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La conferenza si terrà online in data 27 marzo 2021, ore 11.00–12.30.
A chi vuole seguirla on line posso inviare il link per posta elettronica
g.ghiselli@tin.it
Inizio del mio percorso
La giovinezza come tempo della bellezza
La giovinezza corrisponde all’unica felicità possibile nella vita in molte secondo alcuni poeti
Sentiamo Mimnermo (VII –VI secolo)
"Quale vita (bivo~), quale piacere (terpnovn), senza l'aurea Afrodite?
Vorrei essere morto, una volta che non mi importi più di questi beni,
l'amore furtivo e i dolci doni e il letto (eujnh[1]):
che sono i soli fiori fugaci di giovinezza
per gli uomini e per le donne; poi quando sia giunta penosa
la vecchiaia che rende l'uomo turpe (aijscrovn) e insieme cattivo (kakovn),
sempre cattivi affanni lo consumano nell'animo,
e non prova piacere neppure alla vista dei raggi del sole,
ma è odioso (ejcqrov~) ai ragazzi, spregevole (ajtivmasto~) per le donne;
così tremenda rese la vecchiaia un dio". (distici elegiaci)
La giovinezza (aj neovta") è bellissima tanto nella prosperità quanto nella povertà: “a{ kallivsta me;n ejn o[lbw/, - kallivsta d j ejn peniva/”, cantano i vecchi coreuti nell’Eracle di Euripide ( secondo stasimo, vv. 647-648) .
E poco più avanti: “ Se gli dèi avessero intelligenza e sapienza (xuvnesi"-kai; sofiva) secondo i criteri umani donerebbero una doppia giovinezza (divdumon h{ban) come segno evidente di virtù a quanti la posseggono, ed essi, una volta morti, di nuovo nella luce del sole (eij" aujga" pavlin aJlivou), percorrerebbero una seconda corsa, mentre la gente ignobile avrebbe una sola possibilità di vita (Euripide, Eracle, vv.661-669).
L’età giovanile può essere caratterizzata dall’incoscienza pure fino all’animalità ma la carenza di logica non inficia la bellezza né la letizia del giovane: La baccante è lieta come puledra che, insieme con la madre al pascolo, muove a salti l'agile piede "hJdomevna d j a[ra, pw'lo" o{pw" a{ma matevri- forbavdi, kw'lon a[gei tacuvpoun skirthvmati" (Euripide, Baccanti, parodo vv.166-167);
Secondo Marziale, una volta passata la giovinezza, la persona buona, priva di rimorsi, può godere del frutto del suo passato e accrescere lo spazio della propria esistenza: “ampliat aetatis spatium sibi vir bonus: hoc est/vivere bis, vita posse priore frui” (X 23, 7-8).
Leopardi considera i Greci “intendentissimi del bello”[2], ed evidenzia il fatto che la bellezza è associata alla bontà nella kalokajgaqiva greca.
Quello dei Greci era: “Un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello” (Leopardi, Operette morali, Detti memorabili di Filippo Ottonieri).
La bellezza è spesso associata al tempo della prima gioventù. I parti possono sciuparla
Il parto può causare una perdita di bellezza: nell’Hercules Oetaeus pseudosenecano, Deianira, vedendo la fulgida bellezza della giovanissima Iole, lamenta l’oscurarsi della propria con queste parole: “Quidquid in nobis fuit olim petitum, cecidit et partu labat” (vv. 388-389), tutto quello che una volta in noi era desiderato, è caduto e con il parto vacilla.
Le matrone romane potevano arrivare a vergognarsi di avere partorito e allattato i figli poiché dopo non potevano più essere eccitanti con un bel seno. Lo ricavo da Properzio che esorta l'amante alla rixa amorosa nella luce: "necdum inclinatae prohibent te ludere mammae:/viderit haec, si quam iam peperisse pudet " (II, 15, 20-21), non ancora le mammelle cadenti ti impediscono tali giochi: badi a questo una se si vergogna di avere già partorito.
La vecchiaia sciupa la bellezza pesando come un macigno sulla vita dell’uomo
Nel secondo stasimo dell’Eracle di Euripide già citato sopra, c’è un biasimo vecchiaia che grava sul capo dei vecchi compagni d'armi di Anfitrione come un carico più pesante delle rupi dell'Etna: "to; de; gh'ra" a[cqo" - baruvteron Ai[tna" skopevlwn-ejpi; krati; kei'tai" (Eracle, vv. 638-640).
Callimaco vorrebbe spogliarsi delle vecchiaia che gli pesa addosso quanto l’isola tricuspide sul maledetto Encelado[3] (Aitia fr. 1, vv. 35-36).
[1] Cfr. Medea e Alcesti dove è il mobile più importante della casa.
[2] Zibaldone 2546
[3] Pindaro (Pitica I,
15-28) ed Eschilo (Prometeo incatenato 351-372)
indicano Tifone quale gigante ribelle sepolto sotto l’Etna
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