NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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giovedì 11 marzo 2021

Alcuni versi dell’Antigone di Sofocle da me tradotti e commentati

Sto rileggendo l’Antigone di Sofocle in greco per fare una bella lezione, l’ultima del corso sulla tragedia greca alla Primo Levi martedì prossimo.

Ne ricavo ancora altra educazione con tutto che ho tradotto e commentato questo dramma una trentina di anni fa.

I miei lettori sono più di un milione e centomila da oggi,  e voglio renderli partecipi di alcuni versi che mi sono piaciuti molto rileggendoli,  poi  riferirò anche alcune parole del commento che vi apposi in quel tempo, notevole per uno studioso ancora relativamente giovane.

I versi fanno parte di una discussione tra Creonte, il re di Tebe che ha condannato a morte la nipote Antigone, e il figlio del re, il principe Emone che è fidanzato con la cugina, la ama e vorrebbe sposarla.

Sentiamone alcuni

Creonte dice al figlio

"Non c'è male più grande dell'anarchia./Essa manda in rovina le città: questa ribalta/le famiglie, questa nella battaglia spezza/  le schiere dell'esercito in fuga; invece le molte vite/di quelli che vincono, le salva la disciplina/.Così bisogna difendere l'ordine,/e in nessun modo lasciarsi superare da una donna./Infatti è meglio, se proprio bisogna, cadere per mano d'uomo/e non dovremmo mai lasciar dire che siamo inferiori alle donne ( vv. 672-680)

Creonte è un despota e uno stupido maschilista.

Segue un verso del corifeo che approva il tiranno, quindi

Emone risponde al padre senza mancargli di rispetto ma  presentandogli  le sue diverse ragioni e cercando di indurlo ad ascoltare:

:"Padre, gli dei negli uomini fanno nascere il senno,/

che di tutti i beni, quanti sono, è il supremo./

Io, che tu  dici questo non rettamente,/non potrei né saprei dire:/ tuttavia potrebbe accadere anche a un altro di essere nel giusto./

Tu non sei per natura uomo da osservare tutto quanto/uno dice o fa o può criticare./Infatti il tuo sguardo è temibile per un uomo del popolo" (vv. 683-690) .-

(…)

“ A  me invece è possibile udire coperto dalla tenebra queste parole,/come la città compiange  questa ragazza,/ in quanto tra tutte le donne la più incolpevole/si consuma nel modo più infame in seguito alle opere più degne di gloria:/lei che non lasciò insepolto il proprio fratello/ caduto nelle stragi, né che dai cani crudivori/venisse annientato né da alcuno degli uccelli:/non è questa degna di ricevere onore aureo?/Tale tenebrosa voce viene avanti in silenzio./Non c'è nessun bene più prezioso/ per me, del tuo successo, padre./Quale ornamento infatti per i figli è più grande della bella gloria/di un padre fiorente, o quale per un padre da parte dei figli?/Dunque non portare in te stesso un solo modo di pensare,/cioé che è retto questo come lo dici tu, e nient'altro./

Chiunque infatti crede di essere lui solo a capire,/o ad avere la lingua che nessun altro ha, o la mente,/costui una volta scopeto si vede che è vuoto./Ma  che un uomo, anche se è saggio, impari/

molto e non tenda troppo, non è vergognoso per niente./-

Tu vedi che  nelle correnti gonfie ,/quanti tra gli alberi si piegano, salvano i rami, /mentre i renitenti sono annientati  con le stesse radici" (vv. 692-714).-

Qui riporto solo il commento  degli ultimi tre versi. A chi me lo chiederà manderò gratis la traduzione e il commento dell’intera tragedia.

Il paragone tratto dalla natura sembra esortare a seguirla come guida, secondo la regola che sarà stoica e verrà codificata in latino da Cicerone:"quam si sequemur ducem, numquam aberrabimus " (De Officiis  I, 1OO).

Seneca la presenta con queste parole:"Sequitur ratio naturam. Quid est ergo ratio? Naturae imitatio. Quod est summum hominis bonum? Ex naturae voluntate se gerere ".( Epistole a Lucilio , 66), la ragione  segue la natura. Che cosa è allora la ragione? Imitazione della natura. Qual è il sommo bene dell'uomo? Comportarsi secondo la volontà della natura.

E ancora: ducunt volentem fata, nolentem trahunt ( Ep. 107, 2)

 I rami che si piegano alle correnti gonfie significano un abbandonarsi alla forza della vita, come consiglia il giudice istruttore Porfìrij a Raskolnikov:"non dovete cavillare troppo; abbandonatevi alla vita, senza ragionare; non preoccupatevi; vi porterà certamente sulla riva e vi rimetterà in piedi"[1].

Osservando l'acqua che scorre, i personaggi di Hesse traggono insegnamenti etici e psicologici o anche metafisici:"Ma più di quanto Vasuda potesse insegnargli, gl'insegnava il fiume. Prima di tutto apprese da lui ad ascoltare, a porger l'orecchio con animo tranquillo, con l'anima aperta, in attesa, senza passione, senza desiderio, senza giudicare, senza opinioni"[2].

In Klein e Wagner  leggiamo:" L'universale torrente delle forme, quello che Dio aspirava insieme con l'altro, ovvero che Dio espirava, continuava a scaturire. Klein vedeva esseri che si opponevano alla corrente e tra paurose convulsioni si inalberavano procurandosi orrendi dolori: eroi, delinquenti, pazzi, pensatori, amanti, religiosi” [3].-

Dante fa del giunco che si piega alle onde sulla spiaggia del Purgatorio  un simbolo dell'umiltà:"null'altra pianta che facesse fronda/o indurasse, vi puote aver vita,/però ch'a le percosse non seconda" (I, 103-105).

 

Mi hanno colpito questi versi e il commento che ne feci allora.

Oggi li posso riferire alla mia vita durante la quale ho sostenuto molte battaglie contro persone stupide, cattive e a me ostli, talora anche molto pericolose.

 Però me la sono cavata anche bene perché non mi sono mai opposto alla corrente della vita.

Un caro saluto a tutti i miei allievi

Bologna 11 marzo 2021  ore 19, 6.

giovanni ghiselli


p. s.

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[1]         F. Dostoevskij, Delitto e castigo , p. 519.

[2]         H. Hesse, Siddharta , p. 118.

[3]         H. Hesse, Klein e Wagner , p. 162.

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