanfaronate non è bello.
Nemmeno quello di morire per covid o per vaccino. I negazionisti invece ci invitano ad affrontare il rischio, come se fosse inesistente o quasi.
Serra prosegue scrivendo: “Esistono i rischi ad alta probabilità (contrarre il Covid), a media probabilità (morire di Covid), a bassa probabilità (avere qualche linea di febbre dopo la vaccinazione) a bassissima anzi infima anzi infinitesimale probabilità (morire in conseguenza della vaccinazione: circostanza per altro ancora non dimostrata)”.
Rispondo per quanti mi leggono e mi scrivono: “sono in corso studi e ricerche per giungere a valutare le probabilità: come fa Serra che non è uno scienziato a calcolare il rischio di una morte che si è appena affacciata con il suo orribile ceffo?”
Lui corre lo stesso rischio di quanti negavano, e negano ancora, la letalità del covid, ossia quello di scrivere castronerie.
Nella stessa pagina (28) del medesimo giornale in edicola ieri, Marco Cattaneo scrive parole dello stesso stampo: “l’eventuale rischio di effetti avversi gravi derivanti dal vaccino è incommensurabilmente più basso del rischio di morte legato alla malattia”.
“Il rischio di effetti avversi derivanti dal vaccino” è oggetto di studi in corso. Che cosa ne sanno questi giornalisti? Certamente più di me che non ne so proprio nulla, ma non abbastanza da sputare queste sentenze per incoraggiare la gente a correre il rischio. Tanto, ne moriranno davvero pochi. Chi se ne importa?
A me importa-mevlei moi-
Evidentemente ci sono, a monte, ordini, una volta si diceva “veline”, di spingere la gente a correre numerosa ad affrontare il rischio.
I negazionisti della prima ora a loro volta voglio riaprire tutto e subito. Anche per costoro il rischio è bello: salva l’economia e se ammazza le persone a partire dai vecchi dai poveri, dai trascurati o mal curati, pazienza.
Io che non so niente aspetto di leggere i pareri di specialisti seri, studiosi, specificamte peparati. Mi sembra razionale, etico ed estetico. La mancanza di logica, l’immoralità e il cattivo gusto non mi si addicono.
Per me non è infima l’importanza della morte di persone non potenti, non ricche non famose. Quando muore uno di questi ottimati[1], quasi tutti i giornali danno a tale dipartita un’importanza suprema. Invece la morte di un quidam de populo è di rilevanza infinitesimale: non bisogna tenerne conto.
Diversi cronisti e opinionisti scimmiottano Vittorio Alfieri che nel 1770 tornò a Berlino e andò a vedere il luogo dove si svolse una battaglia della guerra dei sette anni (1756-1763): "Passando per Zorendorff, visitai il campo di battaglia tra’ russi e prussiani, dove tante migliaia dell’uno e dell’altro armento rimasero liberate dal loro giogo lasciandovi l’ossa. Le fosse sepolcrali vastissime, vi erano manifestamente accennate dalla folta e verdissima bellezza del grano, il quale nel rimanente terreno arido per sé stesso ed ingrato vi era cresciuto misero e rado. Dovei fare allora una trista, ma pur troppo certa riflessione; che gli schiavi son veramente nati a far concio (Vita, 3, 9).
Bologna 14 marzo 2021, ore 10, 21
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