NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 2 marzo 2021

Estate 1978. Capitolo III. Pedalare fantasticando

Micene
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Volevo che la luce della gioventù della creatura mia prevalesse sulla tenebra della superstizione. Dato il mio ruolo di capo supremo, potei sottrarre Ifigenia all’empio proposito del prete malvagio.

L’avevo rapita all’avida morte: la vedevo danzare, cantare  e sorridere sulla riva ventosa del mare ondeggiante.

I ciottoli sotto l’acqua vicina alla riva scintillavano come cristalli. Api vellutate giravano intorno alle arance. Il sole sfolgorante circonfondeva tutto.

 Ifigenia cercava di propiziarsi gli dèi che, pietosi, ci avevano offerto l’occasione di quella felicità. Dolce aleggiava il suo canto e i movimenti avevano l’armonia del cosmo creato dalla sapienza dell’artista supremo.


Le parole mi fiorivano dentro e dicevo a mia figlia venuta vicino:

“Inevitabile è il viaggio di ritorno a Micene. Io e tua madre detestiamo la guerra. Vogliono farla per amore di rapina e di stupro. Ma io amo te figlia mia. Non mi importa niente della conquista di Troia, della vittoria sui barbari né del potere sui Greci: solo tu mi stai a cuore proncipessa, creatura: la tua vita che porterà avanti la mia, il tuo volto ridente, la tua gioia, il tuo amore. Torneremo insieme alla nostra inespugnabile rocca dove daremo gioia alle tue sorelle[1], a tuo fratello, a tua madre. Questa è la ritirata dei forti, non è viltà. Torniamo nella nostra patria migliore”.


Ma Ifigenia aveva mutato disposizione d’animo. Inopinatamente.

Rispose: “No, padre. A Micene tu farai convocare l’assemblea dei cittadini, poi annuncerai che la tua pimogenita vuole morire per la libertà dell’Ellade intera, e per te. Lascia che salvi la Grecia, se posso. Il popolo vuole tali esempi da noi. Se non trovassimo il coraggio e la forza di dargleli, come potremmo pretendere di essere considerati i migliori? Io devo morire e lo voglio, non perché non ami la vita e sia stanca di vedere la bellissima luce del sole, ma perché amo la mia identità di ragazza dall’anima nobile ancora più della vita. Tu stesso, padre, mi hai educata a sentire così altamente”.

Non potei dissuaderla. Dovetti sottoporre il collo al giogo ferreo della Necessità.

Ottenni soltanto che all’assemblea convocata dentro la rocca possente della nostra Micene fosse lei stessa ad annunciare il proposito suo e ne avesse intera la gloria.

Sapevo che i poeti l’avrebbero cantata per sempre.

Tornato in me,  recitai a memoria qualche verso ispirato a Eschilo, a Euripide, a Lucrezio, dalla mia creatura più cara.

Poi seguitai a sognare pedalando e pensando che la madre forse non avrebbe capito il sacrificio della nostra figliola. L’avrebbe considerato un empio delitto voluto dal prete empio e dai duci ambiziosi dei Danai d’accordo con me.

Dovevo impedire che la furia materna arrivasse a sciupare l’eoico gesto imposto dal Fato alla nostra figliola innocente e non renitente.

Tornai un’altra volta in me e recitai questi versi di Sofocle dove

Clitennestra  ricorda a Elettra l’assassinio di Ifigenia quando dice alla figlia superstite, ostilissima a lei, che è stata Dike ad ammazzare Agamennone.

Io partorii quella ragazza con dolore; lui l’ha solo seminata.

ejpei; path;r ou\to" sov", o{n qrhnei'" ajeiv,

th;n sh;n o{maimon mou'no"   JEllhvnwn e[tlh

qu'sai qeoi'sin, oujk  i[son kamw;n ejmoi;

luvph" o{t j e[speir j , w{sper hJ tivktous j ejgwv (Elettra, 530-533)

poiché tuo padre che piangi sempre, osò, lui solo tra i Greci,  sacrificare agli dèi una del tuo stesso sangue, senza avere sofferto come me la pena del parto quando la seminava, come ho fatto io nel partorirla.


Non aveva tutti i torti la madre orbata della figlia.

 

 Pedalai per parecchi chilometri fantasticando così. Non sapevo che in autunno avrei conosciuto meravigliosamente una Ifigenia in carne e ossa; anzi pensavo alla bambina non nata siccome sacrificata allo studio e alla carriera da Päivi, e in nessun modo difesa da me.

Deino;n to; tivktein ejstivn (v.770),  gridai, tremenda cosa è il partorire!

 E perdonai.


 

giovanni ghiselli  

 



[1] Risparmio a qualche eventuale saputello l’obiezione che Ifigenia nelle tragedie aveva una sola sorella: Elettra. Nell’Iliade invece Agamennone dice di avere lasciato nella sua casa ben costriuita tre figlie: Crisotemi, Laodice, Ifianassa. Vero è che la vicenda di questo sacrificio è raccontata da Euripide ma io uso sempre diverse fonti, poiché, come scrive Leopardi, è moltiplicando i modelli che si raggiunge l’originalità” (cfr.Zibaldone , 2185-2186.)

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