venerdì 19 marzo 2021

Viaggio in Grecia, 1981. Capitolo IV. Ancona. Il traghetto. Il monte Conero

Testa di Giano Bifronte
(https://www.laboratoriodiscultura.it/home/48-lb-246-testa-giano-bifronte.html)
La osservavo pensando accorate parole: “Bella sei bella, sei l’idea stessa della bellezza venuta qui sulla terra, miracoloisamete, a mostrarsi. Di questa tua venustà coporea vorrei salvare almeno qualche frammento dalla caduta nell’abisso al termine della processione macabra che ogni giorno avvicina noi tutti mortali alla condanna scritta nel giorno stesso in cui venimmo alla luce.

Sei bella, ma non sei più l’Ifigenia che conobbi meravigliosamente quasi tre anni or sono. Piuttosto ti sei rivelata un’ Elena: una donna bifronte come Giano, o doppia come un centauro. In un primo tempo con i piaceri del corpo e dello spirito mi hai elevato l’anima fino alla pianura dove splende la luce della verità, poi, dopo qualche mese, mi hai gettato in burroni bui, scoscesi. Oramai abbiamo poco da dirci: io voglio imparare dell’altro, tu vuoi drammatizzarti da sola. Faresti bene a indagare te stessa prima delle tue recite. Dovresti cercare di salvarti dai buchi neri del tuo carattere che tendono a risucchiare la parte migliore di te. Io voglio scrivere, ma prima dovrò studiare, osservare imparare, capire.”

Intanto eravamo giunti al porto di Ancona. Mangiammo un frutto dell’autunno incipiente e, sempre senza parlare, entrammo nel traghetto greco.

Ifigenia si calò quattro anni quando le fu chiesta l’età dal marittimo che controllava i biglietti per assegnarci la cabina. Non l’aveva fatto apposta, credo, ma con un lapsus comunque non casuale. Era fuorisciuto il suo desiderio latente di cancellare anni di fustrazioni e dolori. Mi sentii in colpa pensando che non avevo fatto abbastanza per aiutare la sua crescita umana mentre nei primi 8 mesi traevo vantaggi non piccoli dalla fresca vitalità di quella giovane donna di cui succhiavo gli umori più forti e più sani.

Ero stato un buco nero anche io con lei.

Subito dopo l’imbarco andammo nella cabina, a dormire ognuno nella sua cuccia. Un paio di ore più tadi ci alzammo e salimmo sul ponte. La nave costeggiava le pendici del monte Conero che sembrava una balena spiaggiata.

Ci eravamo seduti a poppa per prendere il sole. Tra noi “tirava un’ariaccia” come si dice a Pesaro, se le cose vanno male “un bel po’ ”. L’eufemismo corrispondente consiste nel rispondere “una cosa giusta” quando ci chiedono come va, e va proprio male.


Osservavo la scia bianca della nave sul mare. Mi vennero in mente le “umide vie” e “il mare canuto” di Omero.

“Ecco un’umida via canuta” pensavo, ma non potevo dirlo a lei per non farla infuriare come era accaduto pochi giorni prima con una tale che se la prese credendo che alludessi copertamente alle sue ciclopiche braccia, alle sue coscione sudate e ai primi capelli già mezzi bianchi della sua testa balzana.

“Io darò un pugno a ghiselli nell’occhio!”  gridò quella megera e sferrò un colpo. Per fortuna riuscii a schivare il cazzotto e lo spappolamento del bulbo oculare.

 

 Dopo la bella parentesi dei primi anni Settanta, quelli delle tre finlandesi intelligenti, colte, belle e fini, e dei cari  amici incontrati a Debrecen, era tornato il costume dell’antipatia, del sospetto, della diffidenza tra gli umani.

Ripetei dunque solo tra me la metafora omerica pensando che l’artista legge il libro dell’Universo e sa riconoscere la parentela dell’intera natura con se stessa, l’affinità di tutte le cose tra loro.

Nemmeno questo potevo dire a quell’Erinni che con la sua furia mi faceva scontare tutti i miei peccati che già allora non erano pochi.

“E gianni peccator fui nella casa della mia donna in sul lido adriano” mi dissi.

 

Bologna 19 marzo 2021 ore 21, 49

giovanni ghiselli

p. s        

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