L'ultima pedalata
Riprendemmo la pedalata contro il vento caldissimo spirato da sud ovest. Ifigenia dopo pochi chilometri già barcollava, sbuffava, soffriva e diceva che non poteva procedere così ostacolata e gravata.
“Adesso dovrò sobbarcarmi di nuovo”, pensai con un po’ di fastidio e anche un poco di orgoglio.
Subito dopo in effetti mi offrii di alleviarle la schiena prendendo anche il suo zaino che dislocai al di sopra del mio, quasi sul collo. Ma nemmeno così alleggerita Ifigenia ce la faceva a pedalare fino a Patrasso. Provai a incoaggiarla, a spingerla anche fisicamente stando alla sua sinistra e impiegando quanta forza avevo nel braccio destro e nella mano aperta appoggiata sulla schiena di lei, ma la mia compagna di viaggio, come un commilitone stremato dagli ordini atroci di un comandante implacabile, seppur generoso, a un tratto scostò la mia mano non abbastanza soccorrevole, frenò, fermò la bici e disse che non ce la faceva più in nessuna maniera.
Urgeva dunque trovare un rifugio dove passare la notte, però l’autostrada dove eravamo entrati a Egion senza essere ostacolati era recintata da una rete di ferro e per uscirne saremmo dovuti arrivare al casello di Patrasso ancora lontana almeno venti chiometri. Ci si trovava perciò in una prigione, fiammeggiante per giunta come una fornace, con l’acqua delle borracce esaurita oltre tutto. La ragazza infatti sudava assai poi beveva più di una spugna.
Allora andai un po’ avanti, un po’ indietro scrutando la rete ferrigna, finché vi trovai un buco abbastanza grande per la nostra evasione. Usciti da quel carcere, percorremmo una stradina sterrata in discesa fino a un borgo non senza una torre sulla riva del mare: Psathopirgos si chiama. Trovammo una stanza con terrazza affacciata sul piccolo porto. Nel nostro squlibrio questa fu un’altra serata di pace. Eravamo entrambi contenti per la collaborazione che c’era stata tra noi nell’ultimo tratto quando l’avevo aiutata senza rimproverala né insistere troppo e Ifigenia mi era grata per il mio comportamento nei suoi confronti, sicché aveva deciso di porre fine alle querimonie e di sospendere il rancore accumulato per anni contro di me.
Una tregua malsicura e precaria. Dormimmo per l’ultima volta insieme sulla riva del mare. Il giorno seguente, dopo avere pedalato insieme per l’ultima volta, giungemmo a Patrasso.
Se ce l’hai fatta a seguirci fin qui, lettore, senza stancarti né annoiarti, vieni ancora avanti con noi, complicemente: laetaberis.
Prenotammo la cabina sul traghetto del ritorno che salpava il 28, per Brindisi. Nella nave diretta ad Ancona non c’era più posto nemmeno sul ponte.
Ifigenia si immusonì e cominciò a protestare dicendo che tutto si complicava siccome a Brindisi avremmo dovuto trovare un treno lei per Bologna, io per Pesaro.
“ Dichiarazione di guerra e correlativo geografico del nostro discidium” pensai.
Ma non lo dissi. Volli sdrammatizzare, sicché la guardai in faccia citando Francesco Redi
Su voghiamo,
navighiamo,
navighiamo infino a Brindisi:
Arianna, brindis, brindisi.
Passavoga, arranca, arranca,
ché
la ciurma non si stanca,
anzi lieta si rinfranca
quando arranca inverso Brindisi:
Arianna, brindis, brindisi.
E se a te brindisi io fo,
perché a me faccia il buon pro,
Ariannuccia vaguccia, belluccia,
cantami un poco, e ricantami tu
sulla mandola la cuccurucù,
la cuccurucù
la cuccurucù,
sulla mandola la cuccurucù.
“Sei il buffone di sempre, fece lei”. Non le servivo più.
Poi prendemmo una stanza, girammo per la città, quindi cenammo e andammo a dormire senza tante storie.
Bologna 31marzo 2021 ore 18, 27
giovanni ghiselli
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