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Sentiamone una nel Giulio Cesare (IV, 3, 217-220): “There is a tide in the affaire of men, c’è una marea nelle cose degli uomini (qui tide del resto svolge pure la funzione di kairovς, l’occasione, il momento opportuno) which taken at the flood, leads on to fortune, che presa nel flusso, conduce al successo, omĭtted (lat. omitto lascio perdere) all the voyage of their life is bound in shallows and in miseries, tutto il viaggio della loro vita è arenato in secche e disgrazie ( lat. miseriae).
E’ Bruto che parla con Cassio il quale vorrebbe procrastinare la battaglia decisiva.
Per quanto riguarda il nesso con l’occasione, questa volta ricordo Isocrate il quale prescrive: tw'n kairw'n mh; diamartei'n"(Contro i sofisti , 16), di non fallire l'occasione.
L’argomento dell’occasione torna nell’ Antonio e Cleopatra (1607) dove Menas disprezza Sesto Pompeo che non vuole sfruttare l’occasione di ammazzare i tre compropietari del mondo three world-sharers ospiti nella sua nave e dice a se stesso: “I’ll never follow thy pall’d fortune more-who seeks and will not take, when once ‘tis offer’d-shall never find it more” (II 7, 81-83), non seguirò più la tua svigorita fortuna: chi cerca e non prende una cosa quano gli viene offerta, non la troverà più.
I due Cesaricidi hanno fatto una discussione nella quale il mio maestro di letteratura inglese Carlo Izzo ha rilevato una “drammaticità tonale” quando Bruto accusa Cassio di avere affermato di essere miglior soldato di lui e Cassio risponde
“You wrong me every way; you wrong me, Brutus/I said an elder soldier,-old da una radice indoeuropea *al- che si vede in lat. alo, nutro- non a better:/did I say better?” (Giulio Cesare, IV, 3, 55-56), tu mi fai torto un ogni modo, tu mi fai torto, Bruto: ho detto un soldato più anziano, non migliore; ho detto forse migliore?
L’uomo teme di essersi lasciato trasportare dall’ira e la battuta contiene il tono con cui va pronunciata,
Una notte in cui Bruto non riusciva a dormire, vide una mostruosa apparizione (monstruos apparition, Giulio Cesare, IV, 3, 276). Le chiede se fosse some angel or some devil, che rende freddo il sangue e fa rizzare i capelli.
Lo spirito risponde Thy evil (probably allied to over, über, uJpevr, super, quindi eccessivo) spirit-spiritus soffio, Brutus, il tuo cattivo genio (281)
Bruto gli chiede Why com’st thou?
E The Ghost: To tell thee thou shalt see me at Philippi.
E Cesare“Why, I will see thee at Philippi then” (Giulio Cesare, IV, 3, 282-283 )
In Plutarco, Bruto ebbe la visione spaventosa di un uomo orribile
per grandezza e dall’aria feroce o[yin ei\de fobera;n ajndro;ς ejkfuvlou to; mevgeqoς kai; calepou' to; ei\doς ( Vita di Cesare, 69, 10).
Gli chiese chi fosse, e il fantasma rispose:
“oJ so;ς w\ Brou'te daivmwn kakovς: o[yei dev me peri; Filivppouς” ( Vita di Cesare 69, 11).
Allora Bruto coraggiosamente rispose ti vedrò. Tovte me;n ou\n Brou'toς eujqarsw'ς –“o[yomai” ei\pe.
Parole molto simili si trovano nella Vita di Bruto ( kai; oJ Brou'to" ouj diataracqei;" “oyomai” ei\pen 36, 7)
In Giulio Cesare V, 1, 10 Antonio usa un efficace ossimoro: fearful bravery, pauroso ardire. a proposito dei nemici, i Cesaricidi che vogliono mosrare, simulando, di avere coraggio
Poco dopo ( 34-35) Cassio dice ad Antonio venuto a parlamentare your words-verba- they rob the Hybla bees and leave them honeyless, le tue parole derubano le api di Ibla e le lasciano senza miele
La fioritura di Ibla è ricordata nel Pervigilium Veneris (vv. 49-52), un carme anonimo di 93 settenari trocaici, forse del IV secolo Hybla totos funde flores, quidquid annus adtulit/ Hybla florum sume vestem, quantus Aetnae campus est (51-52), Ibla diffondi tutti i fiori che il nuovo anno portò, Ibla prendi una veste di fiori per quanto si distendono i campi dell’Etna. Venere assistita dalle Grazie vuole che il suo tribunale sia colmo di fiori iblei. Il monte Ibla è in Sicilia ma le api sono tutte iblèe.
Il monte Ibla era famoso per il miele delle sue api. Nella I ecloga di Virgilio il fortunatus senex Titiro che ha conservato il sio podere grazie a una raccomandazione potrà rimanere inter flumina nota et fontes sacros e vicino alla saepes Hyblaeis apibus depasta florem salicti v. 54 divorate dalle api iblèe del fiore del salice. Queste gli concilieranno il sonno con lieve sussurro (vv. 51-55)
Antonio ribatte dicendo di avere lasciato il pungiglione alle api.
Ma Bruto replica che ha preso anche quello e pure il loro ronzio (buzzing) e prima di pungere astutamente minaccia (and very wisely threat before you sting, 38)
Bruto salutando Cassio suicida dice: “The last of all the Romans, fare the well! (V, 3, 99).
Cassio è stato definito l’ultimo dei Romani da Cremuzio Cordo.
Tacito negli Annales ricorda i misfatti della tirannide di Tiberio quando i libri degli oppositori venivano condannati: “Cornelio Cosso Asinio Agrippa consulibus, Cremutius Cordus postulatur novo ac tunc primum audito crimine, quod editis annalibus, laudatoque M. Bruto, C. Cassium Romanorum ultimum dixisset” ( IV, 34), sotto il consolato di Cornelio Cosso e Asinio Agrippa[1] viene citato in giudizio Cremuzio Cordo per un delitto nuovo e sentito allora per la prima volta: pubblicati degli Annali con la celebrazione di M. Bruto, egli aveva chiamato Cassio l'ultimo dei Romani.
Si ricordino anche i casi di alti storoiografi martiri: Tito Labieno sotto Augusto e Trasea Peto con Nerone (cap. 31).
Bruto dice a Clito che gli ha riferito della cattura o dell’uccisione di Statilio avvicinatosi al campo nemico per contare i morti: “slaying is the word;- it is deed in fashion- latino factio diritto di fare e partito- ” (V, 5, 6-7), uccidere è la parola; è un’azione che va di moda.
Quindi Bruto si uccide aiutato da Stratone, e Antonio ne fa l’elogio funebre: era il più nobile di tutti quelli, tutti cospiratori tranne lui: “This was the noblest Roman of them all-all the conspirators- lat conspīro- save- lat salvus- only he” (Giulio Cesare, V, 5, 68-69)
Nella Vita di Bruto, Plutarco scrive che molti sentirono dire da Antonio che Bruto tra i cesaricidi era l’unico spinto da nobili ideali; gli altri avevano ordito il complotto misou'ntaς kai; fqonou'ntaς (Vita di Bruto, 29, 7) per odio e per invidia.
Leopardi nel Bruto minore del 1821 fa dire a Bruto in procinto di uccidersi “stolta virtù” (16)
Guerra mortale, eterna, o fato indegno,- teco il prode guerreggia,- di cedere inesperto[2] (8-40)
“ In peggio- precipitano i tempi; e mal s’affida- a putridi nepoti- l’onor d’egregie menti” (112-115).
Cesare quale scrittore “tucididèo”, ossia razionale, alieno dal mu'qo".
Cfr. il passaggio del Rubicone di Cesare in Svetonio, molto diversi dal quello raccontato nel De bello civili dove Cesare
Un uomo che suonava il flauto, afferrò una tromba, diede il segnale di battaglia e si diresse all’altra riva.
Allora Cesare : “eatur, inquit, quo deorum ostenta et inimicorum iniquitas vocat. Iacta alea esto” (Svetonio, Caesaris vita, 32).
. Nella sua opera sulla Guerra civile, questo condottiero non fa cenno a quell’ispirazione divina a cui i suoi contemporanei ricondussero la sua grande decisione della notte fra il 10 e l’11 gennaio: il passaggio del Rubicone. Il Cesare di tutti noi, è, ancor oggi, l’uomo che disse allora: “il dado è tratto”; questo non è il Cesare del Bellum civile, ma il Cesare delle Historiae scritte dal suo ufficiale più “indipendente” e acuto: Asinio Pollione.
Nel suo racconto Cesare aveva voluto esporre le ragioni storico-giuridiche della decisione presa, “condensate” in un’arringa ai soldati (B. C. I, 7)”[3].
Ne De bello civili, Caesar apud milites contionatur , e denuncia il fatto che nella repubblica si sia introdotto novum exemplum…ut tribunicia intercessio armis notaretur atque opprimeretur” (I, 7), il veto dei tribuni veniva censurato e soffocato con le armi. Perfino Silla che aveva spogliato la tribunicia potestas, tamen intercessionem liberam reliquisse. Bisognava dunque andare a Roma per ripristinare la legalità.
“Asinio, che ancora portava nell’animo il ricordo fascinoso del capo, e tuttavia voleva a suo modo esercitare una critica “indipendente”, dipinse invece un “passaggio del Rubicone” in cui il lettore ritrovava ancora l’ansia e la gravità di quella decisione suprema”. Il racconto di Asinio lo ricostruiamo attraverso storici più tardi[4]. “Tra il racconto di Cesare, scritto forse verso il 46 a. C., e quello di Asinio, che cominciò le sue Historiae verso il 30, corrono quindici anni, o più; ma la differenza non è solo nelle date; è più significativa e radicale; Cesare, scrittore “tucididèo”, ossia razionale, non poteva intendere abbastanza i momenti irrazionali della sua stessa impresa…le Historiae di Asinio potevano riflettere la vera situazione, in maniera più adeguata, senza preoccupazioni apologetiche…Il Cesare autentico è però un incontro della razionalità tucididèa…con la passione politica, che lo animò in questi momenti decisivi”[5].
Cesare “Non permetteva, anche se ciò possa deluderla, che il suo cuore disponesse della sua testa”[6].
Il fatto è che queste due componenti della persona sono intrecciate: il Giulio Cesare di Plutarco (50-120 d. C.) nel momento di gettare il dado, ossia di infrangere le leggi lanciandosi oltre il Rubicone (gennaio del 49 a. C.), sintetizza emotività e calcolo: agisce "Tevlo" meta; qumou' tino" w[sper ajfei;" eJauto;n ejk tou' logismou' pro;" to; mevllon" (Vita di Cesare , 32), in definitiva con impulso, come se si lanciasse verso il futuro partendo dal ragionamento.
Il pathos è un elemento della ragione nelle persone intelligenti.
giovanni ghiselli
[1] Nel 25 d. C.
[2] Cfr. Orazio Carm. I, 6, cedere nescii (detto di Achille)
[3] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 199-200.
[4] P. e. Svetonio, Caesaris vita, 32.
[5] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 201.
[6] B. Brecht, Gli
affari del signor Giulio Cesare, p. 22.
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