martedì 23 marzo 2021

La presenza degli autori classici nelle tragedie di Shakespeare. VII. La paura della donna (metus mulieris, genitivo soggettivo e oggettivo)

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La paura della donna (metus mulieris, genitivo soggettivo e oggettivo)

Tito Livio, Shakespeare, Seneca, Euripide, Giovenale


Catone il Vecchio  si opponeva al lusso e alla libertas  femminile da lui intesa già come licentia [1].  E' la paura della donna a suggerire al Catone di Tito Livio alcune parole  sulla  necessaria sottomissione della femina  al fine di tenere sotto controllo una natura altrimenti riottosa .
Così si esprime il censore quando parla, nel 195 a. C., contro l'abrogazione della lex Oppia  che, dal 215, imponeva un limite al lusso delle matrone[2] le quali erano scese in piazza proprio per manifestare a favore dell'annullamento della legge:" Maiores nostri nullam, ne privatam quidem rem agere feminas sine tutore auctore voluerunt, in manu esse parentium, fratrum, virorum...date frenos impotenti naturae et indomito animali et sperate ipsas modum licentiae facturas...omnium rerum libertatem, immo licentiam , si vere dicere volumus, desiderant… Extemplo simul pares[3] esse coeperint, superiores erunt "[4],  (XXXIV, 2, 11-14; 3, 2) i nostri antenati non vollero che le donne trattassero alcun affare, nemmeno privato senza un tutore, e che stessero sotto il controllo dei padri, dei fratelli, dei mariti...allentate il freno a una natura così intemperante, a una creatura riottosa e sperate pure che si daranno da sole un limite alla licenza...desiderano la libertà, anzi, se, vogliamo chiamarla  con il giusto nome, la licenza in tutti i campi…. appena cominceranno a esserci pari, saranno superiori.
 
Sentiamo anche il lunatico Re Lear (1605) di Shakespeare:" Guardate quella signora che sorride in modo affettato, la cui faccia fa presagire neve dove il corpo si biforca whose face between her forks  -furca- presages  presagium- snow, che affètta virtù that minces virtue  (lat. minutia e virtus) e scuote il capo and does shake the head  a sentir nominare il piacere to hear-ajkouvw- of pleasure’s-placēre- name- nomen, o[noma- ;
la puzzola e il cavallo nutrito d'erba fresca non vanno là (alla lussuria) con un appetito più sfrenato with a more riotous appetite- appetitus-appĕtere.
Sotto la vita esse sono centauri, sebbene donne nella parte superiore (down from the waist they are centaurs, though women all above); solo fino alla cintola esse sono eredi degli dèi but to the girdle do the gods inherit (lat. heres);  sotto è tutta del demonio beneath is all the fiend’s : lì c'è l'inferno, lì ci sono le tenebre there’s hell, -allied to cell small room, latino cella, stanzuccia-  there’s dark, lì c'è il pozzo solforoso the sulphourous pit-puteus che brucia, che scotta, c'è il fetore (stench), c'è la consunzione" (King Lear, IV, 6).
 
Questa svalutazione e svilimento del corpo femminile, necessario a chi voglia liberarsi dall'irrazionale soggezione alla libidine erotica, si trova nel Secretum  del Petrarca quando S. Agostino che vuole liberare l'animo di Francesco dai due errori più pericolosi, l'amore per la gloria e l'amore per Laura, mette in guardia il poeta dai pericoli connessi alla bellezza delle donne, effimera e ingannevole se non addirittura inesistente:"Pauci enim sunt qui, ex quo semel virus illud illecebrose voluptatis imbiberint, feminei corporis feditatem de qua loquor, sat viriliter, ne dicam satis constanter, examinent " (III, 68), sono pochi quelli che, da quando una volta sola abbiano assorbito quel noto veleno del piacere seducente, possono considerare abbastanza energicamente, per non dire con sufficiente costanza, la laidezza del corpo femminile.
 
Si può ricordare anche la terribilità di Medea nella tragedia di Euipide, deinhv e furente;  il furor stesso incarnato, in quella di Seneca che abbiamo già ricordato.
Aggiungo un paio di citazioni: la  Fedra  Seneca dice alla nutrice:"Quae memoras, scio/vera esse, nutrix; sed furor cogit sequi peiora. Vadit animus in praeceps sciens,/remeatque, frustra sana consilia adpetens" (vv. 178-181), so che quanto mi rammenti è vero, nutrice; ma il furore mi costringe a seguire il peggio. Il mio animo si avvia al precipizio e lo sa, poi torna a cercare invano sani propositi.
Sentiamo anche la Fedra dell'Ippolito di Euripide :"bisogna considerare questo:/il bene lo conosciamo e riconosciamo,/ma non lo costruiamo nella fatica (oujk ejkponou'men: il bene topicamente costa povno" , fatica), alcuni per infingardaggine (ajrgiva" u{po),/ alcuni anteponendogli qualche altro piacere./ E  sono molti i piaceri della vita:/lunghe conversazioni, l'ozio, diletto cattivo, (scolhv, terpno;n kakovn) l'irrisolutezza"(vv.379-385).
Anche la  Medea  di Euripide  individua nel suo animo  un prevalere della passione sui ragionamenti, quindi comprende che l'emotività, sebbene sia causa dei massimi mali, per gli uomini è più forte dei suoi propositi:" Kai; manqavnw me;n oiJ'a dra'n mevllw kakav,-qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn,-oJvsper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'"" ( vv. 1078-1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione che è causa dei mali più grandi per i mortali",  dice nel quinto episodio dopo avere preso la decisione folle di uccidere i figli.
Un'eco  di questa situazione si trova nelle Metamorfosi di Ovidio dove Medea cerca di contrastare, senza successo. la passione per Giasone " et luctata diu, postquam ratione furorem/ vincere non poterat, "Frustra, Medea, repugnas." (VII, vv. 10-11), e dopo avere combattuto a lungo, dacché non poteva vincere la follia amorosa con la ragione, disse "ti opponi invano". 
Pochi versi più avanti questa   Medea di Ovidio  aggiunge:"sed trahit invitam nova vis, aliudque cupido,/mens aliud suadet: video meliora proboque/, deteriora sequor! quid in hospite, regia virgo,/ureris et thalamos alieni concipis orbis?" (VII, vv. 19-22), ma contro voglia mi trascina una forza mai sentita, altro consiglia il desiderio, altro la mente: vedo il meglio e l'approvo, seguo il peggio! Perché ragazza figliola di re ti infiammi per uno straniero, e desideri il talamo di un mondo estraneo?
 
Voglio introdurre un nuovo autore del quale non abbiamo ancora parlato: un tradizionalista latino attivo nei primi decenni del II secolo: Giovenale (55-140 d. C.).
Ci sono arrivate 16 satire piene di sdegno per i mutati costumi rispetto al tempo antico: “si natura negat, facit indignatio versum” (I, 79)
La sua indignatio flagella, tra gli altri, gli omosessuali i quali De virtute locuti clunem agitant (II, 20-21), poi l’ingiustizia:  Dat veniam corvis, vexat censura columbas (II, 63), quindi   i graeculi tuttologi  "omnia novit/ Graeculus esuriens; in caelum, iusseris, ibit" (III, vv.77-78), e commedianti “natio comoeda est” (III, 100).
 Non manca la satira contro le abbuffate mostruose: la  I satira  descrive persone le quali
Comedunt patrimonia una mensa (I, 138 ) su una sola mensa divorano interi patrimoni.  Poi vanno in bagno con il pavone non digerito nel ventre e muoiono  
quanta est gula quae sibi totos
ponit apros, animal propter convivia natum
poena tamen praesens cum tu deponis amictus
turgidus et crudum pavonem in balnea portas
hinc subitae mortes atque intestata senectus (140- 143)
 
Davanti a tanto decadimento difficile est saturam non scribere ( I, 30).
 
L’imperatore Adriano nel romanzo della Yourcenar lo mandò in esilio dopo questo giudizio:"ne avevo abbastanza di quel poeta ampolloso e corrucciato, non mi piaceva il suo grossolano disprezzo per l'Oriente e la Grecia, le sue affettate simpatie per la cosiddetta austerità dei nostri padri, e quel miscuglio di descrizioni particolareggiate del vizio e declamazioni inneggianti alla virtù che stuzzica i sensi del lettore e ne rassicura l'ipocrisia"[5].  
 
La satira VI di 660 versi è diretta contro le donne.
Faccio solo  qualche citazione caustica
L’autore afferma che la donna romana del suo tempo si sarebbe accontentata più facilmente di un occhio che di un maschio solo:"unus Hiberinae vir sufficit? ocius illud/extorquebis, ut haec oculo contenta sit uno " (vv. 53-54 ) a Iberina   basta un maschio solo? Più in fretta otterrai con la forza che si accontenti di un occhio solo.
Dalla requisitoria di Giovenale contro le donne si evince che il male deriva dal vertice del potere: Messalina viene presentata attraverso un ritratto espressionistico, deformante verso lo squallore: ogni volta che si accorgeva che Claudio dormiva, la meretrix Augusta (VI, 119) lo lasciava, indossato un cappuccio notturno, e accompagnata da una sola ancella. Poi, nascondendo il nigrum crinem (v. 120) sotto una parrucca bionda, entrava nel lupanare, riparato dal freddo con una vecchia tenda fatta di stracci cuciti insieme ("veteri centone [6] ", v. 121). Lì aveva una cella riservata:"tunc nuda papillis/prostitit auratis titulum mentita Lyciscae/ostenditque tuum, generose Britannice, ventrem! " (vv. 122-124), allora si metteva in vendita nuda  con i capezzoli dorati facendo passare per suo il cartello di Licisca[7], e mostrava il ventre da cui eri nato tu, nobile Britannico![8].
Questa satira si chiude con l'affermazione che delle tragiche mogli incontrate nel dramma greco, quelle ottime come Alcesti, a Roma  non esistono:"Spectant subeuntem fata mariti/Alcestim, et similis si permutatio detur,/morte viri cupiant animam servare catellae! "(vv. 653-655), a teatro osservano Alcesti che si sobbarca il destino di morte del marito, ma se si desse la possibilità di un simile scambio, desidererebbero con la morte del marito salvare la vita della cagnetta. Di Clitennestre invece ce n'è dappertutto e queste di Roma sono armate più e meglio della Tindaride.
 
La moglie della satira sesta quando si trova sulla nave dove l’ha fatta salire il marito, gli vomita addosso, se invece segue l’amante, sta bene di stomaco, pranza in mezzo ai marinai, passeggia per la poppa e gode nel maneggiare le dure funi: “quae moechum sequitur, stomacho valet; illa maritum/convomit; haec inter nautas et prandet et errat/per puppem et duros gaudet tractare rudentis” (vv. 100-102)      
 
 Sempre nella satira sesta, viene presentata come un incubo la verbosità femminile:"cedunt grammatici, vincuntur rhetores, omnis/turba tacet, nec causidicus nec praeco loquetur,/altera nec mulier; verborum tanta cadit vis,/tot pariter pelves ac tintinnabula dicas/pulsari; iam nemo tubas, nemo aera [9] fatiget:/una laboranti poterit succurrere Lunae", (vv. 438-443) si arrendono i grammatici, sono sconfitti i retori, tutta/ la folla tace, né l'avvocato né il banditore parlerà,/ né un'altra donna; cade una colossale quantità di parole,/che si direbbe che altrettanti catini e sonagli/ vengano percossi; nessuno oramai affatichi le trombe e gli ottoni:/una donna sola potrà soccorrere la luna in travaglio.
 
Giovenale trova scusabili Fedra e Medea se confrontate con tante donne romane
La pazzia  con ira e rabies secondo Giovenale rendono meno esecrabili , i crimini di Medea e Procne assassine dei propri figli  rispetto ai delitti  delle matrone romane perpetrati per denaro o per il potere:"et illae/grandia monstra suis audebant temporibus, sed/non propter nummos. minor admiratio summis/ debetur monstris, quotiens facit ira nocentem /hunc sexum et rabie iecur incedente feruntur/praecipites… (VI, 644-649), anche quelle ai loro tempi osavano grandi mostruosità, ma non per denaro. Meno stupore si deve alle mostruosità somme, tutte le volte che è l'ira a rendere assassino questo sesso ed esse sono trascinate a precipizio dalla rabbia furiosa che brucia il fegato.    
 
Bologna 23 marzo 2021 ore 11, 10
giovanni ghiselli

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[1] Livio, XXXIV, 2, 11-14.
[2] Vietava tra l'altro di indossare vesti multicolori o di girare per Roma su un cocchio a doppio traino di cavalli.
[3] Evidentemente la parità fa paura ai maschi. Lo aveva già detto Marziale (40 ca-104 d.C.) nella clausula di un suo epigramma:" Inferior matrona suo sit, Prisce, marito:/non aliter fiunt femina virque pares " (VIII, 12, 3-4), la moglie, Prisco, stia sotto il marito: non altrimenti l'uomo e la donna diventano pari.
[4]Tito Livio, Storie , XXXIV, 3, 2.
[5] Memorie di Adriano, p. 217.
[6] Il cento e il titulus del v. 123 li abbiamo già trovati nel bordello del Satyricon
[7] . Licisca, ragazza lupa, era un nome comune per le prostitute che mettevano un cartello con il nome e il prezzo.
[8] Britannico era il figlio di Claudio e Messalina fatto uccidere da Nerone.
[9]Il rumore di catini e campanelli doveva cacciare gli spiriti cattivi che provocano l'eclissi.

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