Nella prossima lezione presenterò anche l’ Alcesti di Euripide.
Copio qui solo pochi punti del percorso peparato
Tragedia messa in scena per la prima volta nel 438. Il significato di fondo del dramma credo sia contenuto nei versi con i quali Admeto riconosce il suo sbaglio.
Alla resipiscenza segue un lieto fine.
Admeto, sentendo il peso della solitudine dopo avere chiesto alla giovane moglie il sacrificio della sua vita per salvare la propria, soffre la desolazione nella quale è rimasto e dice:"lupro;n diavxw bivoton: a[rti manqavnw"(v.940), condurrò una vita penosa: ora comprendo In seguito, come si sa, gli verrà restituita la compagna dalla possa di Eracle.
La Necessità
Il potere assoluto dell' jjjjAnavgkh viene apertamente affermato da Euripide nell'Alcesti. Nel terzo Stasimo della tragedia, il Coro eleva un inno alla Necessità vista come la divinità massima, quella che vincola e subordina tutti, compresi gli dèi:
"Io attraverso le Muse/mi lanciai nelle altezze, e/ho toccato moltissimi ragionamenti (pleivstwn aJyavmeno" lovgwn),/ma non ho trovato niente più forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson oujde;n jAnavgka"-hu|ron oujdev ti favrmakon)/nelle tavolette tracie che scrisse la voce di/Orfeo, né tra quanti rimedi/diede agli Asclepiadi Febo/dopo averli ricavati dalle erbe come antidoti/per i mortali afflitti dalle malattie"(vv. 962-972).
Da questi versi si vede che la Necessità è più forte del lovgo" , della poesia, dell'arte medica.
E ancora: la Necessità non è meno forte di Zeus: “kai; ga;r Zeu;~ o{ti neuvsh/-su;n soi; tou'to teleuta'/” (Alcesti, 978-979), e infatti qualunque cosa Zeus approvi, con te lo porta a compimento, le dice il coro dei vecchi di Fere.
Nella Prefazione al romanzo Notre-Dame de Paris, Victor Hugo scrive che “rovistando all’interno di Notre-Dame…trovò in un recesso oscuro di una delle torri, questa parola incisa a mano sul muro:
ANAGKH”
Ebbene, conclude la prefazione: “Proprio su quella parola si è fatto questo libro. Marzo 1831”.
Nel Simposio Platone pone Alcesti tra i primi eroi quando fa dire a Diotima che Alcesti, Achille e Codro hanno dato la vita , non tanto per gli amati e la patria, quanto convinti che immortale sarebbe stata la memoria della loro virtù ("ajqavnaton mnhvmhn ajreth'" pevri eJautw'n e[sesqai", 208d). Tutti fanno ogni cosa per la virtù immortale e tale rinomanza gloriosa ("uJpe;r ajreth'" ajqanavtou kai; toiauvth" dovxh" eujkleou'"").
Contro il matrimonio
Il Coro formato da vecchi di Fere, amici del re, conclude il primo stasimo cantando: “ou[pote fhvsw gavmon eujfraivnein-plevon h] lupei'n, toi'" te pavroiqen-tevkmairovmeno" kai; tavsde tuvca"-leuvsswn basilevw", o}sti" ajrivsth"-ajplakw;n ajlovcou th'sd j, ajbivwton-to;n e[peita crovnon bioteuvsei”, (vv. 238-242), non dirò mai che le nozze portino gioia più che dolore, argomentandolo dai fatti passati e vedendo questa sorte del re, il quale, persa l'ottima sposa, vivrà in futuro una vita non vita.
Più avanti Admeto replica:
" Dei mortali invidio quelli senza nozze né figli: zhlw` d j ajgavmou~ ajtevknou~ te brotw`n
infatti hanno una sola vita, e soffrire per questa
è un peso moderato.
Ma vedere le malattie dei figli
e il letto nuziale reso vedovo dai colpi della morte
non è sopportabile quando è possibile vivere
sempre senza moglie e senza figli"(882-888).
Le nozze in effetti sono un mevga~ ajgwvn (Antifonte sofista)
Il surrogato per il marito vedovo
"Il tuo corpo effigiato dall'abile mano
di artisti sarà steso nel letto
e su quello io mi getterò e abbracciandolo
e invocando il tuo nome, crederò di avere
nelle braccia l'amata sposa, pur non avendola;
gelida gioia credo (yucra;n mevn, oi\mai, tevryin), ma tuttavia allevierei
il peso dell'anima. E nei sogni
andando e venendo, mi allieteresti: dolce infatti
è vedere gli amati, sia pure di notte, qualunque sia il tempo in cui è possibile. ( Alcesti, 348-356)
Anche Laodamia, la vedova di Protesilao si era fatta costruire una statua con l'immagine del marito, morto per primo tra i Greci sbarcati a Troia (cfr. Iliade , II, 698).
L’egoismo e il cretinismo di Admeto. Anche il più incolto degli spettatori sapeva che Orfeo non aveva strappato Euridice dall’Ade.
"E se io avessi la lingua e il canto di Orfeo,
così da poterti strappare all'Ade affascinando
con i canti o la figlia di Demetra o lo sposo di quella,
vi scenderei e il cane di Plutone né
Caronte, il traghettatore di anime curvo sul remo
potrebbero trattenermi, prima che avessi riportato la tua vita alla luce"(Alcesti 357-362).
Alla fine Alcesti viene strappata aThanatos dalla forza di Eracle con un lieto fine che Jan Kott problematizza con l'ipotesi che la donna velata ricondotta nella reggia di Admeto possa si rappresentare la morte.
Comunque una delle hypotheseis giudica il dramma “vicino ai modi del dramma satiresco” (saturikwvteron)
giovanni ghiselli
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