domenica 28 marzo 2021

La presenza degli autori classici nelle tragedie di Shakespeare. XV. La lotta di classe e l'esilio di Coriolano. Vi è un mondo altrove

Coriolano
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La lotta di classe e l'esilio di Coriolano. Vi è un mondo altrove


Dopo la battaglia nella quale Marzio si è coperto di gloria, il collega generale Cominio vuole assegnargli the tenth, la decima parte della preda (I, 9, 39-40), ma Coriolano rifiuta un premio tanto grande e dice che la sua parte deve essere uguale a quella di chi lo ha visto combattere.

Siamo nel primo decennio del V secolo a. C.

Plutarco mette in luce che in quel tempo il denaro non era un idolo. Marzio si presentò quale candidato al consolato (uJpateiva, u{patoς console) con il solo mantello (iJmavtion), senza la tunica  a[neu citw'noς,  sia per mostrarsi più umile nell’aspetto, come è appropriato a chi fa delle richieste, sia per mostrare le cicatrici (wjteilaiv), come segni visibili del valore.

La stessa cosa farà Mario il quale nel Bellum Iugurthinum dice che non può ostentare i ritratti i trionfi i consolati degli antenati - imagines neque triumphos aut consulatus maiorum,  ma i mezzi e le ricompense del proprio valore personale “praeterea cicatrices advorso corpore” (85), inoltre le cicatrici sul petto.

Le ferite spesso parlano: non sempre sono " dumb mouths "[1] , bocche mute, come quelle di Cesare assassinato. "Una ferita è anche una bocca. Una qualche parte di noi sta cercando di dire qualcosa. Se potessimo ascoltarla! Supponiamo che queste "intensità sconvolgenti siano una sorta di messaggio: sono "cicatrici", ferite, che segnano la nostra vita"[2].


Haec sunt meae imagines-continua Mario-, haec nobilitas, non hereditate relictae, ut illa illis, sed quae egomet meis plurimis laboribus et periculis quaesivi”, queste sono le mie immagini, questa la nobiltà, non lasciate in eredità, come quelle cose a loro, ma che io ho conquistato personalmente con fatiche e  pericoli in grandissimo numero.

Mario arriva a rivendicare la propria rozzezza: “Non sunt composita mea verba, parvi id facio. Ipsa se virtus satis ostendit. Illis artificio opus est, ut turpia facta oratione tegant. Neque litteras Graecas didici: parum placebat eas discere, quippe quae ad virtutem doctoribus nihil profuerant” , non sono ricercate le mie parole e non me ne curo. La virtù si fa vedere abbastanza da se stessa. Sono loro che hanno bisogno di retorica, per coprire i loro misfatti vergognosi con parole adorne. Né ho imparato il greco, non ne ero invogliato dato che non avevano giovato a quegli studiosi per arrivare alla virtù.    


Ma torniamo a Plutarco. “ più tardi infatti, e dopo molto tempo, si introdusse la compra vendita dei suffragi e si mescolò il denaro con i voti dell’assemblea (ojye; ga;r meta; polu;n crovnon wjnh; kai; pra'siς ejpeish'lqe kai; sunemivgh tai'ς ejkklhsiastikai'ς  yhvfoiς ajrguvrion, Vita di Croiolano, 14, 3).

Quindi la corruzione (hJ dwrodokiva) toccando anche i tribunali e gli accampamenti (kai; dikastw'n qigou'sa kai; stratopevdwn), portò la città al potere imperiale, asservendo le armi al denaro ejxandrapodisamevnh ta; o{pla toi'ς crhvmasin.

Primo a minare la forza del popolo fu colui che iniziò a offrirgli  banchetti e doni

Il popolo del resto riteneva già allora di subire vessazioni uJpo; tw'n daneistw'n (Vita di Coriolano, 5, 2) da parte degli usurai.

 L’asservimento fino alla schiavitù degli indebitati insolventi si chiamava nexum . Questa conseguenza provocò rivolte e fu abolita nella seconda metà del IV secolo.


Nel Coriolano di Shakespeare un cittadino dice a Menenio Agrippa che i patrizi  make edicts for usury,-to support usurers I, 1) fanno editti  contro l’usura a vantaggio degli usurai. Se le guerre non ci mangiano vivi, lo faranno loro, e questo è tutto il bene che ci vogliono.


Anno 492. Coriolano non venne eletto per il 491, bensì Minucio e Sempronio

 Gelone (tiranno di Siracusa dal 485 al 478; nel 491-490 era ancora tiranno di Gela) inviò del grano in dono: la plebe sperava che venisse venduto a prezzo politico o persino regalato. Coriolano si oppose. Era assolutamente contrario al tribunato della plebe come Stato nello Stato

Il Coriolano di Tito Livio dice: “Si annonam veterem volunt, ius pristĭnum reddant patribus (II, 34, 9), se vogliono il grano al vecchio prezzo, restituiscano ai patrizi l’antico diritto, quindi aggiunge che non ha sopportato la dittatura di Tarquinio, e non vuole tollerare i tribuni. Et senatui nimis atrox visa sententia est (II, 35, 2), al senato stesso la proposta parve troppo dura

 La plebe vedeva in Coriolano un mostruoso carnefice.

Alla resa dei conti,  damnatus absens in Volscos exulatum abiit, condannato in contumacia andò in esilio tra i Volsci (II, 35, 6 ). Lo ospitò Attio Tullio (In Shakespeare si chiama Tullo Aufidio) acerrimo nemico dei Romani.


Trattare bene il popolo come facevano le democrazie radicali della Grecia, disse Coriolano, significava rifornire la loro indisciplina th;n ajpeivqeian aujtw'n ejfodiavzein (Plutarco, 16).

Cfr. la Repubblica di Platone: la democrazia è una costituzione anarchica e variopinta.


Coriolano  propone di togliere alla plebe th;n dhmarcivan (Plutarco, Vita di Coriolano, il tribunato, 16, 7) che annulla il potere consolare e divide la città. Roma infatti è stata tagliata in due.

Il Coriolano di Shakespeare aveva detto ai senatori che, nell’ assecondare la folla, noi nobili nutriamo contro il nostro senato la cattiva erba della ribellione, dell’insolenza della sedizione we nourishlatino nutrio-nutrire-‘gainst our Senate the cockle of rebellion, insolence, sedition (III, 1, 69-70)


Plutarco: i tribuni - dhvmarcoi - aizzarono la folla contro Coriolano.

In Shakespeare i tribuni Sicinio e Giunio Bruto manovrano per danneggiarlo.

Eppure combattendo  aveva riempito Roma di benefici.


Plutarco ricorda che Coriolano quando era ancora un ragazzo partecipò alla battaglia finale contro Tarquinio che gettava l’ultimo dado (e[scaton kuvbon, 3, 1) avendo molti latini alleati (forse fa confusione con la nattaglia del lago Regillo contro i Latini del 499 o 496).

 Allora il dittatore lo incoronò con una corona di quercia-ejstefavnwse druo;ς stefavnw/ (3)

Shakespeare scrive che Marzio piegò Tarquinio e per ricompensa was brow-bound with the oak, fu incoronato con la quercia (II, 2).

-brow, sopracciglio e fronte- cfr. ojfruvς, sopracciglio e orgoglio


Il popolo quasi si scagliò contro i senatori.

I tribuni presentarono un’accusa (aijtivan) contro Coriolano e lo invitavano a discolparsi ejkavloun aujto;n ajpologhsovmenon (Plutarco, Vita, 17, 4), Coriolano cacciò i funzionari che gli portavano la citazione. Allora i tribuni, meta; tw'n ajgoranovmwn (17, 5) con gli edili della plebe, cercarono di catturarlo. I patrizi lo difesero e scoppiò un tumulto (tarachv, 17, 7v)

Il giorno dopo i consoli tentarono di placare il popolo

I tribuni chiesero che Marzio andasse a scusarsi sperando che si umiliasse o si arrabbiasse. Marzio si presentò ma con aria sprezzante e di sfida, e il popolo si inasprì. Il più ardito dei tribuni (tw'n dhmavrcwn oJ qrasuvtatoς), Sicinio, disse che loro, i difensori del popolo, avevano condannato a morte Marzio (18, 3-4)

La madre Volumnia gli consiglia di dire anche parole bastarde come si può fare con dei nemici esterni.

Questo è il dramma dell’odio di classe

Ma Coriolano non adula “ la moltitudine mutevole e puzzolente” ( the mutable, rank-scented meiny III, 1, 66). Il popolo è tetro e miserabile ma non silenzioso . Abbaia come una muta di cani. E’ mutable, grida “evviva”, poi “a morte” ed è pronto a tutto pur di salvare la pelle e i suoi cenci fetidi.

Per Shakespeare, il popolo è solo materia della storia, non il suo attore: può suscitare pietà o ribrezzo o paura, ma è impotente, è un giocattolo nelle mani dei pochi che hanno il potere.

Cfr. Tacito delle Historiae.

Nel Giulio Cesare il popolo prima acclama Bruto, poi, dopo l’orazione di Marco Antonio, vuole farlo a pezzi.

Shakespeare aveva visto gli artigiani londinesi salutare Essex con le torce, poi pascersi alla vista della sua esecuzione

I tribuni in Plutarco difendono il popolo; nel Coriolano di Shakespeare sono degli imbecilli: sono “la lingua della bocca comune” ( the multitudinous tongue, III, 1, 156) e puzzano quanto la plebaglia.

 Bruto e Sicinio sono malmessi e ridicoli.


La plebe scaccia Coriolano, gli imbelli patrizi lo abbandonano, Roma si è dimostrata vile e Coriolano dice: “Io disprezzo per causa vostra la città e le volgo le spalle: there is a world elsewhere, vi è un mondo altrove (III, 3, 135).

 

Bologna 28 marzo  ore 18

giovanni ghiselli


p. s

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[1] Shakespeare, Giulio Cesare , III, 2.

[2] J. Hillman, Il piacere di pensare , p. 66.

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