Sicché decisi di parlare
senza maschera e senza ironia, per fare la pace.immagine di TeppistELLY
Andai nel bagno per mettermi le lenti a contatto quasi fossero un abbigliamento elegante. Comunque costituivano uno dei momenti della mia cosmesi dopo la bicicletta, le corse a piedi, l’abbronzatura e la frugalità.
Quindi tornai a sedermi sulla cuccia della cabina, chiusi il quaderno che avevo lasciato aperto e dissi: “Il nostro rapporto è fallito, Ifigenia, c’è poco da fare. Ma non è una tragedia: non c’è stato un bambino e dopo questo pellegrinaggio possiamo smettere di frequentarci, se vuoi”.
“Come potrei non volerlo ?” Fece, rispondendo con una domanda retorica.
Il gioco di scacchi ricominciava ma non desistetti dalla volontà di fare chiarezza.
“Il fatto più grave cui è difficile trovare rimedio è che in noi due, nel nostro frequentarci, c’è della stanchezza. Abbiamo nell’anima qualche cosa di tetro, di malato, che ci sottrae energie, ci ha tolto del tutto ogni letizia dal petto, expulit ex omni pectore laetitias”[1].
Stavo ricominciando a citare, a recitare anche io. Era più forte di noi, zingari teatrali di formazione classica. Lei più dionisiaca, io incline piuttosto all’apollineo.
“Tu mi hai lasciato, almeno come 'fidanzato', da tempo: se la causa del nervosismo e dello squilibro che ci fa cadere nell’insensata volgarità del litigio fosse stato il nostro rapporto, saremmo sereni oramai.
Del resto se il frequentarci solo sporadicamente e senza vincolo alcuno ci avesse reso felici, ora non saremmo chiusi a beccarci con tanto di sangue in questa cabina.
Ricordati che la settimana scorsa ci siamo cercati a vicenda e quando ci siamo trovati abbiamo detto: “mi manchi” con voce reciproca.
Dunque non è vero che basta il discidium o il divortium tra noi per essere felici. Io senza te non lo sono mai stato.
Tu non abitavi nella periferia delle mie gioie, anzi con te ho visto tutti i termini della beatitudine mia[2].
Né d’altra parte lo stare insieme ci rende felici, come si vede benissimo qui. Secondo me c’è qualche cosa di malato in entrambi, e il morbo non dipende dal nostro rapporto, bensì lo contagia. Che cosa può essere?
Pensiamoci, ifigenia, parliamone senza questionare”
“Bene, ci penserò, ma non voglio parlarne con te”
“Per quale ragione vuoi pensare da sola a un problema, un ostacolo alla felicità che riguarda anche me?”
“Perché non mi fido di te: tu non hai più l’autorità morale, l’autorevolezza per darmi consigli”.
“Ho capito” conclusi.
Bologna 24 marzo 2021, ore 11, 46 giovanni ghiselli
p. s.
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