mercoledì 3 marzo 2021

Estate 1978. Capitolo IV. Il tempio incantato di Brauron. La preghiera alla signora della Natura

Brauron
Procedevo lungo la costa orientale dell’Attica, diretto al promontorio meridionale. La strada era discosta qualche chilometro  dal mare da dove provenivano i soffi di un vento furioso. Pedalavo chino sul manubrio e abbarbicato alla bicicletta per non essere gettato a terra dove avrei battuto la testa, sarei rimasto privo di sensi e mi avrebbero finito dei cagnacci affamati acceffandomi senza pietà, ne ero sicuro.

A un tratto vidi un cartello che indicava il tempio di Brauron. L’avevo sentito menzionare da Euripide ma non ricordavo in quale tragedia. “sono i prodromi dell’alzheimer” pensai e ne fui terrorizzato. Quindi: “presto sarà tempo di dire: nunc dimittis servum tuum Domine” .

Non potevo rassegnarmi a tanta smemoratezza: non avevo nemmeno bevuto l’acqua del Lete. Ho sempre avuto una memoria più che terrena e il laqevsqai mi pareva  il maximum scelus , un segno di morte. Sicché ce la misi tutta per tirare fuori il ricordo dalle pagine di Euripide entrate nell’anima mia. Quando me ne sovvenni mi sentìi salvo. Si tratta della cara tragedia Ifigenia in Tauride quando Atena ex machina ferma l’inseguimento del barbaro re Toante e salva i fratelli figli di Agamennone e Clitennestra preannunziandone le sorti. La ragazza dovrà custodire le chiavi del tempio di Brauron dove morirà e avrà sepoltura. In quel  tempio Ifigenia  avrebbe ricevuto l’ornamento  dei pepli e dei tessuti che le donne morte di parto lasciano nelle loro case.

L’onore della mia memoria, il mio stesso onore e la vita, tutto era salvo. Con rinnovate forze mi misi per  un sentiero pedalando contro i soffi del vento che veniva dal mare e mi gettava aspri granelli di sabbia negli occhi già oberati da trenta ore di lenti a contatto. Ma lì tutto era santo. Infatti ero diretto al santuario dove le spoglie della la mia creatura prediletta  sarebbero rimaste per sempre  protette dalla dea cacciatrice. Giunsi sulla riva del mare dove sorgono le colonne del tempio. Il vento orientale, lo stesso che più a nord ostacolava la partenza dal golfo di Aulide, sembrava inteso ad abbattere le sgretolate colonne. Non ci riusciva però. Invece scuoteva le chiome dei pini e i capelli della mia Ifigenia che profumavano mandando al cielo dolci odori e ingentilendo l’aria salmastra che rendevano più delicata. Guardavo mia figlia: bella, bruna, vivace: aveva negli occhi un’espressione ispirata, sulle labbra un sorriso di risoluta fierezza. Aveva deciso di dare la vita per l’Ellade intera guidata da me.

Pregai la dea cacciatrice con gli occhi bagnati di umore congiuntivale e di pianto: “O casta dea che non puoi volere il sangue innocente di questa creatura mia, salvala dal ferro del sacerdote infernale. Ritengo che l’empio Calcante, essendo lui un assassino, attribuisca a te la sua crudeltà. Ifigenia non è renitente: non vuole essere salvata da me e nemmeno da Achille. Salvala tu, potente signora della natura, dopo che ha dato il suo assenso al sacrificio di sé per amore della Grecia. Artemide salva la vergine Ifigenia. Lei ti somiglia!”

Il luogo era deserto e potei piangere le lacrime dolci che mi diedero, come sempre, una strana consolazione. Sazio di lacrime, ripresi a pedalare. Ero felice.

 

Bologna 3 marzo 2021  ore 10, 18

giovanni ghiselli


p. s.

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